• Non ci sono risultati.

3 INTRODUZIONE

3.10 Le radici proteoidi

Come precedentemente ricordato, alcune specie vegetali sono in grado di modificare lo sviluppo dell’apparato radicale quando crescono in ambienti poco fertili, producendo specifiche strutture chiamate radici proteoidi; queste sono caratterizzate dalla proliferazione di corte radici secondarie fittamente ricoperte di peli radicali (cluster), compattate in zone specifiche lungo l’asse di crescita delle radici (Lambers et

al., 1998). Queste modificazioni morfologiche, particolarmente evidenti in condizioni

di P-carenza, hanno come effetto di aumentare notevolmente la superfice di assorbimento del nutriente; inoltre da queste particolari radici vengono rilasciati ingenti quantitativi di sostanze in grado di mobilizzare i nutrienti da forme scarsamente solubili rendendoli disponibili per l’assorbimento (Veneklass et al., 2003). Lo sviluppo delle radici proteoidi (o cluster roots) è una caratteristica tipica delle piante appartenenti alla famiglia delle Proteaceae, che include circa 1600 specie in 73 generi (Lamont, 2003). Al di fuori di questa famiglia sono state comunque identificate altre 30 specie in grado di formare radici proteoidi. La formazione di radici proteoidi è una strategia per l’acquisizione di nutrienti diffusa in modo particolare nell’emisfero australe, in suoli con concentrazioni molto scarse di minerali disponibili per le piante (Pate et al., 2001). I terreni di alcune zone dell’Australia e del Sud Africa sono infatti tra i meno fertili del mondo, ed è proprio in queste zone che le Proteaceae hanno la maggior capacità di adattamento (Pate, 1994). Lo sviluppo di radici proteoidi è stato rilevato per la prima volta in Banksia spp. nel 1984, ma furono descritte in modo dettagliato da Purnell nel 1960, che coniò appunto il termine “cluster roots”.

Mentre la capacità di sviluppare radici proteoidi è sotto stretto controllo genetico, il loro sviluppo, la crescita e il rilascio di essudati radicali è molto variabile e influenzato da fattori fisici, chimici e biologici (Lamont, 2003).

Morfologicamente esistono due tipi di cluster roots: semplici come quelli del lupino che presenta una sola aggregazione di cluster nelle radici secondarie, e composti che sono il risultato dell’aggregazione di numerosi cluster roots semplici su un singolo asse radicale (Fig. 3.22).

Figura 3.22. Radici proteoidi. Radici proteoidi composte di Hakea petiolaris (sx) e semplici di Banksia grandis (dx) (Shane and Lambers, 2005.)

I singoli cluster generalmente hanno una lunghezza che può variare tra 1 e 3 cm, anche se in alcuni casi possono raggiungere dimensioni maggiori. La loro formazione ha inizio in prossimità dell’apice radicale, in cui si possono riscontrare alcuni ingrossamenti (stadio giovanile). Ogni singolo cluster comprende un grande numero di radichette secondarie che possono avere una lunghezza variabile da 0.5 a 35 mm (Dinkelaker et al., 1995). Nelle Proteaceae il numero di radichette può essere così elevato da raggiungere diverse centinaia per centimetro di asse radicale (Fig. 3.23).

Figura 3.23. Radice proteoide con cluster roots ai diversi stadi di crescita identificati attraverso

colorazione con l’indicatore di pH viola bromo-cresolo.

Senescente

e

Maturo Immaturo Giovanile

Sono state identificate (Skene, 2003) quattro caratteristiche principali per definire i

cluster radicali:

1) addensamento di radichette 2) forte attività essudativa

3) sviluppo delle radichette determinato

4) forma ellissoide del cluster maturo con aumento della capacità di assorbimento di nutrienti

Il numero di radichette che si forma in una radice proteoide è molto variabile, e può dipendere innanzitutto dal livello di stress a cui la pianta è sottoposta. Nel lupino bianco il limite minimo per definire un cluster è di 1 radichetta per mm, ma in condizioni di forte stress nutrizionale possono raggiungere il numero di 5 per mm (Gilbert et al., 2000).

Le radichette che costituiscono il cluster prendono origine dalla zona del periciclo, in maniera simile a quanto avviene per le radici secondarie. Da ogni singola radichetta si forma quindi una notevole quantità di peli radicali (Fig. 3.24). Nelle Proteaceae le radichette possono essere molto dense e aderire in maniera stretta alle particelle del suolo e della sostanza organica formando così un continuum tra pianta e suolo.

Figura 3.24. Peli radicali di radici proteoidi. Peli radicali che si sviluppano dalle radici proteoidi di Banksia pronotes (sx) e di Hakea prostrata (dx). (Shane and Lambers, 2005).

I cluster radicali possono rappresentare dal 40 al 65% della biomassa totale delle radici della pianta (Dinkelaker et al., 1995); nel lupino bianco la loro attività fisiologica allo stadio di maturità dura poco più di una settimana, dopodiché passano allo stato senescente (Hagström et al., 2001). Nel passaggio da uno stadio a quello successivo il

colore delle radichette che compongono il cluster subisce una variazione da bianco a grigio, fino al marrone dei cluster senescenti; tuttavia, giunti a quest’ultimo stadio i

cluster mantengono vitale l’asse radicale da cui emergono le radichette (Louis et al.,

1990). Nel suolo solitamente la formazione di radici proteoidi interessa prevalentemente gli strati più superficiali e non quelli più profondi.

