Quale apporto allo studio del razzismo, nelle accezioni con cui è stato declinato dagli studi recenti - razzismo “scientifico” e razzismo coloniale - può giungere da una ricerca su testi di medicina tropicale?
Esaminando tali fonti è possibile, in primo luogo, chiarire quanto la disciplina medica si sia basata su teorizzazioni scientifiche della razza e abbia fatto uso di concezioni elaborate da antropologia fisica, darwinismo sociale, eugenetica, facendo luce in modo complessivo sul rapporto tra scienze sanitarie e linguaggi dominanti (positivismo, antropologia della razza). Alcune figure di primo piano per lo sviluppo della scienza coloniale possano infatti considerarsi parte integrante del movimento eugenista: Umberto Gabbi, docente di clinica medica a Messina, e successivamente di patologia tropicale a Roma, è fondatore nel 1920, insieme a Rinaldo Pellegrini e Edoardo Maragliano, della rivista «Archivio fascista di medicina politica»29; Edoardo Zavattari, direttore dell’Istituto di Zoologia dell’Università di Roma e della «Rivista di biologia coloniale», è assiduo collaboratore di «Razza e Civiltà» e della «Difesa della razza»30. Piegati alle retoriche della propaganda di regime sono poi gli scritti di Giorgio Alberto Chiurco, medico e pubblicista del regime, laureatosi a Siena in medicina e chirurgia e divenuto prefetto nel 1943, autore, nel 1940, del volume La sanità delle
razze nell’Impero italiano31.
È altrettanto possibile individuare in questa produzione scientifica, stereotipi e credenze circolanti nell’intero retroterra culturale italiano, osservare dunque la medicina coloniale non solo come luogo di produzione di teorie biologiche della differenza ma come luogo in cui si sedimentano costruzioni retoriche connesse alle elaborazioni culturali del discorso pubblico e di altri campi del sapere. Questo nella convinzione che il sapere scientifico costituisca sì un ambito di formazione e consolidamento di discorsi razziali ma senza presupporre che tali
28 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2009, pp. 221-257. 29 Per la figura di Umberto Gabbi si rimanda al capitolo V.
30 Su Edoardo Zavattari (1883-1972) cfr. F. Cassata, Molti, sani, cit., pp. 247-252.
31 Su Giorgio Alberto Chiurco (1895-1975), cfr. S. Duranti, Un medico al servizio della campagna razziale. Giorgio Alberto Chiurco, in «Italia contemporanea», 2000, pp. 249-262. Durante la RSI Chiurco scriverà una Storia della rivoluzione fascista in quattro volumi.
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elaborazioni debbano necessariamente assumere le forme immediatamente evidenti di un atto di biologizzazione della realtà. La gerarchizzazione tra i gruppi umani passa a volte per processi meno manifesti, ma altrettanto profondi, di naturalizzazione del sociale, che si nutrono di prassi e concezioni che apparentemente nulla hanno a che fare con il termine “razza”.
Un esempio può contribuire a chiarire quest’impostazione che ha il merito di porre il problema del razzismo italiano in termini di “razzismo diffuso”32.
Laureatosi in medicina presso l’Università di Padova, e divenuto deputato nel 1909 e senatore del regno nel 1929, Luigi Messedaglia giustifica così il ricorso, al fine di esaminare le condizioni sanitarie della Libia appena conquistata, all’opera edita quasi cento anni prima del medico e viaggiatore Paolo Della Cella:
è notissimo che, contesa gelosamente dai turchi all’accesso degli Europei, la Libia, per ragioni varie, è rimasta immobile, semibarbara, chiusa alle correnti moderne. Nulla di più naturale che la sua patologia, che la sua igiene, siano rimaste in sostanza quelle di un secolo fa. E poi [...] si sa così poco anche oggi sulle condizioni sanitarie della nostra nuova colonia che le scarse sì ma serie notizie di Della Cella acquistano singolare valore33.
In virtù dell’immobilismo delle popolazioni arabe il medico veneto Luigi Messedaglia instaura un continuo parallelo tra l’opera del 1819, Viaggio da Tripoli di Barberia alle
frontiere occidentali dell’Egitto34, e autori della tradizione classica quali Sallustio ed Erodoto:
«in fondo ben poco è mutato fra certe popolazioni delle campagne, dell’Africa latina, dai tempi di Giugurta in poi. Le stesse abitudini, gli stessi gusti, le stesse condizioni di vita sociale»35. Per ragioni simili il volume di Della Cella verrà pubblicato nel 1912 in appendice a gli «Annali di medicina navale e coloniale», rivista in quegli anni impegnata a documentare l’attività del servizio sanitario militare durante la guerra italo-turca e lo stato sanitario dei territori appena conquistati36.
32 Per tale impostazione si veda N. Labanca, Oltremare, cit., pp. 219-221; Id., Il razzismo coloniale, cit.; A.
Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, Il Mulino, Bologna 1999.
33 L. Messedaglia, Per lo studio della patologia e dell’igiene della Libia, Ministero delle Colonie. Direzione
Centrale degli Affari Coloniali. Ufficio studi coloniali, Roma 1913, p. 43. Cfr., L. Bonuzzi, Luigi Messedaglia,
Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 73, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, Roma 2009.
