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Il rapporto tra il servizio pubblico e il diritto di esclusiva nel trasporto pubblico locale.

statale. 5.2. Gli spunti offerti dalla legislazione regionale. 5.3. Il problema dell’accesso al mercato e la saturazione delle linee più redditizie. 5.4. Il problema della sussidiazione incrociata e della sovrapposizione con i servizi sussidiati. 6. Il trasporto pubblico locale e i mercati ad esso contigui. 6.1. I servizi di trasporto passeggeri interregionali e statali non contribuiti. 6.2. I servizi di trasporto passeggeri internazionali. 6.3. Il noleggio di autobus con conducente.

1. Il rapporto tra il servizio pubblico e il diritto di esclusiva nel trasporto pubblico locale.

Il nostro ordinamento si è tradizionalmente caratterizzato per una disciplina della gestione dei servizi pubblici locali basata sull’affidamento del servizio da parte dell’Amministrazione attraverso lo strumento concessorio comunque denominato, senza che in questo atto, fosse essenziale il carattere monopolistico dell’attività di erogazione del servizio pubblico, cioè il diritto di esclusiva140, ossia l’attribuzione ad un solo soggetto del diritto di esercitare l’attività economica e la contestuale inibizione a tutti gli altri operatori di svolgere la stessa attività.

La dottrina ha evidenziato che i comuni e le province potevano assumere i servizi pubblici in esclusiva nelle sole ipotesi in cui la riserva fosse ad essi riconosciuta dalla

140 D’Alberti M., Concessioni amministrative, in Enc. giur. Treccani, 1988, VII; Sorace D. - Marzuoli C., Concessioni amministrative, in Digesto disc. pubbl., III, Torino, 1989; Romano Tassone A., La concessioni a terzi dei servizi pubblici locali, in Reg. gov. loc., 1992, p. 87.

legge, secondo la regola costituzionale di cui all’art. 43 Cost.141, mentre anche il legislatore, all’art. 22, co. 2, della l. n. 142 del 1990, ha richiesto un’esplicita previsione legislativa della privativa.

Si è, così, riconosciuto che, salve specifiche previsioni di una riserva di attività, le iniziative degli enti locali nel campo dei servizi pubblici non avrebbero escluso analoghe e concorrenti iniziative private142 e che, ove la legge nulla disponesse riguardo al numero delle concessioni, l’interpretazione da trarre fosse sempre quella che potessero essere molte, “anzi tante quante ne consente il soddisfacimento dei fini sociali

connessi alla disciplina dell’attività”143.

La vicenda storica del servizio pubblico di trasporto narra, invece, di un diverso rapporto tra servizio pubblico ed privativa tanto che si è assistito non solo a quella completa omologazione tra l’attività di autotrasporto di linea e il servizio pubblico, ma anche ad una progressiva identificazione tra quest’ultimo e il servizio riservato in regime di monopolio144.

Ciò ha trovato riscontro in numerosi interventi del legislatore già agli inizi del ‘900. Il r.d.l. 21 ottobre 1923, n. 2386, disciplinava proprio il “diritto di esclusività” dei concessionari di servizi pubblici automobilistici sovvenzionati in relazione alle linee loro concesse. Il r.d.l. 9 dicembre 1926, n. 2443, riprendeva il problema del “diritto di esclusiva” e chiariva che lo stesso doveva intendersi riferito non alla linea di trasporto intesa come percorso, ma rapportato alla “finalità” della linea stessa145.

A ben vedere, tuttavia, l’art. 10, comma 1, della successiva l. 28 settembre 1939, n. 1822, prevedeva l’attribuzione del diritto di esclusiva nel solo caso in cui la linea data in concessione fosse anche sovvenzionata con finanziamenti statali, mentre negli altri casi vi era ampia discrezionalità da parte dell’amministrazione nel concederla o meno.

141 Caia G., I servizi pubblici, cit., p. 985.

142 Caia G., Assunzione e gestione dei servizi pubblici locali di carattere industriale e commerciale: profili generali, in Reg. gov. loc., 1-2, 1992, p. 9.

