• Non ci sono risultati.

Le singole sanzioni interdittive L ’interdizione dall’esercizio dell’attività

Sezione II: Le sanzioni interdittive

2. Le singole sanzioni interdittive L ’interdizione dall’esercizio dell’attività

L’interdizione dall’esercizio dell’attività è la più grave tra le sanzioni interdittive275: essa preclude in toto la possibilità di svolgere l’attività economica nell’ambito della quale si è consumato il fatto di reato e ai sensi dell’art. 14, comma 2, comporta la sospensione e la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali allo svolgimento dell’attività stessa. Il principio di residualità per cui “l’interdizione dall’esercizio dell’attività si applica soltanto

quando l’irrogazione di altre sanzioni interdittive risulta inadeguata”276, conferma la drasticità della misura.

275

L’interdizione dall’esercizio dell’attività è contemplata dall’art. 9 comma 2 lett. a) d.lgs. 231/2001 e nella legge delega all’art. 11, comma 1, lett. l).

159

A norma dell’art. 16, comma 1, la misura è disposta in via definitiva nel caso in cui l’ente abbia conseguito dal reato un profitto di rilevante entità e sia già stato condannato tre volte negli ultimi sette anni alla sanzione dell’interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività.

L’interdizione definitiva, invece, è sempre disposta nei confronti dell’ente ontologicamente illecito, ossia l’ente stabilmente utilizzato al solo scopo di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la responsabilità amministrativa (art. 16, comma 3).

L’art. 15 comma 1 prevede una particolare ipotesi di sostituzione della misura nel caso in cui debba essere applicata nei confronti di un “ente che

svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività”. In tal caso il giudice

disporrà la prosecuzione dell’attività dell’ente da parte di un commissario, salvo che la sanzione sia disposta in via definitiva (art. 15, comma 5)277.

2.1. La sospensione o revoca dalle autorizzazioni, licenze o concessioni.

La sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni278 non è una misura che ha portata generale, bensì presenta un ambito di applicazione limitato ai provvedimenti autorizzativi “funzionali alla commissione

dell’illecito” e quindi strettamente inerenti al settore di attività nell’ambito del

quale è stato consumato il reato presupposto279.

277 Il legislatore delegante aveva contemplato la specifica ipotesi di prosecuzione dell’attività

soltanto in relazione all’interdizione dall’esercizio dell’attività, richiedendo “l’eventuale nomina

di altro soggetto per l’esercizio vicario della medesima quando la prosecuzione dell’attività è necessaria per evitare pregiudizio ai terzi”, nell’art. 11, comma 1, lett. l), n.3; l’art. 15 invece

contempla tale misura con riferimento generico a tutte le sanzioni interdittive la cui applicazione comporti l’interruzione dell’attività dell’ente.

278

La sospensione o revoca dalle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito è prevista dall’art. 9, comma 2, lett. b) del d.lgs. 231/2001 e indicata nell’art. 11, comma 1, lett. l), n. 2 della legge delega.

279

La disposizione è in linea con il criterio generale sancito dall’art. 14, comma 1 secondo il quale le sanzioni interdittive devono colpire la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente, in ottemperanza ai principi di economicità e di proporzionalità

160

Tale sanzione delegittima l’ente dallo svolgimento di quella specifica attività: ciò significa che non inibisce direttamente lo svolgimento della stessa, ma interviene a monte facendo venir meno l’atto amministrativo richiesto per tale esercizio. L’art. 14, comma 2, amplia la sfera di applicabilità della misura, prevedendo che l’interdizione dall’esercizio dell’attività “comporta la

sospensione ovvero la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali allo svolgimento dell’attività”.

La misura è applicabile anche agli enti a soggettività privata che esercitino un servizio pubblico in virtù di una concessione o di un altro atto amministrativo di natura autorizzativa.

Per il pregiudizio che l’inibizione dello svolgimento di un servizio pubblico causerebbe alla collettività, l’art. 15, comma 1, lett. a) ha previsto la possibilità che, in luogo di una sanzione interdittiva, il giudice disponga la prosecuzione dell’attività dell’ente da parte di un commissario giudiziale.

2.2. Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione.

Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione280 è una sanzione interdittiva omologa alla pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione prevista dall’art. 32-ter c.p281.

