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Qué sería la obra completa , o la configurazione e il genere letterario dell’originale della Polimétrica

STUDIO CRITICO 1 Breve archeologia del testo e peculiarità del titolo

6. Qué sería la obra completa , o la configurazione e il genere letterario dell’originale della Polimétrica

Nella descrizione delle meraviglie presenti nella camera di Ettore, e in particolare nel racconto delle strabilianti capacità dell’«ídolo a semejança de donzel» presente sul quarto pilastro, Louise M. Haywood ha correttamente rinvenuto un interessante indi- zio circa l’originale conformazione del nostro testo183. In questo passaggio, infatti, si fa riferimento a un prologo nel quale probabilmente venivano raccontate alcune vi- cende legate ai responsi dati dai diavoli rinchiusi negli idoli dei templi184:

181 A nostro giudizio, infatti, gli inserti metrici della Polimétrica non si possono considerare come veri

e propri componimenti redatti secondo i dettami del mester de clerecía, anzitutto perché inseriti in una

cornice del tutto particolare e poi in virtù del fatto che, ad esempio, soltanto nel componimento (V)

Descrizione della sesta battaglia si può ritrovare lo schema più tipico del mester, cioè la cuaderna vía. Certa-

mente possiamo riconoscere il forte peso esercitato dalle opere di questa letteratura sul nostro testo, che però va valutato nel suo insieme, vale a dire nella sua essenza di opera che mescola prosa e poesia. Questa influenza metrico-stilistica va probabilmente ricondotta più al mester del XIV secolo che ai

testi fondativi di questa scuola poetica.

182 Volutamente riprendo un paragrafo così intitolato nell’edizione MENÉNDEZ PIDAL 1934a: XXVI-

XXVIII.

183HAYWOOD 1996:specialmente 10-25.

184 Il testo citato è tratto dalla presente edizione, p. 240, 6-8. Interessante è poi il confronto instaurato

da HAYWOOD 1998 tra queste profezie pagane pronunciate da diavoli e idoli posseduti e la profezia

«por Spíritu Sancto» di Cassandra (p. 70, 14 della presente edizione): quelle erano inaffidabili e false, questa invece, proprio perché ispirata dalla grazia divina, è reale anticipazione della storia. La figlia di Priamo, ritenuta pazza e per questo non credibile, è dunque profetessa e anche figura di Cristo: i Troiani dovranno necessariamente essere sconfitti dai Greci perché non venga interrotta quella catena di eventi che porterà alla nascita di Gesù Cristo e, di conseguenza, alla redenzione della razza umana.

LXXX

E a quantos entravan, a todos dava respuesta de lo que lle preguntavan, bien como fazían los otros ídolos de los templos en que yazían los diabros encerrados, segund que vos cuntamos en el plórogo d’este libro.

Come nota la studiosa, non si hanno tracce di questo tema né in Benoît – il passo in questione si trova in prossimità di un luogo “delicato” del testo, cioè il già menzionato excursus sulle razze fantastiche non presente nella fonte francese – né tantomeno nella Crónica Troyana di Alfonso XI – che pure condivide questa amplificatio – bensì, seppur in diverso contesto e non nel prologo, in due altri testi europei di materia troiana, cioè nella cosiddetta Prose1185 e nella Historia di Guido delle Colonne. L’assenza di questo riferimento nell’opera più vicina alla nostra, cioè la Versión alfonsina, e contempora- neamente la presenza dello stesso in due prose altrimenti lontane186, ha fatto giusta- mente sospettare tanto la Haywood quando Casas Rigall187 di una possibile interpo- lazione poligenetica dei tre autori, a partire dal famoso passo isidoriano di Etymologiae, VIII, XI188. Il suddetto prologo apre dunque a due diverse interpretazioni: da un lato, potremmo infatti trovarci di fronte al perduto proemio generale dell’opera, nel quale, come sostiene Barbato, doveva svilupparsi «un sistematico progetto di evemerizza- zione e diabolizzazione della mitologia antica»189; dall’altro, invece, potrebbe più sem- plicemente trattarsi di un’ introduzione, comunque per noi perduta, di una particolare sezione del libro. Nessuno di questi dati fornisce però una precisa indicazione circa la configurazione dell’originale, che tuttavia possiamo ragionevolmente considerare più esteso, almeno “a sinistra” – cioè nella parte iniziale – di M ed E. Ulteriore conferma di ciò ci viene fornita dalle righe iniziali del frammento conservato nel codice di Ma- drid, già opportunamente evidenziate da Solalinde190:

185 Parzialmente edita, come già segnalato, da CONSTANS-FARAL 1922. 186 La questione verrà indagata nel §7.

187CASAS RIGALL 1999:222. 188 Specie i paragrafi 5-16. 189BARBATO 2020: 12.

