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La responsabilità amministrativa degli enti collettivi: la disciplina sanzionatoria tra teoria e prassi.

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

La responsabilità amministrativa degli enti collettivi: la disciplina

sanzionatoria tra teoria e prassi

Il Relatore La Candidata Chiar.mo Prof. Alberto Gargani Armela Mirdita

(2)

2 INDICE

INTRODUZIONE... 11

CAPITOLO I LA RESPONSABILITA’ DELLE PERSONE GIURIDICHE Sezione I: I principi generali ... 13

1. Premessa: alle origini della responsabilità dell’ente. Il superamento dell’ideologia “societas delinquere non potest” ... 13

1.1. L’evoluzione normativa: gli input sovranazionali ... 14

1.2. L’esperienza inglese. Dalla “vicarious liability” alla “identification theory” ... 16

2. Il modello di responsabilità degli enti delineato in Italia dal d.lgs. 231/2001: i soggetti destinatari della normativa ... 19

3. Il principio di legalità e i corollari ... 22

Sezione II: I criteri di imputazione ... 25

1. I presupposti di imputazione della responsabilità: il principio di specialità e i reati presupposto ... 25

1.1. La graduale estensione dei reati presupposto ... 27

2. I soggetti idonei a impegnare la responsabilità dell’ente ... 29

2.1. I soggetti apicali ... 30

2.2. I soggetti subordinati ... 32

3. La nozione di interesse e vantaggio: contrasti interpretativi circa l’alternatività dei due criteri ... 33

3.1. L’interesse e il vantaggio nei reati colposi di evento ... 36

4. I criteri soggettivi di imputazione del reato: la colpevolezza di organizzazione ... 42

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3

Sezione III: Il modello di organizzazione dell’ente e l’organismo di vigilanza

1. Il modello di organizzazione e gestione: caratteri generali ... 44 2. La valutazione del giudice sull’idoneità del modello ... 45 3. I contenuti ... 46 4. L’esclusione della responsabilità degli enti in rapporto ai reati commessi dagli apici ... 47 4.1. L’organismo di vigilanza ... 49 4.2. L’elusione fraudolenta da parte dell’apice e il difetto di vigilanza da parte dell’organismo di controllo ... 50 5. L’esclusione della responsabilità per reati commessi dai subordinati ... 52

Sezione IV: La natura della responsabilità degli enti

1. Gli indicatori rilevanti circa la natura penale della responsabilità ... 55 2. Gli indicatori rilevanti circa la natura amministrativa della

responsabilità ... 57 3. Un “tertium genus” di responsabilità ... 58

CAPITOLO II: ANALISI COMPARATISTICA DELLA RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI: GLI ORDINAMENTI STATUNITENSE, FRANCESE, SPAGNOLO

Sezione I: L’ordinamento statunitense

1. I criteri di imputazione della responsabilità negli Stati Uniti: il principio del “respondeat superior” ... 59 2. La pena pecuniaria: pena regina nel modello statunitense. La disciplina del Model Penal Code ... 60 2.1. L’introduzione delle Alternative Fines ... 62 2.2. Gli orientamenti dottrinali che si sono susseguiti circa l’efficienza della pena pecuniaria. La tesi di Posner, Coffee e il modello della

“pass-throught-fine” ... 64 3. La riforma del regime della pena pecuniaria: le Federal Sentencing

(4)

4

Guidelines ... 67

3.1. Le finalità ... 68

3.2. Il sistema della commisurazione della pena: il calcolo della Culpability Score e le circostanze aggravanti e attenuanti ... 69

4. Le altre sanzioni: la restitution, i remedial orders, il community service e il probation ... 71

5. Il Compliance Program: i meriti dell’istituto posto al cuore del sistema .... 73

5.1. I codici etici ... 74

5.2. I requisiti del compliance programs: due to diligence ... 75

5.3. Il supporto sanzionatorio dei compliance programs ... 77

5.4. Ordinamento italiano e americano a confronto: il modello di organizzazione come esimente e attenuante ... 78

Sezione II: L’ordinamento francese 1. L’affermazione del principio di responsabilità delle personnes morales in Francia: il Codice Penale del 1994 ... 81

2. Il superamento del principio di specialità ... 83

3. I criteri di imputazione della responsabilità all’ente ... 84

3.1. La nozione di organo ... 85

3.2. La nozione di rappresentante ... 87

3.3. Il reato realizzato “pour compte” dell’ente ... 89

4. La vexata quaestio: responsabilità autonoma o “par ricochet”? ... 90

4.1. La consacrazione della teoria par ricochet: Cassation Criminelle, sent. 2.12.1997 ... 92

5. L’apparato sanzionatorio previsto per le persone giuridiche ... 95

5.1. L’amende ... 95

5.2. La dissolution e la fermeture des établissements ... 96

5.3. La confisca ... 98

5.3. L’affichage e la communication de la décision ... 98

(5)

5

5.5. Considerazioni conclusive sul sistema sanzionatorio francese: modelli

a confronto ... 100

Sezione III: L’ordinamento spagnolo 1. Alle origini del modello di responsabilità degli enti in Spagna: dagli input sovranazionali alla Ley Organica n. 5/2010 ... 101

2. La Ley Organica n. 1/2015. I criteri di imputazione della responsabilità .... 104

2.1. La nozione di “los administradores” ... 105

2.2. La nozione di “los empleados” e la regola dell’esonero dell’ente da responsabilità: incoerenza sistematica ... 107

2.3. I programas de prevenciòn ... 108

3.La natura della responsabilità dell’ente nell’ordinamento spagnolo ... 110

4. Il sistema sanzionatorio: la multa ... 111

4.1.Il modello proporzionale di commisurazione della pena pecuniaria ... 112

4.1.1. Il modello di commisurazione della pena pecuniaria per tassi giornalieri ... 113

4.2. Le altre sanzioni ... 114

4.3. Aspetti critici del sistema sanzionatorio spagnolo ... 116

CAPITOLO III L’APPARATO SANZIONATORIO: PRINCIPI E FINALITA’ 1. Premessa: l’occasio della disciplina sanzionatoria degli enti e il retroterra storico culturale in cui si innesta ... 118

1.1. Alle origini della responsabilità delle persone giuridiche: la responsabilità sussidiaria del codice penale (art 197) e quella indiretta della legge n. 689/1981 ………119

1.2. I semi per una responsabilità diretta degli enti in campo economico. I provvedimenti degli anni Novanta ... 122 1.3. Il progetto della Commissione Grosso. L’afflittività

(6)

6

dell’apparato sanzionatorio: l’approdo alla responsabilità penale ... 125

2. Il d.lgs. n. 231/2001. I caratteri generali dell’apparato sanzionatorio. ... 127

3. La flessibilità dell’apparato sanzionatorio ... 130

4. Le censure del sistema prescelto ... 131

5. La ratio e le finalità del sistema sanzionatorio di cui al d.lgs. 231/2001 ... 132

5. 1. Il difetto di finalità rieducativa della pena ... 135

CAPITOLO IV: LE SINGOLE SANZIONI Sezione I: La sanzione pecuniaria 1. La sanzione pecuniaria nella legge delega e nel decreto legislativo: dal sistema a somma complessiva al sistema per quote ... 137

