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La ratio e le finalità del sistema sanzionatorio di cui al d.lgs 231/2001

Sezione III: L ’ordinamento spagnolo

5. La ratio e le finalità del sistema sanzionatorio di cui al d.lgs 231/2001

Nell’ambito della responsabilità amministrativa degli enti, la risposta punitiva, presupposta dal legislatore e attuata con d.lgs. 231/2001, non è finalizzata all’incapacitazione o dissolvimento dell’ente, quanto, piuttosto, alla conservazione di una realtà economica utile, volta al ristoro dei danni cagionati, e alla correzione di modelli fino a quel momento carenti.

226 L’art. 8 d.lgs. 231/2001 dispone l’affermazione di responsabilità dell’ente nonostante l’autore del reato non sia stato identificato. L’adozione di limiti edittali diversi a seconda della precisa qualificazione e collocazione, all’interno della compagine societaria, della persona fisica autore del reato, sarebbe stata incoerente con tale previsione.

227 Della stessa opinione DE VERO, Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo

dipendente da reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001 p. 1135, per cui sarebbe necessario

procedere a differenziazioni quantitative e qualitative, in sintonia con il principio di proporzione tra fatto e sanzione. Con riguardo alla persona giuridica, in virtù del legame diversificato tra ente e autore del fatto, le fattispecie di reato esprimono una matrice criminogena diversa.

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Le tipologie sanzionatorie prescelte sono tutte caratterizzate da una comune finalità preventiva: la loro incidenza patrimoniale, diretta o indiretta, sull’ente, è idonea a colpire una politica d’impresa improntata all’illegalità.

Il decreto accoglie un modello compensativo dell’offesa, che, come affermato anche nella Relazione ministeriale, è teso a stimolare l’ente responsabile all’adozione di quelle best practices evidentemente carenti.

L’ente è responsabile perché non ha predisposto gli strumenti di controllo interno necessari a scongiurare la perpetrazione del reato.

Il sistema quindi non è tanto finalizzato a punire, quanto a sollecitare l’ente a rimediare al proprio deficit preventivo, per evitare di essere escluso dal mercato228.

Dall’altra parte però, l’afflittività dell’apparato sanzionatorio, addotta da molti come argomento forte a favore della natura autenticamente penale della sua responsabilità, non nasconde una funzione anche punitiva: le sanzioni pecuniarie e interdittive pregiudicano il godimento di beni e l’esercizio di attività essenziali per il perseguimento delle finalità sociali.

L’ente avverte in maniera significativa il pregiudizio che tali sanzioni potrebbero arrecare, e la loro concreta applicazione scuote dalle fondamenta la struttura interna di ogni organizzazione complessa229.

La pena ha una capacità afflittiva importante nei confronti dell’ente, perché va a colpire l’obiettivo tipico dell’attività d’impresa, ossia il profitto, il valore dell’impresa, o la sua immagine. È su questi beni che incidono le sanzioni pecuniarie, interdittive e la confisca, ed è per questo motivo che l’ente deve esservi sottoposto.

Le stesse sanzioni, sul versante general-preventivo, realizzano un duplice scopo: da una parte, presentano efficacia deterrente nei confronti della persona giuridica, inducendo l’ente ad adeguarsi nella direzione di una minimizzazione

228 Gli artt. 12 e 17 costituiscono una conferma in tal senso.

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del rischio di commissione di reati; dall’altra, soddisfano l’esigenza di punizione proveniente dalla collettività che individua nell’ente il responsabile del delitto.

Il sistema sanzionatorio predisposto dal legislatore all’art. 9 d.lgs. 231/2001230 ha la capacità di dissuadere e intimidire i destinatari dello stesso in chiave general-preventiva; allo stesso tempo rappresenta un monito forte per il soggetto condannato, in chiave special-preventiva, perché minacciando sanzioni particolarmente afflittive, è capace di neutralizzare il rischio di altre manifestazioni criminose.

Sul versante special-preventivo l’ente, seppur incapace, per sua natura, di piegarsi alla finalità rieducativa della pena, è idoneo a perseguire una cultura d’impresa sleale o virtuosa.

Tale illegalità può essere contrastata soltanto dall’interno, modificando e correggendo la struttura aziendale e neutralizzando le fonti di rischio con sanzioni precedenti o successive alla commissione dell’illecito.

