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I MOTIVI DELLA CRISI FISCALE ITALIANA E LE RAGIONI DELLA RIFORMA

3.1. Il rapporto fisco-economia

Il rapporto tra fisco ed economia è stato basato, al tempo della ri­ forma del 1971-1973, su due idee-chiave: (i) sull’idea che la base costitu­ zionale della capacità contributiva sia essenzialmente costituita dal red­ dito-, (ii) sull’idea che il reddito sia essenzialmente prodotto dallo Stato o, alternativamente, dalla catena di m ontaggio della grande industria.

Sono, qu este, idee sbagliate (già sbagliate al tem po della riform a) o com u n q u e superate (n ell’arco di tem p o su ccessivo alla riform a). P er le ragioni ch e seguono:

A ) L o « strabism o » reddituale.

Come si è appena notato, la riforma fiscale del 1971-1973 era ed è rimasta redditocentrica. Non che vi mancasse il principio della tassabili­ tà di altre voci (tassazione che, per suo conto, è anzi molto cresciuta, so­ prattutto nel corso degli ultimi anni). Ma è certo che è soprattutto sul

reddito che si è finora concentrata la politica fisca le.

Iden tificare la politica fisca le con la politica d ei redditi, confin an do il resto nel dom inio della pura tecn ica, è stato allora ed è ancora un er­ rore. L a tassazione sui redditi è infatti necessaria (è una costante, nei si­ stem i fiscali m od ern i), m a non esaurisce la politica fiscale.

Salvo il caso del reddito soggetto a ritenuta alla fonte (reddito che così nasce già tassato), la categoria del reddito è infatti da un lato sfug­

gente, dall’altro lato in su fficien te.

Sono queste le ragioni ch e ren d on o, più ch e opportu no, necessario portare la politica fisca le fuori dai confin i orm ai ristretti del solo reddi­ to. N ei term ini ch e seguono:

a) per com in ciare, il reddito « autonom o » , non soggetto a ritenuta alla fon te, e p erciò dispon ibile, è naturalm ente sfuggente. Sfuggente, in econ om ie ch e, alm en o p er ciò che riguarda gli affari e gli interessi dei ceti sociali più ricchi ed affluenti (presso cui appunto si con cen tra il m aggiore grado di au tonom a disponibilità del reddito), ten don o ad esse­ re sem pre più sofisticate e dem aterializzate, sem pre più diffu se sul terri­ torio e congiuntam ente sem pre più m ondializzate. D u n qu e, sem pre più difficili da controllare con i m ezzi a disposizione delle bu rocrazie fiscali statali (com prese le più forti bu rocrazie fiscali straniere).

In qu esto teatro, il rafforzam en to ad ogni costo dei m ezzi di am m i­ nistrazione fiscale è certo necessario, m a non ci si pu ò illudere che sia

su fficien te a colm are la falla aperta dalla n uova « geopolitica » della ric­

chezza. In sp ecie, è p roprio questa la ragione del paradosso per cui, in sistemi fiscali co m e q u ello italiano, i ceti destinati ad essere progressiva­ m en te più tassati (perch é più ricchi ed affluenti) sono, in realtà, m eno tassati; essendo il contrario p er gli altri.

E ciò p roprio com e effetto pratico di un sistem a che, in teoria, d o­ v re b b e essere fatto per introdurre nel sistem a un m aggiore grado di giu­ stizia e di efficien za. M a che in v ece, in pratica, si risolve nel contrario: nella tendenza alla franchigia di fatto per l’ev asion e, ed alla penalizza­ zion e del la voro dip en den te, ch e strutturalm ente è il m en o sfuggente (non essendo « disponibile » nella fase di form azion e).

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R ifletten d o sull’esp erien za italiana si pu ò notare ch e, m entre nel- l’800 la borghesia produttrice ha acquistato, con le tasse, la propria le­ gittim azione politica, a v en d o tuttavia cura di non esserne eccessivam en ­ te infastidita; nel secolo su ccessivo i ceti popolari hanno fatto l’opposto.

O ttenuta altrimenti la propria naturale legittim azione politica, l’hanno utilizzata per votare un sistem a fiscale fortem ente im perfetto, a loro danno. A ssum endo un altro punto di vista, si p u ò sostenere che i c e ­ ti popolari, ottenuta la cittadinanza sociale, hanno trovato il m od o di pa­ gare con le tasse il W elfare State di m olti a ltri;

b) il reddito è poi in su fficien te c om e base rappresentativa della capacità contributiva. Infatti, n e ll’età d el consum ism o (m a su ciò cfr. avanti, la Parte secon da di qu esto v olu m e), n on solo i redditi, m a anche i consum i ed i patrim oni posson o, ed anzi d e v o n o , costituire oggetto di interventi sp ecifici di p olitica fisca le.

