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QUALCHE RIFLESSIONE COL SENNO DI OGGI Giuseppe Tesauro

SOMMARIO:1.L’impegno degli Stati membri preso sul serio. – 2. Il dialogo

a distanza e poi diretto tra le due Corti. – 3. La maturità del sistema e i con- trolimiti. – 4. Da Costa/Enel non solo il primato del diritto dell’Unione.

1.L’impegno degli Stati membri preso sul serio

Il caso Costa c. ENEL, sul quale la memoria non si è mai affievoli- ta, ha sempre giocato un ruolo rilevante nel consolidamento e nell’evoluzione del sistema giuridico dell’Unione europea, ma non so- lo. Più in generale ha portato la dottrina e la prassi ad una riflessione profonda, permanente, sui rapporti tra l’ordinamento interno e le nor- me internazionali e dell’Unione. Soprattutto, ha contribuito a portare a maturazione, sia pure a distanza di un quarantennio e per quanto di ra- gione, un aggiornamento della nostra Carta costituzionale rivolto a sciogliere i nodi che il testo originario delle norme conferenti aveva determinato e ai quali solo una saggia giurisprudenza era riuscita a porre, nella maggior parte dei casi, rimedio pratico; ed anche a trovare il “sicuro fondamento” del rapporto con il diritto dell’Unione, almeno quanto alle norme provviste di effetto diretto, nell’art. 11 della Costi- tuzione.

Le due sentenze, della Corte di giustizia e della Corte costituzionale italiana, fecero emergere quelle criticità, dando luogo anche ad un di- battito quanto mai vivace in dottrina, a torto o a ragione focalizzato sul- la dicotomia monismo-dualismo, poi rivelatasi sostanzialmente né utile né determinante, se è vero che sistemi dualisti (Italia, Corte costituzio- nale, Granital) quelle criticità le hanno superate nei fatti prima di si- stemi monisti (Francia, Conseil d’Etat, Nicolò). Le stesse sentenze, pe- raltro, hanno dato inizio a quel dialogo tra le due Corti che ha alimenta- to con ricchezza di interventi la riflessione in giurisprudenza e in lette-

ratura sul rapporto tra i due ordinamenti e oltre, dialogo che ha finito per stimolare, con qualche decennio di ritardo, anche la curiosità dei cultori di discipline diverse, in particolare – e a ragione – del diritto co- stituzionale.

Approfitto del mezzo secolo trascorso e delle vicende più rilevanti, pertanto, per qualche considerazione col senno di poi, ben consapevole che difficilmente si può dire di più e di diverso, visto che sull’ar- gomento si è detto quasi tutto.

Le due sentenze, entrambe sollecitate dall’avv. Costa e dal Concilia- tore di Milano, non potevano che essere diverse, nella motivazione e quindi nell’esito. Quella della Corte costituzionale aprì il dialogo, sia- mo nel marzo del 1964, fondandosi sullo scenario normativo italiano, già oggetto di una elaborazione della dottrina più accreditata e da una speculare giurisprudenza dei giudici comuni1. Entrambe avevano trova- to testuale ancoraggio nella portata dell’art. 10, primo comma, della Costituzione, limitata alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, intese semplicisticamente solo come norme consuetudina- rie; e sulla prassi conseguente di una legge ordinaria di adattamento (autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione) per l’ingresso dei trattati nel nostro ordinamento. Non considerando neppure l’ipotesi di una specificità dei trattati comunitari, la risposta al dilemma, sollevato dalla fattispecie, sulla prevalenza o primazia della legge di nazionaliz- zazione dell’energia elettrica sulla legge di adattamento al Trattato isti- tutivo della CEE o viceversa, non poteva che rispondere con il dovero- so rispetto dell’imperativo del noto brocardo che privilegia in termini generali la lex posterior. Fu una risposta formalmente corretta, ma che faceva emergere un problema non da poco, per il rapporto con le norme esterne in genere, ma soprattutto con quelle comunitarie, la cui rilevan- za all’interno del nostro ordinamento rendeva molto più frequente e ri- levante l’ipotesi di contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria. Non era un paradosso solo teorico, infatti, che con la legge dell’in- domani si potesse vanificare un vincolo internazionale ritualmente sot- toscritto secondo Costituzione.