LXXXI

Desque todos los Griegos fueron ayuntados en Atenas, segund que de suso avedes oído, sacó Agamenón […]

Il passaggio testuale al quale queste righe fanno riferimento non è tramandato dal codice M: possiamo dunque ipotizzare – sempre che non ci si trovi di fronte a un’in- terpolazione propria dell’estensore del codice – una lacuna testuale che, seguendo l’andamento narrativo del Roman in versi di Benoît, affetta l’equivalente di circa cen- toventi octosyllabes191. È poi lo stesso Solalinde a fornire qualche suggerimento circa il prosieguo del nostro testo, sostenendo l’impossibilità di un finale tronco che privasse il racconto – non certo carente, a dispetto del testimoniale, di un buon grado di orga- nicità e compattezza – di un «pasaje interesante del poema»192 quale la morte di Et- tore. A tale suggestione però non è possibile addurre prove testuali concrete, in quanto il punto di saldatura tra il prosimetro e la cronaca regia è, come noto, il medesimo in entrambi i manoscritti e non lascia adito a interpretazioni.

La critica si è poi occupata di indagare il genere letterario a cui doveva appartenere l’originale del nostro testo, dal momento che, a questa altezza cronologica – ivi incluse quella più generica delineata da Solalinde, quanto, a maggior ragione, quella temprana di Menéndez Pidal – la mescolanza di prosa e verso è fatto raro non solo in area iberica, ma anche in tutto il continuum romanzo193. Sgombrando subito il campo da ogni dubbio, possiamo saltare direttamente alle conclusioni sottoscrivendo le parole di Menéndez Pidal: «la Troyana Polimétrica fué, en su origen […] lo mismo que hoy nos se revela»194, cioè un prosimetro le cui inserzioni poetiche vogliono sottolineare i

191 In Benoît, infatti, l’arrivo delle navi greche ad Atene viene narrato a partire dai versi 5583-4 (cf.

CONSTANS 1904.1: 292 e ss.), mentre il discorso di Agamennone all’esercito, come anche rilevato da MENÉNDEZ PIDAL 1934a:1,occupa i versi dal 5703 in avanti (cf. CONSTANS 1904.1: 301). Come poi

appunta CASAS RIGALL 1999:212 e ci conferma il testo critico di D’AMBRUOSO 2012: 211, la stessa

giuntura tra Crónica Troyana de Alfonso XI e Polimétrica è affetta da una piccola e, dal punto di vista della

sequenza degli eventi narrati, del tutto innocua aporia testuale quantificabile in diciotto versi francesi: la traduzione alfonsina termina con il verso 5684, il prosimetro inizia dal 5703.

192SOLALINDE 1916:127.

193 Per un’utile panoramica sul genere prosimetro in aree romanze e non solo, cf. soprattutto PABST

1994, HARRIS-REICHL 1997; DRONKE 1994.

LXXXII

momenti più drammatici e narrativamente interessanti dell’intero racconto, un po’ come accade, ad esempio, nel Tristan en prose o nel Guiron le Courtois. Va quindi del tutto rifiutata la già ricordata tesi di Schiff195, fondata su una traballante ipotesi di Paz y Mélia196, che invece teorizzava un’antica e originale traduzione in versi e una suc- cessiva mise en prose, sebbene questa abbia ricevuto l’appoggio, negli anni 70 del secolo scorso, di Marina Scordilis Brownlee. Nel primo dei tre articoli dedicati alla Poli- métrica197, infatti, la studiosa cerca di inquadrare le versioni testimoniate dai nostri ma- noscritti all’interno di quella “crisi poetica” che si scatena, specie in ambiente cister- ciense, nel XIII secolo e che pure avvia, in nome di una maggiore veridicità storica della prosa rispetto all’effimero verso, quel processo di prosificazione che è ben noto anche alla materia bretone. Di qui la necessità, per la Scordilis Brownlee, di un anello di congiunzione tra i prosimetri di M ed E e il romanzo in couplets d'octosyllabes di Be- noît. Questo raccordo viene quindi identificato proprio con quella prima originaria traduzione totalmente in versi teorizzata da Schiff e, a supporto di questa versión ri- mada, si citano la diversa proporzione tra brani in prosa e inserti in rima nei due ma- noscritti a noi pervenuti e la presenza, negli stessi, di diversi passaggi con evidente andamento metrico. Di questo secondo fatto, a dire il vero, si erano accorti già Sola- linde e Menéndez Pidal, giungendo a uno stesso risultato da due prospettive diame- tralmente opposte: da un lato, Solalinde ascrive a un’eccessiva facilità versificatoria del traduttore, incoraggiata dalla struttura dell’originale francese, tutti quei versi (o addirittura intere strofe) che vengono obliterate dalla prosa198; dall’altro, Menéndez

195SCHIFF 1905: 260-261.

