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Il viaggio nel mondo degli oggetti

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Academic year: 2021

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(1)

travel design

(2)
(3)

Index

thinking images, p.

45-55

, making images, p.

91-103

, overstep images, p.

137-147

. Finito di stampare nel mese di Dicembre 2016

presso gli impianti tipografici Ceccarelli - Acquapendente (VT) su carta edrigoni Symbol Tatami Ivory.

ISSN 1 9 8 28 IS N 978-88-89819- 8-6

p.

5

vincenzo cristallo

Diario minimo del progetto diffuso nel viaggio [

Minimum diary of

the project diffused in the trip]

§ [

1

]

Thinking

p.

12

dario scodeller

Design per il viaggio

[Design for voyages] p.

18

claudio germak

Il

viaggio quotidiano: da tempo perso a tempo utile

[Daily journeys: from a waste of time to time put to good use] p.

24

fabio tarzia

L’idea del viaggio al tempo della

globaliz-zazione. Archetipi, modelli e nuovi processi

[The concept of a ‘voyage’ in the age of globalisation: archetypes, models and new processes] p.

30

elisabetta benelli, laura giraldi

Il viaggio nella forma

del ricordo

[When a voyage takes the form of a memory] p.

38

lorenzo damiani

Appunti di

viaggio

[Travel notes]

§ [

2

]

Making

p.

58

cecilia cecchini

Esplorazioni spaziali: per viaggi estremi materiali estremi

[Space exploration: extreme materials for extreme voyages] p.

64

luca bradini

Design On/Off Road

[On/Off-Road Design] p.

70

roberto liberti

Travel design: dalle origini del viaggio ai

“travelers” contemporanei

[Travel design: from the origins of travel to modern-day travellers] p.

78

se il u ur yavuz

Diventare un “nomade intelligente”

[Becoming the “smart nomad”]

p.

84

mario ivan zignego

Il viaggiare sociale attraverso l’innovazione

[Social travel through innovation]

§ [

3

]

Overstep

p.

106

alessandro biamonti

Nuvole in viaggio

[Drifting clouds] p.

112

marco bozzola

Il

design per il consumo del cibo tra origine e viaggio

[Design for food consumption: at its ori-gins and ‘on the go’] p.

118

fabrizio valpreda

La meta senza il mezzo

[Destination without mean of transport] p.

124

sara dotto

Hic sunt leones. Racconti di topografie parallele

[Hic sunt leones: tales of parallel topographies] p.

130

francesco e. guida

Comunicare il viaggio:

dalla guida al blog, dalla propaganda al branding

[Communicating a voyage: from guides to blogs, from propaganda to branding]

(4)

p.5

La relazione che intercorre tra design e viaggio è lampante. Intuitiva. L’insieme degli oggetti che in forma diretta derivano da questo rapporto è am-pio e distribuito capillarmente nel tempo ordinario della nostra quotidianità. Da fermi e in movimen-to. Senza contare quante sono le “cose” che indi-rettamente si possano associare ad eventi tecnici, simbolici e sociali che comprendono il viaggio. Il viaggio pertanto, considerando la complessità del suo sistema, racconta il progresso dell’uomo e come egli interpreta il mutare dei costumi, delle ri-tualità, dei bisogni personali e collettivi elaborando prodotti e servizi. Ma esiste un’inevitabile natura metaforica del viaggio che alimenta implicitamente la dimensione metaprogettuale del design. Anche questa senza soluzione di continuità. Si tratta ad e e pio ell e e io e le eraria e ci e a ografi-ca del viaggio e di tutte quelle “diffusioni culturali” che raccontano del viaggiare la sua vocazione a in-terpretare i sogni e i desideri degli uomini.

#viaggiperlettere #viaggiperfotogrammi #viaggiperimmagini #viaggipersimboli #viaggipercose

[*]

Docente e ricercatore in Disegno Industriale presso La Sapienza Università di Roma

vincenzo.cristallo@uniroma1.it

References: Eco, U. (2016), Come viaggiare con un salmone, Milano: La Nave di Teseo.

vincenzo cristallo

[*]

Diario minimo del progetto diffuso

nel viaggio

(5)

travel design

[§1] [§1]

p.6 p.7

La prima edizione della Cook’s Continental Time-Tables, guida tascabile per viaggiatori

ferroviari indipendenti, Marzo 1873. Illustrazione storica della prima gita organizzata

dalla Thomas Cook, viaggio di 12 miglia in treno da Leicester a Loughborough, 18 1. Prima guida turistica

della Thomas Cook dedicata ai turisti destinati in Svizzera, 187 .

Primo viaggio aereo con accompagnatore personale, da New York a Chicago organizzato

dalla Thomas Cook nel 1927. Agenzia di viaggio della Thomas Cook

con tipico sistema di banner promozionali da vetrina, Nottingham, 1910.

[editoriale]

uno› “Come viaggiare con un salmone” è una raccolta inedita di Umberto Eco uscita nel 2016 poco dopo l a sua scomparsa. Con il solito acume narrativo, sulla stregua della sua nota ru-brica del l’Espresso, “La bustina di Minerva”, Eco combina leggerezza e ironia per comporre un manuale di sopravvivenza tra quanto si può prevedere e quanto è al di fuori delle nostre possibilità nell’andatura bislacca di alcune giornate. Piccole o grandi complicazioni, incontri accidentali, dilemmi di ogni tipo trascritti in 45 istruzioni sui generis: “come fare un inventa-rio”; “come mettere i puntini di sospensione”; “come viaggiare con un salmone”. Conseguenza di un acquisto a Stoccolma, il salmone esiste ed è affumicato oltre che grande. Il conflitto di Eco è come conservarlo nel tempo utile di una permanenza in un successivo albergo londinese prima di ricomparire con la cibaria in Italia. Una lettura extra letteraria del breve testo sugge-risce sottili concept per temi inclusi – tanto per non dimenticare le conoscenze che transitano in questa rivista – nel campo del progetto dell’esperienza, dei servizi, della comunicazione, ma in primo luogo è l’indizio di un tema, il viaggio, sui cui misurare “il design come scienza della modellazione deliberata dell’ambiente per venire incontro ai bisogni dell’individuo e della società“[1], nella sua variante più inclusiva, visto che si può cominciare discorrendo di pesci accoppati. E poi proseguire, attraversando un contrappasso letterario dettato ugualmente da Eco, componendo un misurato “diario minimo”, ovvero note che del viaggio ne attraversano la natura evocativa che criticamente conduce alle sue diverse forme.

due› La relazione tra viaggio e design è preliminarmente insita in una parola, nella sua versio-ne sostantiva: “mobile”, dal latino molilém, contratto da movobilem. Mobili erano appunto le masserizie, le suppellettili, chiamate in questo modo, perché l’uomo le trasportava con sé nei suoi percorsi brevi, lunghi o definitivi che fossero. Dunque il termine mobile, con il quale in-dichiamo l’insieme delle diverse tipologie di oggetti (mobili) che costituiscono la mobilia del-le nostre abitazioni (immobili), ha origine dal fatto che gli arredi si spostavano con l’uomo. tre› Nel 1492 ha inizio la storia del viaggio nella sua versione premoderna. È l’anno della stampa della “Carta geografica universale” del tedesco Martin Beheim, e del viaggio, rivolu-zionario per la storia dell’umanità, di Cristoforo Colombo alla scoperta involontaria delle Americhe. Sessant’anni dopo, nel 1552, Carlo Estienne, tipografo, libraio e editore francese, stampa la prima guida turistica (il termine deriva dal provenzale guis e definisce un

mano-scritto che indica il percorso): La guide des chemins de France (La guida delle strade di Francia). Da lì in poi ha inizio la comunicazione per il viaggio per come oggi la intendiamo anche in chiave simbolica.

quattro› Un personale incontro con la relazione che intercorre tra viaggio e progetto è legato alla lettura degli scritti di Le Corbusier. Dopo i suoi primi viaggi in Europa, a partire dal 1097, il “Viaggio in Oriente” del 1911 è determinante per comprendere il suo metodo di osservazio-ne percettiva fatta di rapidi, sintetici appunti scritti e disegnati dedicati al commento dei suoi itinerari. Diviene per questo un eccellente promotore del viaggio come pratica indispensabile per accedere a una cultura visiva che si trasforma in cultura inventiva (in progettazione com-piuta), frutto di una conoscenza diretta del senso delle cose che dal paesaggio virano nell’ar-chitettura, che dagli uomini si completano negli oggetti. Particolarmente evocativi sono i suoi appunti aerei per intendere in silenziosa astrazione la disciplina e l’armonia dell’angolo. A quelle quote, egli affermava, l’occhio può cogliere la calma e l’esattezza del panorama e tutto assume

la precisione del disegno. Disegni che esegue nei suoi noti carnets con un montaggio lucido ma

sentimentale. Il suo è il tratto veloce di chi cerca la sintesi per fissare l’essenziale di ciò che osserva. I risultati di questi esercizi rendono agli occhi di Le Corbusier inservibili le attrezza-ture fotografiche, considerate strumenti di pigrizia perché inadatte a carpire il valore allusivo degli ambienti naturali che viceversa solo un segno impreciso e poetico può afferrare[2]. Non a caso come critica a suoi contemporanei, Le Corbusier usava l’espressione occhi che non vedono a voler dire che vedere è un fenomeno cognitivo ben più che ottico: “quando si è saliti su aereo da ricognizione, e si diventati uccelli plananti su tutte le baie [...] (allora, ndr.) siete entrati nel corpo e nel cuore della città, avete capito una parte del suo destino”[3].

cinque› Anche se Le Corbusier dileggiava lo strumento fotografico per accedere alla conoscen-za ispirata del mondo, il viaggio e la fotografia sono tra loro sempre stati, e lo sono ancora, il contrassegno strumentale del viaggio. La testimonianza moderna più diretta che si possa avere. Inoltre oggi portatile, sempre con l’autore per necessità personali e social. La grande fo-tografa statunitense di origine russe Diane Arbus affermava che la fotografia è uno strumento ineludibile per accedere alla realtà perché ci sono cose che nessuno vede prima che siano fo-tografate. La macchina fotografica rivela significati che altrimenti non si è in grado di scorgere.