1.1. Il sistema di commisurazione della sanzione pecuniaria... 141

1.2. La ratio del sistema per quote ... 142

1.3. La determinazione del numero di quote ... 143

1.4. La determinazione dell’importo della singola quota. Le condizioni economiche e patrimoniali dell’ente ... 145

2. I casi di riduzione della sanzione pecuniaria. La tenuità del fatto ... 147

2.1. Le condotte riparatorie ... 150

3. I profili di irrazionalità circa l’efficacia della sanzione pecuniaria ... 152

Sezione II: Le sanzioni interdittive 1. Il regime delle sanzioni interdittive nel d.lgs. 231/2001: ratio e finalità .... 154

1.1. La durata delle sanzioni interdittive ... 157

2. Le singole sanzioni interdittive. L’interdizione dall’esercizio dell’attività .. 158

2.1. La sospensione o revoca dalle autorizzazioni, licenze o concessioni .... 159

2.2. Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ... 160

2.3. L’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli concessi ... 161

(7)

7

3. I presupposti applicativi. La valorizzazione dell’elemento soggettivo

dell’illecito ... 163

3.1. La nozione di “profitto di rilevante entità” ... 164

3.2. La reiterazione degli illeciti ... 166

4. I criteri di scelta e commisurativi delle sanzioni interdittive ... 167

5. I casi di non applicabilità delle sanzioni interdittive ... 172

6. La riparazione delle conseguenze del reato ... 173

7. Il commissariamento giudiziale come alternativa alla sanzione interdittiva: ratio e finalità ... 175

7.1 Le condizioni di applicazione della misura ... 177

7.2. I compiti e i poteri del commissario giudiziale ... 180

8. L’applicazione delle sanzioni interdittive in via definitiva ... 182

8.1. L’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività per l’ente ontologicamente illecito ... 183

9. L’inosservanza delle sanzioni interdittive ... 185

10. La modifica dei limiti edittali delle sanzioni interdittive con la legge n. 3/2019 ... 187

11. Le misure cautelari personali e reali ... 189

11.1. L’interdizione a titolo di sanzione e a titolo di misura cautelare. Analogie e differenze di disciplina. Identità di struttura e diversità di funzione... 193

11.2. Il divieto di anticipazione della pena in via cautelare ... 194

11.3. I presupposti. I gravi indizi ... 196

11.3.1. Le esigenze cautelari. Il pericolo di reiterazione degli illeciti ... 197

11.4. I criteri di scelta delle misure cautelari. I principi di adeguatezza, proporzionalità e gradualità ... 200

11.5. Il commissariamento cautelare dell’ente ... 202

11.6. L’inapplicabilità della confisca in sede cautelare ... 205

11.7. Le modifiche delle misure cautelari ... 205

11.8. Profili pratico applicativi. Il caso SMELL: la vicenda ... 207 11.8.1. La pronuncia della Corte. La valorizzazione del principio

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8

di proporzionalità ... 209

11.8.2. Il caso La Fiorita ... 211

11.8.3. La pronuncia della Corte. L’insussistenza del “periculum” ... 213

12. Le misure cautelari reali: il sequestro preventivo ... 214

12.1. Il sequestro conservativo ... 216

Sezione III: La confisca 1. La natura eclettica della confisca. L’evoluzione storica ... 218

2. La confisca come sanzione principale. Le finalità dell’istituto ... 219

3. La disciplina della confisca nel d.lgs. 231/2001. Confisca diretta e confisca per equivalente ... 221

4. La confisca del profitto per inosservanza di sanzioni interdittive ... 223

5. La confisca del derivante dal commissariamento giudiziale... 223

6. L’indeterminatezza della nozione di “profitto”. La disciplina penalistica e gli atti internazionali ... 225

7. Il profitto del reato. La valorizzazione del nesso di pertinenzialità ... 227

7.1. L’esclusione dal profitto confiscabile dei vantaggi immateriali e futuri ... 229

8. Il profitto netto e il profitto lordo nell’elaborazione dottrinale. Le ragioni che legittimano il principio del profitto lordo ... 230

8.1. Gli argomenti contrari al principio del lordo. Un’analisi economica .... 232

8.2. Gli argomenti contrari al principio del lordo. Un’analisi giuridica ... 233

8.3. L’ablazione del profitto lordo sotto il profilo costituzionale ... 234

9. L’evoluzione giurisprudenziale della nozione di profitto confiscabile. La vicenda Fisia Italimpianti: i precedenti e le ordinanze campane ... 236

9.1. La pronuncia delle Sezioni Unite di Cassazione nel caso Fisia Italimpianti s.p.a. Natura proteiforme della confisca e valorizzazione del nesso di pertinenzialità ... 239

9.2. L’estensione della nozione di profitto confiscabile ... 243

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9

9.3.1. Le ragioni economiche che fondano la regola di esclusione ... 249

9. 4. I meriti della pronuncia ... 250

9.5. La confisca del profitto derivante da un illecito plurisoggettivo ... 251

9.6. Osservazioni critiche alla sentenza della Corte ... 251

9.6.1. Segue: l’effettiva utilità conseguita dal danneggiato ... 253

9.6.2. L’indeterminatezza della nozione di utilità conseguita dal danneggiato ………254

9.6.3. La sovrapposizione tra profitto non confiscabile e obblighi restitutori ………255

10. L’inclusione del risparmio di spesa nella nozione di profitto confiscabile ... 256

10.1. La Sentenza Gubert: la vicenda. ... 258

10.1.1. La dematerializzazione del profitto: l’equivalenza con il concetto di vantaggio ... 259

10.1.2. La confisca del denaro e altri beni fungibili: censure al principio dettato dalla Corte ... 263

11. Profili comparatistici. L’ordinamento tedesco ... 264

11.1. L’ordinamento statunitense ... 266

11.2. L’ordinamento inglese ... 267

11.3. Gli ordinamenti francese e spagnolo ... 268

Sezione IV: La pubblicazione della sentenza 1. La disciplina e le finalità della pubblicazione della sentenza ... 270

CAPITOLO V: LE VICENDE MODIFICATIVE DELL’ENTE 1. Premessa: la strategia di compromesso tra esigenze antielusive e istanze di garanzia ... 272

1.1. I precedenti della disciplina predisposta dal legislatore ... 274

(10)

10

3. L’ambito di applicazione della disciplina ... 276

4. La trasformazione ... 277

5. La fusione ... 279

6. La scissione: nozione e problemi di inquadramento ... 282

6.1. La disciplina ... 284

6.1.1. Il confronto con la disciplina civilistica ... 285

6.1.2. La regola delle sanzioni interdittive. Il ramo di attività ... 286

6.2. La confisca del prezzo e del profitto del reato in caso di scissione ... 268

7. Disposizioni comuni alle ipotesi di fusione e scissione ... 289

8. La rilevanza della fusione o della scissione ai fini della reiterazione ... 291

9. La cessione d’azienda ... 292

9.1. La disciplina ... 293

10. Problemi irrisolti: vicende modificative e vulnus al principio di personalità della responsabilità penale ... 295

BIBLIOGRAFIA ... 297

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INTRODUZIONE

La tesi si propone di analizzare l’impatto epocale che il d.lgs. 231/2001 ha avuto nel nostro ordinamento, con particolare attenzione all’apparato sanzionatorio previsto nel nuovo corpus normativo, al fine di contrastare la criminalità economica.

Il legislatore ha introdotto un modello di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, superando la concezione antropocentrica della pena in direzione di una nuova visione in cui l’ente diviene protagonista e destinatario di risposte punitive incisive e idonee a insinuarsi nei punti nevralgici della sua organizzazione.

