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Risposte delle piante alla limitata disponibilità di P

3 INTRODUZIONE

3.9 Risposte delle piante alla limitata disponibilità di P

Per adattarsi a terreni poveri di fosforo disponibile, le piante hanno sviluppato, durante il loro processo evolutivo, delle strategie per utilizzare le forme di fosforo scarsamente solubili presenti nel suolo. Tra i diversi meccanismi coinvolti (Fig. 3.21) si annoverano: modificazioni della morfologia e dell’architettura radicale (Linkohr et al., 2002), il rilascio nella rizosfera di ligandi organici a basso peso molecolare (Neumann and Romheld, 1999), la secrezione di enzimi quali le fosfatasi (Wasaki et al., 2003), l’aumento dell’espressione di geni che codificano per trasportatori ad alta affinità del P inorganico (Chen et al., 2008) e la formazione di micorrize con microrganismi simbiotici (Olsson et al., 2002). A queste modificazioni, e in particolare al rilascio di essudati radicali, si accompagna una considerevole alterazione del metabolismo cellulare (Langlade et al., 2002).

Figura 3.21. Rappresentazione schematica dell’acquisizione del P da parte delle piante. (Schatchman.,

Modificazioni della morfologia e dell’architettura radicale

Per ottimizzare l’esplorazione del suolo in condizione di limitate disponibilità di P, le piante modificano il rapporto fusto-radice in favore di quest’ultima e promuovono lo sviluppo delle radici laterali (Williamson et al., 2001). Inoltre, spesso si osserva una proliferazione di peli radicali la cui lunghezza e densità appare correlata alla disponibilità di P nella soluzione extra-radicale (Linkhor et al., 2002). In Arabidopsis

thaliana è stato dimostrato che in condizioni di P-carenza i peli radicali hanno una

densità di circa 5 volte maggiore rispetto alle piante allevate in P-sufficienza (Ma et

al.,2001), e la loro lunghezza media è di circa tre volte maggiore.

Caso particolare è quello delle Proteaceae che modificano in maniera ancora più drastica il loro apparato radicale, formando radici proteoidi o cluster roots, questo comportamento si riscontra anche in altre specie vegetali adattate a suoli con scarsa fertilità (Vance et al., 2003).

Tutti questi cambiamenti si riflettono in una maggior superficie radicale in contatto con il suolo e in grado di assorbire il fosfato.

Nelle modificazioni morfologiche dell’apparato radicale un ruolo importante è svolto dagli ormoni e in modo particolare dal bilanciamento tra la concentrazione di auxine ed etilene (Taiz and Zeiger, 1998).

È stato dimostrato che trattando il lupino bianco e Arabisopsis thaliana con inibitori del trasporto di auxine l’alterazione della morfologia radicale indotta dalla carenza di fosforo viene soppressa (Gilbert et al., 2000); non è tuttavia ancora noto se e come la concentrazione interna di auxine subisca delle fluttuazioni in risposta alla P-carenza. In risposta a un’aumentata concentrazione di citochinine le piante tendono ad aumentare le dimensioni della parte aerea e diminuire la crescita radicale. In piante P-carenti sono state misurate concentrazioni decrescenti di citochine, probabilmente responsabili della produzione di cluster roots (Martin et al., 2000). Tuttavia non è ancora stato identificato il meccanismo che regola questo fenomeno.

Rilascio di acidi organici e fenoli

L’esempio più evidente dell’essudazione di acidi organici in risposta alla P-carenza è rappresentato dal lupino bianco (Lupinus albus), che esprime questa sua capacità particolarmente in modo più evidente nelle radici proteoidi (Dinkelaker et al., 1989). L’attività essudativa è accompagnata dall’acidificazione della rizosfera che facilita il trasporto del fosfato all’interno della cellula e potrebbe favorire la dissoluzione dei precipitati formati tra il Ca e il P. Quest’ultimo meccanismo può avere rilevanza nei suoli alcalini e calcarei (Yan et al., 2002). L’aumento del rilascio di acidi organici è accompagnato dall’incremento dell’attività di alcuni enzimi coinvolti nel ciclo degli acidi tricarbossilici (Langlade et al., 2002). Inoltre il lupino bianco ha evoluto una strategia per diminuire la degradazione microbica dei carbossilati nella rizosfera attraverso la secrezione di composti fenolici, per lo più isoflavonoidi (Weisskopf et al., 2006b).