(6)

travel design

[§1] [§1]

p.8 p.9

Thomas Cook, campagna pubblicitaria, 1962.

Campagna di epoca eduardiana che enfatizzava la capacità della Thomas Cook di offrire servizi

e biglietti per tutto il mondo. Cooks Day utings,

gite giornaliere organizzate dalla Thomas Cook con diversi mezzi di trasporto, 1911.

[editoriale]

sei› Il tema del viaggio nella letteratura, dall’Odissea in poi, è inesauribile. A memoria quello che più utilizzerei come blocco di appunti già impressi per novelli, o meno tali, designer, è “Breviario mediterraneo” di Pregdrag Matvejevic. Un trattato poetico, filosofico, un diario di bordo, una sfida di generi letterari per la critica. Matvejevic ricostruisce la storia di una parola, “Mediterraneo”, e gli infiniti significanti, attraverso un racconto – commenta Claudio Magris nella prefazione alla versione del libro del 2013 – “che fa parlare la realtà e innesta perfettamente la cultura dell’evocazione fantastica”. E poi continua, “ma non legge più, come nelle opere precedenti, solo i libri, ma legge la realtà, i gesti e il vociare delle persone, [...] l’indefinibile trapassare della natura delle cose nelle forme dell’architettura, i confini tracciati dalla cultura dell’ulivo, dall’espandersi di una religione o dalla migrazione delle anguille, i destini e le storie custodite nei dizionari nautici e nelle lingue scomparse, il linguaggio delle onde e dei moli, i gerghi e le parlate che mutano impercettibilmente nello spazio e nel tempo [...] Il suo breviario diviene un libro epico [...] un immenso archivio o come, un altrettanto e immenso dizionario etimologico. Il mare è profondo, abissale, ma il discorso di Matvejevic è lieve [...] egli sa far parlare la grazia del Mediterraneo [...] la cultura e la storia vengono calate direttamente nelle cose, nelle pietre, nelle rughe sul volto degli uomini, nel sapore del vino e dell’olio”[4].

sette› Molto si dovrebbe dire sui fumetti, la letteratura disegnata, sulla loro capacità di viag-giare in mondi reali e paralleli, sulla loro abilità nell’essere potenti strumenti di esplorazio-ne delle condizioni dell’uomo contemporaesplorazio-neo e del suo ambiente futuro. Ogni fumetto è un metaprogetto, a cominciare dal soggetto, per proseguire nella sceneggiatura, veri e propri storyboard per concept di design che sempre si animano e trovano l’intuizione a partire dal-la costruzione di uno storytelling. Menziono solo Moebius (vero nome Jean Giraud, 1938-2012) per chi avesse voglia di intendere di cosa parliamo.

otto› Analogamente al patrimonio letterario, il viaggio nella cultura cinematografica offre una vastità di racconti che non è facile puntualizzare se consideriamo il numero dei generi che vi sono. Segnalo un prevedibile “Easy Rider” (1969), il road movie per definizione, viaggio del-la libertà e deldel-la controtendenza nei paesaggi nudi dell’America; “I diari deldel-la motocicletta”

(2004), ovvero i racconti di Ernesto Che Guevara quando, con una Norton 500 M18 del 1939, attraversa nel 1952 l’Argentina e il Venezuela scoprendo la sua vocazione rivoluzionaria; “Into The Wild” (2007), viaggio alla ricerca di se stessi in un ambiente estremo che impone relazio-ni sconosciute con bisogrelazio-ni inattesi; “UP” (2009), film di arelazio-nimazione per dire che il viaggio non ha età e limiti e dunque, anche se rocambolescamente, si può andare in Sudamerica coronando il sogno di una vita. Per rammendare invece la dualità retorica insita in ogni viag-gio, bisogna vedere “Il te nel deserto”(1990) di Bernardo Bertolucci e prestare attenzione alle parole di Kit Moresby (Debra Winger) e di suo marito Port Moresby (John Malkovic), quando si rivolgono a George Tunner (Cambell Scott):“Tunner, noi non siamo turisti, siamo viaggia-tori” “Ah, che differenza c’è?” “Un turista è quello che pensa al ritorno a casa fin dal momento che arriva” “Laddove un viaggiatore può anche non tornare affatto”.

nove› Lo scrittore portoghese Fernando Pessoa (1888-1935) affermava che “i viaggi sono i viaggiatori”; Bruce Charles Chatwin (1940-1989), scrittore e viaggiatore inglese, discorreva sul fatto che il “viaggio non solo allarga la mente, ma le da forma”; Samuel Johnson (1789-1784), letterario britannico, dichiarava che “scopo del viaggiare è disciplinare l’immaginazione per mezzo della realtà e, invece di pensare come potrebbero essere le cose, vedere come sono in realtà”. Ciò nonostante esiste il “viaggio da seduti”. L’immaginazione (ritrarre nel pensiero) stabilisce una particolare apertura al cambiamento attraverso nuove rotte, nuovi scenari. Al caso nostro lo scrittore di fantascienza Jules Verne che ha descritto del 1883 la società del XX secolo, quella in cui viviamo, come un immenso insieme di flussi circolatori. E si chiede in quelle pagine cosa avrebbe potuto dire un nostro antenato “nel vedere quei viali illuminati con un bagliore paragonale a quello solare, quelle mille vetture circolare senza far rumore sul sordo asfalto delle strade [...] quelle vie di comunicazione vaste come piazze, quelle piazze vaste come pianure, quei immensi alberghi nei quali alloggiavano sontuosamente ventimila viaggiatori [...] quei ponti gettati da una via all’altra e, infine, quei treni sfavillanti che sem-bravano solcare l’aria con fantastica rapidità”[5]. Si potrebbe dire molto anche per “Viaggio al centro della terra”, “Ventimila leghe sotto i mari”, “Il giro del mondo in ottanta giorni”. Un appunto anche sul nostro Emilio Salgari, il più immobile degli scrittori di avventura, viaggia-tore nella mente innanzitutto perché studioso raffinato che si documentava accuratamente prima di descrivere i suoi personaggi. Prima di affidargli un viaggio.

[1] Norman, D. A. (2008), Il design del futuro, Milano: Apogeo, p.166, edizione originale: The Design of Future Thing, Basic

Book, 2007, p.167.

[2] Cfr: Cristallo, V., Paris, T., (2015), Le Corbusier e l’uomo di lettere, in: Le Corbusier. Antologia degli scritti, Roma,

Rdesi-gnpress, p.15.

[3] Le Corbusier, Precisazioni sullo stato dell’Architettura e dell’Urbanistica, Roma-Bari: Editori La Terza, edizione italiana del

1979, pp.259-260.

[4] Matvejevic, P., Breviario mediterraneo, Milano, Garzanti, edizione del 2013, edizione originale: Mediteranski Brevijar,

Zagabria, 1987, pp.10-11.

[5] Verne, J., Parigi nel XX secolo, citato in Codeluppi, V., (2012), Ipermondo, Dieci chiavi per capire il presente, Roma-Bari:

(7)

[

§

1

]

Thinking

p.

45-55.

p.

12

dario scodeller

Design per il viaggio

[Co-stringendo gli oggetti a una riconfigurazione, il viaggio ha da sempre im-posto una selezione tra superfluo e necessario e un ripensamento funzio-nale dell’indispensabile [...] p.

18

claudio germak

Il

viaggio quotidiano: da tempo perso a

tem-po utile

[Una storia di viaggio quotidiano casa-lavoro/studio raccon-tata da due pendolari, Reina e Nico, accomunati dalla dimestichezza con il digitale ma diversi per carattere e comportamento[...] p.

24

fabio tarzia

L’idea del viaggio al tempo della

globalizzazione. Archetipi, modelli e

nuo-vi processi

[Il mondo globalizzato ha determinato una profonda trasformazione dei modelli tradizionali di viaggio. La potenza dei mezzi di comunicazione ha indebolito infatti la potenzialità insita nelle grandi mi-grazioni di massa di integrarsi nei nuovi mondi di approdo[...]

p.

30

elisabetta benelli, laura giraldi

Il viaggio nella

forma del ricordo

[L’oggetto-ricordo, sia esso un souvenir, un gadget o un oggetto trovato o eletto a simbolo di un’esperienza vissuta, indica il modo in cui il viaggiatore elabora il ricordo[...] p.

38

lorenzo damiani

Appunti di viaggio

[Il viaggio può assumere un valore inestimabile per il lavoro del designer, poiché accende e alimenta il progetto, e l’appunto visivo diviene il vero protagonista dell’e-sperienza vissuta, quando il ricordo diviene labile o incerto[...]

