I contenuti delle Politiche di ricerca e innovazione. Errori da evitare, esperienze di successo
VI.3 Il razionale dell’intervento pubblico
La Tavola seguente sintetizza, in modo estremamente semplificato, le diverse fasi e le relative caratteristiche di rischio ed incertezza in cui avviene il reperimento delle fonti finanziarie nelle diverse fasi di sviluppo dell’impresa innovativa. Le righe riportano le fasi del ciclo di vita di un’impresa innovativa: seed (fase di idea e prototipazione), start up (avvio delle attività produttive), early-growth (fase di prima crescita), growth (fase di crescita sostenuta).
Le colonne riportano le due variabili incertezza (che per investimenti innovativi è sia tecnologica che di mercato) e fabbisogni finanziari, che rappresentano le dimensioni fondamentali per analizzare la problematica che si sta trattando. Si intende per incertezza tecnologica quella legata alla possibilità di risolvere i problemi tecnologici fondamentali per addivenire allo sviluppo del prodotto/processo/servizio e per incertezza di mercato quella relativa al successo con cui il mercato accoglierà l’innovazione.
La Tavola VI.1 indica che lungo il ciclo di vita dell’impresa l’incertezza ha andamento decrescente mentre il fabbisogno finanziario ha andamento parabolico.
Tavola VI.1: Grado di incertezza ed entità del fabbisogno finanziario nel ciclo di vita delle startup
Incertezza (tech + mkt) Fabbisogni finanziari Fonti Seed ++++ + Public Business Angels Incubators Start-up +++ +++ VC Early-growth ++ ++++ VC Banks Growth - ++ Banks Private Equity Funds Fonte: Calderini (2008).
Nella fase seed l’incertezza raggiunge il suo punto massimo, per la presenza congiunta di incertezza tecnologica e di mercato ma il fabbisogno finanziario è molto basso perché, trattandosi di una fase pre-prototipale o prototipale, non sono ancora necessari investimenti fissi elevati in attività quali la produzione, marketing, distribuzione.
La fase di start up, dal punto di vista del finanziamento è quella più critica, in quanto sia l’incertezza che il fabbisogno finanziario sono molto elevati.
Nella fase di crescita iniziale, early-growth, l’incertezza diminuisce rapidamente a fronte di un fabbisogno finanziario ancora molto elevato. La fase growth, ossia di crescita sostenuta, è caratterizzata da un’incertezza molto bassa accompagnata da un fabbisogno finanziario che
si attesta nuovamente su valori bassi, in considerazione del presumibile aumento delle fonti di autofinanziamento.
Da questi andamenti si evince ancora che:
nella fase seed l’incertezza è talmente alta che possono essere interessati soltanto tre soggetti: il sistema pubblico (ad esempio art. 11 decreto 593/2000, finanziamenti a fondo perduto, oppure il sistema delle Camere di Commercio con i c.d. Fondi rotativi per le nuove imprese innovative25), gli incubatori oppure i business angel, che hanno un costo opportunità del denaro molto basso. La dimensione molto ridotta degli investimenti in questa fase scoraggia i venture capitalist che dovrebbero affrontare costi fissi sproporzionati rispetto alla dimensione degli investimenti necessari ed un rischio incompatibile con le loro strategie di portafoglio;
tra la fase seed e la fase di start up si comincia a configurare la possibilità per investitori early stage privati di apportare risorse alle imprese nelle primissime fasi di crescita.
nella fase di start up, poiché incertezza e fabbisogno finanziario sono al massimo livello, l’intersezione tra offerta e domanda di capitale di rischio è molto difficile. Le istituzioni finanziarie tradizionali tendono a sottrarsi all’investimento, ragione per cui trovano spazio istituzioni finanziarie altamente specializzate, quali i venture capitalist. Questi affrontano i problemi posti dalla particolare fase di sviluppo delle imprese attraverso la diversificazione degli investimenti, la specializzazione settoriale, la qualità del management e l’accompagnamento manageriale all’imprenditore. Date le caratteristiche del portafoglio dei venture capitalist, questi tendono a disinvestire prima dell’inizio della fase di maturità dell’impresa. Come vedremo, ciò rappresenta un fallimento di mercato di un certo rilievo.
nella fasi di crescita sostenuta e di maturità, aumenta la presenza degli investitori tradizionali, private equity e banche.
La questione rilevante è quindi in quali fasi ed in quali modalità il finanziamento pubblico possa contribuire a correggere eventuali imperfezioni del mercato ed a migliorare l’apporto finanziario alle imprese innovative. In generale, come detto, nella precedente fase di programmazione si è teso ad individuare nella fase di seed e di start up i principali momenti in cui il capitale pubblico poteva contribuire in modo significativo alla crescita virtuosa dell’impresa. Lo spazio di intervento si è quindi molto esteso fino ad includere le fasi di sviluppo tipicamente oggetto di operazioni di venture capital. Su questo punto è necessaria una riflessione. L’intervento pubblico diretto nei venture capital, direttamente nelle SGR ovvero nei fondi da queste gestite, è stato giustificato dalla presunta assenza di operatori qualificati su scala locale (regionale o nazionale). L’impostazione è discutibile su due piani. In primo luogo, si è assistito anche nel nostro paese alla nascita di iniziative spontanee di natura privata, certamente non numerosissime ma più che sufficienti a coprire la domanda generate dal sistema nazionale o dal sistema regionale di innovazione. Questa affermazione è certamente più forte per il Centro-Nord che per il Mezzogiorno del paese: ma è opportuno chiedersi se l’assenza di operatori privati nel Sud dipenda da fattori strutturali o dalla scarsità del deal flow di operazioni di una certa consistenza.