                                                                                                                         

La risposta della Corte di giustizia fu, nel luglio dello stesso anno e confermando le previsioni, opposta2. Essa si giovò anche del preceden- te, anch’esso celeberrimo, della Van Gend en Loos, che aveva un anno prima spianato la strada ad una vera e propria cultura, identificando quello comunitario come «ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno ri- nunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini»3. Era, questa, la base logica e giuridica dell’effetto diret- to, con la posizione giuridica soggettiva del singolo direttamente tribu- taria della norma comunitaria. Ma lo era anche del primato di quest’ultima sulla norma interna contrastante, sia precedente che suc- cessiva e quale che ne fosse il rango, all’occorrenza anche costituziona- le. D’altra parte, la logica del primato della norma comunitaria si co- niugava perfettamente con il consolidato principio del diritto interna- zionale che non consente agli Stati – fatti salvi gli interessi vitali di an- tica memoria, oggi controlimiti – di giustificarne le violazioni invocan- do una norma interna contrastante, in tal modo confermando quel ri- chiamo al «campo del diritto internazionale» rivendicato nella Van

Gend en Loos.

Come nel precedente, anche nella sentenza Costa c. Enel la Corte di giustizia confermò la sua volontà di prendere sul serio l’impegno sotto- scritto dai Paesi fondatori di creare una unione sempre più stretta tra i popoli europei. Di questo si tratta, infatti, quando si sottolinea il metodo di interpretazione da sempre utilizzato dalla Corte di giustizia, fondato sugli obiettivi perseguiti dagli Stati membri e per essi dall’Unione, me- todo significativamente sancito già dalla Convenzione di Vienna sul di- ritto dei trattati. Così, il giudice dell’Unione, sottolineando che l’obiet- tivo di un ordinamento giuridico autonomo è stato voluto dagli Stati membri in forza di una precisa e consapevole scelta, negò che gli stessi Stati possano opporre a questa scelta ed a questo obiettivo una legge successiva, pena il venir meno dell’uniformità e dell’efficacia del dirit- to comunitario. Se ciascuno Stato membro potesse con leggi successive                                                                                                                          

2 Causa 6/64, sentenza 15 luglio 1964.

modificare o contraddire norme comunitarie, rileva la Corte, l’efficacia di queste ultime sarebbe diversa da Stato a Stato, con grave pregiudizio per la realizzazione degli obiettivi del Trattato e altrettanto gravi di- scriminazioni tra gli Stati e soprattutto tra i cittadini. In questo senso va intesa l’affermazione conclusiva che il trasferimento all’ordinamento giuridico comunitario dei diritti e degli obblighi sanciti dal Trattato im- plica una limitazione definitiva dei loro diritti sovrani e che un atto in- compatibile sarebbe del tutto privo di efficacia.

Appena un anno dopo, in Acciaierie San Michele, la Corte di giusti- zia confermò con maggiore forza questo suo voler prendere sul serio l’impegno degli Stati membri. In quella occasione veniva messo in di- scussione, ancora una volta dinanzi alla due Corti, proprio il meccani- smo di tutela giurisdizionale prefigurato nel Trattato. La Corte di giu- stizia fu quanto mai chiara: con la ratifica, tutti gli Stati contraenti han- no aderito in egual modo al disegno di integrazione, con la conseguenza che non è consentito di rimettere in discussione la portata di quell’ade- sione producendo effetti diversi negli ordinamenti interni e dunque una diversità di trattamento tra i cittadini della Comunità «in contrasto con l’ordine pubblico comunitario»4.

La Corte costituzionale, anch’essa investita della questione, rico- nobbe che il meccanismo di controllo giurisdizionale comunitario ri- spondeva ai requisiti irrinunciabili del diritto alla tutela giurisdizionale5, così dando avvio ad un periodo di riflessione sul rapporto con l’ordinamento comunitario che si concluderà con la sentenza Granital del 1984. La differenza di approccio teorico con la Corte di giustizia, com’è noto, è rimasta, nel senso che l’idea del primato della norma co- munitaria in virtù di una sua forza propria non è mai riuscita a far brec- cia nell’approccio – che era ed è in fatto e in diritto dualista, inutile ne- garlo – italiano. Questo era fondato invece, da una parte e limitatamente alle norme provviste di effetto diretto, sulla incompetenza dell’ordina- mento interno quanto ai settori delegati alla Comunità, oggi Unione, sotto la copertura costituzionale dell’art. 11; dall’altra, sulla legge di adattamento e, con la riformulazione operata dalla riforma costituziona-                                                                                                                          

