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Raccolta dei dati

Nel documento Quaderni di Conservazione della Natura N (pagine 154-158)

4. T ECNICHE E METODI DI MONITORAGGIO

4.6. Radiotracking

4.6.3 Raccolta dei dati

Un problema che caratterizza ogni studio di radiotracking è rappresen-tato dalla distanza a cui si può captare il segnale. In genere, le trasmittenti per chirotteri in commercio consentono di percepirlo entro qualche chi-lometro di distanza, ma questo fattore varia sensibilmente in funzione delle caratteristiche del terreno (presenza di monti, asperità o depressioni del terreno, ecc.) e dell’altezza a cui ci si pone per effettuare il rilevamen-to. Quando si pianifica uno studio di radiotracking, è bene identificare al-cuni punti elevati da raggiungersi appena si perdono le tracce di un ani-male seguito, così da localizzarlo rapidamente ed evitare lacune significa-tive nei dati raccolti. L’utilizzo di un piccolo velivolo può risultare utile nel localizzare individui che si siano particolarmente allontanati dal sito in cui erano stati catturati o dal roost. È conveniente, prima di iniziare uno studio di radiotracking, esercitarsi posizionando alcune trasmittenti in diverse situazioni orografiche nell’area di studio e testando le caratteri-stiche del segnale così come vengono percepite da punti cospicui scelti per effettuare i rilevamenti. In tal modo, si potrà imparare a conoscere il “comportamento” delle trasmittenti e del ricevitore nella situazione am-bientale in cui si svolgerà la ricerca, e fornire anche stime oggettive della qualità delle localizzazioni ottenute (Bontadina et al., 2002).

Distingueremo due obiettivi di ricerca: la localizzazione dei roost e il

radiotracking su chirotteri in attività. a) Localizzazione dei roost

Il radiotracking può essere molto utile per localizzare i roost di specie fi-tofile e antropofile. Non consente, di norma, di localizzare rifugi ipogei, perché quando l’animale marcato è all’interno del roost, il segnale non può essere captato da un rilevatore posto all’esterno (Agnelli et al., 2001; Russo et al., 2002); tuttavia risulta ancora efficace per percepire un chi-rottero marcato che si sia rifugiato in una fessura di una roccia esposta o in una piccola cavità (D. Russo, oss. pers.). Per localizzare i roost, gli esem-plari da marcare vengono generalmente catturati nei siti in cui si alimen-tano o si abbeverano e dotati della trasmittente, quindi rilasciati nel luogo di cattura. Nel corso delle ore diurne sarà possibile effettuare ricognizioni del territorio alla ricerca del segnale radio emesso dal chirottero, intanto rifugiatosi nel roost. In genere risulta utile portarsi in punti elevati, che dominano l’area di studio, così da rilevare segnali provenienti da lontano o da roost posti in situazioni svantaggiose da un punto di vista orografico (depressioni del terreno, forre su versanti montuosi, ecc.). Una volta identificato il rifugio, se ne potranno rilevare le principali caratteristiche (tipologia, posizione geografica, altitudine, esposizione, e se si tratta di un albero altezza, diametro, ecc.); se si dispone di un ricevitore GPS (Global

Positioning System), potrà essere utile salvare la posizione del rifugio come waypoint per poi ritrovarlo agevolmente in successivi controlli. Per

valuta-re la consistenza numerica della colonia eventualmente pvaluta-resente nel roost, è consigliabile condurre un conteggio degli individui in uscita. Nel caso di rifugi arborei, un confronto tra gli alberi-roost e un campione di alberi potenzialmente utilizzabili come rifugio scelti in modo casuale nell’area di studio consentirà di valutare se e sulla base di quali caratteristiche i chi-rotteri in studio selezionano i rifugi (Sedgeley e O’Donnell, 1999). b) Radiotracking su chirotteri in attività

