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RELAZIONE DEL PROFESSIONISTA E PROFILI DI RESPONSABILITA’

2. STRUTTURA E CONTENUTO DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE

2.3. RELAZIONE DEL PROFESSIONISTA E PROFILI DI RESPONSABILITA’

Tutte le soluzione concordate della crisi d’impresa nelle quali, a fronte di una riduzione dei poteri del Tribunale è concesso un aumento dei poteri alle parti interessate circa la valutazione di convenienza della soluzione negoziale da adottare, prevedono la relazione

di un professionista, designato dall’imprenditore55, che, per quanto concerne l’accordo di

ristrutturazione, come già detto deve essere allegata al deposito presso il Registro delle Imprese e deve riguardare l’attuabilità dell’accordo stesso.

Il professionista, che per effetto del rinvio all’art. 67 com. 3 lett.d) L.F., può essere avvocato, dottore commercialista, o ragioniere commercialista iscritti ai rispettivi albi

professionali ed iscritti altresì al registro dei revisori contabili56; lasciando intendere la

volontà da parte del Legislatore di affidare un compito molto importante come la redazione di “certificato” di fattibilità ad una figura con determinate caratteristiche e requisiti professionali, dovendo infatti attestare l’attuabilità dell’accordo e la sua idoneità a garantire il pagamento integrale dei creditori estranei e la veridicità dei dati aziendali sui quali si fonda l’accordo.

Altro requisito fondamentale che deve possedere il professionista è quello dell’ “indipendenza”.

Per indipendenza di quest’ultimo si intende che il professionista deve trovarsi in una posizione di completa estraneità all’azienda con una assoluta mancanza di interesse nell’operazione di risanamento e che non abbia rapporti alcuni di natura personale o professionale con l’imprenditore ricorrente che potrebbero in qualche modo compromettere la correttezza dei suoi giudizi.

In ogni caso il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti di cui all’art. 2399, cioè in particolare non possono ricoprire tale incarico l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato condannato a una pena che importa l’interdizione anche temporanea                                                                                                                

55 “le tesi che volevano fosse il tribunale a procedere alla nomina, e in particolare nel caso di società per azioni, in accomandita per azioni, o che facciano ricorso al mercato del capitale di rischio, non hanno avuto seguito”, così in MAFFEI ALBERTI A., op.cit. p. 1245.

56 Possono essere nominate anche società tra professionisti, purché i soci abbiano i suddetti requisiti professionali.

dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi (art. 2382 c.c.), il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado dagli amministratori della società o alle società controllate o alla controllante o a quelle soggette a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettono l’indipendenza; non deve inoltre aver prestato, negli ultimi cinque anni, attività di lavoro autonomo ( e nemmeno subordinato) a favore dell’imprenditore, ovvero aver partecipato agli organi di

amministrazione o di controllo della società oggetto della procedura57.

Quanto al contenuto della relazione, questo è stato interpretato con orientamenti spesso divergenti tra loro, taluni inquadrandolo come un testo che doveva avere fattezze molto ampie circa la situazione economico finanziaria dell’azienda ed essere esplicativo anche delle cause che potessero aver determinato la crisi, altri invece inquadrandolo come un testo chiamato ad esprimere un giudizio più meramente tecnico contabile.

Sotto un profilo generale si crede in dottrina che la relazione del professionista debba avere una funzione non esclusivamente “certificativa” dei dati aziendali, ma anche “informativa” atta a garantire l’attuabilità del piano elaborato dall’imprenditore basandosi su di un’analisi della veridicità delle risorse che l’imprenditore può avere al momento dell’omologazione o che si ripromette di reperire.

Quanto a questo è quindi corretto pensare che la relazione debba contenere un esplicito giudizio estimativo del professionista, o meglio giudizio motivato attestante l’alta probabilità o meno circa la capacità del piano di essere concretamente attuato nel rispetto della modalità e dei tempi prestabiliti.

Allo stesso tempo però altri orientamenti in dottrina non hanno accantonato con semplicità l’idea dell’affidamento ad un professionista del compito di attestare sulla “attuabilità del piano stesso” manifestando non pochi dubbi in relazione alla circostanza che un terzo venga chiamato dall’imprenditore, e non dal Tribunale, ad esprimersi sull’attuabilità di un accordo che “già è stato raggiunto” tra due parti consapevoli dello stato di crisi, a seguito di valutazioni che già sono state effettuate.

Ragion per cui è discusso in dottrina se la relazione debba propriamente contenere un’indagine sulla veridicità dei dati forniti dall’imprenditore (a partire dalla                                                                                                                

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documentazione depositata ex art. 161 L.F.9 ) e sui quali poggia il piano, analisi che sarebbe sicuramente di supporto più analitico per l’accertamento dell’attuabilità dell’accordo, per il raggiungimento degli obiettivi prefissati e delle operazioni concordate tra le parti.