4 Causa 9/65, ordinanza 22 giugno 1965, Raccolta 1967, p. 1.

le del 2001, per quanto di ragione sull’art. 117, primo comma. Il risulta- to pratico della prevalenza della norma comunitaria in caso di contrasto finisce tuttavia per costituire il giusto premio ad una mai sopita volontà di prendere sul serio – propria della cultura instaurata con Van Gend en

Loos e Costa c. Enel – l’obiettivo d’integrazione sottoscritto dagli Stati,

anche da quelli entrati più tardi, e il dialogo tra le Corti, sia pure a di- stanza, rivolto a perseguire quell’obiettivo. Ecco, è questa volontà il da- to – perché tacerlo, anche politico – che ha segnato l’evoluzione suc- cessiva del processo d’integrazione e con essa il contributo della Corte di giustizia.

2. Il dialogo a distanza e poi diretto tra le due Corti

Un secondo profilo che mi piace sottolineare riguarda precisamente il dialogo tra Corte di giustizia e Corte costituzionale inaugurato con il caso

Costa/Enel. Su suggerimento della parte privata, infatti, fu richiesto al

giudice delle leggi, non moltissimi lo ricordano, di operare un rinvio pre- giudiziale alla Corte di Lussemburgo. La richiesta fu ovviamente osteg- giata da Enel, nonché dalla difesa dello Stato. L’argomento era quello già coltivato in Assemblea Costituente e nei primi anni della Corte costitu- zionale, secondo il quale questa non sarebbe un organo giurisdizionale, comunque diverso dagli altri, che sarebbe invece un supremo organo di garanzia sostanzialmente al di sopra del sistema di controllo giurisdizio- nale affidato alla magistratura. La Corte non dette una risposta esplicita, lasciò cadere la richiesta e spostò l’attenzione, sua e dei suoi lettori, sull’art. 11 della Costituzione. Tuttavia, come abbiamo ricordato, il dialo- go è continuato a distanza, è stato un elemento molto importante per i rapporti tra i due ordinamenti ed ha portato frutti palpabili.

Negli anni seguenti la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia fu reiterata in poche occasioni. La risposta fu quasi sempre l’inammissibilità, in base all’argomento prima ricordato, nonché sul ri- lievo della priorità della pregiudiziale comunitaria, quindi di spettanza del giudice comune, rispetto a quella costituzionale6. Solo in una occa-                                                                                                                          

sione, la sentenza Giampaoli7, la Corte rilevò che anch’essa aveva fa- coltà di utilizzare il rinvio pregiudiziale d’interpretazione; ma rimase affermazione isolata ancora per molti anni. La verità è che l’argomento della natura non giurisdizionale, alquanto debole, non riusciva a na- scondere una resistenza psicologica dovuta all’idea che il rapporto con la Corte di giustizia fosse almeno nella sostanza di tipo gerarchico.

Questa resistenza evidentemente era priva di qualsiasi fondamento, sotto due profili. In primo luogo, la qualità soggettiva dell’organo na- zionale – l’«organo giurisdizionale» di cui all’attuale art. 267 del TFUE – legittimato ad operare il rinvio pregiudiziale corrisponde ad una nozione che non è nazionale ma comunitaria; ed è pacifico che l’interpretazione delle norme del Trattato spetta in ultima battuta alla Corte di giustizia. La giurisprudenza al riguardo, poi, di sicuro com- prende un organo con le caratteristiche della Corte costituzionale ita- liana, così come di tutte le Corti alle quali negli Stati membri è stato attribuito il controllo di legittimità costituzionale delle leggi. In se- condo luogo, il rapporto tra giudice nazionale, di qualunque grado e rango esso sia, e giudice dell’Unione non è mai stato un rapporto ge- rarchico, né come tale è stato interpretato dalla Corte di giustizia. La gerarchia, se c’è, è tra le norme, non fra i giudici. Si tratta di un vin- colo di sinergia e di collaborazione, sancito anche dal più generale principio di leale cooperazione tra Istituzioni e Stati membri di cui all’attuale art. 4 del TUE, fin dalle origini (art. 10 del TCEE), chiave di volta del sistema giuridico dell’Unione complessivamente conside- rato; né è stato mai inteso diversamente dal versante di Lussemburgo. Si tratta di un principio non a senso unico, come affermò emblemati- camente la Corte in Zwartveld8.