(8)

[thinking] [§1]

p.13 p.12

[1]§

In una conferenza sul rapporto tra cultura e comodità, tenuta molti anni or sono presso la Biblioteca Querini Stampalia di Venezia, il critico letterario Beniamino Placido ipotizzava che il comfort fosse stato inventato dagli olandesi i quali, fin dal Seicento, avevano conferito ai loro viaggi per mare un grado di benessere sconosciuto persino agli oziosi frequentatori delle corti rinascimentali[1].

Un secolo dopo, le tavole dell’Encyclopédie sul mestiere di Sellier-Carrossier[2] mostrano l’ergo-nomico Equipage de cheval de selle e illustrano come il comfort del viaggio via terra si ottenesse grazie allo studio delle componenti della carrozza berlina, concepita come una navicella im-bottita, sospesa su elastiche balestre per attenuare le asperità della strada.

Si potrebbe dedurne che viaggiare ha spesso rappresentato l’occasione per inventare forme di comodità di cui la casa era sprovvista, contribuendo a rinnovare il carattere degli arredi e degli strumenti. Inoltre, privandoli della loro naturale stabilità domestica, il viaggio ha co-stretto gli oggetti a una riconfigurazione che ne permettesse la trasportabilità: imponendo sia la selezione tra superfluo e necessario che un ripensamento funzionale dell’indispensabile (Existenzminimum).

L’equipaggiamento minimo del viaggiatore ha nel backpack (zaino) il suo archetipo e l’espres-sione “armes et bagages” (armi e bagagli) ne ricorda l’origine militare. L’iconografia ottocente-sca ci mostra i fanti napoleonici mentre si battono con lo zaino in spalla, equipaggiamento leggero che permetteva ai battaglioni della Grande Armée di spostarsi velocemente a piedi per centinaia di chilometri. Trasferitasi dalla guerra all’escursionismo, la filosofia del backpaking è ancor oggi ampiamente praticata dagli amanti del trekking o dai pellegrini del Camino de Santiago, che viaggiano muniti di zaini leggerissimi e resistenti[3].

Come insegna Herman Hesse ne L’Azzurra lontananza, fino ai primi anni del Novecento i viag-giatori coprivano ancora lunghi tragitti a piedi, sostando ed esplorando. Il viaggio come stru-mento di conoscenza viene assunto a missione dal Touring Club Italiano, fondato nel 1894, la cui nascita coincide con l’adozione della bicicletta come mezzo turistico: il Tour de France (1903) e il Giro d’Italia (1909) ne diffondono la pratica sportiva. Spostando il focus dal ci-clismo all’automobilismo, nel corso del Novecento il Touring Club Italiano con la propria rivista, le guide, le mappe e le pubblicazioni varie, dà luogo a un’espressione colta e raffinata di editoria dedicata alla conoscenza del patrimonio storico-artistico a cui, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, prestano le loro capacità progettuali graphic designer di rilievo come Bob

dario scodeller

[*]

Design per il viaggio

Co ri ge o gli ogge i a a rico fig ra io e il viaggio ha da sempre imposto una selezione tra

per o e ece ario e ripe a e o

io-nale dell’indispensabile, favorendo il perfeziona-mento di pratiche e conoscenze sull’usabilità e la sostenibilità dei prodotti. Nel progetto per i mezzi di trasporto, la riduzione del disagio ha inoltre rap-presentato l’occasione per inventare forme di co-modità di cui la casa era sprovvista. Il contributo si focalizza su una serie di episodi in cui il design ha incrociato l’esperienza del viaggio, analizzandone alcuni procedimenti e sviluppando un breve rac-co o orirac-co c e ri e e lle pec liari i e o rapporto che, specializzatosi con il fenomeno della mobilità di massa nel secondo dopoguerra, sembra oggi focalizzato, più che sull’innovazione di pro-dotto, sul progetto distributivo.

#super uo #necessario #indispensabile #mobilitàdimassa #progettodistributivo

[*]

Dario Scodeller, architetto e storico del design, è professore associato presso il Dipartimento di architettura dell’Univer-sità degli studi di Ferrara. Ha diretto il Corso di laurea in design di San Marino ed è vicedirettore della rivista scientifica di design “MD Journal”, edita nell’ateneo ferrarese

darioscodeller@unife.it

[1] Tesi non azzardata considerato che Placido è stato allievo di Mario Praz (autore, nel 1964, de La filosofia dell’arredamento)

alla Sapienza di Roma.

[2] Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des arts et des metiérs. Tavole consultabili sul sito della Bibliothèque nationale de

France: http://visualiseur.bnf.fr

(9)

travel design [thinking]

[§1] [§1]

p.14 p.15

Noorda o Diego Birelli[4]. Nell’ultimo mezzo secolo il mondo del progetto ha incrociato l’e-sperienza del viaggio in varie forme, perfezionando pratiche e conoscenze sull’usabilità e la sostenibilità dei prodotti.

Nella sua modernissima concezione multi-merceologica del design, il Compasso d’oro aveva individuato, fin dalle prime due edizioni del 1954 e 1955, l’oggetto per il viaggio come un prodotto aperto a sperimentazioni tecniche e tipologiche, assegnando il premio alla Vali-gia-borsa d’affari 24 ore Valextra e al portasci K 101 Kartell-Pirelli. Disegnata da Giovanni Fontana con una raffinata cura dei particolari in pelle, la 24 ore Valextra innovava la borsa da viaggio dall’interno dove, accanto alla cartella portadocumenti, uno spazio separato contiene oggetti personali necessari per una giornata. Con l’intelligente sistema portasci da automobile disegnato da Roberto Menghi, realizzato in Nastrocord elastico Pirelli, Giulio Castelli dà vita, nel 1949, alla Kartell[5]. Sono oggetti da viaggio riservati a chi si reca a sciare in automobile o si muove per affari; viaggiatori privilegiati che, nei primi anni del secondo dopoguerra, dal vagone panoramico del treno rapido ETR 300 “Settebello” possono godere la vista di un paesaggio italiano ancora incontaminato. La confortevole poltrona di prima classe del treno, disegnata da Guido Minoletti, munita di grandi ali poggiatesta, evidenzia un pensiero pro-gettuale orientato al passeggero (autenticamente user centered) che permetteva, a differenza d’oggi, al viaggiatore di appisolarsi o dormire.

Esiste una relazione tra il disegno dell’equipaggiamento da viaggio e l’evoluzione dei mezzi di trasporto: il baule viene ripensato da Louis Vuitton come mallet-cabine, guardaroba da viag-gio per le cuccette dei treni nel XIX secolo, mentre l’uso della valigia è legato al diffondersi del viaggio in treno e di quello in automobile poi nel XX secolo. Nel secondo Novecento, con il moltiplicarsi dei viaggi aerei e la perdita di controllo sul bagaglio, accatastato nelle stive, la valigia viene ripensata come calotta rigida e protettiva. La prima valigia in ABS rin-forzato viene prodotta negli anni Sessanta dall’americana Samsonite e rappresenta l’inizio di sperimentazioni sulle forme a calotta bombata tra cui si distinguono il progetto MH Way, (1982-1985) del designer Makio Hasuike[6]. e l’MD20 Mandarina Duck (1989). A contraddire la convinzione sulla recente invenzione del trolley, una rapida analisi dei brevetti del Patent Office americano dimostra come il primo design-concept di valigia munita di ruote risalga al 1958. Mentre il diffondersi del turismo di massa arricchisce progressivamente l’armamentario

pret a porter di innumerevoli oggetti e necessaire “da viaggio” (sveglie, spazzolini,

asciugacapel-li, lampade da attaccare ai libri, adattatori di corrente), Bruno Munari, per attenuare il senso di estraniazione che il viaggio induce, concepisce le “Sculture da viaggio”. Piccole, pieghevoli e leggere – le definisce la rivista Domus nel 1959 – “da mettere in valigia e portare con sé, quando si parte: perché creino ad ognuno, nelle anonime stanze d’albergo, come un punto di riferimento col mondo della propria cultura[7]”. Negli stessi anni Gianni Rodari scrive Le favole

al telefono (1962), narrate tutte le sere da un commesso viaggiatore alla sua bambina da una

stanza d’albergo: favole “da viaggio” brevi, perché le telefonate costavano molto.

Come suggeriscono le sculture munariane, compattare, comprimere, piegare, alleggerire, sono procedimenti coerenti con il progetto per gli strumenti pensati (o ripensati) per il viaggio. Si tratta di aggregare funzioni, come nel coltellino svizzero o nei set da pic-nic o di ridurre di-namicamente la forma, come nel bicchiere retrattile, senza precluderne l’usabilità. Aggregare e compattare sono i processi a cui Joe Colombo sottopone le stoviglie nel celebre set Linea 72 per Alitalia (1970-1972), tagliando gli orli dei piatti per poterli accostare e farli rientrare nel serrato lay-out del vassoio del tavolinetto dell’aereo. Strumenti pieghevoli per eccellenza, in funzione della loro trasportabilità, sono la sedia Tripolina, il leggio pieghevole dell’orche-strale, la bicicletta Graziella Atala, oggi imitata da pregevoli bici in lega leggera compattabili, che i viaggiatori trasportano comodamente in treno, nella più virtuosa delle interpretazioni del viaggiare sostenibile. Persino la leggerezza della sedia Leggera (poi Superleggera) di Gio Ponti va ascritta all’universo del viaggio, essendo nata per le forniture d’arredo che Cassina realizzava per le navi transatlantiche[8].