Scopo della sanzione è quello di precludere all’ente la stipulazione dei contratti di appalto o di fornitura con la pubblica amministrazione. Anche l’art. 9 comma 2, lett. c), come l’art. 32-ter c.p. contiene la clausola di riserva “salvo

che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio”, al fine di non impedire

all’ente la possibilità di stipulare con la pubblica amministrazione i contratti

280 Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione è previsto all’art. 9, comma, lett. c), e indicato nell’art. 11, comma 1, lett. l), n. 4 della legge delega n. 300/2000.

281 La suddetta pena è disposta per le persone fisiche, per i reati indicati all’art. 32-quater c.p. se commessi “in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad

essa” e per altre fattispecie criminose contenute in leggi speciali, in materia di tutela delle

acque dall’inquinamento, uso di informazioni riservate nelle operazioni di valori mobiliari, delitti tributari.

161

necessari ad ottenere prestazioni di pubblici servizi, dato che ciò sarebbe stato irragionevolmente vessatorio.

Ai sensi dell’art. 14, comma 2, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione può anche essere limitato a determinati tipi di contratto e a determinate amministrazioni.

La sanzione può essere applicata anche in via definitiva, nel caso in cui l’ente sia già stato condannato alla stessa per almeno tre volte negli ultimi sette anni (art. 16, comma 2).

2.3. L’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli concessi.

La formulazione dell’art. 9 comma 2, lett. d), “esclusione da

agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e eventuale revoca di quelli già concessi”282 sembra prospettare un duplice contenuto sanzionatorio e la necessità di dare un senso diverso alle espressioni di “esclusione dei futuri finanziamenti o agevolazioni” e “eventuale revoca di quelli concessi”.

In realtà, la sanzione dell’esclusione opera come una forma di incapacità temporanea a beneficiare di tali contributi, dato che sarebbe illogico che nel periodo di interdizione la persona giuridica potesse ricevere i finanziamenti, i sussidi o le agevolazioni già deliberate in passato. Per evitare tale evenienza, è stata prevista “l’eventuale revoca” dei benefici già concessi, come sanzione aggiuntiva o di completamento del provvedimento principale di esclusione283.

Si tratta, quindi, di una fattispecie sanzionatoria complessa e unitaria: la revoca non rappresenta una sanzione ulteriore la cui applicazione sia demandata alla discrezionalità del giudice, bensì è disposta laddove pregressi finanziamenti siano già stati eventualmente concessi.

282 La sanzione è contemplata dall’art. 9, comma 2, lett. d), e indicata nell’art. 11, comma 1, lett. f), n. 5, della legge delega n. 300/2000.

283Sul punto FIDELBO G., Le misure cautelari, in Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs.

162

Escludere l’ente dalla fruizione di benefici importanti significa limitare in maniera consistente la sua capacità operativa. La sanzione si caratterizza quindi per il suo marcato aspetto punitivo, ma presenta anche una finalità preventiva rispetto alla commissione di quei reati che hanno ad oggetto il conseguimento indebito di erogazioni o finanziamenti pubblici, quali ad esempio quelli contenuti nell’art. 640, comma 2, n. 1, e 640-bis c.p.284.

La sanzione non è suscettibile di applicazione in via definitiva285.

2.4. Il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Il divieto di pubblicizzare beni o servizi, è una sanzione apparentemente meno incisiva rispetto alle altre sanzioni interdittive e costituisce una novità nel panorama sanzionatorio amministrativo286.

La misura colpisce aspetti cruciali dell’attività d’impresa, ossia la promozione, la divulgazione del prodotto e il marketing, fattori che incidono notevolmente sul profitto d’impresa, bene fondamentale di ogni organizzazione complessa.

Nel caso in cui l’ente sia già stato condannato alla medesima sanzione per almeno tre volte negli ultimi sette anni, la sanzione può essere applicata anche in via definitiva, ai sensi dell’art. 16, comma 2 d.lgs. 231/2001.

284

L’art. 640, intitolato “Truffa”, al comma 2 dispone che “la pena è della reclusione da uno a

cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549: 1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare”; l’art.

640-bis, intitolato “Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”, dispone che “la pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui all'articolo 640

riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee”.

285L’art. 16 non include la misura della “esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o

sussidi, ed eventuale revoca di quelli già concessi” nel novero di sanzioni interdittive applicate in

via definitiva ex art. 16 d.lgs. 231/2001.

286 La sanzione del divieto di pubblicizzare beni o servizi è contemplata nell’art. 9, comma 2, lett. e), e nell’art. 11, comma 1, lett. l) n. 6 l. n. 300/2000.