196 Avverte in nota e puntualizza giustamente CASAS RIGALL 1999:212, che l’ipotesi di PAZ Y MÉLIA

1899, come anche riepilogato più sopra nel §1, circa l’arcaismo linguistico della poesia V (descrizione della sesta battaglia), non riguarda in alcun modo la prosa, come invece fraintesero tanto SOLALINDE

1916:128,156, quanto MENÉNDEZ PIDAL 1934a: XXVII (contraddicendosi rispetto a MENÉNDEZ PI- DAL 1933:211).Pur viziati da questo equivoco, i giudizi di entrambi gli studiosi restano validi.

197SCORDILIS BROWNLEE 1978.

198SOLALINDE 1916:155-157.Come esempio di “facilità versificatoria”, lo studioso porta il brano

che descrive, seguendo una struttura ascendente, lo svolgimento della terza battaglia, dove è possibile apprezzare una strofa in una cuaderna vía metricamente assai irregolare, nascosta nella prosa. La giu-

stificazione è poi opportunamente fornita grazie al confronto diretto con il testo francese, la cui struttura anaforica e chiastica viene ripresa dal traduttore spagnolo. Per comodità, riporto la sinossi

LXXXIII

Pidal osserva come la distribuzione degli inserti metrici lungo tutto il testo non sia regolare (le prime 31 carte di M non presentano infati parti rimate) e, pur lasciando aperta la possibilità di una originaria irregolarità, ne deduce che entrambi i mano- scritti199 rappresentano il risultato di un sempre più fine processo di prosificazione, il cui risultato è appunto la soppressione di versi o intere strofe200.Per entrambi, perciò, la soluzione di Schiff non solo è del tutto inutile, ma anche quasi impossibile: la ver- sione tutta in rima, infatti, stando alle configurazioni dei nostri manoscritti, rappre- senterebbe un’enorme amplificazione del romanzo di Benoît – che, ricordiamo, già di per sé consta di trentamila ottosillabi – arrivando a contare fino all’incredibile quanto improbabile numero di cento-centocinquanta mila versi spagnoli. Oltre a questo dato meramente numerico, poi, va considerata anche la polimetria che imperversa negli inserti poetici e risulta difficilmente conciliabile con un “monolite regolare” quale do- veva essere la lunghissima versione metrica.

Tutti questi dati vengono poi ridiscussi e ben analizzati da Haywood201, alla luce anche delle ulteriori indagini portate avanti dalla Scordilis Brownlee e, una decina delle due opere (testo francese: CONSTANS 1904.2: 142 – vv. 10815 e ss.; testo spagnolo: SOLALINDE

1916:156). In coda, il testo in prosa della presente edizione, p. 89, 11-14. Li un les autres envaïrent,

Sovent chacierent e foïrent, Sovent josterent e menu, Sovent se son entrabatu;

Sovent perdent, sovent guaaignent; Sovent s’ociënt e mahaignent

e ferien muy amenudo e amenudo se derrocauan, e los vnos foyen e los otros [los] sacudauan (sic),

e los vnos perdian cauallos e los otros los cobrauan, los vnos cayan en tierra, los otros los alcançauan, e ferién muy a menudo e a menudo se derrocavan, e los unos foién e los otros sacudavan. E los unos perdían cavallos e los otros los cobravan; los unos caían en tierra, los otros los alcançavan.

199 Che giustamente ricorda sono collaterali, cf. MENÉNDEZ PIDAL 1934a: XXVI.

200MENÉNDEZ PIDAL 1934a: XXVII-XXVIII.Lo studioso cerca inoltre di dimostrare come, analizzando

attentamente l’intero testo, si possano scoprire «más rastros de prosificación», dichiarando poi di aver egli stesso rinvenuto, «por casualidad», un’altrimenti occultata cuarteta octosílaba al termine dell’excursus

misogino di M (c. 131v), la cui struttura non è in alcun modo suggerita dall’originale francese. Cito

qui il testo da ID.1934a: XXVII,sempre in sinossi con la prosa della presente edizione (p. 187, 12-13).

mogier casta e fermosa, si puede ser fallada, mas deve ser preciada que piedra preciosa

E por ende, mogier casta e fermosa, si puede ser fallada en ninguna guisa, más deve ser preciada que piedra preciosa