A partire dagli anni Trenta, promosse dai reporter viaggiatori, le macchine per scrivere diventa-no portatili, compatte, leggere e dotate di custodia e maniglia. Anche i media si adeguadiventa-no alla condizione del viaggio ed è Livio Castiglioni, con la sua radio portatile del 1942, a inaugurare la strada progettuale che suggerirà a Marco Zanuso di dotare di maniglie le sue TV e radio per Brionvega[9]. Negli anni Sessanta il rapporto casa, lavoro, viaggio si trasforma. Nell’edizione del 1964, dedicata al tema del “Tempo Libero”, La Triennale di Milano sottolinea l’affermarsi di una nuova concezione, alternativa a quella del tempo organizzato della fabbrica, che va preservata dai nuovi modelli di consumo. La condizione itinerante diventa un mito giovanile e anche gli oggetti della casa ne subiscono il fascino facendosi provvisori e nomadici, gon-fiabili, informali, pieghevoli, trasformabili: la poltrona Sacco è, appunto, un sacco trasporta-bile, la Blow un materassino gonfiabile. I decenni successivi vedono invece il prevalere della [4] Il TCI viene fondato come Touring Club Ciclistico Italiano. Su Bob Noorda vedi la mostra “On the road. Bob Noorda, il

grafico del viaggio”, Aiap - TCI, 2011. Su Diego Birelli vedi Galluzzo, M., “Intorno a Diego Birelli, il lavoro di graphic designer attraverso le dinamiche professionali tra gli anni Sessanta e Ottanta in Italia”, AIS\Design Soria e ricerche 7, 2016: http://www. aisdesign.org/aisd/tag/touring-club-italiano.

[5] Nello stesso anno, utilizzando la Gommapiuma Pirelli e il Nastrocord, Marco Zanuso inventa la seduta moderna

per Arflex.

[6] Makio Hasuike lavora in Italia dal 1968.

[7] “Le ‘Sculture da viaggio’ di Munari” (1959, ottobre). Domus, 359.

[8] Castelli, G., Antonelli, P., Picchi, F. (2007). (a cura di). La fabbrica del design. Conversazioni con i protagonisti del design italiano, Milano: Skirà, 57.

[9] Scodeller, D., (2003). Livio e Piero Castiglioni. Il progetto della luce, Milano: Electa, pp.68-69.

Giovanni ontana, borse da viaggio, Valextra, 19 . runo Munari,

Sculture da viaggio , 19 0-1987, carta nera 3x37x29 cm.

Gio Ponti e Giulio Minoletti, sedile per la carrozza di prima classe

(10)

travel design [thinking]

[§1] [§1]

p.16 p.17

Makio asuike, valigie Serie Impronta in poliestere e polietilene termoformato,

M AY, 198 .

Insegna della formula retail di Muji to go, 2016. Makio asuike, Mix-Match,

borsa -zaino monovolume , M AY, 2013.

prestazione tecnica o performante. Da quando, negli anni Settanta, il Congresso americano obbliga la NASA a mettere a disposizione i risultati della ricerca tecnologica sui viaggi spaziali, (sono online i bellissimi volumi intitolati “Spinoff NASA”) gli equipaggiamenti da viaggio sembrano far riferimento ai modelli iconografici della fiction fantascientifica. Andrebbero forse riletti in quest’ottica gli oggetti degli ultimi due decenni studiati per la protezione e il riparo del corpo in viaggio quale (a titolo d’esempio) il sofisticato ed evoluto progetto T.T-A-ge (tuta da motocicletta, casco, guanti, stivali) proT.T-A-gettata dal Centro Stile Dainese con Aldo Drudi nel 1999, nato dalla ricerca sulla protezione del centauro. Mentre non sembrano aver prodotto disseminazioni gli allora promettenti studi sugli ibridi vestito–protezione realizzati da Moreno Ferrari per CP Company tra il 1997 e il 2000, come il Giaccone–poltrona e la Mantella–tenda trasformabili.

Oggi, a discapito del fiorire d’invenzioni dalle finalità pratiche spesso indecifrabili (sedie da viaggio che s’indossano, sacchi a pelo dalla forma umana, cuscini gonfiabili, bottiglie esten-sibili, trolley a motore), sono rare le aziende e i designer che si dedicano creativamente al tema del viaggio e ai suoi accessori: tra queste la fiorentina Palomar, che produce la mappa da viaggio in tessuto Tyvek® stropicciabile (Crumpled map) di Emanuele Pizzolorusso o le intelligenti luci da bicicletta disegnate da Odoardo Fioravanti.

Oggi il vero ruolo nell’innovazione sembrano giocarlo i retailer che seguono, più dei produt-tori, la trasformazione dei consumi. Muji, l’azienda giapponese di oggetti per la persona e per la casa (che da anni vende una T-shirt compressa in un cubetto 10x10cm, per risparmiare spazio in valigia), ha da qualche anno creato la formula distributiva Muji to go, localizzata nelle stazioni ferroviarie e dedicata ai bisogni dei viaggiatori.

Il fenomeno di massa che vede milioni di persone muoversi per turismo, lavoro o studio, non sembra sollecitare a sufficienza il mondo del progetto. Nel proprio tempo libero, divenuto tempo di consumo, il viaggiatore trova oggi merci in ogni luogo: soprattutto negli aeroporti e nelle stazioni, da tempo shopping center fornitissimi, per cui la riduzione della dotazione di partenza allo stretto necessario non è più un esercizio progettuale.

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[thinking] [§1]

p.19 p.18

[1]§

Stazione di transito pubblico interattiva che risponde alle esigenze delle persone

con disabilità motorie, visive e uditive.

Marc Aurel, smose,

stazione degli autobus, Gare de Lyon Diderot, Parigi, Metalco, 2012.

References: Baudelaire, C. (2015). Hygiène. In C. Baudelaire, Journaux intimes. FB Editions. Createspace distribution. ¶

Bissell, D. (2015). Understanding the Impacts of Commuting: Research Report for Stakeholders. Sidney, Australian National University, Australian Research Council. ¶ Careri, F. (2006). Walkscapes. Camminare come pratica estetica (p.129-137), Tori-no: Giulio Einaudi editore. ¶ Contran, E. & Lupo, V. (2011). Attrezzature di fermata a terra in ambiente naturalistico. (Tesi di laurea triennale in Disegno Industriale, Politecnico di Torino, 2011). ¶ Lupetti, M.L. (2016). Designing Playful HRI: Accepta-bility of Robots in Everyday Life through Play. Paper presented at 11th ACM/IEEE International Conference on Human-Robot Interaction (HRI). Christchurch, New Zealand. ¶ Deshpande, S., Uplenchwar G., Chaudhari, D.N. (2013). Google Glass, International Journal of Scientific and Engineering Research, Volume 4, Issue 12, December 2013, 0-4.

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Professore ordinario di Design al Politecnico di Torino

claudio.germak@polito.it

#smartcities #designperlacittà #designdelservizio #designperlalettura #designperl’interazione

Una storia di viaggio quotidiano casa-lavoro/studio raccontata da due pendolari, Reina e Nico, acco-munati dalla dimestichezza con il digitale ma diver-si per carattere e comportamento: l’una, estroversa e predisposta alla condivisione; l’altro, neomane

igi ale pi i cli e all i ola e o e fig re i c i si riassumono i tratti principali dei tredici milioni di pendolari che ogni giorno in Italia colmano il tem-po di viaggio con occupazioni, loro che quella vera ce l a o gi e e ial e e ili e gra ifica i Aiutati da una galassia di offerte, tra servizi e pro-dotti digitali o analogici, impiegano il loro tempo utile lavorando, leggendo, conversando, giocando, informandosi, conoscendo. Dunque, lavoro e/o piacere: per Baudelaire erano gli unici modi posi-tivi per impiegare il tempo. Preoccupati di essere comunque occupati: come si vive questa domanda nell’era di IOT?

claudio germak

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Il viaggio quotidiano:

da tempo perso a tempo utile

Reina e Nico, pendolari tipo del nostro racconto di viaggio quotidiano, impiegano 2h al giorno per percorrere 50 km con autobus e treno. All’anno sono 11.000 km e 440h, che se per legge fossero retribuibili farebbero 4.290 netti di stipendio[1]. Un’enormità: da qui la neces-sità di progettare sistemi per una mobilità veloce e sostenibile, in cui il tempo di viaggio non sia solo un valore da reinvestire in sviluppo ai fini della produttività e del reddito, ma anche un obiettivo di progresso, trasformando il tempo perso in tempo utile. Per che cosa e come? Non sarebbe sufficiente un’enciclopedia per raccogliere tutte le ricette, note e meno note, che le riflessioni sul legame spazio/tempo hanno prodotto. Baudelaire, ad esempio, per mettere fine all’ansia del tempo nullo suggerisce di dimenticarsi del problema, suggerendo di servirsi del tempo solo per due fini appaganti: lavoro e piacere (Baudelaire, 2015).