163

3. I presupposti applicativi. La valorizzazione dell’elemento soggettivo dell’illecito.

L’applicabilità delle pene interdittive è limitata ai soli reati per i quali tale conseguenza sanzionatoria sia specificamente prevista.

Il legislatore delegante, all’art. 11, comma 1, lett. l) l. n. 300/2000, richiedeva che le sanzioni interdittive fossero previste soltanto “nei casi di

particolare gravità”. Tale generica formulazione è stata integrata dal legislatore

delegato dalle condizioni previste all’art. 13, comma 2 lett. a) e b) d.lgs. 231/2001 per l’applicazione delle sanzioni interdittive287.

La prima condizione sussiste quando “l’ente ha tratto un profitto di

rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative”.

Affinché sia integrata questa prima condizione, occorre la presenza concorrente di più requisiti. Sotto il profilo soggettivo il reato deve essere stato commesso da soggetti che rivestono posizioni apicali288, oppure da soggetti subordinati, con l’ulteriore requisito, in quest’ultimo caso, della sussistenza di “gravi carenze organizzative” dell’ente, alle quali sia riconducibile la realizzazione del fatto criminoso.

Sotto il profilo oggettivo occorre, invece, che il profitto conseguito a seguito della commissione del reato sia “di rilevante entità”.

Il legislatore ha valorizzato la componente soggettiva dell’illecito, cioè la rimproverabilità dell’ente per l’infrazione commessa.

287

L’assenza di una qualsiasi di queste condizioni impedirà l’applicazione di qualsiasi sanzione interdittiva, anche se la stessa fosse prevista in astratto per quel determinato reato da cui dipende l’illecito attribuito all’ente.

288 Cioè le persone indicate nell’art. 5 comma 1 lett. a): “persone che rivestono funzioni di

rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso”.

164

Ciò che si rimprovera all’ente, secondo il canone dettato dal d.lgs. 231/2001, non è l’impedimento del fatto di reato da parte della persona fisica inteso come “concreta realizzazione della condotta tipica”, bensì il fatto di non aver conformato la propria struttura alle esigenze di prevenzione dettate dal nuovo corpus normativo289. L’ente non è stato in grado di prevenire le situazioni prodromiche alla commissione di uno dei reati presupposto previsti dal d.lgs. 231/2001, perché non ha assoggettato a procedure rigorose, tracciabili e controllabili tutte le fasi dell’attività in cui era presente il rischio di reato.

La realizzazione del fatto di reato, da parte del soggetto apicale, esprime il massimo grado di adesione dell’ente al fatto e giustifica l’interdizione, cioè la reazione sanzionatoria più severa tra quelle previste dal d.lgs. 231/2001.

In relazione ad un reato commesso da un soggetto dipendente, invece, l’applicazione della stessa misura può essere giustificata solo qualora il fatto sia stato determinato o agevolato da gravi carenze organizzative.

I deficit dei modelli organizzativi sono qualificati dal legislatore come “gravi”, per far intendere che è necessaria una colpa grave nell’organizzazione dell’ente.

Con il termine “determinato” invece si vuole indicare la causazione diretta del reato da parte della carenza organizzativa, anche se nella prassi è difficile che questa sia direttamente produttiva del reato, ed è più frequente che si tratti di una condizione non impeditiva del reato, bensì causalmente efficiente.

3.1. La nozione di “profitto di rilevante entità”.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 lett. a), il presupposto oggettivo per l’applicazione delle sanzioni interdittive è che l’ente abbia tratto dal reato “un

profitto di rilevante entità”.

289 MUCCIARELLI F., Le sanzioni interdittive temporanee nel d.lgs. 231/2001, in Studi in onore di

165

Considerando che le attività cui le sanzioni interdittive si riferiscono sono attività in sé intrinsecamente lecite, il termine “profitto” deve intendersi, dal punto di vista dell’applicazione di sanzioni interdittive, come margine di guadagno derivante all’ente dal fatto di reato commesso, e non come ricavo complessivo.

Nel caso dell’aggiudicazione di un contratto di fornitura a un ente pubblico, ottenuto attraverso la corruzione dei pubblici ufficiali componenti della commissione aggiudicatrice, l’attività svolta dall’ente per eseguire il contratto non sarà un’attività illecita e vietata in assoluto dall’ordinamento.

Quanto all’estensione del concetto di “profitto”, ci si è chiesti se la nozione fosse idonea a ricomprendere al suo interno anche componenti immateriali, quali il conseguimento di una posizione di vantaggio competitivo sul mercato o la prospettiva di ottenere contratti ulteriori.