LXXXIV

d’anni più tardi, da Olga Tudorica Impey. Nel suo secondo articolo sul tema, pubbli- cato per il centesimo tomo di Romania, la Scordilis Brownlee aveva infatti raccolto la sfida lanciata da Menéndez Pidal, portando alla luce altre quattro possibili strofe di ottosillabi nascoste tra la prosa del manoscritto di Madrid: si tratta del passo in cui Ettore racconta ad Elena, con una buona dose di ironia, la battaglia che ha appena visto contrapporsi “ambos los maridos”, cioè Menelao e Paride:

«Par Dios, fermosa Elena, si vós oy en la batalla

viérades la muy grand pena en que andavan sin falla

ambos los vuestros maridos, uno a otro buscando

por los campos e por exidos muy brava mente lidiando, e de cómo fue llagado el uno mal en la pierna, e el otro derribado en la yerva verde e tierna, si los quesiésedes bien, mal vos sería en vellos, ca non sé en el mundo quién duelo non oviese d'ellos».202

202 Cito dalla presente edizione, p. 115, 5-20. Trascrivo qui in nota anche la prosa così come pubblicata

in MENÉNDEZ PIDAL 1934a:94 e i versi editi da SCORDILISBROWNLEE 1979:271-271.

«por dios, fermosa Elena, sy vos oy en la batalla vierades la muy grand pena en que andauan syn falla anbos los vuestros maridos vno a otro buscando por los canpos e por exidos muy brauamente lidiando, e de commo fue lla- gado el vno mal en la pierna, e el otro derribado en la yerua verde e tierna, sy los quesiesedes bien, mal vos seria en verlos, ca non se en el mundo quien duelo non ouiese de- llos».

Por dios, fermosa Elena, sy vos oy en la batalla vierades la muy grand pena en que andavan syn falla

anbos los vuestros maridos uno a otro buscando

por los canpos e (por) egidos muy bravamente lidiando,

e de commo fue llagado el uno mal en la pierna, e el otro derribado

LXXXV

Alla fine degli anni 80, la Impey ha provato a rintracciare altri sei passaggi metrici prosificati, giungendo però a conclusioni forzate: gli schemi rimici individuati, infatti, oltre ad essere fortemente irregolari nella misura dei singoli versi, risultano basati per la maggior parte dei casi su rime interne o assonanze rinvenute “qua e là” nella prosa, e sono pure frutto di pesanti interventi critici, per nulla giustificabili (soppressione di interi sintagmi, cambiamenti nell’organizzazione e nella scansione delle parole)203. A onor del vero, bisogna ricordare che questi sono rimasti allo stadio di abbozzo e ci sono noti unicamente attraverso appunti e annotazioni della Haywood204. È infine la stessa Haywood a scandagliare nuovamente l’intero testo, senza ottenere risultati mi- gliori (avverte subito, infatti, che i tre esempi segnalati «cannot readily be moulded into verse»205), giungendo così alla condivisibile conclusione per cui l’unico passaggio ricostruibile in versi con un buon grado di sicurezza, e quindi l’unico a dover essere restitutito e incluso tra gli inserti poetici a testo, è quello rinvenuto dalla Scordilis Brownlee, in quanto risulta sufficientemente lungo (quattro strofe), non necessita di interventi critici pesanti e costosi (non è infatti necessario riorganizzare l’ordo verborum della prosa206) e racchiude un’intera unità semantico-narrativa (la risposta canzonato- ria di Ettore alla cognata). Infine, sempre nel 1996, in nota a un suo articolo sulla Polimétrica come tentativo di rinnovamento di un’epica “colta”, Lola Peláez segnala una nuova quartina che, pur non necessitando di alcun rimaneggiamento da parte

en la yerba verde e tierna, sy los quisiesedes bien, mal vos seria en verlos, ca non se en el mundo quien duelo non ouiese dellos.

203 Gli esempi di Impey sono riportati in HAYWOOD 1996:72-73.

204 La stessa HAYWOOD 1996:18in nota avverte: «My discussion of Impey 1989 is based on the notes

I took at that time and on the handout for the paper. It does not, therefore, necessarily reflect Pro- fessor Impey’s current views, which will be embodied in an article to be published in the Journal of Hispanic Research, 4, to which I have not had access». Nel volume lì segnalato non è però presente

l’articolo a cui si fa riferimento.

205HAYWOOD 1996:18.