In tal senso infatti un parte della giurisprudenza si è interrogata sulla eventualità che, alla luce del fatto che l’accordo di ristrutturazione venga considerato nella sua figura indipendente rispetto al concordato preventivo, e cioè al di fuori della domanda di

ammissione al concordato, l’esperto non possa (non debba, non abbia l’onere58) non

verificare i dati aziendali forniti attraverso le scritture contabili, quantomeno al fine di poter assicurare che questi, pur condizionati e subordinati alle operazioni differenti stabilite nei contratti, possano garantire le risorse necessarie al regolare soddisfacimento dei creditori estranei e se tutti i crediti che hanno sottoscritto l’accordo di ristrutturazione aderendovi sono realmente identificabili quantomeno nel 60% dell’ammontare dei crediti vantati verso l’imprenditore.

Tale orientamento pare per gran parte della dottrina, e per lo scrivente, logico e di buon senso poiché poco è comprensibile come si potrebbe diversamente procedere ad una analisi circa la fattibilità dell’accordo senza accertare se i dati contabili di partenza originariamente forniti dall’imprenditore sono veritieri o meno ed idonei alla finalità, liquidativa o risanatoria, che l’imprenditore ricorrente intende perseguire.

L’orientamento dottrinale che propende per una analisi maggiormente approfondita da parte del professionista sostiene infatti che l’esperto stesso, in contradditorio con l’imprenditore, dovrebbe sostenere, proprio in tale senso, una sorte di concreta “limited review” al fine di accertare il sussistere di discrepanze tra la situazione contabile presentata dall’imprenditore e quella che realmente rispecchia i valori patrimoniali ed

economici dell’impresa (i c.d. dati reali)59.

Ne conseguono da ciò doveri e responsabilità più profonde, non potendosi egli limitare a un controllo formale ovvero di attuabilità ma dovendo preventivamente accertare l’attendibilità e la realtà dei dati ivi indicati, il raggiungimento della soglia del 60% dei crediti e secondo alcuni anche la sussistenza dello stato di crisi, nonostante questi ultimi                                                                                                                

58 In dottrina in tal senso non si è ancora pervenuti ad un orientamento univoco 59 P

due compiti debbano essere oggetto di accertamento da parte del Tribunale in sede di omologazione.

Quanto ai profili di responsabilità, nella ultima formulazione dell’art. 182 bis L.F., il legislatore, forse con l’intento di dare maggiore certezza al contenuto della relazione e fornire “rassicurazioni” alla giurisprudenza (che non vedeva di buon occhio la nomina da parte dell’imprenditore del professionista), ha stabilito che questo nell’esercizio dei suoi poteri all’interno dell’istituto in oggetto, debba rispondere ai criteri previsti dall’art. 67 c.3 l.d) di modo tale che possano così a lui essere ricondotte tutte quelle ipotesi di responsabilità che nella formulazione originaria dell’articolo non erano previste.

In generale è possibile riscontrare come gran parte della dottrina sostenga che per l’esperto si può configurare una responsabilità di tipo “extracontrattuale”, che in presenza di giudizio erroneo, si configura verso tutti coloro i quali hanno fatto affidamento sulle sue valutazioni.

Più nello specifico però un parte della dottrina ritiene che per la figura del professionista sia ipotizzabile una responsabilità nei confronti dell’imprenditore di tipo “contrattuale”, ex art. 1218 c.c. applicandosi però contestualmente la limitazione di cui all’art. 2336 c.c., che esclude ogni forma di responsabilità per colpe lievi, mentre nei confronti dei creditori esclusivamente una responsabilità di tipo “extracontrattuale”, in relazione al danno economico subito a seguito di un errore di qualsiasi tipo da parte del professionista all’interno della sua relazione.

Si ritiene che il professionista debba (se richiesto) dare spiegazioni della sua valutazione ed in particolare della analisi svolte sulla documentazione depositata dall’imprenditore ricorrente.

Il ruolo del professionista si conclude con la consegna della relazione non essendo previsti dalla Legge Fallimentare ulteriori compiti in fase di omologa ma è importante sottolineare come, in caso di successiva dichiarazione di fallimento della società oggetto dell’accordo, non è escluso che il professionista sia chiamato a collaborare con il Curatore Fallimentare.

Sotto il profilo penale viene prevista con l’art. 236 bis L.F. la responsabilità del professionista per “falso in attestazioni e relazioni” nei casi in cui questo all’interno della sua relazione esponga informazioni false od ometta informazioni rilevanti ai fini della procedura con una pena che può prevedere la reclusione da 2 a 5 anni ed una multa da

50.000 a 100.000 con un aumento previsto qualora il comportamento sia finalizzato al conseguimento di un ingiusto profitto per sé o per gli altri se ne deriva un danno per i creditori.