Nei confronti della persona giuridica il diritto penale può, inoltre, esprimersi in tutta la sua risolutezza, perché non incontra il limite costituzionale del rispetto della dignità umana e del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità: “liberato dallo stigma della sofferenza […] può esprimersi in tutta la

sua deflagrante invasività, scavando nella profondità della struttura dell’ente come mai potrebbe osare qualora, invece di un’architettura di sistemi, il suo bersaglio fosse un uomo, fatto di carne e di mente”231.

230L’art. 9 dispone che “Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono: a) la

sanzione pecuniaria; b) le sanzioni interdittive; c) la confisca; d) la pubblicazione della sentenza. 2. Le sanzioni interdittive sono: a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi”.

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5.1. Il difetto di finalità rieducativa della pena.

La vocazione economica dell’ente rende lo stesso incompatibile al profilo persuasivo. Per la peculiare natura dei soggetti destinatari, la finalità rieducativa della pena è l’unica finalità che non può essere rintracciata nel complesso sanzionatorio di cui al d.lgs. 231/200.

Il finalismo rieducativo costituisce un vincolo ineludibile per la configurazione giuridica della pena: l’art. 27, comma 3 della Costituzione prevede che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di

umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Quindi

nonostante le sanzioni punitive di cui al d.lgs. 231/2001 presuppongano un illecito penale, dall’incompatibilità con il principio costituzionale dovrebbe dedursi, secondo alcuni, l’esclusione della qualificazione penale della responsabilità dell’ente232.

Attraverso la comminatoria, la pena promuove un atteggiamento di astensione da fatti lesivi di interessi rilevanti per la comunità, in chiave di prevenzione generale positiva. Ma quando il reo realizza il reato, si sottrae a questo impegno di garanzia nei confronti della pacifica convivenza sociale. Il messaggio educativo della fattispecie penale, rimasta inascoltata, deve quindi essere recuperato: il finalismo rieducativo promuove a posteriori il rispetto della legge penale e l’astensione da condotte criminose che la comminatoria di reato non è stata in grado di conseguire.

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La formazione di un apparato sanzionatorio, che ha dato risposta alla lotta contro la criminalità d’impresa, ha comportato modificazioni significative alla legislazione, scardinando la dimensione personalistica del sistema sanzionatorio. Il legislatore negli ultimi decenni ha fatto ricorso a sanzioni pecuniarie in settori come l’ambiente, il territorio e l’economia e nell’ambito del diritto penale amministrativo ha adottato sanzioni accessorie particolarmente invasive come la chiusura dello stabilimento, l’interdizione dallo svolgimento di attività e la sospensione o revoca di autorizzazioni o licenze. Piergallini in “Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice

penale” in Dir. pen. proc, p. 1354, evoca la figura di un “sistema ventriloquo, che muove formalmente le labbra in direzione della persona fisica (non essendo in alcun modo prevista una responsabilità diretta e autonoma dell’ente) ma in cui a parlare è il ventre della responsabilità sanzionatoria degli enti”.

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Affinché il soggetto sia in grado di percepire il disvalore che la sua condotta criminosa assume nel contesto sociale, è imprescindibile il nesso psicologico tra agente e fatto233.

La finalità rieducativa non può staccarsi dalla dimensione della persona fisica, perché presuppone la pienezza della sua personalità, della sua esperienza storica e del suo senso di convivenza civile.

L’ente, al contrario, non è in grado di iscrivere i suoi comportamenti in un determinato orizzonte etico-sociale, perché è titolare di una soggettività settoriale a vocazione economica.

Nonostante la finalità rieducativa sia estranea alle sanzioni irrogabili all’ente, ciò non pregiudica il fatto che il legislatore possa scegliere di utilizzare gli strumenti politico criminali che ritiene più opportuni a perseguire lo scopo della prevenzione dei reati. L’incompatibilità impedisce solo di accreditare a tali pene la finalità rieducativa, al fine di “riservare questa particolare, raffinata

espressione della funzione di prevenzione speciale alla dimensione e alla vocazione del soggetto individuale”234.

233 DE VERO G., La responsabilità penale delle persone giuridiche, Vol. IV in Trattato di diritto

penale, Milano, 2008, osserva che solo attraverso l’elemento soggettivo, che coniuga il disvalore

oggettivo dell’evento al disvalore soggettivo dell’autore del reato, “può essere riconnessa al

reato la pena, che deve tendere a far recuperare la consapevolezza in capo al reo della necessità della salvaguardia degli interessi offesi nel contesto di un’ordinata convivenza sociale, laddove non è stata a ciò sufficiente la generale valenza educativa espressa dalla norma incriminatrice nella fase della comminatoria”.

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CAPITOLO IV