In effetti, basta salire su qualsiasi convoglio per osservare come le attività che 13 milioni di italiani compiono ogni giorno per impiegare in modo “positivo” il proprio tempo di viaggio si riassumano in queste due macrocategorie e loro declinazioni. Segno negativo del tempo oblio, sempre Baudelaire ce lo ricorda, è invece il sonno, indice di comportamento decadente. Pensando al tempo positivo, c’è una scala di valore per cui è meglio lavorare piuttosto che pensare, sognare, leggere, ascoltare musica, conversare, chattare?

La questione sembra essere complessa, come si apprende da un recente studio (Bissell, 2015) condotto in Australia su tali positivi effetti che il pendolarismo produrrebbe sui viaggiatori. All’insegna del do it, tutti in viaggio fanno qualcosa ma con comportamenti opposti, di “iso-lamento” o di “condivisione”. Influenzati, oltre che dalle caratteristiche della persona, come il carattere e l’umore del momento, anche dalle condizioni del contesto: affollamento, comfort, servizi disponibili. In altre parole, tutto ciò che oggi, per dirlo alla moda, può trasformare il nostro viaggio in “esperienza” e con l’aiuto di una galassia di dotazioni, collettive e personali, digitali e analogiche.

Come il design del servizio e di prodotto possano essere ambito di progetto per il “viaggio esperienza” lo raccontano Reina e Nico, personas tra loro diverse ma con due tratti in comune: l’attitudine al digitale e la condivisione dello stesso treno per raggiungere lo stesso Innovation Centre situato nell’hinterland della città, dove una lavora e l’altro studia.

Casa – stazione› N.i.co, che non è abbreviazione di Nicola ma acrononimo di Nerd Informed Commuter, ha 26 anni, segue uno stage di formazione all’innovazione in una digital factory

bscura, Yahoo us Stop Derby, San rancisco, 2010, pensiline interattive.

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travel design [thinking]

[§1] [§1]

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Distributeur d’histoires courtes, distributori automatici di racconti e di poesie gratuiti,

SNC Gare Connexions, 201 . Google Glass, 201 .

cchiali a realtà aumentata in fase di sviluppo presso Google.

in quanto servizio offerto da una nota società di telecomunicazioni. Oggi alla fermata c’è però un’ulteriore novità: è possibile giocare in touch-screen digitale contro altre fermate in altri quartieri. Li chiamano social virtual game perché i punti che conquisti vanno a vantaggio del-la fermata in cui giochi e da cui, per animare del-la competizione, vedi in tempo reale il punteggio di tutte le altre; ma, come in una moderna slot machine, è il computer che decide quando erogare i premi in quella fermata. È questo un modo per incrementare l’uso dei mezzi pub-blici soprattutto da parte dei più giovani e al contempo essere attrattivo e coinvolgente per il pubblico generico presente, che ovviamente farà il tifo per la propria fermata. Presa a prestito da un’esperienza offerta da Yahoo a San Francisco, il gioco digitale interattivo non è che una manifestazione del recente fenomeno che vede trasformare la fermata dei mezzi pubblici in un micro centro multitasking di incontro e informazione sui dati ambientali locali, sui luoghi di attrazione e sugli eventi nell’intorno; dove trovi il prestito libri, le bacheche digitali, la rica-rica per il device, la musica, l’illuminazione a sensore, oltre a poltrone e piani di appoggio. Il tutto supportato da infrastrutture small cell (4G, LTE, WiFi) per l’interesse degli operatori di telecomunicazioni nel rafforzare le proprie reti. E c’è anche chi pensa alle levatacce invernali alle latitudini più fredde, offrendo sedute riscaldate o l’abbraccio a pali riscaldanti e caratte-rizzati da un disegno organico (Contran & Lupo, 2011).

Nel frattempo Reina, raggiungendo il binario è attratta da un’altra recente installazione: il pa-diglione da ballo “digitale”, dove abili o goffe coppie di ballerini possono esibirsi guidati dal sonoro direzionale proveniente da una campana acustica e da passi luminosi sul pavimento digitale. Si tratta di una recente applicazione del Microsoft Kinect (parola unione tra cinetico e connesso), tecnologia in grado di tracciare il corpo umano e di generare con questo intera-zione attraverso l’emissione di segni luminosi o sonori. Questa tecnologia apre a grande crea-tività, ma anche a consapevolezza sociale, come nell’impiego proposto dal TIM JolCrab Lab al Politecnico di Torino, laboratorio interdisciplinare per la robotica di servizio, per contrastare l’obesità di giocatori adolescenti: la macchina consente di aumentare il ritmo di gioco e in relazione con questo l’intensità del movimento richiesto [Lupetti, 2016].

Stazione – luogo di lavoro/studio› Sullo stesso treno interregionale a due piani, seduti, appog-giati o sovente in piedi, Reina e Nico danno corso ai propri riti comportamentali da pendo-lare. Usano il proprio tempo per riflettere e sognare, isolamento che piace a Nico ascoltando del Centre, è un neomane[2] un po’ misantropo, dunque propenso all’isolamento più che alla

condivisione. Vive in periferia in cui viaggia volentieri a piedi con la tecnica di perdersi nello “zonzo della transurbanza” (Careri, 2006), termine appropriato per definire quella dimen-sione estetica che si legge attraversando la banalità che non è solo degli spazi ma anche dei significati della periferia urbana. Per necessità utilizza bici, autobus, treno. Non possiede, al pari di Reina, un’automobile.

Re.i.na, acronimo di RElations and Information Native, è una mamma di 35 anni, dal caratte-re solacaratte-re e una spiccata attitudine a non farsi mai i fatti propri, cosa che lei chiama vocazione alle relazioni sociali. Vive vicino al centro città, in una borgata di antica fondazione oggi mul-tietnica e bohémien, da cui il suo viaggio ha inizio al mattino presto quando le serrande sono ancora abbassate. Rientra la sera e con le serrande nuovamente abbassate, soprattutto quelle dei generi di prima necessità. Al mattino le bastano cinque minuti a piedi per arrivare alla stazione centrale, dove di recente hanno installato un phygital store, ossia un supermarket con scaffali e prodotti virtuali ma di cui puoi sapere tutto tramite QRcode e acquistare tramite app con consegna a domicilio. Anche se tagliato sul modello di comportamento dei pendolari coreani, che per primi lo hanno sperimentato a Seul, Reina lo usa molto, non tanto perché le piaccia quanto per necessità. Infatti, dimentica sempre qualcosa di assolutamente necessario, ciò che con questo servizio troverà recapitato comodamente a casa la sera.

A breve, sembra che per rispondere ad una domanda di scenari di consumo più umani, in sta-zione centrale arriverà anche una vending machine[3] per frutta e verdura fresca ordinabili al contadino di fiducia del mercatino sottocasa o presso altri coltivatori che già oggi si offrono in rete con prodotti di stagione e a km zero[4]. Paese che vai vending machine che trovi. Sembra infatti che l’offerta oggi prediliga, senza preclusioni, i prodotti territoriali: dal latte di giornata al macabro rito delle aragoste vive in Giappone, passando per la bagna càuda e i tomini al verde disponibili a qualsiasi ora nella pur tradizionalissima Asti. Per contro, tutte appaiono accomunate da un design poco curato nelle scelte formali e dei materiali, nella comunicazio-ne e, sovente, comunicazio-nell’ergonomia d’uso: motivo per cui molte scuole di design sono al lavoro sul tema, in particolare nella direzione smile, social + smart, dove queste installazioni veicolano merce colta, come il libro ad esempio.

Nico conosce bene quelle librerie urbane installate nel suo quartiere alle fermate dei mezzi pubblici come servizio di intrattenimento nell’attesa del bus. Vi si accede con badge ma gratis,

[1] Negli spostamenti casa-lavoro, i costi di viaggio non sono retribuibili e il tempo non è da considerarsi orario di lavoro

come risulta dai limiti imposti alla trasferta descritti nell’art. 51, comma 5, del DPR 917/1986.

[2] Per neomane si intende “un fenomeno sociale che vede in diretta conseguenza a un progresso tecnologico, un’ossessione

verso i beni materiali che si traduce in frequenti acquisti di nuovi prodotti commerciali”. Scelto per il Salone del Libro 2012 da Andrea Bajani, scrittore.

[3] Traduzione inglese di distributore automatico.

[4] Sempre più frequenti oggi le comunità in rete, più o meno strutturate, che propongono vendita diretta o baratto di

pro-dotti orticoli, frutta e confetture, rigorosamente tradizionali del territorio e di stagione. Tra i pendolari si scambiano indirizzi di siti, di venditori genuini e consigli vari.

MIT’s SENSEable Cities Lab, EyeStop, bus stop, 2009. Pensilina a energia solare

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travel design [thinking]

[§1] [§1]

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musica in cuffia, o per comunicare, attività di condivisione prediletta da Reina che la pratica con chiacchere dal vivo, via chat o con telefonate in viva(cissima)voce!