Secrezione di fosfatasi nel suolo

Il fosforo presente in forma organica nel suolo, che rappresenta dal 20 all’80% del P totale, può essere una fonte utilizzabile da parte delle piante che rilasciano nel suolo enzimi, quali fosfatasi acide e fitasi (Miller et al., 2001). Questi enzimi idrolizzano il P presente in forma organica nella rizosfera, aumentando quindi la disponibilità di fosfato inorganico a disposizione per l’assorbimento. È stato dimostrato che in condizioni di P-carenza vi è una sovra-regolazione sia dell’attività enzimatica che della trascrizione dei geni che codificano per queste proteine (Li DPet al., 2002). I geni che codificano per questi enzimi sono stati isolati sia in Arabidopsis thaliana che in lupino bianco (Lupinus albus), e la loro espressione aumenta quando la concentrazione cellulare di P si abbassa (Wasaki et al., 2003).

L’efficacia degli enzimi che idrolizzano la componente organica del fosforo nel suolo può essere alterata dalla disponibilità del substrato, dalle interazioni con i microrganismi del suolo, dal pH e dalle caratteristiche fisico chimiche della rizosfera (George et al., 2005).

Aumento dell’espressione dei trasportatori ad alta affinità di P

Il fosforo è assorbito dalle piante prevalentemente in forma ionica come H2PO4- e HPO42-. La concentrazione di P solubile presente nella rizosfera è molto bassa e varia nel range compreso tra 0.1 e 10 µM (Hinsinger, 2001), d’altra parte la concentrazione di fosfato nelle cellule è molto più alta (2-20 mM) di quella riscontrabile nel suolo (Schatchmann et al., 1998), conseguentemente l’anione deve essere assorbito contro gradiente elettrochimico attraverso specifici trasportatori. Questi trasportatori possono essere ad alta affinità (Km compresa tra 3 e 10 µM) o a bassa affinità (Km

compresa tra 50 e 300 µM) (Furihata et al., 1992).

I geni codificanti per trasportatori ad alta affinità (PHT1), verosimilmente coinvolti nell’assorbimento del fosfato dalla soluzione del suolo, sono stati clonati in numerose specie. Questi codificano per proteine di circa 58 kDa di dimensioni comprese tra 520 e 550 amminoacidi, che formano 12 domini transmembrana divisi in due gruppi (6+6), connessi da un dominio idrofobico di circa 60 amminoacidi (Smith et al., 2003b). I trasportatori PHT1 sono espressi prevalentemente nelle cellule radicali e sono regolati sia a livello trascrizionale che post-trascrizionale: quando le piante sono in stress da P-carenza l’espressione dei trasportatori è ampiamente sovra-regolata, con conseguente aumento dalla capacità di assorbimento del fosforo dalla rizosfera (Liu et al., 2001). Circa il 90% dei trasportatori ad alta affinità per il fosfato sono localizzati sui peli radicali.

Associazioni micorriziche

Le associazioni con funghi micorrizici permettono alle piante di accrescere la capacità di esplorazione del terreno per opera delle ife fungine e quindi di aumentare la capacità di acquisizione di numerosi nutrienti. Questo tipo di simbiosi interessa circa il 74% delle Angiosperme (Brundrett, 2009), ed è basata su un mutuo scambio tra il fungo che infettando la pianta col suo micelio cede a questa dei nutrienti tra i quali anche il fosforo, in cambio di fonti di carbonio.

I benefici per la pianta non sono solo a livello nutrizionale, ma interessano anche la stabilità del suolo dal punto di vista fisico, chimico e microbiologico. Gli effetti sulle

possono costituire un punto molto importante per una gestione sostenibile dell’agroecosistema (Gianinazzi et al., 2010).

Uno degli effetti più evidenti della micorrizazione è l’incremento di assorbimento del P, in particolare nei suoli con limitata disponibilità dell’elemento (Smith and Read, 2008).