Nella prima parte dell’elaborato si indaga l’assetto generale di questa nuova forma di responsabilità, concentrandosi sui risvolti pratico applicativi degli istituti e sul dibattito dottrinale che si è sviluppato, già dall’entrata in vigore del decreto, intorno alla natura del nuovo modello di responsabilità dell’ente, formalmente qualificata come “amministrativa”.

Si passerà, poi, a ripercorrere l’esperienza dei paesi che si sono confrontati da tempo con il tema della criminalizzazione dell’ente.

In sede di analisi comparatistica saranno illustrate la disciplina e le controversie più rilevanti che hanno interessato gli ordinamenti statunitense, francese e spagnolo, valorizzando i meriti, le censure, i punti contatto e le differenze rispetto al nostro sistema punitivo.

Una volta delineati i fondamenti della normativa in esame, l’esposizione si avvicinerà al cuore della tesi: la disciplina sanzionatoria delle persone giuridiche.

Saranno studiati i principi generali e le finalità del sistema, per poi approfondire, successivamente, ogni singola tipologia sanzionatoria.

Ampio spazio sarà dedicato alle sanzioni interdittive, in considerazione dell’incidenza diretta che tali misure hanno nella vita dell’ente, in ausilio alle

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12

sanzioni pecuniarie, quando quest’ultime non siano in grado di assicurare un’adeguata efficacia preventiva.

Particolare attenzione sarà riservata anche all’applicazione cautelare delle sanzioni interdittive e gli effetti che essa può determinare in una fase anticipata del giudizio. L’analisi della giurisprudenza di Cassazione consentirà di cogliere il bilanciamento effettuato nella prassi tra istanze di garanzia ed esigenze di efficienza del sistema sanzionatorio.

L’operare congiunto di sanzioni pecuniarie e interdittive garantisce efficacia deterrente ad un sistema che rimane sempre equilibrato e costruito in maniera tale da essere modulato in relazione alle caratteristiche dell’illecito commesso e alle condotte che l’ente ha realizzato “in controtendenza” rispetto alla manifestazione criminosa.

Al di fuori di questo perimetro saranno poi collocate le misure della pubblicazione della sentenza, che lede l’immagine e il prestigio economico dell’ente e della confisca del prezzo e del profitto conseguito dall’illecito.

A quest’ultima misura sanzionatoria è dedicato ampio spazio, alla luce dei problemi interpretativi cui la natura “proteiforme” dell’istituto e l’indeterminatezza della nozione di “profitto” ha dato luogo.

L’elaborato si concentrerà, infine, sulle operazioni di riorganizzazione, c.d. “vicende modificative” dell’ente, dato che la persona giuridica, a differenza della persona fisica, non conserva inalterata la propria individualità.

Seguendo le sorti delle sanzioni irrogate all’ente originario, l’esposizione darà conto della disciplina “compromissoria” predisposta dal legislatore, oscillante tra esigenze antielusive di aggiramento delle sanzioni e rischio di produrre un vulnus al principio di personalità della responsabilità penale.

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CAPITOLO I

LA RESPONSABILITÀ DELLE PERSONE GIURIDICHE

Sezione I I principi generali

1. Premessa: Alle origini della responsabilità dell’ente. Il superamento dell’ideologia “societas delinquere non potest”.

Numerose sono le ragioni dogmatiche e teoriche che autorevole dottrina1 aveva posto a fondamento del tradizionale canone “societas delinquere non potest”, in forza del quale precetti e sanzioni penali potevano essere indirizzati esclusivamente a soggetti individuali. Ostava all’affermazione di una disciplina orientata in tal senso l’incapacità di azione, di coscienza e di volontà delle persone giuridiche, l’impossibilità di poter incorrere alla pena detentiva, che era la sanzione penale per eccellenza, e l’inoperatività della funzione general- e special-preventiva della pena2. Si disconosceva all’ente l’attitudine “personale a commettere illeciti sanzionati con pena”3.

Tutte queste ragioni poggiavano su una concezione di reato come “fatto

umano”4, e trovavano terreno fertile a livello costituzionale nel principio della personalità della responsabilità penale e nel corollario della funzione rieducativa della pena; ciò costituiva un ostacolo insuperabile alla previsione di

1 ROMANO M., Societas delinquere non potest. Nel ricordo di Franco Bricola, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 1036; DE MAGLIE C., L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle persone

giuridiche, Milano, 2002, p. 303 ss. fornisce un quadro di sintesi dell’elaborazione dottrinale

sulla questione; DE SIMONE G., Persone giuridiche e responsabilità da reato. Profili storici,

dogmatici e comparatistici, Pisa, 2012, p. 381 ss. delinea il quadro storico e comparatistico

sotteso all’introduzione del d.lgs. 231/2001.

2

Per un approfondimento sull’evoluzione dottrinale in materia v. DE MAGLIE C., L’etica e il

mercato. La responsabilità penale delle società, Milano, 2002, p. 305.

3 DE VERO G., La responsabilità penale delle persone giuridiche, in Trattato di diritto penale, Milano, 2008, p. 6.

4 SCOLETTA M., La responsabilità da reato delle società: principi generali e criteri imputativi nel

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una responsabilità penale degli enti, e impediva che potesse essere avviato un dibattito serio circa l’introduzione di una tale disciplina.

Le resistenze alla punibilità delle persone giuridiche furono quindi vinte gradualmente, nel contesto delle innovazioni tecnologiche e industriali: l’avanzare della criminalità d’impresa aveva dato prova della capacità a delinquere degli enti: la loro punibilità non era più rinviabile.

1.1. L’evoluzione normativa: gli input sovranazionali.

Il modello di responsabilità degli enti, adottato nell’ordinamento italiano, è stato introdotto con il d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, intitolato “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle

società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica a norma dell’art 11 della l. 29 settembre 2000 n. 300”.

Questo complesso e articolato “microcodice” vede la sua origine nella legge n. 300/2000, che era stata approvata per la ratifica di atti internazionali elaborati in base all’art. K3 del Trattato sull’Unione Europea5. Non poche erano state le sollecitazioni e i vincoli europei che si erano susseguiti in materia e che erano rimasti per lungo tempo inascoltati, anche dopo la raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 19886.

5

Gli atti internazionali in questione erano: la Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle comunità europee stipulata a Bruxelles il 26 luglio 1995 (nonché il suo primo Protocollo stipulato a Dublino il 27 settembre 1996 e il protocollo concernente l’interpretazione in via pregiudiziale da parte della Corte di Giustizia di detta Convenzione); la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione dei funzionari delle comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea; la Convenzione OSCE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (stipulata a Parigi il 17 dicembre 1997).

6

Erano intervenute le Azioni Comuni del Consiglio dell’Unione Europea del 21 dicembre 1998 sulla punizione della partecipazione a un’organizzazione criminale negli Stati membri dell’Unione Europea, e del 22 dicembre 1998 sulla corruzione nel settore privato.

Era stata stipulata a Strasburgo (4 novembre 1998) la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale, e nel 1999 la Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione. A Bruxelles aveva preso vita la Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea e al di fuori del panorama europeo era stata stipulata la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (a Palermo il 12 dicembre 2000) e la Convenzione delle

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La Convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995, tuttavia, non imponeva agli Stati membri di introdurre nei rispettivi ordinamenti la responsabilità diretta delle persone giuridiche, ma incitava ciascuno Stato a prendere le “misure necessarie per consentire che i dirigenti delle imprese ovvero qualsiasi

persona che esercita il potere di decisione o di controllo in seno a un’impresa possono essere dichiarati penalmente responsabili per gli atti fraudolenti commessi ai danni degli interessi finanziari delle Comunità”7.