Nico, per sognare ad occhi aperti – per i prosaici leggasi realtà aumentata – si è fatto prestare dall’Innovation Centre un paio di Google Glass (Deshpande, Uplenchwar, Chaudhari, 2013) con i quali intende progettare, tema della sua tesina, un contributo multimediale che andrà ad arricchire la realtà visiva del paesaggio quotidiano attraversato in treno. Sul pezzo c’è anche Reina, che instancabile esploratrice di chat e blog è venuta a sapere di un progetto per Fli-ckbus, in cui tramite collegamento WiFi geolocalizzato disponibile solo sui mezzi, è possibile scaricare su smartphone novelle e saggi sulla cultura dei territori che si stanno attraversando. Non solo, come nel modello di biblioteca virtuale pensato dalle ferrovie francesi SNCF, i testi possono essere scelti in funzione del tempo utile per leggerli durante il viaggio. Che la lettura per il pendolare sia un intramontabile piacere lo dimostra anche lo studio per un nuovo de-sign del libro tascabile edito da Mondadori: Flipback, libro pocket per viaggiatori in piedi, si legge in verticale e si sfoglia con una sola mano, dal basso verso l’alto[5]. Contemporaneamen-te, sul fronte tecnologico si assiste ad annunci di imminenti (rimangono invece futuribili) lanci sul mercato di telefoni smart con schermi flessibili, arrotolabili o modulari, comunque ampliabili in formato e-reader o in larghezza pagina di libro, pensati per una lettura agevole con scroll in carattere corpo 11 o 12.

E sul veicolo senza pilota, l’auto del futuro, non avremo l’imbarazzo sul cosa scegliere per ren-dere più emozionale il nostro viaggio, tenuto conto che potremo disporre di una miriade di modalità di connessione e di immersione nel reale e nel virtuale? Attività che forse ci verranno addirittura a noia. Ricorderemo allora con nostalgia quando al volante della nostra automo-bile, da sempre oggetto di lenta innovazione, con l’esplosione delle tecnologie di connessione fosse abbastanza usuale contemporaneamente ascoltare musica, guardare il navigatore, tele-fonare, anche fumare per qualcuno. Fare di tutto, tranne che guidare e soprattutto in barba alla sicurezza. Meglio sarà avere il problema di come impiegare in modo utile il nostro tempo, piuttosto che viaggiare multi occupati e molto preoccupati.

[5] Per contenere il peso di una edizione la cui superficie è solo 1/6 di quella tradizionale, la esigua grammatura della carta

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[thinking] [§1]

p.25 p.24

[1]§

Elettrotreno Rapido ETR 301 Settebello, interni di Gio Ponti e Giulio Minoletti. Elettrotreno Rapido ETR 301 Settebello,

di Gio Ponti e Giulio Minoletti, errovie dello Stato, in servizio dal 19 2 al 1992.

David owie e Geoff MacCormack sulla Transiberiana, aprile 1973.

Da sempre l’uomo parte costretto dalla fame, dai bisogni essenziali o da eventi traumatici che mettono in discussione il suo status originario, spingendolo ad abbandonare il primordiale “centro di fantasticheria” (Bachelard, 1948) e a cercarne uno nuovo.

Questa istanza del viaggio “costretto”, lungi dallo svanire, sembra tuttavia aver subìto oggi una profonda mutazione. Secondo Arjun Appadurai, infatti, il mondo globalizzato sarebbe arti-colato in un insieme di “sfere pubbliche diasporiche”, un “sistema”, cioè, in cui l’intreccio tra migrazioni e nuovi media sembra produrre qualcosa di totalmente nuovo nella costruzione che il soggetto fa di sé attraverso il viaggio (Appadurai, 1996). Il nuovo “migrante” si trovereb-be in una condizione identitaria molto diversa rispetto ai suoi predecessori di fine Ottocento, ad esempio, o di primo Novecento. L’emigrante italiano, o irlandese sbarcato in America agli inizi del secolo scorso, spesso analfabeta, perdeva ogni contatto con la sua terra d’origine ed era dunque costretto ad inoltrarsi lungo un delicato e profondo percorso di cambiamento che non prevedeva né il contatto con la casa né il ritorno ad essa. Per i nostri bisnonni l’Italia era qualcosa che restava nel cuore, ma in una maniera sempre più sfocata, sempre più mitica. Il taxista pakistano della New York di oggi al contrario è in continuo contatto con il proprio spazio d’origine. Attraverso i “Social” si rapporta in ogni momento con i suoi parenti e amici lontani, ascolta le novità della musica del suo paese, vive in diretta le vicende della sua patria d’origine mediante I canali satellitari. In questo modo però non si trasforma totalmente, non diventa realmente qualcosa d’altro. Il suo “viaggio” nel mondo si depotenzia, non produce cioè un radicale cambiamento di status (se non, in alcuni casi, economico). Forme nuove di ricostruzione identitaria, parziali, superficiali e apparenti, si affacciano sul teatro del mondo. Se il modello archetipico dell’Esodo viene superato, anche lo schema opposto, quello dell’O-dissea (Boitani, 2004), lo stesso della fiaba popolare studiata da Propp (Propp, 1946), sta subendo un processo di neutralizzazione. Nella sua forma archetipica, quella di Ulisse, tutta l’azione era finalizzata al ritorno a casa, presupponendo che la trasformazione dell’identità non avvenga traslocando in un’altra dimensione spaziale, ma rifondando quella originaria. La nuova civiltà globalizzata è ormai del tutto estranea anche a questo schema, poiché proprio la possibilità di rientrare a casa in ogni momento ne indebolisce la valenza rifondativa.

Dunque cosa rimane? Appaduraj introduce non a caso il termine “diasporico”, quasi a im-maginare la teorizzazione di una terza via, ricollegabile all’antichissimo modello ebraico. Ma anche qui ci si scontra con un’aporìa. Il concetto di diaspora infatti non indica semplicemente

References: Appadurai, A. (1996). Modernity al Large: Cultural Dimensions of Globalization. Minneapolis-London: Uni-versi-ty of Minnesota Press. ¶ Bachelard, G. (1948). La Terre et les Rêveries. Essai sur les images de l’intimité. Paris: José Corti.

¶ Boitani, P. (2004). Esodi e Odissee. Napoli: Liguori. ¶ Capaldi, D., Ilardi, E. (2016). Grand Tour: immaginario, territorio e culture digitali. DigitCult (3). ¶ Castells, M. (1996). The Rise of the Network Society. Oxford: Blackwell Publishers. ¶ Ilardi, M. (2004). Nei territori del consumo totale. Il disobbediente e l’architetto. Roma: DeriveApprodi. ¶ Leed, J. E. (1995). Shores of Discovery. How Expeditionaries Have Constructed the World. New York: Basic Books. ¶ Levi, Della Torre S. (1995). Essere fuori luogo. Il dilemma ebraico tra diaspora e ritorno. Roma: Donzelli editore. ¶ Propp, Ja. V. (1946). Istoriceskie korni volsebnoj skazki.

#viaggio #globalizzazione #immaginario #networksociety #diaspora

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Ricercatore per il settore disciplinare Sociologia dei processi culturali e comunicativi (SPS(08), La Sapienza Università di Roma

fabio.tarzia@uniroma1.it

fabio tarzia

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L’idea del viaggio al tempo della globalizzazione.

Archetipi, modelli e nuovi processi

Il mondo globalizzato ha determinato una profon-da trasformazione dei modelli tradizionali di viag-gio. La potenza dei mezzi di comunicazione ha indebolito infatti la potenzialità insita nelle grandi migrazioni di massa di integrarsi nei nuovi mondi di approdo lasciando gli individui migranti in una condizione psicologica ed identitaria “sospesa”, di stallo. L’azione dell’immaginario di massa, e dell’im-maginario parcellizzato della rete, insieme allo stra-potere dei linguaggi del consumo totale, ha inoltre svuotato il viaggio di gran parte delle sue valenze rituali, di trasformazione e di passaggio di status, di conoscenza esteriore ed interiore. Il viaggio ai tem-pi della globalizzazione è soprattutto un viaggio di conferma della propria essenza di consumatori. Un paradosso, se si vuole, una strana situazione nella quale proprio nel momento in cui è massima la

pos-i pos-ilpos-i el pos-iaggpos-io fpos-i e a e e o a c e a pos-i a la neutralizzazione dei suoi valori conoscitivi.

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travel design [thinking]

[§1] [§1]

p.26 p.27

Gruppo di oggetti in marmo dal Grand Tour. (Credits: Piraneseum,

Souvenirs of the Grand Tour)

Scrigno per gioielli, souvenirs del Grand Tour francese,

vetro eglomis . Souvenirs del Grand Tour in Italia, marmo

e alabastro,1880 ca. (Credits: Piraneseum, Souvenirs of the Grand Tour)

ficato, stereotipato. Così quando lascia i suoi “spazi” questa umanità non viaggia realmente, ma semplicemente si sposta verso specifici luoghi preselezionati che rispondono ad immagi-nari codificati ed introiettati a partire dai flussi. Come i “tecnoglobali”, che non vedono cosa c’è al di fuori dei loro itinerari, anch’essi ignorano cosa c’è tra il loro quartiere e l’enclave dove si ricollocano momentaneamente.

Da un certo punto di vista sembrerebbe una riproposizione perfetta del modello proppiano della fiaba popolare, secondo il quale appunto l’azione del racconto non risiede nel movi-mento ma nelle pause. Ciò che succede da una sosta ad un’altra non ha importanza, perché il racconto non fa altro che spazializzare in senso narrativo i tempi e le fasi di un rituale: il primordiale rituale iniziatico che riconduce immancabilmente a casa dopo un profondo processo di mutazione. Nella neofiaba del consumo globalizzato il ritorno a casa non pro-duce un cambio di status, ma una sua conferma. Dal quartiere romano di periferia ci si può spostare all’Ikea più vicina alla ricerca di una certa versione del mobile impiallacciato di cui ci si è invaghiti durante la lettura dell’ultimo catalogo on line, ma ci si può anche spingere, con il medesimo atteggiamento e intenti, fino alle spiagge controllate e preorganizzate di Sharm elsheikh: nulla cambia in profondità. Si tratta sempre di pura realizzazione del desiderio che implica il ritorno a casa, da dove sarà possibile ricominciare la pratica della fantasticheria che condurrà ad una nuova “missione” realizzativa.

