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CAPITOLO 3: Linguaggi ed estetiche dissidenti

3.2. Dare un volto e un corpo alle idee: Camp, kitch e travestí

3.2.1. Quel folle amore per l’artifizio orrido: l’impero del

Se c’è uno stile che unisce il gusto omosessuale e l’estetica barocca (e neobarocca) quello è il kitsch e se c’è un modo di sentire che possa inserirsi tra le intersezioni di queste espressioni artistiche, questo è il camp.

Da Susan Sontag nel suo celebre Notes of Camp227 del 1964 a Severo Sarduy, da Eve Kosofsky Sedgwick a Fabio Cleto, sono numerosi gli studiosi che hanno cercato di definire tali concetti.

Con la postmodernità il camp si è andato sempre più spesso a fondere con lo stile kitsch, nato in Germania e presto diffusosi a livello internazionale. In America Latina quest’ultimo termine si usa persino per indicare oggetti o opere d’arte appartenenti alle tradizioni locali e pertanto notevolmente anteriori alla nascita del termine stesso per opera degli europei.

Così Eve Kosofsky Sedwick definisce i due ambiti in Stanze private:228

Kitsch è una classificazione che raddoppia la forza aggressiva

dell’epiteto “sentimentale” pretendendo, da una parte, di presentare colui che la impiega dal contagio dell’oggetto

kitsch e, dall’altra, postulando l’esistenza di un vero

consumatore kitsch .

Il camp, dal canto suo, sembra implicare un angolo prospettico più esteso e più gay. [...] Gli interrogativi che pone il camp consistono piuttosto in un “e se”: «E se fossi io il perfetto pubblico per un simile spettacolo? [...] E se il creatore di questo prodotto, chiunque egli sia, fosse anche lui gay?».229

227 S. Sontag, “Notes of Camp” in F. Cleto (cur.) PopCamp vol. I-II, Milano, Marcos y Marcos, 2008. 228 E. Kosofsky Sedwick, Stanze private: Epistemologia e Politica della Sessualità, Roma, Carocci, 2011.

118 Da questi brevi estratti già si capisce come all’origine di questi termini vi sia un contesto fortemente capitalista e fondamentalmente individualista, evidenziato dall’uso di un gergo appartenente al commercio richiamato dall’uso della parola “prodotto” o “consumatore”. Era proprio questo retroscena mercantile del fenomeno, che preoccupava il filosofo Adorno quando lo stile Kitsch (come emblema del consumismo) iniziò a propagandarsi internazionalmente sul finire degli anni Trenta del secolo scorso:

The culture industry can pride itself on having energetically executed the previously clumsy transposition of art into the sphere of consumption, on making this a principle, on divesting amusement of its obtrusive naivetes and improving the type of commodities230.

Lo stesso approccio, tuttavia, non viene condiviso dalla maggior parte degli scrittori latinoamericani in cui l’effetto sentimentale, eccessivo, cursi è una caratteristica condivisa dai marginali e, molto spesso, attua tramite una iperbolizzazione dei paramenti religiosi o carnevaleschi; possiamo pertanto sostenere tranquillamente, che mentre Frederic Jameson ritrova nel Camp una histerical

sublime of postmodernism [...] whit its irony epidemic. 231 Lemebel, Arenas e Zenil la connettono a un punto di vista postcoloniale in cui le icone, imposte o ereditate, vengono esaltate nell’eccesso e vanno a toccare vari aspetti dell’identità del soggetto, etnia inclusa. Carol Anne Tyler appoggia il loro punto di vista, sottolineando, ad esempio, il fatto che il drag, così come il camp, si era sviluppato in a white,

bourgeois, and masculine symbolic economy dimenticandosi degli aspetti connessi

all’appartenenza etnica.

A tal proposito Robertson sostiene:

230 T., Adorno; M. Horkeimer, “The Culture Industry: Enlightenment as Mass Deception”, in Dialectic

of Enlightenment, New York, Continuum, 1993. Reperibile al seguente indirizzo

http://faculty.georgetown.edu/irvinem/theory/Adorno-Horkheimer-Culture-Industry.pdf 231

F. Cleto, Camp: Queer Aesthetics and the Performing Subject: a Reader, University of Michigan Press, 1999. p. 356.

119 [...] invites us to consider thee unmarked whiteness within

which the camp spectator is textually constructed and the unsettling effect that an African-American spectatorial position may have on that ‘natural’ spectatorship. Her piece thus also solicits the appraisal of the spectatorial position’ that the critic of camp assumes, in it’s gendered, reced, class related specificity – and we may add another item, possibly even less accounted for, to the list: nationality.232

Come si può notare nell’opera dal titolo Frida de mi corazón (fig. 19) Nahúm Zenil rimaneggia il senso dei concetti di Kitsch e Camp introducendoli all’interno di un discorso legato all’appartenenza etnica e alla nazionalità. L’artista veracruzano sfugge a quella “posizione di spettatore” che, come abbiamo visto, era attribuito alle minoranze e si erge a protagonista dell’azione artistica. Il soggetto dell’immagine appartiene alla popolazione meticcia, i cui tratti caratteristici sono marcati dall’immobilità assoluta del volto. A porre l'accento e a “convalidare” le sue appartenenze è il confronto immediato con il viso di Frida Kahlo, posizionato parallelamente al proprio e ritratto con la stessa espressione. Una delle icone camp per antonomasia, viene qui ritratta all’interno di un cuore, dall’ingenuo colore rosso vivo, come emblema di un sentimentalismo “naïf”, pacchiano e insolente, che la lega al suo discepolo. L’utilizzo di colori primari, dalle sfumature minime o irreali, quasi da cartolina d’epoca dipinta a mano, enfatizza il rimando dell’opera a un’arte povera, dozzinale ma al contempo altamente evocativa. Il corpo seminudo del pittore e il sottotesto che l’immagine esprime, anche in continuità con il resto della produzione dell’artista, la connettono alla sensibilità camp. Ciò che ci viene destinata dal Maestro messicano è un‘opera in un certo senso decadente, fatta di traduzioni, copie e restituzioni deformate del reale; Qualcosa che Walter Benjamin definisce come an

utilitarian object lacking all critical distance between it and observer; it "offers instantaneous emotional gratification without intellectual effort, without the requirement of distance, without sublimation.233

232

Ibidem

120 In America Latina il termine assume alcune connotazioni peculiari che si differenziano da paese a paese. Nel Cile di Lemebel, ad esempio, la parola “kitsch” è connessa con l’oggettistica “commerciale” di basso valore estetico o di mercato ma assai vendibile, oppure, con l’arte popolare prodotta in serie: (souvenir e chincaglieria varia); In Messico, invece, ha un uso limitato all’ambito artistico, riferendosi generalmente a opere che pur avendo ottenuto successo mantengono uno stile o una manifattura volgari e ordinari se non addirittura dozzinali.

Nel paragrafo che segue, tenteremo di porre in relazione questo stile con la sensibilità camp e di sottolineare gli aspetti, anche positivi, di questa particolare connessione.