Sulla stessa linea si assestava anche la Convenzione di Bruxelles del 1997 sulla lotta alla corruzione, anch’essa limitando l’ambito di applicazione delle sue previsioni ai dirigenti dell’impresa, quindi solamente a persone fisiche.

Soltanto la Convenzione OCSE del 17 dicembre 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche ed internazionali, imponeva alle parti contraenti di introdurre nei rispettivi ordinamenti, e in conformità ai relativi principi, una forma di responsabilità delle persone giuridiche, la quale, tuttavia, non fosse necessariamente di natura penale. Era data a ciascuna Parte la facoltà di applicare sanzioni non penali ma “efficaci, proporzionate e dissuasive”: erano incluse in tale formula normativa anche le sanzioni pecuniarie, nell’ipotesi in cui un sistema giuridico non avesse tollerato l’introduzione di una responsabilità penale propria delle persone giuridiche.

La suddetta esortazione aveva una portata molto limitata, e avrebbe potuto essere accolta senza necessariamente impegnare il legislatore nazionale nella formazione del microcodice di cui al d.lgs. 231/2001.

L’adempimento agli obblighi internazionali rappresenta quindi l’occasio

legis per l’introduzione nel nostro ordinamento della responsabilità da reato

degli enti collettivi, ma sarebbe fuorviante pensare che abbia corrisposto a un obbligo derivante dall’Unione Europea, dal momento che nessuno degli

Nazioni Unite per la soppressione del finanziamento al terrorismo (a New York il 19 dicembre 1999).

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strumenti normativi ratificati dalla l. n. 300 del 2000 contemplava tale costrizione.

Bisogna concludere quindi, che al momento dell’emanazione del decreto n. 231/2001 si era già formato nell’ordinamento un ampio consenso circa la necessità di contrastare il fenomeno della criminalità d’impresa, e i tempi erano maturi per l’introduzione nel sistema di una responsabilità da reato degli enti collettivi8.

1.2. L’esperienza inglese. Dalla vicarious liability alla identification

theory.

Quando il d.lgs. 231/2001 ha determinato in Italia la rottura epocale del canone tradizionale secondo cui societas delinquere non potest, nell’ordinamento inglese il principio della punibilità degli enti collettivi era già stato accolto da più di un secolo e mezzo. I meccanismi di attribuzione della responsabilità penale alle corporation erano (e sono ancora oggi) due: il principio della c.d. vicarious liability e la dottrina dell’identificazione (identification theory).

I disastri innescati dalle innovazioni tecnologiche avevano fatto emergere in Inghilterra, già a metà del XIX secolo, una nuova forma di criminalità, quella d’impresa, caratterizzata dal fatto che il contributo del singolo alla realizzazione dell’illecito era apprezzabile solo all’interno di una ben più ampia struttura organizzativa.

Le corti inglesi avevano affermato la responsabilità della persona giuridica per la prima volta nel 1842 nella sentenza Birmingham and Gloucester

Road Railway Co., avvalendosi dell’istituto della responsabilità indiretta. La c.d.

8

Non erano peraltro mancate nel nostro ordinamento iniziative legislative che si erano confrontate con il problema dell’incriminazione diretta della persona giuridica: nel 2000 il Progetto Grosso di riforma della parte generale del codice penale già conteneva una disciplina della responsabilità da reato delle persone giuridiche. Nonostante il progetto si astenesse dal qualificare tale responsabilità, risultava significativa la collocazione di tale regolamentazione proprio all’interno del codice penale.

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vicarious liability era incentrata sull’equiparazione tra corporation e persona

fisica: una corporation, pur essendo un’ entità artificiale, non è così impalpabile e astratta da non poter essere chiamata a rispondere per i reati commessi dai suoi membri (secondo le regole della responsabilità per fatto altrui) come qualsiasi altro soggetto.

Il limite della responsabilità vicaria risiede però in questo: qualora l’illecito commesso richieda un intent, e sia doloso, l’allargamento della responsabilità non è più possibile, e la punizione dell’ente immediatamente svanisce.

Nel caso di specie la Birmingham and Gloucester Railway aveva integrato gli estremi del public nuisance9 per non aver rimosso un ponte che aveva illegittimamente eretto. Si trattava però di un reato di responsabilità oggettiva (c.d. strict liability per la quale non si impone un’indagine sull’elemento soggettivo), di evento e a forma libera, e inoltre, l’applicazione di una sanzione per un comportamento negativo, era più agevole rispetto al caso in cui si fosse dovuta attribuire alla persona giuridica una condotta positiva10.

La responsabilità penale delle persone giuridiche era sempre stata confinata a ipotesi di responsabilità oggettiva11, ma in nessun caso era stata richiesta la presenza dell’elemento soggettivo, dal momento che le corporation erano ritenute incapaci di commettere reati che richiedessero una qualche forma di mens rea.

9

Il reato di public nuisance è integrato da qualsiasi condotta, attiva o omissiva, che crea un ostacolo all’esercizio di diritti generalmente riconosciuti nei confronti di un numero indeterminato di persone.

10 La prima condanna per una condotta positiva si ebbe nel 1846 con il caso R. v. Great North of

England Railway, quando per la realizzazione di una ferrovia la compagnia ostruì una strada

pubblica. Anche in questo caso il reato contestato fu quello di public nuisance, ma alla responsabilità omissiva (liability for nonfeasance) si accompagnò la responsabilità commissiva (liability for misfeasance).

11

Una società poteva rispondere per un’azione o omissione solo quando questa integrava gli estremi del public nuisance o quando si trattava di un illecito delineato dalla regulatory

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18

È solo nei primi anni del XX secolo che la responsabilità penale delle persone giuridiche esce dai confini della strict liability e si arriva all’estensione della punibilità degli enti collettivi.

Inizia a fare ingresso, da quel momento, la dottrina dell’alter ego (principle of identification), secondo cui le azioni e i gli stati mentali di coloro che si collocano nelle posizioni apicali della gerarchia della corporation, devono considerarsi propri della persona giuridica.

Questo registra nel Regno Unito un salto epocale sul piano dei criteri di imputazione: si decide che gli stati mentali dei funzionari che avevano agito per la società, potevano essere attribuiti alla società stessa che si identificava con quei funzionari. Nel caso Tesco del 197212 è consacrato il principio dell’immedesimazione. I giudici approvarono l’obiter dictum di una sentenza civile risalente a qualche anno prima13 che dava una visione antropomorfa della

corporation: “Una company per molti aspetti può essere paragonata a un corpo umano. Ha mani con un cervello e un sistema nervoso con cui controlla cosa fa. Ha anche mani con cui afferra gli strumenti ed agisce in conformità delle direzioni impartite dal centro. Alcuni di coloro che si trovano all’interno della società sono semplici dipendenti e agenti che non sono altro che le mani che lavorano e non possono dirsi rappresentanti della mente o delle volontà. Altri sono amministratori e manager che invece rappresentano la directing mind and will della società che controlla la stessa. Lo stato mentale di questi manager è lo stato mentale della company ed è trattato dalla legge come tale”14.

La punibilità degli enti si basava sull’analogia tra persona fisica e persona giuridica: in virtù del principio dell’immedesimazione organica (principle of

identification) l’ente rispondeva dell’illecito penale realizzato dalla persona

fisica che aveva agito per conto di essa.

12 La società Tesco, proprietaria di 800 supermercati sparsi per tutta l’Inghilterra, era stata accusata di aver violato la s. 11 del Trade Description Act 1968 per aver pubblicizzato uno sconto su alcuni detersivi senza che questo fosse in seguito effettivamente praticato.