In secondo luogo, la necessità di disporre di operatori locali per operazioni di scala medio grande è fortemente discutibile. Non vi è infatti alcuna ragione per pensare che la prossimità geografica rappresenti un fattore di favore per l’investimento, così come non vi è alcuna ragione forte per ritenere che un operatore internazionale abbia minor interesse o convenienza ad investire in una promettente start up italiani di quanto non ne abbia un operatore locale. Anche in questo caso l’affermazione potrebbe essere attenuata per il Sud, anche se, di nuovo,
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Si tratta di uno strumento sperimentato per la prima volta con successo a Pisa nel 2004 e ora adottato anche a Vicenza, Ferrara, Reggio Calabria e Lodi, con progetti in corso di studio di fattibilità anche a Prato, Lucca e altri territori provinciali.
non sono mancate politiche di attrazione di investitori internazionali e le ragioni dello scarso interesse non hanno presumibilmente a che fare con lo scarso radicamento locale ma con la bassa qualità delle opportunità.
Al contrario vi sono ragioni strutturali, che riguardano sia operatori nazionali sia internazionali, che possono limitare la disponibilità all’investimento in start up innovative. In particolare, è necessario porre attenzione al problema del disinvestimento o della cosiddetta
exit option. In presenza di costi di disinvestimento troppo elevati ovvero di assenza di exit option l’investimento degli operatori specializzati potrebbe essere limitato ben sotto i livelli
che sarebbero socialmente auspicabili. La mancanza di exit option o la presenza di elevati costi di disinvestimento è spiegata da numerosi fattori, tra cui certamente l’assenza di mercati finanziari sviluppati, un capitalismo ancora immaturo e prevalentemente familiare, un assetto normativo relativo alle procedure fallimentari ancora estremamente complesso.
Su quest’ultimo specifico punto, vale ricordare l’esempio della Francia, in cui si è sviluppato il modello JEI (Jeune Enterprise Innovante) per le nuove imprese ad alta tecnologia, alle quali è data la possibilità di avere contabilità semplificata, agevolazioni fiscali e procedure agevolate in caso di fallimento.
Su questi aspetti strutturali, per ciò che riguarda il venture capital in senso stretto, sarebbe opportuno venisse concentrata l’attenzione del sistema pubblico. Insieme, naturalmente, alla generazione di un sistema di opportunità e di deal flow sufficientemente ricco da attrarre gli operatori privati specializzati, come detto abbondantemente presenti su scala nazionale ed internazionale.
Al contrario, muovendo a ritroso verso le fasi seed ed early stage del finanziamento, il ruolo dell’investitore pubblico ritorna ad essere non solo giustificabile ma anche auspicabile. L’analisi svolta più sopra, pur estremamente semplificata, dimostra l’esistenza di un transitorio nel percorso di crescita dell’impresa innovativa cui il solo mercato non riesce a fornire l’assistenza necessaria. È in questa fase che non solo la finanza pubblica ma anche la dimensione locale può tornare ad assumere rilievo.
Per ciò che riguarda la dimensione spaziale e geografica dell’intervento, l’esperienza del nostro paese negli ultimi anni contiene alcuni insegnamenti di una certa importanza. In particolare, due sono gli insegnamenti che si possono trarre dalle esperienze regionali. In primo luogo, le regioni che hanno intrapreso percorsi di creazione autonoma di finanza locale,
venture capital, seed o early stage, si sono scontrare con la difficoltà di trovare il giusto
equilibrio tra regionalità e redditività del fondo di venture capital. Ciò significa che da un lato la finanza regionale richiede un impiego esclusivo o privilegiato dei capitali all’interno dei confini amministrativi della regione (ovvero talvolta di settori industriali all’interno della regione), mentre la gestione puramente redditiva del fondo richiederebbe di estendere gli obiettivi e gli investimenti del fondo a confini ben più ampi di quelli regionali. La coesistenza tra queste esigenze si è talvolta tradotta in tensioni tra dimensione politica e gestionale non sempre facilmente risolvibile. Per questa ragione, si è recentemente teso ad auspicare la nascita di iniziative pluri-regionali che consentano un portafoglio di investimenti sostenibile sul piano della redditività salvaguardando le istanze politiche che hanno dato il via alle iniziative stesse. Vi è inoltre da considerare che la finanza e l’assetto politico delle singole regione non sempre è in grado la stabilità richiesta dalle iniziative di venture capital.
La seconda questione deriva dall’opportunità, particolarmente rilevante su scala regionale, di mantenere distinta la dimensione politica da quella operativa del fondo. Date le caratteristiche dei nostri sistemi locali, è opinione di molti che l’unico modo per mantenere un sufficiente grado di separatezza tra politica e decisione finale di investimento è quella di limitare la presenza del sistema pubblico alle iniziative cosiddette di fondi di fondi, astenendosi al contrario dalla partecipazione diretta ai fondi di venture capital. Limitando la presenza alle iniziative di fondi di fondi si potrebbero infatti accompagnare le grandi scelte di
politica industriale e dell’innovazione di scala regionale, astenendosi al contrario dal entrare direttamente nel merito delle scelte di investimento dei singoli fondi.
In una parola, le esperienze della prossima programmazione dovrebbero essere ispirate, a nostro parere, dai seguenti principi base: privilegio alle fasi seed ed early stage, scala efficiente (multiregionalità), distanza dalle decisioni finali di investimento (Fondo di fondi).