I vantaggi immateriali sono conseguenze indirette della condotta illecita che non si riverberano direttamente sul patrimonio dell’ente e per tale ragione, non possono rappresentare profitto confiscabile, perché ciò sarebbe in contrasto con il nesso di pertinenzialità che deve avvincere tali beni al reato.

Tuttavia, quando l’entità del profitto funge da parametro per apprezzare la gravità del fatto, la situazione è notevolmente differente.

Nel caso di accordo corruttivo cui segua l’acquisizione per l’ente di un’importante commessa per la fornitura di beni e servizi necessari per l’erogazione di un servizio pubblico, è difficile ritenere che il profitto derivante all’ente dal reato sia limitato all’utile netto rappresentato dalla differenza tra i costi sostenuti per eseguire la fornitura e il compenso pattuito.

L’ente, dall’aggiudicazione della gara ricaverà una posizione di vantaggio sul mercato rispetto ai concorrenti, “ma anche la prospettiva pressoché certa di

ottenere contratti ulteriori per la manutenzione o le riparazioni dei beni forniti”290. In alcuni casi la corruzione stessa potrebbe essere giustificata non

290 MUCCIARELLI F., Le sanzioni interdittive temporanee nel d.lgs. 231/2001, in Studi in onore di

166

tanto dall’utile derivante dal contratto illecitamente stipulato, ma dai vantaggi e dalle utilità derivanti dalla posizione conseguita.

Nella valutazione dell’entità del profitto ai fini dell’applicazione delle sanzioni interdittive, quindi, nessun indice di tipo sistematico o letterale impedisce di ricomprendere in tale entità anche utilità immateriali.

L’espressione “rilevante” è una formula è indefinita.

Da una parte si riconosce l’impossibilità di fissare ex ante un riferimento quantitativo certo in termini assoluti o percentuali, dall’altra, è pressante l’esigenza di rigidità delle formule normative utilizzate soprattutto in ambito sanzionatorio. Affidando all’interprete il compito di precisarne il contenuto, si ritiene che il profitto di rilevante entità non sia necessariamente un profitto che è possibile tradurre nell’utile netto derivante dall’attività: esso può tradursi anche in componenti immateriali o prospettiche, come l’acquisizione di una posizione di vantaggio sul mercato.

Di conseguenza il giudice, per valutare la rilevanza del profitto dal punto di vista dell’art. 13 comma 1 lett. a), dovrà considerare anche questi profili, nonostante essi “prescindono da un coefficiente schiettamente quantitativo”291.

3.2. La reiterazione degli illeciti.

La seconda condizione, indicata all’art. 13 comma 1 lett b) come alternativamente sufficiente a consentire l’applicazione della sanzione interdittive riguarda il “caso di reiterazione degli illeciti”.

Per tale condizione non sussistono dubbi interpretativi, in quanto la definizione di “reiterazione” è interamente descritta dall’art. 20 del d.lgs. 231/2001292 secondo il quale “si ha reiterazione quando l'ente, già condannato

291MUCCIARELLI F., Le sanzioni interdittive temporanee nel d.lgs. 231/2001, in Studi in onore di

Giorgio Marinucci, Milano, 2006, p. 2512.

292Dall’art. 20, intitolato “Reiterazione” si deduce che non si ha reiterazione quando il nuovo illecito è commesso prima che sia intervenuta la condanna o dopo la condanna, ma prima che

167

in via definitiva almeno una volta per un illecito dipendente da reato, ne commette un altro nei cinque anni successivi alla condanna definitiva”.

Il riferimento alla condanna “in via definitiva” richiama esclusivamente la sentenza irrevocabile: è irrilevante la tipologia di reato-presupposto per il quale l’ente è stato condannato o che nella precedente sentenza di condanna siano state irrogate sanzioni interdittive o di altro genere.

Il legislatore, da una parte, pretende certezza circa la commissione del primo illecito, dall’altra, affinché possa ritenersi significativa l’insensibilità dell’ente alle sole sanzioni pecuniarie, richiede una certa vicinanza temporale del nuovo illecito293.

La ratio della previsione si sostanzia in un giudizio di riprovevolezza: la reiterazione può essere indice della propensione dell’ente a conseguire profitti illeciti, dell’inefficacia delle sole sanzioni pecuniarie o della presenza di insanabili disfunzioni nella sua struttura interna 294. La persistente colpa di organizzazione fa sì che il grado di responsabilità dell’ente presenti caratteri di maggiore gravità e giustifichi l’applicazione di misure interdittive.