V a in specie respinta la v ecch ia , m a fin ora dom inante, idea di poli­ tica fiscale per cui si cre d e ch e le vere tasse (qu elle con cui si fa politica) siano le dirette (le regine del sistem a); essendo in vece la tassazione indi­ retta sui consum i o la tassazione patrim oniale con cepita in term ini politi­ cam ente residuali e m arginali (le cenerentole d el sistema). V ero, in vece, il contrario (com e si dim ostrerà nella P arte secon da di questo libro).

V a p oi aggiunto (m a anche q u esto argom en to sarà ripreso qui di se­ guito), ch e l’av ere concentrato l’attenzione sul reddito, ignorando il pa­ trim onio, ha ridotto en orm em en te gli effetti d e ll’azione di contrasto al­ l ’evasione fiscale.

A zion e che si p u ò in v e c e effica cem en te sviluppare solo coeren ziando i redditi dichiarati con i patrim oni posseduti. T a n to per essere chiari: la v erifica fiscale sui redditi dichiarati è e ffica ce solo se è sistem aticam ente fatta in rapporto ai patrim oni posseduti dal contribuente verificato. N on essendo altro, redditi e patrim oni, ch e le du e fa cce di una stessa m eda­ glia: la capacità contributiva del soggetto in verifica.

L a m igliore traccia d e ll’ev asion e fiscale è proprio rappresentata da quegli investim enti patrim oniali (im m obili, attivi finanziari, e c c .) ch e, fatti in successione alle dichiarazioni, non son o giustificabili in base ai dati reddituali em ergenti dalla serie storica d elle dichiarazioni stesse.

D a un lato la p riva cy v a rafforzata, tutelando il cittadino contro usi im propri ed abusi delle inform azioni fiscali. M a, dall’altro lato, il « se­ greto bancario » d e v e p oter essere sistem aticam ente superato agli effetti delle v erifich e fiscali. E in sp ecie essenziale, e fattibile con m inim o c o ­ sto, che le inform azioni sulle operazioni finanziarie significative, infor­ m azioni attualm ente già disponibili presso gli interm ediari finanziari (banch e, finanziarie, e c c .) siano sistem aticam ente accessibili on line da parte degli uffici fiscali o — in alternativa — fatte conflu ire presso un archivio fiscale centrale e qu i rese accessibili agli effetti delle verifich e.

C iò è essenziale, soprattutto agli effetti della p reven zion e d ell’ev a ­ sione fiscale. P erch é fin ora è stato il con trario. Il segreto bancario è sta­ to infatti abolito di diritto, m a non di fatto. Esclusi i casi crim inali, l ’o b ­ bligo im posto agli u ffici fiscali di passare attraverso proced u re vischiose e ritardanti ne ha infatti reso pressoch é im possibile il superam ento. C iò

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ch e finora è a v v en u to in Italia è stato in realtà curioso: per tutelare la

p rivacy si è legalizzata l ’evasione. E qu esto ciò ch e la gente v e d e e sa,

com portandosi di conseguenza. L a gente è (non infondatam ente) con v in ­ ta che il segreto bancario persista ancora, a tutela del riserbo dei suoi « affari » . E p erciò, se pu ò e /o v u ole ev a d ere, e v a d e pressoché im pune­ m ente.

D u n qu e, solo se questa situazione sarà ribaltata, e se la gente si com porterà sapen do che c ’è un con trollo fiscale centralizzato sistem atico sui suoi m ovim enti finanziari, solo allora sarà influenzata da un d ecisivo fattore di rem ora e di preven zion e d e ll’evasione.

Sullo spostam ento necessario d e ll’azione fiscale, dai redditi ai patri­ m oni, non solo co m e oggetto di tassazione, m a an che com e oggetto di di­

ch iarazione o com u n q u e di trasparenza fiscale si basa, in sp ecie, una

parte n otev ole della politica antievasione fiscale ch e caratterizza questa riform a.

In realtà, chi parla di « lotta all’evasione » , senza entrare in questo cam p o, prende in giro la gente. P er contro (e p er evitare ch e quanto scritto sopra spaventi trop p o) v a p erò anche aggiunto che questa riform a p r ev ed e una legislazione sem plice, aliquote accettabili e non iperboli­ ch e, sanzioni non terroristiche, la possibilità di chiudere ogni anno il proprio rapporto fiscale in una logica di certezza e, infine, di acced ere a form e rapide di giu stizia . Il tutto nella logica di un rapporto fiscale fi­ nalm ente norm alizzato, n e ll’interesse di tutti.

B ) L ’errore storico nel trattam ento fiscale della massa interm edia: i « padroncini ».

Come si è premesso, la riforma fiscale del 1971-1973 si basava su di una sovrastruttura ideologica. Sull’idea (peraltro storicamente giustifica­ ta) del prim ato della grande industria. E poi su\Y iconografia della catena di montaggio; sulla id en tificazion e della catena del reddito con la catena di montaggio, sulla sequenza strutturale lineare: grande industria-massa impiegatizia e operaia.

In questo sch em a di pen siero, i soggetti passivi considerati essen­ zialm ente rilevanti n ell’econ om ia d ella tassazione erano, oltre agli im­ piegati statali, assoggettati a ritenuta diretta, le grandi industrie, tassate in base al bilan cio e gli operai e im piegati privati, assoggettati a ritenuta alla fonte.