143 Pototschnig U., I servizi pubblici, cit., p. 445.

144 In realtà, rileva, Marchianò G., Occorre cambiare tutto perché nulla cambi: la tormentata vicenda dei SIEG, cit., p. 1022, che tale fenomeno non ha riguardato solo il TPL, dato che “Non si può sottacere che il servizio pubblico in Italia, è sempre stato visto in senso monopolistico o comunque tendente al monopolio, ciò in quanto l’azione dei pubblici poteri nel settore, è stata caratterizzata dall’adozione di criteri privi di qualsiasi connotazione imprenditoriale”.

Se in concreto tale facoltà era largamente utilizzata da parte degli enti concedenti, in astratto vi era la possibilità di affidare a più operatori la medesima linea146.

Non vi era, nella sostanza, una totale coincidenza tra servizio pubblico e attività riservata, che si aveva soltanto in via obbligatoria per tutelare l’interesse finanziario dell’ente concedente.

Nella legislazione statale successiva, ed in particolare nella legge quadro 10 aprile 1981, n. 151, mentre il riferimento allo strumento concessorio per l’affidamento del servizio pubblico rimase sostanzialmente immutato, il diritto di esclusiva non ebbe esplicita menzione nel testo legislativo.

Ciò, tuttavia non deve far credere ad un mutato indirizzo di politica del diritto poiché, da un lato, la l. n. 1822/1939 non era stata abrogata e, dall’altro, ci pensò la legislazione regionale d’attuazione a prevedere, in alcuni casi in modo perentorio147, il diritto di privativa a favore del concessionario.

Si arriva, così al D.lgs. n. 422/1997 e alle conseguenti leggi regionali di attuazione. In tali atti, il diritto d’esclusiva non trova più esplicita cittadinanza148.

Tuttavia, al dichiarato obiettivo normativo d’incentivare il superamento degli assetti monopolistici e d’introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi, ha fatto da contraltare la scelta della concorrenza “per il mercato”, in cui il diritto di esclusiva diventa elemento connaturato all’affidamento di una rete di servizi, dato che attraverso la privativa l’ente affidante assicura l’equilibrio economico del contratto impedendo la sottrazione di volumi di traffico da parte di terzi.

Tale impostazione, che di fatto ha permesso il consolidarsi dei monopoli locali, è stata successivamente scalfita dall’art. 12, co. 1, del d. l. n. 223 del 4 luglio 2006, il c.d. “decreto Bersani”149, che ha stabilito che i comuni possono prevedere che il trasporto di

146 Brancasi A., L’autotrasporto di linea tra regolazione dell’attività economica e servizio pubblico, cit.,

p. 128.

147 A titolo di esempio, l’art. 15 della L.R. Veneto 8 maggio 1985, n. 54, stabiliva che “I gestori dei servizi pubblici di linea hanno diritto di esclusiva per le linee da loro gestite”.

148 Unica eccezione è costituita dall’art. 13, comma 4, della L.R. Emilia Romagna n. 30/1998, come

modificato dall’art. 12 della L.R. n. 8/2003, secondo cui “Gli enti competenti (…) conferiscono la

gestione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale mediante affidamento a soggetti individuati secondo le modalità stabilite dalla presente legge. Ove esistano ragioni tecniche, economiche o di opportunità, inerenti prioritariamente l’efficacia, l'affidamento del servizio può essere in esclusiva. È in ogni caso esclusiva la concessione della gestione della rete”.

149 Peraltro, con scarsi risultati concreti se, come si legge nel rapporto di sintesi: “Lo stato di attuazione della riforma del TPL nelle regioni italiane”, elaborato da ISFORT nel 2007, in www.isfort.it, p. 5, “Ad

linea di passeggeri accessibile al pubblico, sia svolto, in tutto il territorio o in tratte e per tempi predeterminati, “anche” da soggetti in possesso dei necessari requisiti tecnico- professionali, con il divieto di disporre a loro favore finanziamenti in qualsiasi forma150. In alcune tratte, dunque, la riserva di attività potrebbe venir meno, per cui l’iniziativa dell’ente locale potrebbe essere affiancata da analoghe e concorrenti iniziative private. Dato che la disposizione tocca i soli servizi di competenza comunale, si ritiene che la parziale liberalizzazione possa riguardare il ristretto ambito dei c.d. “servizi aggiuntivi”.

2. Il servizio pubblico come “rete” o come “sommatoria di linee”: il pericolo della

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