13 H L Bolton Co. Ltd v T J Graham Sons Ltd, 1957.

14LOTTINI R., La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto inglese, Milano, 2005.,

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19

Il criterio funzionava con riferimento a figure apicali dell’organizzazione d’impresa, che erano idonee a impegnare la responsabilità della company, ma risultava inadeguato ogniqualvolta si verificasse un illecito commesso da soggetti subordinati, collocati alla base della gerarchia aziendale15. C’era il rischio quindi di creare una responsabilità per fatto altrui, dal momento che la colpevolezza dell’ente derivava da quella della persona fisica.

Oggi, in virtù della vicarious liability la corporation è responsabile degli illeciti compiuti dai dipendenti che agiscono per conto di essa, e, in virtù del

principle of identification, dei reati commessi da soggetti apicali (senior o controlling officer) che si identificano con la stessa.

In entrambi i casi la responsabilità che sorge a carico dell’ente si considera diretta (direct liability o corporate liability) e non è sostitutiva ma concorre con quella della persona fisica che ha agito.

Il ricorso all’uno o l’altro criterio di imputazione dipende dal tipo di reato posto in essere: il principle of identification è utilizzato per l’imputazione delle mens rea offences, la vicarious liability per le ipotesi di strict liability, ovvero di responsabilità oggettiva, molto diffuse nell’ordinamento inglese.

2. Il modello di responsabilità degli enti delineato in Italia dal d.lgs.

231/2001: i soggetti destinatari della normativa.

Il nuovo assetto normativo, delineato dal d.lgs. 231/2001, è stato da molti considerato particolarmente complesso, ma anche dotato di una fisionomia incisiva e rigorosamente scolpita: a una “parte generale”, comprendente i principi e i criteri di attribuzione della responsabilità, seguono una “parte speciale” in progressiva espansione e un capo dedicato alla procedura di accertamento e di applicazione delle sanzioni.

15

Nel 1971 la Camera dei Lord annulla una sentenza di condanna nei confronti di una società, argomentando che l’autore del reato (direttore di una succursale) non era in posizione gerarchica sufficientemente elevata per rappresentare la mente e la volontà della società.

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20

Per quanto riguarda i soggetti destinatari della disciplina, suscettibili di rispondere dei reati commessi da persone fisiche, dall’analisi del dato normativo16 si evince che alle persone giuridiche sono espressamente equiparate le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica.

L’art 11 comma 1 della legge delega n. 300/200017 prevedeva come destinatari del nuovo assetto normativo le persone giuridiche e le società, associazioni o gli “enti” privi di personalità giuridica che non svolgevano funzioni di rilievo costituzionale. Il legislatore delegato ha voluto modificare questa formula estensiva e omettere nell’art. 1 il riferimento agli “enti” per evitare l’assoggettamento alla responsabilità da reato di entità collettive di minima rilevanza, escludendo pertanto dalla normativa i comitati18 e le imprese individuali19.

L’art. 1 comma 3 d.lgs. 231/2001, dispone che la disciplina in esso contenuta non si applica “allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti

pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”.

Gli enti esercenti un pubblico servizio come aziende ospedaliere, scuole e università, non sono inclusi nel complesso normativo perché non hanno scopo

16

Art. 1 d.lgs. 231/2001. Soggetti. 1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità

degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. 2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica. 3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

17

Art 11 l. 300/2000:“Il Governo della Repubblica e' delegato ad emanare, entro otto mesi dalla

data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale, con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi…”.

18Si deve privilegiare un’interpretazione restrittiva alla nozione di associazione: il codice civile

nel capo III, titolo II, libro I infatti distingue tra associazione non riconosciuta e comitato. A contrario l’art 41 comma I c.c. afferma che il comitato può ottenere la personalità giuridica, ma questa ultima considerazione non sembra abbastanza incisiva da scalfire la ratio e la scelta dell’art 1 comma 1 d.lgs. 231/2001.

19

Cass., VI, 3.3.2004 ha escluso, per il divieto di analogia in malam partem, che la norma potesse essere estesa fino a ricomprendere le imprese individuali, nonostante le innegabili similitudini tra ditte individuali e società a responsabilità limitata unipersonali.

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lucrativo, mentre la finalità del d.lgs. 231/2001 è quella di reprimere la criminalità economica.

Per quanto riguarda gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, essi rientrano in questa definizione; sono invece esclusi, dalla disciplina in materia di responsabilità, i partiti politici e le associazioni sindacali. L’esclusione dipende dal ruolo e dall’autonomia di cui questi ultimi godono in quanto portatori di interessi fondamentali in una società democratica.

Le questioni lasciate aperte riguardano la posizione dei gruppi di imprese e delle società miste, rispetto allo schema di responsabilità da reato costruito dal d.lgs. 231/2001.

I gruppi di imprese costituiscono una realtà sempre più diffusa nell’esperienza commercialistica e in un contesto di globalizzazione dei mercati. Il fenomeno si presenta come una concentrazione di più società, posta sotto la direzione e il controllo finanziario unificante di una società capogruppo: la c.d.

holding. Seppure le società costituenti il gruppo siano entità giuridiche distinte

e indipendenti, le loro attività sono espressione di politiche d’impresa unitarie. L’assenza di una disciplina organica circa la struttura e i profili patrimoniali del gruppo ha indotto la dottrina a escludere che il gruppo possa essere considerato un soggetto di diritto, sarebbe invece un fenomeno essenzialmente economico che si sottrae ad una puntuale tipizzazione giuridica.

Se si considera però la dimensione empirico-criminologica del gruppo non c'è dubbio che questa entità rappresenti un fenomeno di catalizzazione dei rischi penali. Nonostante il d.lgs. 231/2001 non faccia alcun cenno ai gruppi di società, non è verosimile che il legislatore abbia ignorato una tale circostanza. Bisogna ritenere che l’inerzia del legislatore sia strettamente legata alle ragioni poste alla base dell'origine del fenomeno: il gruppo viene incontro all'esigenza di un’articolazione più duttile, elastica e moderna che riesca a garantire processi decisionali tempestivi; affermare la responsabilità della capogruppo

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significherebbe contrastare quest’esigenza di flessibilità, e mettere in moto un processo contrario che porterebbe all’estinzione del fenomeno20.

Concludendo l’analisi dei soggetti destinatari del d.lgs. 231/2001, è doveroso considerare anche le società miste: enti a partecipazione privata e pubblica, cui ricorrono le amministrazioni per la gestione dei servizi pubblici locali21. Proprio in ragione del fatto che tali società vivono attraverso conferimenti sia pubblici sia privati, si ravvisano gli estremi del tradizionale modello societario delineato dall’art 2247 c.c. Nulla osta, pertanto, all’applicazione del 2 comma dell’art 1 d.lgs. 231/200122.

3. Il principio di legalità e i corollari.

La disciplina della responsabilità da reato degli enti collettivi si apre nell’art 2 d.lgs. 231/2001 con la piena affermazione del principio di legalità nelle distinte articolazioni di riserva di legge, tassatività e irretroattività.

