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Racconti di topografie parallele

Nel documento Il viaggio nel mondo degli oggetti (pagine 64-67)

Il saggio intende indagare alcuni progetti della sce- a co e pora ea capaci i proporre opografie parallelo, ovvero letture e interpretazioni della città inattese e sovversive. I differenti progetti pongo- no interrogativi rispetto al tema dell’esposizione e del racconto della città. Essi insistono nei brani di mondo comunemente non esposti, che risulta- no altrimenti privi di informazioni. Dal minuzioso studio dell’architettura della città da parte dei la- dri, contenuto nel sorprendente testo A Burglar’s Guide to the City, alla mappatura di blank spots di natura militare, la ricerca vuole mostrare prati- che inusuali di mappature della città, sollevando la questione di come si interpretano e si conoscono la città e il territorio.

[1] Si veda a questo proposito: Vasset, P. (2007). Un livre blanc. Paris: Éditions Fayard.

[2] Kim Cascone afferma: “The revolutionary period of the digital information age has surely passed. The tendrils of digital

technology have in some way touched everyone”. Si veda il seguente saggio: Cascone, K. (Winter 2000). The Aesthetics of Failure: ‘Post-Digital’ Tendencies in Contemporary Computer Music, Computer Music Journal, vol. 24, n. 4 p.12.

[3] Il recente testo Mind the Map a cura di Lorenza Pignatti può costituire un buon punto di partenza per approndire il

complesso mondo delle mappe. Il libro accoglie sguardi trasversali sul tema, con un interesse preciso verso le esperienze artistiche, ed articola un’interessante ed aggiornata bibliografia ragionata.

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rancesco Toselli, ere, Palomar, 201 .

Emanuele Pizzolorusso, Crumpled City unior, 2011. rancesco Toselli, Palomar,

ere, 201 .

[3] [overstep] [3]

la forma di fotografie, storie, video o schizzi, con lo scopo di narrare quel brano di mondo lasciato bianco.

Dalla mappa storica con spazi bianchi interroganti ad una traccia bianca che invita a esplora- re spazi ancora non conosciuti. Tom Loois propone Blank Ways: al contrario delle numerose applicazioni per smartphone che permettono di tracciare i percorsi già fatti o indicano iti- nerari veloci in base alle preferenze memorizzate, Blank Ways evidenzia le strade inesplorate marcandole in bianco. L’applicazione è quindi un invito a perlustrare ciò che non si conosce, soprattutto rispetto alla propria città. Il progetto nasce da un laboratorio all’interno della Design Academy di Eindhoven ed è esposto successivamente al Salone del Mobile di Milano. Nelle parole di Loois, l’idea di progetto nasce dall’aver preso consapevolezza di non conoscere a fondo la propria città. È quindi un’esplorazione di posti nel contempo familiari ed estranei: “I’ve travelled the route 100 times and never noticed this little alley. I had no idea where it went and thus the idea”.

Un altro progetto che ragiona criticamente attorno al concetto del lasciare tracce è il libro

Where The F**k was I? di James Bridle. L’idea è semplice: individuare ed estrapolare i dati,

autonomamente registrati senza la volontà del proprietario del telefono, relativi agli sposta- menti nello spazio. La memoria dell’Iphone fornisce 35801 punti raccolti nell’arco di undici mesi che, una volta rielaborati, sono segnati nelle 202 mappe che compongono il volume stampato. La rappresentazione grafica dei movimenti, un flusso rosso puntinato, fa emer- gere un ritratto di città scomposto, in cui alcuni spazi sono sovraesposti, ovvero registrano movimenti frequenti, mentre altri scompaiono nel fondo scuro senza essere mai attraversati. Un’interessante lettura dei significati della traccia come impronta e come memoria è proposta da Francesco Casetti, curatore del numero della rivista Comunicazioni sociali intitolato “Lascia- re tracce, essere tracciati”: “Una traccia è anzitutto un indizio o un’orma che lasciamo dietro di noi, volontariamente o involontariamente. È la marca di un ‘esserci stati’ che permane anche quando ‘non ci siamo più’. In questo senso essa offre sia una prova della nostra esistenza, sia una prima chiave per una nostra identificazione: una traccia dice che siamo stati in un luogo, ma rivela anche alcune delle nostre peculiari caratteristiche – come siamo fatti, come ci muo- viamo, cosa facciamo”[6].