L’obiettivo consiste nell’ottenere localizzazioni dell’esemplare seguito: di quest’ultimo sarà possibile individuare il dominio vitale (home range), esprimere quantitativamente le attività svolte, descrivere le traiettorie di volo e determinare la selezione dell’habitat. Naturalmente, soprattutto in considerazione del fatto che le piccole trasmittenti impiegate consentono una raccolta dei dati limitata a pochi giorni, è desiderabile ottenere quan-te più localizzazioni (fix) possibile; in casi fortunati, soprattutto con spe-cie che si spostano poco o volano suffispe-cientemente in alto, è possibile mantenere il contatto per periodi lunghi, anche per un’intera notte. Inol-tre, perché i dati siano utili per un’analisi statistica (Bontadina et al.,

1999) e risultino rappresentativi del comportamento della popolazione, o della specie, in esame (ossia non siano condizionati da aberrazioni indivi-duali del comportamento; Rabinowitz, 1997), è buona norma seguire al-meno una decina di individui.

La localizzazione dei chirotteri marcati può avvenire con due meto-dologie: homing in e triangolazione (White e Garrott, 1990).

Nell’ho-ming in, l’operatore dovrà avvicinarsi quanto più possibile al chirottero

seguito, finché il segnale rilevato assuma caratteristiche tali da poter con-siderare l’animale nelle immediate vicinanze della posizione da cui si ef-fettua il rilevamento (Jones e Morton, 1992; Arlettaz, 1995; Duvergé, 1996; Russo et al., 2002). L’avvicinamento all’animale potrà essere effet-tuato ottenendo un gran numero di rilevamenti successivi, finché non sarà possibile identificare con una buona probabilità la posizione del chi-rottero: in tale situazione, il segnale radio perde quasi o del tutto pro-prietà direzionali, ed è percepito con forte intensità anche se il guadagno del ricevitore è posto al valore “zero” (Russo et al., 2002). In habitat suf-ficientemente aperti, si potrà avvistare l’esemplare e/o percepirne l’emis-sione ultrasonica con un bat detector (Duvergé, 1996). Una piccola tor-cia con filtro rosso coadiuverà l’osservazione (L. Duvergé, com. pers.), anche se in queste situazioni bisogna fare molta attenzione a non distur-bare l’esemplare seguito. Se non si riesce a portarsi nelle immediate pros-simità dell’animale, è spesso ancora possibile stimarne azimut e distanza (quest’ultima attraverso le proprietà del segnale ricevuto), purché ci si trovi nel raggio di alcune centinaia di metri; è prudente valutare e anno-tare sempre la qualità dei fix ottenuti.

Nel caso della triangolazione, due o più osservatori, posti in luoghi di-versi, rileveranno l’azimut sotto il quale ricevono il segnale radio: dall’in-crocio dei rilevamenti, con un certo grado d’incertezza, deriverà il fix (Bontadina et al., 2002). In certi casi, soprattutto per farsi un’idea appros-simativa della posizione dell’animale quando si disponga di un solo rice-vitore, si può simulare la triangolazione (Bontadina et al., 2002) prenden-do un primo azimut, spostanprenden-dosi rapidamente (ad esempio in 30-60 se-condi) e rilevando nuovamente l’esemplare seguito: dall’incrocio dei due rilevamenti si otterrà una posizione stimata del chirottero, piuttosto at-tendibile se quest’ultimo è poco mobile.

La triangolazione può essere particolarmente utile per le specie che si spostano su ampie aree e catturano le prede in volo, mentre quelle che tendono a una maggiore sedentarietà possono essere rilevate con il meto-do dell’homing in (Bontadina et al., 1999). Inoltre, quest’ultimo offre il vantaggio di poter essere impiegato anche se si dispone di un solo ricevi-tore, addirittura da un unico operatore (Arlettaz, 1995; Duvergé, 1996),

mentre la triangolazione richiede l’intervento di due o più rilevatori, cia-scuno dotato di un ricevitore, costantemente in comunicazione tra loro.