Affermando che “l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto

costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel

20

Cass. Pen. Sez. II 9.12.2016, n. 52316 individua due condizioni in base alle quali la società capogruppo può essere chiamata a rispondere ex d.lgs. 231/2001, testualmente: “in tema di

responsabilità da reato, la società capogruppo o altre società facenti parte di un gruppo possono essere chiamate a rispondere, ai densi del D.lgs. n. 231 del 2001, del reato commesso nell’ambito dell’attività di una società controllata appartenente al medesimo gruppo, purché nella consumazione del reato presupposto concorra anche almeno una persona fisica che agisca per conto della holding stessa, non essendo sufficiente l’enunciazione di un generico riferimento al gruppo, ovvero ad un c.d. generale interesse di gruppo”. La corte richiede che nella

consumazione del reato presupposto concorra almeno una persona fisica che agisca per conto della holding, e che il reato presupposto sia stato commesso perseguendo anche l'interesse della controllante o dell'altra società del gruppo, non essendo sufficiente invocare un generico interesse di gruppo quale presupposto previsto dall'articolo 5 comma 1.

21 DE VERO G., La responsabilità penale delle persone giuridiche, Vol. IV in Trattato di diritto

penale, Milano, 2008, p. 126.

22 Si dovrebbe concludere per l’inclusione delle società miste nella categoria degli enti pubblici economici, in considerazione del fatto che anche la Relazione Ministeriale procede in questa direzione quando afferma che “la finalità di natura pubblicistica non esclude il movente

economico” e che “l'assoggettabilità degli stessi alla disciplina dello schema appare implicitamente ammessa dallo stesso legislatore delegante, nella lettera l), n. 3) del comma 1, che sembrerebbe richiamarsi proprio a tale categoria laddove, nel caso di interdizione, prevede l'esercizio vicario dell'attività se la prosecuzione di quest'ultima "è necessaria per evitare pregiudizi a terzi”.

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reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto” l’art. 2 riproduce l’art. 1 del

codice penale e prospetta una legalità che investe il duplice profilo del precetto e della sanzione. Per quanto riguarda il precetto, si afferma il principio della tipicità oggettiva: non si estende alle persone giuridiche una responsabilità da reato corrispondente alla somma delle incriminazioni previste per le persone fisiche, ma è compito del legislatore precisare, di volta in volta, quali ipotesi criminose debbano avere rilevanza ai fini della responsabilità in capo agli enti collettivi23.

L’art. 3 d.lgs. 231/200124 , al primo comma, sancisce il principio di

retroattività della norme abolitrice, sia rispetto alla disposizione che stabilisce la responsabilità sanzionatoria dell’ente, sia rispetto a quella che prevede il reato-presupposto della responsabilità stessa. Il legislatore è attento all’esigenza di selezionare l’ambito di responsabilità dell’ente non solo nel momento genetico ma anche negli stadi successivi.

Nell’ipotesi di successione modificativa, l’ art 3 comma 2 attribuisce prevalenza alla legge più favorevole25; relativamente all’abolitio criminis, invece, la responsabilità dell’ente viene meno anche in caso di depenalizzazione26.

23

DE VERO G., La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., p. 138.

24

Art. 3 prevde che “l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una

legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa dell'ente, e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti giuridici. 2. Se la legge del tempo in cui è stato commesso l'illecito e le successive sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli, salvo che sia intervenuta pronuncia irrevocabile.3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano se si tratta di leggi eccezionali o temporanee”.

25 DE VERO in La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., p. 141 riflette sul fatto che se si ritenesse che regola prevista per la successione in senso stretto riguarda soltanto le modifiche intervenute in rapporto alla legge che ricollega la responsabilità dell’ente a una preesistente fattispecie incriminatrice, le modifiche favorevoli della disciplina propriamente penale resterebbero escluse dall’operatività della norma. Chiaramente una tale interpretazione non è condivisibile; se a fondare o a escludere la responsabilità da reato dell’ente concorrono una legge penale originaria e la legge che la istituisce, le modifiche di disciplina intervenute nella prima o nella seconda dovrebbero rilevare allo stesso modo.

26 Resta affidata a successive scelte politico-legislative l’eventuale introduzione di una

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Per quanto riguarda i limiti spaziali di applicabilità delle norme, l’art 427 estende agli enti aventi la sede principale nel territorio dello stato gli artt. da 7 a 10 c.p. relativamente alla punizione dei delitti commessi all’estero.

Il richiamo agli art 7-10 va filtrato attraverso il principio di specialità: la responsabilità dell’ente dipende da un’esplicita disposizione di legge che la preveda in rapporto a un determinato reato, non può ipotizzarsi di conseguenza che l’ambito complessivo della stessa sia più ampio in relazione agli illeciti penali commessi all’estero che rispetto a quelli commessi in Italia.

27

L’art. 4 d.lgs. 231/2001 prevede che “nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10

del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione ai reati commessi all'estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto. 2. Nei casi in cui la legge prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della giustizia, si procede contro l'ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti di quest'ultimo”.

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25 Sezione II

I criteri di imputazione

1. I presupposti di imputazione della responsabilità: il principio di specialità e i reati presupposto.

L’illecito che la legge prospetta a carico dell’ente è in più disposizioni qualificato come illecito amministrativo “dipendente da reato”28, e la responsabilità amministrativa dell’ente è prospettata come “responsabilità

amministrativa in relazione ai reati”: in questi termini si esprime l’art. 2

nell’enunciazione del principio di legalità e allo stesso modo anche l’art. 21 nel precisare quando l’ente possa ritenersi responsabile in relazione a una pluralità di reati.

Questo criterio di collegamento, inteso talvolta come “dipendenza” e talvolta come “relazione”, esclude anzitutto l’equiparazione tra il concetto di “reato” e quello di “illecito” attribuito all’ente. La commissione del reato (da parte di un soggetto apicale o subordinato nella compagine organizzativa interna dell’ente) è un elemento costitutivo dell’illecito amministrativo, ma non sufficiente a determinarne l’integrazione.

La relazione che intercorre tra illecito e reato è qualificata come “presupposizione”: questo legame di presupposizione attiene al reato in sé, e non all’attribuzione del reato a una particolare persona fisica. L’attribuzione dell’illecito all’ente non comporta quindi necessariamente l’attribuzione a una persona fisica della responsabilità per un dato reato-presupposto: l’art 8, intitolato “autonomia della responsabilità dell’ente”, al comma 1 lett. a) afferma infatti che “la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore

del reato non è stato identificato o non è imputabile”. La Relazione governativa

al d.lgs. 231/2001 al paragrafo 4 chiarisce che non possa prescindersi del tutto

28 In questi termini si esprimono gli artt. 1 (comma 1), 9 (comma 1), 10 (comma 1), 20 (comma 1), 34, 39 (comma 1), 45 (comma 1), 55 (comma 1), 59 (comma 1), 61 (comma 2).

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26

dall’individuazione dell’autore del reato visto che “più forte si avvertiva

l’esigenza di sancire la responsabilità degli enti” quando “per la complessità dell’assetto organizzativo interno non sia possibile ascrivere la responsabilità penale a uno specifico soggetto e ciò nondimeno risulti accertata la commissione di un reato”.

Per l’attribuzione di responsabilità all’ente non è quindi necessario identificare il soggetto attivo del reato ma è sufficiente attestare almeno la sua appartenenza alle categorie generali di soggetti in posizione apicale oppure soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza dei primi, nell’assetto organizzativo-gestionale interno dell’ente.

L’art 8 precisa che “La responsabilità dell'ente sussiste anche quando …

b) il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia. 2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell'ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l'imputato ha rinunciato alla sua applicazione. 3. L'ente può rinunciare all'amnistia”.