I locative media sono strumenti pervasivi di esposizione della città. Essi inquadrano o met- tono a fuoco punti pre-impostati, offrendo un punto di vista sempre più personabilizzable privo di immagini, raccogliendo circa duemila casi-studio. Questa “geografia del crimine” ha

bisogno di esplorazioni spaziali approfondite, di sopralluoghi, di studi di planimetrie e vie di fuga, che sfociano in un uso deviato degli edifici. L’autore ricorda che ciò che è interessante rispetto ai ladri è il loro modo di muoversi. I ladri esplorano e conoscono la città meglio di chiunque altro. Essi accedono a un micromondo di infrastrutture, e sono in grado di imma- ginare in termini ambiziosi scene differenti dal mondo reale, prefigurando passaggi segreti e itinerari inusuali. Instancabili esploratori e attori di (illecite) trasformazioni spaziali, i ladri scavano tunnel sotterranei, attraversano confini stabiliti, creano passaggi lì dove non ci sono. Un approcio investigativo assonante al progetto di Manaugh è rintracciabile nella ricerca di Trevor Paglen. Artista americano, dottore di ricerca in geografia, è autore di una indagine ri- portata nel libro Blank Spots on the Map: The Dark Geography of the Pentagon’s Secret World. In esso, Paglen intende disvelare alcune zone grigie, legate a scopi militari, che il governo degli Stati Uniti ha cercato di cancellare dalle mappe. È il black world, come viene definito dagli attori dell’intelligence: basi militari, laboratori inaccessibili, spazi protetti da segreti di Stato. Questi territori disegnano una geografia segreta, in cui le regole, anche in materia di diritto, sono sospese. Quello attuato da Paglen è un accerchiamento progressivo verso quelle zone che ingenti investimenti di Stato vorrebbero tenere nascoste. L’autore avvicina l’oggetto della ricerca anche intervistando chi vive ai confini di questi luoghi. Se Paglen si interessa agli spazi “neri” volutamente trascurati dalla cartografia, un altro autore si interroga sul significato del colore bianco nella cartografia. Philippe Vasset esplora e compie una ricognizione delle zone lasciate bianche, vides, all’interno di una mappa storica della città di Parigi. Vasset si interroga sul significato dall’assenza di segni, con l’intenzione di aggiungere informazioni a queste ‘am- nesie’ urbane. Attraverso una documentazione che si avvale di diversi mezzi, Vasset ricostrui- sce la memoria dell’area. Nelle parole di Sara Marini, “[l’autore] si chiede se il colore bianco trovato nelle carte rimanda alla rappresentazione di un’assenza o ad una realtà talmente com- plessa da essere difficilmente raffigurabile”[4].

Vasset continua le ricerche attraverso l’Atelier de Géographie Parallèle (AGP), fondato assieme al fotografo Xavier Courteix e all’artista plastico Xavier Bismuth. Una parte del loro lavoro era visibile attraverso una banca dati liberamente consultabile, in un sito web attualmente in aggiornamento[5]. Trovano spazio numerosi tentativi di rappresentazione degli spazi vides mappati nella carta OT 2314 dell’Istituto National Geographic. Questi racconti assumono

[4] Marini, S. (2010). Nuove terre. Macerata: Quodlibet, p.192. [5] http://www.unsiteblanc.com/, ultima consultazione: 30/11/2016.

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in base alla scelte dell’utente. Google Trips organizza il viaggio carpendo informazioni dal calendario digitale: conosce i nostri futuri spostamenti, e confeziona una guida di viaggio da completare. In questa prospettiva di suggerimenti invadenti, in uno stretto dialogo tra geo- calizzazione e realtà aumentata[7], si fanno strada alcuni progetti che utilizzano quella che è forse la forma di mappatura più nota, Google Maps, per sovrapporre storie altre. Il racconto 21

Steps[8] di Charles Cumming si articola in una serie di vignette che narrano una storia. Il testo è inserito in un box che prende vita dai pins rossi. Se 21 Steps utilizza le viste aeree proposte da Google Maps, le prospettive future rispetto alla mappatura della città si spingono verso una visione sempre più precisa dei mondi interni. Una visione ‘alla Nolli’, in cui si forniscono informazioni rispetto all’organizzazione di un aeroporto, di un centro commerciale, di luoghi di cui si vorrebbe facilitare l’attraversamento, in cui nessun punto è nascosto. Hic sunt leones.

[6] Casetti, F. (a cura di) (2010). Premessa. Comunicazioni sociali. Rivista di media, spettacolo e studi culturali, anno XXXII,

n. 1 gennaio-aprile 2010, p.4.

[7] A tal proposito si veda il capitolo “Réalité augmentée et géocalisation” nel libro: Picon, A. (2013). Smart Cities. Paris: B2

Editions.

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Studio M,

pittogramma per segnaletica d’orientamento, New Doha International Airport, 201 GoogleTrips, schermate app, 2016.

Publicis Moldova, marca turistica Moldova, 201 .

