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Questioni di metodo e implicazioni di sistema: quali proposte possono essere

Le considerazioni critiche esposte in questo lavoro sono utili non solo per richiamare l’evidente complessità del tema del circolo vizioso fra rischio sovrano e rischio bancario, ma anche per sottolineare che nessuna proposta può mai essere letta e assunta acriticamente come criterio- guida unico per definire operativamente norme regolamentari cogenti per il futuro77.

Come osservato, c’è un primo problema di metodo che muove dalla necessità di conoscere anzitutto la realtà economico-finanziaria e gestionale delle banche dei cui rischi sovrani ci si preoccupa. E c’è, contestualmente, un problema di sistema. Riguarda non solo le banche ma le altre dimensioni che ne sono implicate: il sistema finanziario e il sistema economico in primis78.

Sono dimensioni che riconducono ancora e inevitabilmente a problemi di metodo. Esprimiamoli in sintesi: l’obiettivo del contenimento del rischio sovrano per le banche al fine di migliorarne la stabilità – obiettivo che di per sé è giusto – può essere affrontato limitandosi a interventi che guardano unicamente o quasi esclusivamente alla dimensione e composizione dei portafogli titoli delle banche? Alcune proposte sembrano volerlo fare, interrogandosi poco su altri aspetti del problema, sia a livello di singole banche, sia a livello di sistema.

Qualunque proposta effettivamente sostenibile deve tenere presenti anche altri aspetti economico-finanziari e cercare di contemperarne le esigenze di fondo che ne scaturiscono:

I. a livello di gestione delle singole banche. L’obiettivo del contenimento dei rischi sui titoli

pubblici deve essere guardato insieme all’obiettivo aziendale di poter investire in misura adeguata in titoli – anche pubblici – per poter contribuire a conseguire equilibri di redditività e per poter disporre di strumenti finanziari da utilizzare per esigenze di liquidità;

II. a livello di funzionamento del sistema finanziario. L’obiettivo di sistema del contenimento

dei rischi delle banche sul debito sovrano da esse sottoscritto deve essere guardato insieme a un altro obiettivo di sistema: la necessità di continuare a dare copertura finanziaria al debito pubblico. Quale che sia la sua misura – e a prescindere da quali possano essere, nei singoli Paesi, i livelli dei debiti pubblici considerati economicamente e politicamente “accettabili” di tempo in tempo – il debito pubblico chiede di essere finanziato. A parità di volumi, minori sottoscrizioni da parte delle banche richiedono maggiori interventi da parte di altri investitori: con inevitabili cambiamenti di direzione di flussi finanziari nel sistema, e con conseguenti relativi impatti. In assenza di sufficienti

77 Tutino e Mosca (2017).

67 investitori sostitutivi, ci saranno difficoltà di finanziamento del debito pubblico: con impatti anche sulla sua rifinanziabilità a scadenza e sul suo costo;

III. a livello di sistema economico. Difficoltà di finanziamento/rifinanziamento del debito

pubblico contribuiscono a spingere verso la sua riduzione: una difficoltà in più che va ad aggiungersi a quelle che scaturiscono dalle richieste dell’UE di contenimento dei debiti e dei deficit statali. Con conseguenti impatti economici e sociali. In particolare, sugli investimenti pubblici, sui livelli dell’assistenza sanitaria, sulle pensioni.

Anche ove non volessero tenere conto delle implicazioni al livello di sistema economico e sociale ora ricordate, proposte di contenimento del debito sovrano nei portafogli titoli delle banche devono necessariamente tenere in giusta e piena considerazione la fattiva percorribilità di quanto in esse sostenuto. Tenendo perciò presenti anche gli altri aspetti del problema – e non solo la rischiosità in essere – a cui si guarda in tutti i processi di ristrutturazione finanziaria. A questa, in effetti, corrisponde concettualmente e nei suoi meccanismi essenziali il tema del contenimento del rischio sovrano attraverso aumenti di capitale e/o riduzione di asset che sarebbero richiesti alle banche. Si tratta, quindi, di analizzare anche tutte le dimensioni del problema da affrontare e non solo la qualità degli asset in portafoglio. Dunque – soprattutto, ma non solo – le variabili economico-finanziarie e patrimoniali in essere e le loro evoluzioni attese, il tempo necessario per raggiungere l’obiettivo, le dovute condizioni di flessibilità che caratterizzano qualunque piano ambisca ad essere realizzato, specie se in contesti di forte incertezza e complessità.

Assume specifica e grande importanza perciò il fattore tempo. L’obiettivo di ristrutturare – contenendolo – il rischio sovrano delle banche potrebbe evidentemente essere conseguito meglio operando gradualmente nel tempo: sulla base dell’esperienza che si maturerà negli anni, tenendo conto dell’andamento del debito e dei fabbisogni statali, delle condizioni dei mercati finanziari, delle condizioni di gestione delle singole banche, dell’importanza dei portafogli titoli delle singole banche ai fini della loro gestione. Quindi, sulla base della concreta possibilità nel tempo, appunto, di ridurre il portafoglio titoli o di aumentare il capitale a presidio del rischio. Le proposte analizzate in questo lavoro sembrano guardare di rado alle tante dimensioni del problema e alle interrelazioni tra esse. A volte sembra quasi che prevalga un’impostazione ideologica basata su un’eccessiva linearità concettuale: il debito pubblico ha in sé germi (avanzati) di rischiosità ➝ le banche hanno consistenti investimenti in titoli di debito sovrano ➝ questa rischiosità non è di fatto tenuta presente ai fini di regolamentazione prudenziale ➝ occorre aumentare i presidi patrimoniali e/o ridurre l’esposizione. Tutto il resto e la sua complessità, quando appaiono, sono in ombra, sovrastati.

68 Questo limite della ricerca tecnico-regolamentare trae origine dal fatto che essa è di norma impostata soprattutto/esclusivamente in termini “tradizionali” e acritici di rapporti quantitativi fra rischi assunti dalle banche e livelli del loro capitale. Così, si trascura di considerare a sufficienza che l’equilibrio del sistema finanziario poggia, nel suo insieme, anche sul collocamento di debito pubblico all’interno del portafoglio titoli di intermediari finanziari e di investitori istituzionali: chi finanzierà parti significative del debito pubblico finora finanziate più o meno stabilmente dalle banche? Almeno tre soluzioni sono in effetti implicite in questo approccio “tradizionale”. Ma sono tutte estremamente complesse e poco percorribili se non in tempi lunghi e attraverso profonde trasformazioni del sistema economico e del sistema finanziario:

• ridurre il debito pubblico, in modo che possano ridursi di conseguenza sia il fabbisogno finanziario, sia l’ammontare della relativa copertura finanziaria offerta dalle banche; • aumentare il capitale delle banche affinché venga a costituirsi una “riserva” patrimoniale

in grado di assorbire eventuali perdite sui titoli sovrani detenuti in portafoglio;

• a parità di ammontare di debito pubblico, sostituire in parte la copertura finanziaria delle banche con coperture finanziarie di altri investitori finanziari.

La solidità del sistema finanziario è, in effetti, una delle variabili-chiave che definiscono anche la rischiosità sovrana. Applicare regole che possano mettere a rischio la stabilità del sistema finanziario potrebbe risultare, oltre che concettualmente sbagliato, anche controproducente e dannoso.