Dalla disposizione si ricava quindi che l’estinzione del reato per amnistia esclude la responsabilità dell’ente, e lo stesso accade quando la persona fisica vi abbia rinunciato (art 8 comma 2). L’ente, quindi, ha la possibilità di rinunciare all’amnistia anche quando la persona fisica non lo abbia fatto. Nello stesso tempo, però, può essere ritenuto responsabile dell’illecito dipendente da quel reato, nonostante l’assoluzione della persona fisica.

Deve ritenersi che il legame che sussiste tra il reato e l’illecito a carico dell’ente sia un legame di dipendenza parziale, in forza del quale solo alcuni degli elementi che incidono sul reato incidono anche sull’illecito. Il concetto di

autonomia della responsabilità dell’ente deve quindi essere inteso come

un’eccezione, a fronte della regola della dipendenza tra reato e illecito a carico dell’ente29.

29 Cfr. BASSI A., EPIDENDIO T. E., Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure

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27

1.1. La graduale estensione dei reati presupposto.

Per perimetrare l’ambito oggettivo di responsabilità degli enti, il legislatore ha adottato un modello chiuso di responsabilità, fondato su una previa elencazione tassativa dei c.d. reati presupposto, ossia i reati idonei a impegnare la responsabilità dell’ente. La commissione di questi reati funge da primo criterio obiettivo di ascrizione della responsabilità all’ente30.

L’elencazione dei reati inseriti nella legge delega n. 300/2000 aveva una struttura complessa: all’interno di sedici autonome fattispecie erano contemplati i più rilevanti delitti d’impresa. Erano compresi nell’elenco i reati di corruzione, concussione e frode (artt. 24, 25), i reati contro l’incolumità pubblica (art. 26),i reati in materia di sicurezza sul lavoro come l’omicidio colposo e le lesioni colpose (art. 27), i reati contro l’ambiente ed il territorio (artt. 27-37)31, i reati in materia urbanistica e contro il paesaggio (artt. 38, 39) 32.

Disattendendo le indicazioni della legge delega, il legislatore delegato aveva previsto nel decreto un catalogo minimo di reati esclusivamente dolosi e, quantitativamente, attinenti principalmente ai rapporti con la pubblica amministrazione: malversazione in danno dello stato, indebita percezione di erogazioni, truffa e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico, concussione e corruzione.

30 L’art 3 in tema di successione di leggi nel tempo, completa la regola del modello chiuso, affermando che l’esclusione della responsabilità e la cessazione dell’esecuzione di condanna e degli effetti giuridici, possano conseguire non solo all’abrogazione del reato ma anche all’abrogazione della previsione di responsabilità dell’ente per quel reato, nonostante il precetto continui ad applicarsi alla persona fisica.

31 Art. 28: reati in materia di impiego dell’energia nucleare; art. 29: reati in materia di radiazioni ionizzanti; art. 30: reati in materia dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose; art. 31: reati in materia di inquinamento atmosferico; art. 32: reati in materia di pesca marittima; art. 33: reati in materia di difesa del mare; art. 34: reati in materia di tutela delle acque dall’inquinamento; art. 35: reati in materia di prevenzione e riduzione integrale dell’inquinamento; art. 36: reati in materia di utilizzazione di fanghi in agricoltura; art. 37: reati in materia di rifiuti.

32 Art. 38: reati in materia di edilizia; art 39: reati in materia di aree protette e di beni culturali e ambientali.

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28

Il d.lgs. 231/2001 aveva ridotto al minimo il catalogo originale di reati presupposto inclusi legge delega, al fine di evitare l’impatto dirompente di una legislazione che avrebbe potuto scardinare il canone storico “societas

delinquere non potest”, sconvolgendo le basi dell’ordinamento giuridico con

rischi economici e penali devastanti33.

La scelta del legislatore delegato aveva sollevato, infatti, più di un dubbio di legittimità costituzionale rispetto al principio di legalità e in particolare di riserva di legge, secondo il quale soltanto il Parlamento detiene il monopolio esclusivo nella selezione dei fatti penalmente rilevanti.

Inoltre il sistema si rilevava, nella prassi, debole e inefficace, per l’esiguità dei reati ai quali era ancorato, visto che si trattava di reati di marginale applicazione rispetto a quelli più frequentemente commessi nell’esercizio dell’attività d’impresa.

Questo modello nel lungo periodo aveva visto estendersi le sue dimensioni in maniera disorganica e causale, in dipendenza di contingenze politico-criminali, senza un disegno di riforma coerente e di ampio respiro34.

L’adempimento di obblighi europei e internazionali, in attuazione della legge n. 300 del 2000, è servito in tal senso ad ampliare il nucleo esangue di reati che in origine figurava nel d.lgs. 231/2001, e che presto si è trasformato in un contenitore di fattispecie disomogenee, rispetto alla ratio del sistema delineato dal decreto.

Il d.lgs. 231/2001 infatti, concepisce la responsabilità da reato degli enti non con riferimento ad associazioni intrinsecamente illecite e criminali ma con riferimento a imprese lecite (il cui oggetto sociale sia lecito), che incidenter

tantum cedano a manifestazioni criminose. Alcuni reati presupposto (come

quelli in materia di terrorismo, riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani, prostituzione e pornografia minorile e mutilazione di organi genitali femminili)

33 CASAROLI G., Sui criteri di imputazione della responsabilità da reato alla persona giuridica, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1-2/2018, 561.

34 DE SIMONE, La responsabilità da reato degli enti nel sistema sanzionatorio italiano: alcuni aspetti problematici, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2004, p. 658.

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pongono invece il rischio di confondere l’area della criminalità d’impresa con quella dell’impresa criminale35.

2. I soggetti idonei a impegnare la responsabilità dell’ente.

La persona giuridica è considerata dall’ordinamento come un soggetto capace di agire e di conseguenza di esercitare diritti, assumere obblighi e svolgere attività da cui trarre profitto. Nonostante ognuna di queste funzioni richieda necessariamente l’iniziativa di una persona fisica (che agisca materialmente), alla persona giuridica, in quanto soggetto capace di agire, può essere addebitato sia un agire lecito che un agire illecito. Per questa ragione, i criteri di ascrizione della responsabilità all’ente devono essere capaci di “tradurre in termini soddisfacenti l’esigenza di personalità della responsabilità stessa”36.

L’art 537 distingue espressamente due categorie di soggetti abilitati a impegnare la responsabilità dell’ente: i soggetti apicali, che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione, nella struttura organizzativa e operativa dell’ente (lett. a), e i soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza dei primi (lett. b).

Affinché un illecito commesso da una persona fisica possa fondare la responsabilità dell’ente, è necessario che il primo sia legato al secondo da un rapporto qualificato. La qualifica soggettivo funzionale è determinata, per i soggetti in posizione apicale, dall’assunzione o dallo svolgimento di fatto di

35

CASAROLI G., Sui criteri di imputazione della responsabilità da reato alla persona giuridica, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1-2/2018, 562.

36 Ibidem, 572.

37

L’art 5 dispone: “L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi”.

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30

determinate funzioni; invece, per i soggetti che si trovino in posizione subordinata, dalla sottoposizione alla direzione o alla vigilanza dei primi38.

2.1. I soggetti apicali.

Come soggetti apicali vengono in considerazione le “persone che

rivestono funzioni di rappresentanza amministrazione o direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso”39.

La funzione di rappresentanza si sostanzia nella legittimazione negoziale che un soggetto possiede in nome e nell’interesse dell’ente ad emettere o a ricevere dichiarazioni negoziali (c.d. rappresentanza attiva e passiva). Si distingue poi tra rappresentanza organica e rappresentanza c.d. volontaria: la prima deriva dalla posizione istituzionale rivestita da un soggetto nella struttura interna della societas, la seconda dalla procura a favore di un soggetto che in condizioni normali sarebbe estraneo alla compagine organizzativa.