[3] [overstep] [3]

Ricordo ancora quando ragazzino in gita scolastica avevo portato con me una delle Guide Rosse del Touring Club Italiano (TCI) e, ostinato, l’aprivo cercando di coinvolgere i compagni a scoprire quanto scritto guardandoci contemporaneamente intorno. Era una guida concepita per un lento passeggio, dettagliata e completa, ma appunto richiedeva tempi cadenzati, con- templativi. E forse anche il piacere di farsi portare in giro senza fretta.

Da allora non solo è passato un bel po’ di tempo, ma totalmente cambiato il nostro modo di viaggiare. Oggi viaggiamo tutti, per lavoro o per affari, per studio, per amore, per diletto. Facciamo viaggi lampo, blitz fulminei in città più o meno lontane, approfittando di offerte a prezzi stracciati all-inclusive; viaggiamo leggeri, senza bagagli impegnativi, e soprattutto lasciamo a casa le ormai ingiallite guide dei nostri genitori (ricorrendo forse alle popola- ri Rough Guides o Lonely Planet). Tutto è nei nostri device mobile: biglietti, prenotazioni, mappe, istruzioni su dove dormire, mangiare e cosa vedere. E se proprio abbiamo trascurato qualche cosa, ecco la app utile a soddisfare ogni necessità. È cambiato il modo di viaggiare, sono cambiati gli strumenti ed è cambiata la percezione stessa del viaggio, e il suo modo di comunicarlo. Come è vero che il viaggio come il turismo “è comunicazione prima ancora che pratica” (Giacomarra, 2005).

La guida di viaggio costituisce un primo strumento ideale dal punto di vista comunicativo per comprendere quanto sia cambiata questa idea del viaggio nel tempo. Oltre la condizione del viaggio per necessità, è consuetudine far coincidere l’inizio della forma moderna di turi- smo, ovvero del viaggio senza scopi utilitari, con la pratica del Grand Tour (De Seta, 1989). Nel XVIII secolo erano viaggi cui potevano dedicarsi in pochi, cui la disponibilità di tempo e denaro consentiva lunghi spostamenti alla scoperta delle bellezze di un paese. L’Italia era una delle mete privilegiate come testimoniano i diari di viaggio di Goethe o Montesquieu, in cui lo sguardo dell’autore prevale nelle descrizioni di luoghi, monumenti, costumi eventualmen- te accostate a illustrazioni. I resoconti di viaggio e i racconti di questo periodo contribuiscono ad un ampliamento e rinnovamento culturale, e rispondono a una motivazione di “quest for exploration, escape and pleasure” (Rojek & Urry, 1997).

Questo progressivo cambiamento di motivazione comporta una trasformazione delle mo- dalità organizzative e degli strumenti di ausilio per il viaggio. Dai pesanti volumi sulla storia degli antichi Romani e i diari di viaggio dei grandturisti si passa a pubblicazioni più agili, che incoraggiavano la libertà d’iniziativa del viaggiatore anche con informazioni pratiche. Sono

References: Antelmi, D., Santulli, F., & Held, G. (2007). Pragmatica della comunicazione turistica, Roma: Editori Riuniti.

¶ De Seta, C. (1989). L’Italia nello specchio del Grand Tour. In Storia d’Italia, V, Il paesaggio. Torino: Einaudi. ¶ Ferrara, C., & Guida, F. E. (a c. di). (2011). On the road. Bob Noorda, il grafico del viaggio, Milano: Aiap Edizioni. ¶ Giacomarra, M. G. (2005), Turismo e comunicazione, Palermo: Sellerio, 2005. ¶ Martini, L. (2010). L’anima del commercio (e del turismo). La pubblicità dall’Ottocento al 1940. In Martini, L. (a c. di), Punti di vista estetici su commercio e turismo, Poggibonsi: Carlo Cambi Editore. ¶ Mocini, R. (2010). La comunicazione turistica. Strategie promozionali e traduttive. Tesi di Dottorato di Ricerca, Università degli Studi di Sassari. ¶ Pivato, S. (2006). Il Touring Club Italiano, Bologna: il Mulino. ¶ Rojek, C., & Urry, J. (1997). Touring Cultures. London: Routledge. ¶ Savelli, A. (1983), Comunità territoriali, istituzioni e bisogni di orienta- mento: dalla partecipazione all’efficienza, Formazione e società, 8.

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Ricercatore, Dipartimento di Design, Politecnico di Milano e Coordinatore Centro di Documentazione sul Progetto Grafi- co, Aiap CDPG

francesco.guida@polimi.it

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francesco e. guida

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Comunicare il viaggio: dalla guida

Nel documento Il viaggio nel mondo degli oggetti (pagine 64-67)