206 E per eventualmente riscostruire il presunto isosillabismo del verso, è possibile espungere soltanto

una parola del verso 7, “por los campos e por exidos”: per SCORDILIS BROWNLEE 1979:272il se-

condo por (“por los campos e exidos”), per BARBATO 2020:101l’articolo determinativo los (“por

LXXXVI

dell’editore207, appare come un singolo lampo nel bel mezzo della lunga dichiarazione d’amore di Diomede a Briseida e, per quest’ultima ragione, come negli altri casi non verrà inclusa nel corpus delle poesie intercalate.

Se da un lato, dunque, abbiamo rinvenuto più di una conferma circa l’inutilità di ipotizzare una prima traduzione completamente in versi208, dall’altro è impossibile non notare il particolare e delicato rapporto che si instaura tra prosa e verso lungo tutto il testo, cioè quel continuo encabalgamiento che ha insospettito tanto Menéndez Pidal quanto la Scordilis Brownlee. Il “trascolorare quasi insensibile” – felice espres- sione di Marcello Barbato209 – della prosa nel verso, infatti, è insolito tratto caratteri- stico del nostro prosimetro, i cui attacchi metrici risultano per la maggior parte im- provvisi e imprevedibili. Sempre nell’ottica di quel continuo lavoro di raffinamento della mise en prose attuato dai copisti lungo tutta la tradizione, Menéndez Pidal aveva in particolare ipotizzato la soppressione e prosificazione di alcune strofe iniziali210, fatto che avrebbe causato non solo versi incipitari del tutto “anomali” come nel planh per la morte di Patroclo – dove il discorso è “franto” tra prosa e verso211 – ma anche intramezzi prosastici in catene metriche altrimenti continue, come nel caso della la- mentatio di Ecuba e Andromaca – dove i versi sono brevemente interrotti da una pro- posizione che funge da raccordo tra due scene212. Come dimostrato da Barbato, però,

207 Trascrivo qui il testo secondo PELÁEZ 1996:247e secondo la presente edizione, p. 190, 5-7.

E, señora e amiga, mi lunbre y todo mi bien, non vos pese de quequier que vos yo agora diga

E, señora e amiga, mi lumbre e todo mi bien, non vos pese de quequier que vos yo agora diga, [nin lo saquedes a mal nin a villanía, …]

208 Che in più mal si concilierebbe con la discussione ecdotica volta a dimostrare l’esistenza di un

archetipo comune alla Crónica Troyana de Alfonso XI e alla Polimétrica, come dimostrato in §4. 209BARBATO 2020:38.

210MENÉNDEZ PIDAL 1934a: XXVIII e poi soprattutto LI. 211 Riporto qui il testo tratto dalla presente edizione, p. 6, 3-6.

Comoquier que todos los Griegos oviesen muy grand tristeza e grant coita e feziesen muy grandes llantos

los unos por sus cormanos, por amigos, por hermanos, […]

212 Trascrivo il testo della presente edizione, pp. 266, 20 e ss.

[…] por los braços la tomava, de tierra la levantava.

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questa ipotesi non si rende necessaria, se si esamina con attenzione la natura stessa dei contenuti trasmessi dagli inserti metrici, in un’ottica comparatistica e panro- manza213. Già Scordilis Brownlee e Haywood, ponendosi nel solco di quella tradizione di studi sulle Liryc Traditions in Non-Lyrical Genres dell’ultimo quarto del secolo scorso214, avevano infatti notato come nella maggior parte delle sezioni in versi della

Polimétrica si potesse rintracciare, più nei contenuti e nello stile che nella forma espres- siva, un sentido lírico in grado di giustificare questi incipit inconsueti e repentini215. Il ragionamento di Barbato affina il discorso: la quasi totalità delle poesie si configura infatti come un monologo, forma privilegiata per l’espressione dell’io lirico, e perciò, a buon diritto, queste possono essere definite inserti lirici. Come già affermato in pre- cedenza, inoltre, la medesima situazione si verifica anche nella narrativa arturiana, no- tissima e assai diffusa tanto presso la corte castigliana quanto presso quella porto- ghese, il cui enorme portato deve aver in qualche modo influenzato il nostro ano- nimo216. Contemporanemente però, aggiunge lo studioso, non v’è necessità di una così netta e precisa distinzione contenutistico-stilistico-formale tra ciò che è discor- sivo e ciò che è narrativo e dunque tra prosa e poesia, dal momento che, soltanto due passi – le composizioni (II) e (III), entrambe molto brevi e la seconda pure obliterata dai manoscritti – sono interamente discorsivi, mentre negli altri brani la tendenza è quella di una fine mescolanza tra narrazione e monologhi o discorsi dei personaggi. Maguer que don Hector veié el grand duelo e el gran llanto que fazía Andromaca, poco se quexa,