Il fosforo è un elemento chiave nella regolazione della formazione delle radici proteoidi: è stato dimostrato che piante allevate in presenza di livelli di fosforo molto bassi (1 µM) incrementano il numero di radici proteoidi prodotte, se comparate con quelle allevate in completa assenza del nutriente (Shane et al.,2004). Tuttavia, anche in carenza di Fe, N e Zn si assiste alla formazione di cluster roots (Lamont, 1972; Liang and Li, 2003; Hagström et al., 2001).

Numerosi studi sono stati mirati a determinare se il segnale per la formazione e lo sviluppo dei cluster root, in P-carenza, fosse la concentrazione interna o esterna di fosforo, e se questo segnale avesse un’origine radicale o derivasse dalla parte aerea distribuendosi in modo sistemico nella pianta. È stato dimostrato, in lupino bianco, che l’applicazione fogliare di P sopprime la formazione di cluster roots rendendo l’apparato radicale simile a quello di piante allevate in condizioni di P-sufficienza (Gilbert et al., 1997). Questo risultato indica quindi che è il contenuto di P all’interno della pianta, in particolar modo nella parte aerea (Shane et al., 2003), a regolare lo sviluppo delle radici proteoidi e non la percezione del livello di nutriente nel suolo. L’interesse sulle modalità di acquisizione del P da parte delle radici proteoidi è accresciuto recentemente in considerazione della limitata disponibilità di risorse naturali (rocce fosforiche) da cui ricavare fertilizzanti (Vance et al., 2003).

L’acquisizione del P è favorita dalla presenza di radici proteoidi innanzitutto per una maggiore esplorazione del suolo rizosferico: è stato stimato che questo particolare tipo di radici abbia la capacità di esplorare un volume da 25 a 33 volte superiore rispetto alle normali radici secondarie (Dell et al., 1980).

Il forte infittimento delle radichette nei cluster determina la sovrapposizione di zone di

depletion del P in prossimità delle singole radichette, conseguentemente l’efficienza

inferiore a quella delle radici di piante che non sviluppano queste strutture (Watt and Evans, 2003). Tuttavia, la proliferazione radicale è accompagnata dal consistente rilascio di enzimi fosfo-idrolitici e di essudati (acidi organici e fenoli), che creano, assieme alla neo-sintesi di trasportatori ad alta affinità per il fosfato, una mobilizzazione localizzata del P da forme scarsamente solubili, che può essere più facilmente acquisito dalle cellule radicali e accumulato in quantità superiori nella pianta (Gardner et al., 1983).

3.10.1 Rilascio di essudati radicali

La sintesi e il rilascio di composti carbossilati sono fenomeni indotti dalla carenza di P e, in particolare l’attività essudativa è molto più sensibile allo stress da carenza nutrizionale di quanto non lo siano la formazione e la crescita dei cluster radicali (Keerthisinghe et al., 1998). La velocità di rilascio di ossianioni di acidi organici è solitamente di due ordini di grandezza superiore nelle radici proteoidi di piante P-carenti rispetto a piante sottoposte allo stesso stress nutrizionale, ma che non sviluppano cluster roots.

È ormai noto come vi siano variazioni spaziali nel rilascio di composti carbossilati e come queste siano dipendenti dallo stadio di sviluppo delle radici proteoidi (Neumann

et al., 1999); infatti, la velocità di rilascio di citrato aumenta approssimativamente di 4

volte nei cluster allo stadio maturo. Ulteriori studi sull’andamento temporale del rilascio di citrato in Lupinus albus hanno evidenziato che il burst essudativo che prende luogo nei cluster maturi dura approssimativamente due giorni e coincide con la fine della fase di crescita delle radichette; inoltre questa risposta fisiologica segue anche un ritmo circadiano, accoppiato a quello dell’attività dell’ H+-ATPasi della membrana plasmatica, con un picco a 5 ore dall’inizio della fase di luce (Tomasi et al. 2009) (Fig. 3.25).

Figura 3.25. Rilascio di citrato accoppiato all’attività dell’H+-ATPasi di membrana plasmatica in cluster

root maturi. (Tomasi et al., 2009)

L’acidificazione della rizosfera da parte delle piante P-carenti può favorire la mobilizzazione del fosfato (Tang et al., 2011). L’estrusione di protoni che prende luogo nei cluster maturi delle piante di lupino bianco, tuttavia, è importante per il bilanciamento di carica durante il rilascio di carbossilati e per sostenere il co-trasporto del fosfato nelle cellule radicali (Sas et al., 2001).

La formazione delle radici proteoidi può avvenire anche in piante P-sufficienti trattate con auxine; tuttavia quando questo si verifica non si registra un incremento dell’attività essudativa di composti carbossilati, suggerendo come i due fenomeni abbiano regolazioni indipendenti (Watt and Evans, 1999).

In condizioni di P-carenza le radici proteoidi delle Proteaceae essudano composti fenolici (isoflavonoidi) che possono mobilizzare il fosforo attraverso reazioni di riduzione della componente minerale insolubile, in modo particolare del Fe3+, a cui questo è adsorbito (Neumann and Romheld, 2000). Questi composti svolgono anche un ruolo importante nel prevenire la degradazione dei carbossilati rilasciati dalla radice (Tomasi et al, 2008). Il loro rilascio è conseguenza di un’aumentata sintesi cellulare (Neumann et al., 2000).

Nonostante i carbossilati e i composti fenolici abbiano un ruolo molto importante nella mobilizzazione di elementi nutritivi nella rizosfera (Neumann et al.,2000), ad oggi rimangono ancora poco chiari i meccanismi del loro rilascio e gli aspetti regolativi del fenomeno.