È pertanto da salutare con favore che la Corte costituzionale abbia registrato l’esigenza di dar corso ad un dialogo ravvicinato e non più solo a distanza con la Corte di giustizia, utilizzando quel gioiello dell’ordinamento giuridico dell’Unione che è il rinvio pregiudiziale. Non si può dimenticare, infatti, che questo strumento di cooperazione ha accompagnato i passaggi più significativi dell’evoluzione e del con-                                                                                                                          

7 Sentenza n. 198 del 1991.

solidamento dell’ordinamento stesso, da Costa/Enel fino alle numero- sissime sentenze a tutela dei diritti fondamentali, che hanno contribuito in maniera decisiva a spostare definitivamente il baricentro del sistema verso la circolazione delle persone, ciò che molti stentano ancora a co- gliere, fino a realizzare l’Europa dei diritti. Gli Stati membri hanno suc- cessivamente posto a questo risultato il suggello della Carta di Nizza, oggi Carta europea dei diritti fondamentali.

Il primo rinvio è stato operato in occasione di un ricorso diretto, un conflitto tra Stato e Regione Sardegna, rispetto al quale la Corte costi- tuzionale aveva il ruolo di giudice della controversia principale9. È que- sta l’ipotesi più corretta rispetto al contenuto sostanziale della norma del Trattato. È vero anche, peraltro, che nessuna preclusione formale pone l’art. 267 del TFUE, come già l’art. 177 del TCE, rispetto all’ipo- tesi di un rinvio della Corte costituzionale nel contesto, a sua volta, del- la rimessione di una questione di legittimità costituzionale da parte di un giudice comune. Ed infatti la Corte costituzionale ha operato il se- condo rinvio proprio rispetto ad una questione di legittimità costituzio- nale, con risvolti di compatibilità con il diritto dell’Unione, sollevata da un giudice comune10.

In definitiva, il tempo passato dalla silenziosa indifferenza per il ri- chiesto rinvio nel caso Costa/Enel al rinvio operato nel caso dei precari della scuola è servito a maturare nella Corte costituzionale la consape- volezza di una esigenza forte di collaborazione con il giudice dell’U- nione, soprattutto su questioni di competenza contigua o comune qual è ad esempio la materia dei diritti fondamentali, superando le vecchie e non troppo ragionevoli resistenze sopra ricordate. Non è beninteso sicu- ro che se la Corte avesse operato il rinvio pregiudiziale suggerito dal Conciliatore di Milano il problema del rapporto tra norme interne e norme comunitarie si sarebbe risolto definitivamente e con soddisfazio- ne reciproca in tempi più brevi del ventennio concluso con Granital. Spesso, come si dice, il tempo, anche se lungo, è galantuomo.

                                                                                                                         

9 Ordinanza n. 203 del 2008.

D’altra parte, due fattori hanno finito col determinare la Corte costi- tuzionale ad inaugurare il dialogo diretto con la Corte di giustizia. L’uno, è stato l’ampliamento dell’Unione, fino ad un numero consisten- te di Paesi membri ed anche non immediatamente omogenei rispetto al nucleo originario, comunque tale da rendere sempre meno efficace il dialogo a distanza tra le Corti. L’altro fattore, di portata sempre più ri- levante, è stata la sempre maggiore consapevolezza che la materia dei diritti fondamentali, tipico oggetto del controllo di legittimità costitu- zionale ed in origine del tutto sconosciuta ai Trattati ed alla prima, or- mai preistorica, giurisprudenza della Corte di giustizia, è diventata, gra- zie precisamente alla giurisprudenza di quella Corte, come già sottoli- neato, una parte rilevantissima dell’evoluzione del sistema giuridico comunitario e materia oggetto della principale attenzione di tutte le Isti- tuzioni dell’Unione, oltre che degli Stati membri.