C om e nel pen siero di D o n F errante, così nel pen siero dei riform ato­ ri del 1971-1973, rispetto a questa « sostanza » , gli altri soggetti, le altre grandezze econ om ich e, o n on esistevano o costituivano un « acciden te ».

P er verifica rlo, basta leggere d u e passi-chiave dei lavori preparatori di quella riform a (Stato dei lavori della C om m ission e per lo studio della riform a tributaria, M ilan o 1969, pagg. 107, 109):

a) « L a C om m ission e ha tenuto presente inoltre che il sistem a e c o ­ n om ico italiano è caratterizzato d a un alto grado di concentrazion e del valore aggiunto e del rica vo lordo (la C om m ission e d ov reb b e elaborare i dati statistici relativi) p er cui le piccolissim e im prese rappresentano

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una percentuale malto elevata dei contribuenti e una piccola percentuale del valore aggiunto e fa ttu rato totale » ;

b) « Imprese individuali maggiori e società di persone. A queste potrebbe venire im posto, oltre che la tenuta della documentazione che si è vista e delle registrazioni ricordate, un sistem a contabile p iù o meno com plesso. A queste imprese dovrebbe venir im posta la tenuta di un conto patrimoniale e di un conto di costi, ricavi e rimanenze o, se si pre­ ferisce, di un conto di profitti e perdite collegati attraverso le scritture contabili con la situazione patrimoniale dell’esercizio precedente ».

E qui che sta l’errore. All’opposto di quel che si pensava in sede di riforma, quello della piccola impresa era già un settore-chiave dell’eco­ nomia italiana proprio in termini di produzione di reddito.

In specie, di fortemente negativo, nella politica fiscale fatta in Ita­ lia negli ultimi venti anni, c’è la tendenza a schem atizzare ed educare

l’impresa minore. La tendenza a romperne o ignorarne la particolarità strutturale: prim a negandole una cittadinanza fiscale propria; poi offren­ dole, in alternativa, in una prima fase un passaporto di impunità; in una seconda fase cercando invece di costringerla in uno stivaletto cin ese (fat­ to da obblighi contabili e da presunzioni, assurdi e vessatori).

La vicenda più fortemente significativa a questo proposito è, da ul­ timo, rappresentata dalla cosiddetta minimum tax. Vicenda in cui l’esi­ genza (giusta) di stabilire un parametro di tassazione minima non è stata soddisfatta con la ind ivid u azion e di parametri reali, conformi all’effetti­ va operatività d’impresa (superficie occupata, energia consumata, nume­ ro degli addetti ecc.), ma con una fin zio n e: che tutti gli autonomi guada­ gnassero come un dipendente, anche se non avevano un dipendente; vo­ lendo magari a loro volta essere essi stessi lavoratori dipendenti a reddi­ to fisso.

C’era (e c’è) in realtà, alla base di questo schema ideologico, un pregiudizio: che il lavoro, o è dipendente o non è; se un lavoratore non è un dipendente, non è un lavoratore, ma un deviante.

In sintesi, è dalla riforma del 1971-1973 che il nostro sistema fiscale si porta dentro questo v izio origin a le: l’assenza di un corretto statuto fi­ scale della piccola impresa; la negazione di una corretta cittadinanza fi­ scale al popolo dei « padroncini ».

In sede di riforma, la piccola impresa fu prima sostanzialmente

ignorata, poi m anipolata passando attraverso due fasi:

— nella prim a fa s e , ci si è fortemente ispirati al principio del fa v o ­ re. Le possibilità di esemplificare, a questo proposito, sono notevolissi­ me. Qui, per brevità, si fanno due esempi: I) la contabilità di impresa, a norma del codice civile, fa prova contro l’imprenditore; diversamente la contabilità fiscale, a norma della legge fiscale, fa prova a favore dell’im­ prenditore e contro il fisco. Ciò vale sostanzialmente a legalizzare l’eva­ sione; II) il regime fiscale dell’impresa familiare fu all’inizio (nel 1977) generosissimo, evidentemente per catturare consenso elettorale, e solo dopo otto anni fu reso un po’ più rigoroso;

— nella seconda fa s e , quasi per contrappasso, la piccola impresa è stata invece fortemente pen alizzata dal sistema legale. L ’evasione, da

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un Iato seguitava a essere legalizzata, da ll’altro lato v en iv a p erò contra­ stata (si fa per dire) con qu ote crescenti di contabilità fisca le im posta. In questo m od o, non crescev a la p ression e fiscale (l’evasione continuava, infatti, a dilagare), m a piuttosto solo Voppressione fiscale. C osì che a perderci eran o (e sono) tutti e du e insiem e i soggetti del rapporto fiscale: il fisco, l ’im presa.

C iò ch e, all’op p osto, è essenziale fare (e in parte è già stato fatto, anticipando questa riform a) è riportare anche il m on d o d elle p iccole im­ prese sul binario della legalità e d ella norm alità fiscale.

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