E allora, cosa ne è stato dell’idea e della pratica del viaggio come atto libero, volontario e co-noscitivo? Sappiamo come tale direzione sia un fatto “accidentale” per la grande parte della storia umana e rappresenti un’opportunità soprattutto “moderna” (Leed, 1995). Ma anche in epoca “moderna” le forme pure di viaggio non sono quasi mai esistite, secondo un imprinting che è già nell’archetipo. Odisseo ha come scopo pratico quello di tornare a casa, ma spesso alza lo sguardo e osserva le meraviglie che gli si pongono davanti. Guerre, missioni diploma-tiche e commerciali, sono spesso state occasione di conoscenza esteriore e, di conseguenza, interiore. Persino i pellegrinaggi, i viaggi verso Gerusalemme e poi quelli verso Roma, impli-cano un doppio aspetto. Da un lato il percorso spirituale teso alla rigenerazione, dall’altro un itinerario prototuristico di consumo di immaginari, codificato da papa Bonifacio VIII con il primo giubileo del 1300. In fondo sulla stessa linea si pongono i crescenti fenomeni odierni di percorsi sulle “vie” dei santi, pensiamo soltanto alla “francigena”, percorsi che stanno or-mai delineando un’intrecciatissima mappa attraverso tutta l’Europa. Credenti e non credenti lo “spargimento” del popolo nel mondo ma l’essere “fuori luogo” (Levi Della Torre, 1995).

La comunità collocata al centro della città “straniera”, si confonde con essa nel tempo diurno, quello del commercio e del pensiero, mentre nel tempo notturno, quello della radice e dell’in-conscio, si ricongiunge idealmente al centro immutabile, cioè a Gerusalemme. Integrazione e radicamento si saldano all’interno di un meccanismo perfetto, reso possibile da due millenni di pratica e da un semplice presupposto: la “patria” letteralmente non esiste più e dunque en-trare in altri mondi, conoscerli profondamente, farli propri è una condizione vitale. Nessuno impara realmente a nuotare se non si cimenta là dove non si tocca. In questo senso i migranti del nuovo millennio non sono neanche in diaspora perché le loro terre d’origine esistono, sono raggiungibili e vivono nella storia: rappresentano una concreta scialuppa di salvataggio. Le grandi migrazioni di massa dei nostri tempi sono dunque un vero e proprio paradosso. Una parte consistente del nostro mondo si sposta, ma da un punto di vista mentale e culturale rimane praticamente immobile.

Il mondo attuale vede, oltre alla moltiplicazione delle migrazioni, un allargamento del mo-dello del “viaggio di piacere”. Il benessere soprattutto delle civiltà occidentali ha massificato il turismo, lo ha reso accessibile quasi a tutti. Tale modalità di viaggio incorpora le categorie della volontarietà, della libertà e della conoscenza? Secondo Manuel Castells la globalizzazio-ne produce una doppia organizzazioglobalizzazio-ne dello spazio, quello dei flussi, della rete, e quello dei luoghi (Castells, 1996). Le élite tecnoglobali vivrebbero all’interno della prima dimensione, in un loro stato di separatezza che sfrutta l’immenso deposito di informazioni e di sistemi della rete per la produzione immane di capitale finanziario, e al contempo ne consumereb-bero sfrenatamente l’infinita riserva di immaginari. Tali élite si muoverebconsumereb-bero persino nello spostamento fisico all’interno di una dimensione dei luoghi completamente omologata: una “rete” di alberghi, resorts, spazi del godimento e del piacere tutti uguali, stilisticamente e ar-chitettonicamente omogenei e standardizzati verso l’alto, verso il consumo di lusso. Ancora una volta, in sostanza, non un modello di viaggio teso alla trasformazione ma alla conferma di uno status. All’opposto il resto dell’umanità si manterrebbe ancorata ai luoghi (regionali, comunali e di quartiere), e alle culture, ai rituali ad essi legate. In quest’ultimo caso potremmo pensare ad una diversa concezione del viaggio? Probabilmente no. Anche l’umanità dei luo-ghi è in realtà sempre più “social” e in rete. Anch’essa vive per il consumo: di comunicazione, di immaginari soprattutto. Un consumo modesto, naturalmente, basso, ma non meno

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massi-travel design [thinking]

[§1] [§1]

p.28 p.29

Scena tratta dal documentario uocoammare, Gianfranco Rosi, 2016.

Scena tratta dal film The Darjeeling Limited, es Anderson, 2007.

Scena tratta dal film Easy Rider, Dennis opper, 1969.

uniti da itinerari della riscoperta del sé, ma anche di consumo essenziale ed ecologico di immaginari, di oggetti, di cibi. Un compromesso che nasconde forse un bisogno di crescita interiore e di opposizione ai modelli che la civiltà del consumo totale (Ilardi, 2004) sta im-ponendo ovunque.

Un’ultima traccia, quella che prende avvio dal Cinquecento: la pratica dei pellegrinaggi laici, il Grand Tour delle élite politiche e intellettuali. Anch’esso sottintendeva una strana commi-stione tra consumo di immaginari (quelli legati al mondo classico ad esempio) e percorso di passaggio dalla fanciullezza alla maturità, con finale ritorno a casa, dove si sarebbe infine avuto il diritto di prendere il proprio legittimo posto (egemone) nella società (Capaldi, Ilardi, 2016). Questo percorso si è ad un certo punto “massificato” e “liberato” da qualsiasi tipo di catena pratica tra gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta del Novecento, allorché intere ge-nerazioni partono per l’India, per I paesi scandinavi, oppure si slanciano lungo la Route 66 a bordo di auto fiammanti o a cavallo di leggendarie moto. Vanno alla ricerca di mondi altri, o, come aveva pensato Ishmael prima di imbarcarsi sul Pequod, semplicemente tentano di annientare la noia interiore, di annullare il senso di morte di una civiltà giunta al suo tramon-to? Qui il ritorno a casa non è certo lo scopo essenziale, e quando questa opportunità viene data, non prevede affatto il reinserimento nella società di partenza, quanto la sua messa in discussione, persino la sua distruzione. Non tornare affatto è forse il vero obiettivo e, come nel caso dei bikers di Easy Rider, è la morte stessa a colorare in senso apocalittico l’intero quadro. Una forma di minoranza interstiziale? In un certo senso sì, anche se è di gran lunga una di quelle più rappresentata ancora oggi nella letteratura, nel cinema, nella fotografia, trasformata in sostanza in immaginario puro. Icone moderne e assolute, legate a frammenti precedenti alla nostra epoca, brevi momenti di totale libertà, prima che la trasformazione in ennesimi oggetti di consumo ne decretasse la fine, neutralizzandone i profondi effetti eversivi, riducen-doli ai ghirigori delle generazioni Erasmus.

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[thinking] [§1]

p.31 p.30

[1]§

ambola osefina Montoya, American Girl. ambola African American,

della serie My Life As 18 School Girl Doll, American Girl.

Emilio Pucci, Capri, foulard, 2016. Parte della terza collezione City of the orld

dedicata alle città d’arte.

Il viaggio... nel mondo degli oggetti› di E. B. › “[...] gli scrigni fatti di valve, gli oggetti col monito

Salve, ricordo, le noci di cocco, Venezia ritratta a musaici, gli acquerelli un po’ scialbi [...]”.

Era il 1907 quando Guido Gozzano descriveva con sottile ironia il salotto di nonna Speranza: citazione letteraria ricorrente se si parla di kitsch, delle “buone cose di pessimo gusto” che popolavano e, ancora oggi, “troppo” spesso popolano, molti salotti piccolo-borghesi. E chissà come sarebbe oggi la cucina di nonna Speranza o quella dell’amica Carlotta una volta trovato “lo sposo dei sogni sognati”: forse, assecondando la tendenza del momento, un inventario di piccoli oggetti “magnetici” di poco pregio e, purtroppo assai spesso, con pretese di eleganza e originalità, che proliferano sui frigoriferi, sulle lavastoviglie, sulle macchine da caffè o sulla cappa della cucina quasi a voler nascondere “col ricordo e la decorazione” quelle linee spesso essenziali che caratterizzano un certo design contemporaneo.

Il classico souvenir, “simbolo di memoria, oggetto ricordo”, rappresenta un’icona che ferma un momento, un frammento di viaggio che rimane scolpito nella dimensione della memo-ria e che solitamente si acquista o si regala quando, visitando luoghi di particolare interesse artistico e/o paesaggistico, si vuole far ricordare l’evento non solo a sé stessi, ma anche alle persone che ci sono care.

Se gli antichi greci per designare gli oggetti disponevano di un termine piuttosto appropriato: ta pragmata, cioè qualcosa legato al fare, alla prassi, evidenziando implicitamente l’impor-tanza del rapporto quotidiano con questi, è evidente quanto “l’oggetto ricordo” si discosti espressamente da questa dimensione di utilità pur mantenendo un forte legame, seppur solo simbolico, con chi lo ha acquistato.