Il fattore caratterizzante che distingue la funzione di rappresentanza da quella di amministrazione è che mentre la prima focalizza l’attenzione sulla manifestazione di volontà, la seconda è un’attività che valorizza i beni. Quando i beni da amministrare sono quelli appartenenti a un ente, “il soggetto legittimato a disporne, e abilitato ad emettere atti negoziali sui medesimi, assume la figura di amministratore”40.

38 BASSI A., EPIDENDIO T.E., Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure

cautelari. Milano, 2006, p.143.

39Dispone in tal senso l’art 5 d.lgs. 231/2001.

40 Possono essere qualificati come amministratori della società i membri del consiglio di

gestione, gli amministratori non delegati in quanto titolari di una competenza concorrente con quella degli amministratori delegati e di poteri di controllo su questi, e gli amministratori che nel contempo intrattengono con la società un rapporto di lavoro dipendente (amministratori dipendenti) nell’esercizio della posizione di amministratore possono ritenersi apici.

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31

La nozione di direzione è quella più problematica. Nel codice civile la nozione è rapportata a quella del “direttore” e a quella del “dirigente”41. Sebbene non sia tracciata sul piano legislativo una linea di confine tra l’ambito delle funzioni del dirigente o direttore e quelle dell’amministratore, secondo la giurisprudenza il fattore distintivo è l’ampiezza dei poteri: quando questi riguardino l’intera azienda assumerebbe rilievo la figura del direttore generale, quando, invece, riguardino un ramo della stessa, saremmo di fronte alla figura del dirigente, e infine, quando manchi del tutto la capacità di influenzare con le proprie azioni l’intera azienda ricorrerebbe la figura del mero impiegato con funzioni direttive (anche quest’ultimo ha un ruolo apicale se nell’esercizio della sua attività assume un potere direttivo).

La nozione di gestore è invece più comprensiva42: il concetto si riferisce a tutte le attività di amministrazione delle risorse o di direzione del personale che non trovino la propria fonte in un formale rapporto di mandato o in una qualifica formale alla quale spetterebbe l’attività di amministrazione e direzione, cioè sia nel caso in cui il gestore spenda il nome dell’interessato (c.d. gestione d’affari rappresentativa) sia nel caso in cui questo non avvenga (gestione d’affari non rappresentativa)43.

Oltre ai soggetti che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente, la legge colloca a livello apicale anche coloro i quali svolgono le medesime funzioni in una struttura decentrata dotata di autonomia finanziaria e funzionale.

Questa estensione, conformemente a quanto emerge dalla relazione ministeriale44, è fondata su dato empirico e sistematico: ovvero che le imprese

41 L’art. 2396 c.c. estende la disciplina della responsabilità degli amministratori al direttore generale facendo salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro; gli artt. 2095 e 2138 c.c. riguardano il dirigente d’impresa e l’art. 2119 c.c. parla del dirigente a proposito del licenziamento.

42 Gli artt. 2028 ss. c.c. riguardano la gestione di affari altrui; l’art 2545-sexiesdecies la gestione in casi particolari di sostituzione dell’organo amministrativo.

43 BASSI A., EPIDENDIO T.E., Enti e responsabilità da reato cit., p. 150.

44Dalla relazione al decreto si legge che questa scelta: “richiama un fenomeno ben noto, ed anzi

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di dimensioni medio grandi sono munite di organismi come i direttori di stabilimento, dotati di forte autonomia gestionale, e che simili modelli normativi sono ricorrenti anche in altri ambiti di responsabilità d’impresa, come quello della sicurezza e igiene del lavoro.

Fra i soggetti apicali il decreto include anche le persone che esercitano anche di fatto la gestione e il controllo dell’ente45. La norma richiede congiuntamente l’esercizio di fatto della gestione e del controllo: i sindaci sono quindi esclusi dal novero di soggetti interessati, dal momento che a questi spettano esclusivamente attività di controllo e di vigilanza46.

2.2. I soggetti subordinati.

L’altra categoria di soggetti che assume rilievo nell’art 5 d.lgs. 231/2001 è quella che comprende le persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza dei soggetti indicati nella lettera a).

L’esigenza di impegnare la responsabilità dell’ente anche tramite i reati commessi dai sottoposti si lega al fine politico criminale di contenimento degli illeciti commessi, e d’altra parte il collegamento con l’ulteriore requisito obiettivo dell’interesse o vantaggio assicura che siano prese in considerazione situazioni di marginalità in cui l’attività svolta dal sottoposto è sostanzialmente irrilevante per l’ente.

aziendali medio-grandi sono molto spesso dotati di una forte autonomia gestionale e sottratti al controllo delle sedi centrali. La collocazione di questi soggetti all’interno della lettera a) è suggerita, oltre che dall’osservanza del dato empirico, anche da considerazioni di natura sistematica: la figura ha da tempo trovato ingresso nel nostro ordinamento, in materia di sicurezza sul lavoro, dove pure affonda la sua ratio nella tendenziale comunione tra poteri-doveri e responsabilità. Resta peraltro fermo che nelle realtà economiche segnate da una minore complessità, la carenza di autonomia finanziaria o funzionale, consentirebbe di degradare l’unità organizzativa dalla lettera a) alla successiva lettera b)”.

45

L’espressione si riferisce esclusivamente all’ente nel suo complesso (e non invece a singole unità dotate di autonomia funzionale) e sembra richiedere congiuntamente l’esercizio di fatto sia della gestione che del controllo.

46

La norma generale è in linea con la previsione speciale dell’art. 25-ter in materia di reati societari che indica come soggetti attivi dei reati i soli amministratori, direttori generale e liquidatori, escludendo quindi i sindaci.

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Il criterio di selezione della norma è duplice: si richiede che i sottoposti siano soggetti controllati e vigilati ma anche che il controllo e la vigilanza siano esercitati dai soggetti apicali.

Una questione dibattuta riguarda l’inclusione nel nucleo della categoria dei sottoposti, dei soli prestatori di lavoro subordinato che siano inseriti con continuità nella compagine dell’ente oppure anche dei collaboratori esterni che abbiano ricevuto un incarico relativamente a singoli affari, come nel caso della consulenza, e che prestino la loro attività sottoposti alla direzione o vigilanza degli intranei.

La dottrina maggioritaria propende a favore di quest’ultima interpretazione estensiva. Letteralmente la norma pone l’accento sulla soggezione ad un controllo e sull’assenza di un’autonomia di azione da parte di questi soggetti. Rispetto a soggetti indipendenti quali agenti o concessionari, sarà difficile individuare il grado di sottoposizione sufficiente a ravvisare la posizione subordinata richiesta: in questo senso l’interpretazione restrittiva risponderebbe a esigenze di certezza.

La prassi giurisprudenziale, tuttavia, sembra allinearsi alle interpretazioni dottrinali, e anche all’interno dei modelli organizzativi elaborati dagli enti, i lavoratori autonomi come considerati soggetti rispetto ai quali occorre farsi carico del rischio della realizzazione di reati.

3. La nozione di interesse e vantaggio: contrasti interpretativi circa l’alternatività dei due criteri.

Il secondo presupposto di imputazione della responsabilità all’ente, attiene alla necessità che il reato sia in concreto commesso “nell’interesse o a vantaggio” dell’ente, in modo che sia effettivamente impegnato “l’ambito

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