I metodi per l’analisi dell’home range dei chirotteri sono gli stessi utiliz-zati per altre specie animali (Minimum Convex Polygon MCP, media ar-monica, ecc.); per una disamina critica di queste metodologie, si vedano Harris et al. (1990) e Spagnesi e Randi (1995). Ancora una volta, la scelta del metodo più idoneo dipenderà dalla specie studiata, dalla struttura dei dati e dagli obiettivi del nostro studio. Spesso, a causa della difficoltà di mantenere il contatto con gli individui in studio per lungo tempo e della breve durata delle trasmittenti, il numero di fix ottenuti in uno studio di

radiotracking sui chirotteri è piuttosto basso e la determinazione dell’home range mediante la tecnica del minimo poligono convesso (MCP) è

racco-mandabile grazie alla robustezza del metodo (Harris et al., 1990). Altro vantaggio offerto da questo metodo è dato dalla possibilità di effettuare comparazioni tra studi diversi (Harris et al., 1990). I MCP sono stati am-piamente impiegati, anche in studi recenti, per diverse specie di chirotteri (Jones e Morton, 1992; Duvergé, 1996; Waters et al., 1999; Bontadina et

al., 2002; Russo et al., 2002).

L’analisi della selezione degli habitat di alimentazione consiste nella comparazione tra proporzione di habitat disponibili ai soggetti studiati e proporzione con cui ciascun habitat è effettivamente utilizzato. Se l’utilizzo di un habitat supera significativamente la corrispondente proporzione di-sponibile, si verifica una selezione positiva. Se si assiste a un sotto-utilizzo di un dato habitat rispetto al disponibile, allora si ha selezione negativa. Se, in-fine, l’habitat viene utilizzato proporzionalmente alla sua disponibilità, si verifica assenza di selezione (Entwistle et al., 1996; Russo et al., 2002).

Esistono diversi metodi di analisi della selezione dell’habitat, tutti ap-plicabili ai chirotteri. Tra questi, ha assunto crescente popolarità l’analisi della composizione (Aebischer et al., 1993), utilizzata per diverse specie di chirotteri, tra cui R. ferrumequinum (L. Duvergé, 1996), R.

hipposide-ros (Bontadina et al., 2002), R. euryale (Russo et al., 2002) e N. leisleri

(Waters et al., 1999). Le proporzioni di utilizzo possono essere espresse in diversi modi, ossia: come composizione percentuale in habitat di ciascun

home range; come percentuale di fix ricadenti in una certa categoria

am-bientale (se abbiamo effettuato localizzazioni con periodicità costante, ad esempio ottenendo un fix ogni 5 minuti); oppure come percentuale di tempo trascorso in un certo habitat. Il “disponibile” sarà costituito dalla percentuale di superficie occupata da ciascun habitat all’interno dei sin-goli home range (ovviamente, quando tale composizione non sia stata considerata come “utilizzato” nell’analisi), oppure dell’area di studio. In molti casi, è opportuno condurre lo studio di selezione sia rispetto alla

composizione in habitat dell’home range, sia rispetto a quella dell’area di studio; infatti, variando la scala dimensionale dell’analisi è possibile far emergere diversi modelli di selezione (Aebischer et al., 1993; Bontadina

et al., 2002; Russo et al., 2002).

La delimitazione dell’area di studio può essere condotta in modo di-verso a seconda della situazione. In alcuni casi, essa può essere scelta più o meno arbitrariamente, purché sia sufficientemente ampia, rappresentati-va in termini qualitativi e quantitativi del territorio in esame, e contenga il roost (o i roost) ove gli animali in studio si rifugiano, la cui posizione è generalmente nota.

Se la localizzazione del roost è nota, e se gli animali non si sono trasferi-ti nel corso dello studio, è possibile determinare la massima distanza per-corsa in una notte dal roost e delimitare l’area di studio tracciando un MCR (Maximum Circular Range), ossia una circonferenza con raggio pa-ri alla suddetta distanza, e centro posto in corpa-rispondenza del roost stesso (Waters et al., 1999). Se nel corso dello studio, poi, si dovesse notare che gli animali non frequentano altitudini superiori a un certo valore, è possi-bile escludere dallo studio le aree poste a quote superiori (elevation

cut-off ). Un’ulteriore possibilità, specialmente utile quando non sia nota la

posizione del roost, oppure nei casi in cui questo sia cambiato nel corso dello studio, consiste nel tracciamento di un MCP che includa tutti i fix ottenuti durante lo studio per tutti gli animali considerati (Bontadina et

al., 2002; Russo et al., 2002).

4.7 Studio del comportamento mediante osservazione diretta

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