L’uso di acquistare dei souvenir è sempre esistito, ma fu soprattutto nel XVIII e nel XIX secolo, periodi in cui i viaggi attraverso il mondo registrarono un notevole incremento (ricordiamo gli importanti diari di viaggio redatti soprattutto da scrittori ed artisti, i più famosi quelli di Goe-the, Stendhal, Ruskin), che si cominciò a sfruttare commercialmente la propensione dei viag-giatori ad acquistare piccoli oggetti, che venivano confezionati all’uopo per ricordare luoghi o momenti significativi: ciò accadeva in particolare per i luoghi identificativi della fede, come santuari, chiese famose… ma, da lì, per analogia, l’uso passò anche a siti turistici molto noti. Una riflessione che viene spontanea è il chiedersi se l’oggetto souvenir, quale referente di un viaggio o di momenti particolarmente emozionali della nostra vita, sia un mezzo per offrire agli altri la testimonianza di un vissuto in un certo senso “eccezionale”, o se vogliamo

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References: Benelli, E., Giraldi, L. (2013). Design Details_un corredo di oggetti per il turista. Firenze: Design Campus. ¶

Bartlett, F. C. (1993). La memoria. Studio di psicologia sperimentale e sociale. Milano: Franco Angeli. ¶ Bernardi, S., Dei, F., Meloni, P.(2011). La materia del quotidiano. Pisa: Pacini Editore. ¶ Canestrini, D. (2001). Trofei di viaggio. Torino: Bollati Boringhieri. ¶ Csikszentmihalyi, M., Rochberg-Halton E. (1981). The Meaning of things. Cambridge: Cambridge University Press. ¶ Dorfles, G. (2012). Kitsch: oggi il kitsch. Bologna: Compositori. ¶ Miller,D. (2013). Per un’antropologia delle cose. Milano: Ledizioni. ¶ Norman, D. A. (2004). Emotional design. Perché amiamo (o odiamo) gli oggetti della vita quotidiana. Milano: Apogeo Education.

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Professore associato di Disegno Industriale, Vice Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Fashion System Design, Uni-versità di Firenze

elisabetta.benelli@unifi.it

Professore associato di Disegno Industriale, Vice Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Design, Università di Firenze

laura.giraldi@unifi.it

#travel #design #souvenirs #product #kitsch

L’oggetto-ricordo indica il modo in cui il viaggia-tore elabora il ricordo e il tipo di rapporto che ha instaurato con i luoghi visitati. I souvenir legati alle tradizioni locali attestano la volontà di conservare il senso profondo dell’identità di un luogo e il de-siderio di condividere tale esperienza; ma anche i “classici pensierini”, forse apparentemente più futili e i c po o o caricar i i ig ifica i c e a o oltre il loro effettivo valore. Anche se con la glo-balizzazione e l’e-commerce è possibile comprare qualsiasi cosa da casa, è il desiderio di trasmettere l’emozione di un momento ad indurci all’acquisto di questi oggetti. Se le maggiori società di ricerca sostengono che entro il 2020 avremo oltre venti-cinque miliardi di “oggetti connessi”, forse anche i tradizionali “ricordini” saranno sostituiti da “IoS” o Smart Souvenirs.

elisabetta benelli, laura giraldi

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travel design [thinking]

[§1] [§1]

p.32 p.33

Donkey Creative Lab, Royaltea, Germania. ustine da tea ispirate alla famiglia

reale inglese. Donkey Creative Lab, Royaltea,

Germania. ustine da tea ispirate alla famiglia reale inglese.

Emad Alhanarneh, Souvenir del David di Michelangelo. La scultura stata riprodotta in resina nei colori uo Maneki Neko.

Popolare souvenir-portafortuna giapponese a forma di gatto

Replica della Cattedrale di Rheims, rancia, 1830 ca. rologio in bronzo dorato

e base in legno di rosa

Nel mondo del design si tende ad “associare l’emozione con la bellezza”, ma poiché le emo-zioni riflettono molto spesso esperienze, associaemo-zioni e ricordi personali, può diventare ragio-nevole affezionarsi e amare oggetti “brutti” rispetto ad altri che, pur essendo attraenti, non suscitano emozioni.

In The Meaning of things, gli autori Mihaly Csikszentmihalyi e Eugene Rochberg-Halton cerca-no di individuare quel che rende “speciali gli oggetti” identificando come chiave di tutto “l’e-nergia psichica”, intesa come la capacità di alcuni oggetti di attivare un flusso di sensazioni, di evocare luoghi, persone, profumi, eventi particolari… talvolta semplicemente riproducendoli, altre reinterpretandoli e valorizzandoli secondo i canoni di un’estetica contemporanea. La componente emotiva ed esperienziale diventa quindi imprescindibile per la creazione di un prodotto di vacanza attraente e attrattivo, non è però altrettanto chiaro il modo in cui declinare l’offerta turistica secondo questa nuova chiave: bisognerebbe, forse, incominciare dall’analisi delle peculiarità distintive di un territorio e dall’individuazione di elementi unici, significativi per il target specifico cui vogliamo rivolgerci in modo da personalizzare, in un certo senso, il prodotto sulla base delle aspettative di un turismo sempre più diversificato e consapevole. La conoscenza del “nuovo viaggiatore” diventa quindi essenziale nel processo progettuale al fine di costruire intorno all’oggetto una narrazione efficace in grado di suscitare il coinvolgimento emotivo del fruitore nell’atto stesso del consumo.

In un mercato sempre più saturo di oggetti sempre più simili, la percezione di un made in… autentico e identificante, unita alla riconosciuta qualità estetica, materiale e immateriale del prodotto servirà a conferire a quest’ultimo una rinnovata espressività e a riscattarlo dalla ne-gativa considerazione data da Gillo Dorfles secondo il quale la tonalità estetica del souvenir è “senza rimedio quella del Kitsch... del pasto estetico quotidiano” destinato alle masse e contrapposto a quello degli intenditori che tendono a rifiutare tutto ciò che non è elitario in difesa del proprio status.

Oggetti come memoria di un viaggio› di L. G. › Quando parliamo di viaggio dobbiamo parlare di viaggiatori che diventano gli attori di un viaggio e di un’esperienza memorabile. I nomadi, gli esploratori, i turisti sono categorie di viaggiatori del passato e del presente che hanno in comune il desiderio o la necessità di spostarsi da un luogo a un altro per vivere nuove avven-ture, incontrare, conoscere, scoprire territori e culture.

vece attribuirgli un suo valore intrinseco, trasformandolo in un ricordo, in un’emozione di cui esso (l’oggetto) diviene espressione, essendo investito del senso di un “altrove”. Ma, se il senso del luogo visitato trova la sua materializzazione, come spesso accade, in piccoli scrigni fatti di conchiglie o in palle di vetro con la neve che rappresentano i culmini del cattivo gusto souveniristico, superati forse soltanto da piastrelle del tipo: “A xxx andai, a te pensai, questo ricordo ti portai”, è evidente che quello stesso oggetto, che già nell’etimologia ha il subvenire, quasi un voler “fare da spalla” alla memoria d’un vissuto, rischia di diventare l’icona della deprivazione (e forse, volendo esagerare un po’, anche della “depravazione”) dell’esperienza. Il turismo di massa ha contribuito indubbiamente a rendere abnorme il fenomeno del “ricor-do” da portare a casa e così spesso capita di vedere turisti americani che, a Firenze, comprano piccoli e coloratissimi David da mettere sul loro caminetto nel Maine…. o, ancora peggio, ricercano talvolta, particolari “hard” dello stesso, ben posizionati su innocenti grembiuli da cucina: questi sono solo alcuni fra i tanti esempi che si possono quotidianamente osservare passeggiando tra le strade di San Lorenzo o di altri noti quartieri di Firenze in cui, come in altre città d’arte, si assiste spesso alla creazione di oggetti in cui si evidenzia una rilettura “ironica” e spesso un po’ blasfema, del proprio patrimonio artistico e museale. Non sono da meno città come Venezia, Roma o Napoli, giusto per citare le mete più visitate, dove le vecchie botteghe storiche e i negozi di vicinato del quartiere hanno lasciato il posto a un “esercito” di souvenir globalizzati che hanno cambiato inesorabilmente il tessuto commerciale di molte città diventato progressivamente una sorta di China Town dello shopping che sta proliferando all’ombra dei più noti monumenti italiani e che rischia di soffocare, sino a far scomparire, i laboratori di autentico artigianato locale simbolo del made in Italy. È evidente che conferire dignità ad oggetti che devono essere allo stesso tempo semplici ed evocativi non sempre è faci-le: questi dovrebbero infatti essere il supporto fisico di un messaggio che esprime l’identità di un luogo ma anche quella di chi lo acquista e, contemporaneamente, con la loro parte imma-teriale, dovrebbero consentire una positiva comunicazione con le persone cui sono destinati. Il regista Andreij Tarkovskj, che nel 1983 ha compiuto un suo personale Grand Tour accompa-gnato dal poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, scriveva: “C’è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore…”. E questa affermazione ci dà la reale dimensione di quanto sia difficile progettare oggetti che portino con sé il gusto e l’emozione di un viaggio da trasferire ad altri.

Esposizione delle arti di iladefia, 1876. Top in micromosaico (Credits: Piraneseum,

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