La circostanza che il passo dell’adesione dell’Unione alla Corte non sia del tutto scontato, anche alla luce delle condizioni poste dagli Stati membri con il Protocollo n. 8, oltre che con l’art. 6 del TUE, nonché delle criticità fatte emergere dalla posizione dell’avvocato generale ri- guardo al parere chiesto sulla compatibilità con i Trattati, non fa che confermare ed anzi rendere più evidente la necessità di un dialogo diret- to fra le Corti costituzionali degli Stati membri e la Corte di giustizia11.

In conclusione sul punto, il dialogo diretto garantito dal rinvio pre- giudiziale, sperimentato dalla maggior parte delle Corti costituzionali, da ultimo anche dal Tribunale costituzionale tedesco12, è certamente in grado di dare un contributo maggiore rispetto al dialogo a distanza ed è uno segno ulteriore di maturità del sistema giuridico comunitario com- plessivamente considerato. Invero, si è passati dalla contrapposizione della Costa/Enel ad un dialogo maturo, ad una interlocuzione priva di asperità, nella logica della cooperazione e della sinergia che è propria del meccanismo del rinvio pregiudiziale.

                                                                                                                         

11 Nelle more della pubblicazione, la Corte ha espresso parere negativo sulla com-

patibilità con i Trattati del progetto di accordo di adesione: Parere 2/13 del 18 dicembre 2014. V. lo in Foro It., 2015, febbraio, IV, c. 61 ss. con nota anche di chi scrive.

3. La maturità del sistema e i controlimiti

Le considerazioni appena svolte trovano conferma anche sotto un al- tro profilo, a dispetto di analisi spesso superficiali e con scarsa familia- rità con la specificità dell’ordinamento giuridico dell’Unione, da sempre stimolo intellettuale di sicuro rilievo. Mi riferisco al tema definito con il termine suggestivo ma forse improprio dei controlimiti.

Con la sentenza Frontini del 1973, la Corte costituzionale, pur fa- cendo notevoli passi avanti proprio rispetto a Costa/Enel quanto al pri- mato della norma comunitaria, puntualizzò il permanere di un campo riservato al dominio nazionale, e in particolare al suo controllo di legit- timità costituzionale, costituito dai principi fondamentali dell’ordina- mento e dai diritti dell’uomo. Ritroviamo la stessa puntualizzazione an- che in Granital del 1984, ma senza alcun riferimento al caso di specie, come del resto anche nel precedente appena ricordato. Nella sentenza

Fragd del 1989, invece, la Corte censurò espressamente alcune senten-

ze della Corte di giustizia, che, contrariamente ad una prassi alquanto consolidata, aveva, nel determinare gli effetti delle decisioni a partire solo dal giorno successivo, mancato di stabilire un’eccezione per le par- ti del processo principale e per coloro che avevano contestato in giudi- zio la norma poi dichiarata illegittima. Il giudice costituzionale aveva in questo ravvisato una lesione del diritto fondamentale alla tutela giuri- sdizionale, principio fondamentale dell’ordinamento italiano sancito dall’art. 24 della Costituzione. Peraltro, in quella occasione non si andò oltre una significativa tirata di orecchie alla Corte di giustizia, dal mo- mento che fu riscontrato un motivo di inammissibilità della questione.

È stato utilizzato dalla Corte costituzionale come controlimite quello stesso principio fondamentale della Costituzione, viceversa, nel caso dell’immunità dalla giurisdizione degli altri Stati (nella specie l’Italia), che la Germania faceva valere per le violazioni del diritto internaziona- le (crimini contro la guerra e contro l’umanità) e la lesione di diritti fondamentali di cittadini italiani commesse dalle truppe naziste nel pe- riodo 1943-4513.

                                                                                                                         

Con terminologia diversa, il concetto di riserva formulata da giudici supremi rispetto ad una prevalenza incondizionata delle norme esterne e in parte dell’Unione europea, anche se provviste di effetto diretto, di- venta un baluardo ai fini del rispetto dei diritti fondamentali nella giuri- sprudenza di numerose Corti costituzionali, da quella tedesca a quella francese, da quella spagnola a quella danese, ad esempio.

Anche la Corte di giustizia ha concretamente utilizzato lo stesso ap- proccio nella sentenza relativa al caso Kadi, con la quale ha annullato un regolamento comunitario di attuazione di una risoluzione del Consi- glio di sicurezza delle Nazioni Unite, censurando la mancanza, nel si-