34 Paolo Della Cella (1792- 1854), medico e viaggiatore ligure; nel 1817 prese parte alla spedizione inviata dal
pascià di Tripoli contro il figlio in Cirenaica. Il libro, Viaggio da Tripoli di Barberia alle frontiere occidentali
dell’Egitto, pubblicato due anni dopo, «suscitò grande interesse in Italia e all’estero, sia nella comunità
scientifica sia nel mondo politico ed economico. L’abbondante messe di informazioni e di dati su un territorio collocato per posizione geografica in un punto strategico per l’espansione marittima europea nel Mediterraneo e per la penetrazione commerciale nelle regioni interne dell’Africa si rendeva, infatti, tanto più significativa in un momento in cui i vari governi avvertivano l’esigenza di offrire un supporto di esattezza scientifica alle proprie ricerche di nuovi spazi extranazionali». Nel 1822 il libro veniva tradotto in tedesco, poi in inglese, in francese. Cfr. D. Silvestri, Paolo Della Cella, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 36, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1988.
35 Ivi., pp. 35-36.
36 P. Della Cella, Viaggio da Tripoli di Barberia alle frontiere occidentali dell’Egitto, fatto nel 1817 (scritto in lettere dal Sig. Viviani. professore di Botanica e Storia naturale regia, Genova 1819), Terza ristampa condotta sulla prima edizione del 1819 col concorso della direzione degli Annali di Medicina Navale e Coloniale,
Tipografia dell’Unione delle Arti grafiche, Città di Castello 1912. La pubblicazione, che si trova in appendice al I volume della rivista nel 1912, è annunciata da Filippo Rho nello stesso periodico: F. Rho, La vita e l’opera del
dottor Paolo della Cella. Naturalista viaggiatore, antesignano degli studi sulla Libia. Medico capo della Real Marina Sarda, in «Annali di medicina navale e coloniale», 1 (1912).
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Come risulterà evidente, sono immagini queste non molto distanti dai temi veicolati negli stessi anni dalla stampa italiana per legittimare le imprese coloniali, stereotipi attraverso i quali le popolazioni africane venivano collocate su posizioni di inferiorità rispetto alla civiltà europea37.
L’importanza e la persistenza di tali rappresentazioni non è da sottovalutare38. Lo stesso successo della propaganda coloniale di età liberale, e successivamente fascista, si può considerare dipendente dalla circolazione nel corpo nazionale di un vasto repertorio di stilemi ricorrenti sull’Africa e sull’Oriente, riattivati e resi funzionali al progetto politico all’avvio delle conquiste coloniali39.
Molti degli stereotipi caratteristici dell’epoca coloniale erano infatti diffusi già nell’Italia di metà ottocento. Il fascino dell’esotico, le rappresentazioni del “moro infido”, del “negro selvaggio” costituiscono temi persistenti nella cultura alta e bassa della penisola. Solo con l’avvio della politica coloniale, l’“africano” generico verrà precisandosi e la fascinazione esotica finirà per scivolare in tipizzazioni razziali che ipostatizzano l’inferiorità dei neri. Le precedenti immagini saranno così riconvertite alle nuove esigenze imperialistiche grazie all’azione dei circoli coloniali e delle società geografiche, centri di formulazione della propaganda rivolta ai possedimenti d’oltremare, anche se per la costruzione di una moderna propaganda finalizzata all’espansione sarà necessario attendere l’impresa libica40.
Interrogare le fonti di medicina tropicale secondo una prospettiva di “razzismo diffuso” consente dunque di guardare con maggior cautela al problema del razzismo nella scienza, evitando di incorrere in letture eccessivamente “riduzionistiche” del fenomeno razzista, in cui l’esplicita formulazione di teorie biologiche della differenza risulta il solo “nucleo di razzismo” che merita di essere indagato.
Già nel 1951, Hannah Arendt notava con acutezza che la forza persuasiva dell’ideologia razzista risiede, come per tutte le ideologie, nella sua capacità di intervenire a orientare la pratica quotidiana in modo immediato: «ogni ideologia che si rispetti è stata creata e elaborata come arma politica non come teoria scientifica». Di qui l’esigenza di ridimensionare la centralità del razzismo scientifico per lo sviluppo dell’ideologia razzista: «molti storici [sono stati spinti] ad attribuire alla scienza la responsabilità delle assurdità razziste e a scambiare certi “risultati dell’indagine” filologica o biologica per le cause, anziché per le conseguenze, del razzismo». Bisogna tener presente che «anche gli scienziati, al pari di tutti gli altri uomini, vivono nella cornice politica del loro tempo», e non con meno resistenze subiscono il fascino
37 M. Nani, Ai confini della nazione, cit., p. 60.
38 Per l’attenzione agli stereotipi quali stratificazioni culturali si veda C. Gallini, Giochi pericolosi: frammenti di un immaginario alquanto razzista, Manifestolibri, Roma 2002. Secondo l’antropologa allieva di Ernesto De
Martino, gli stereotipi razziali possono funzionare perché riattivano altre immagini, portando con sé un grappolo di significati stratificati.
39 «La propaganda colonialista del fascismo del 1935-1936 ebbe presa – come quella del 1911-1912 e già del
1895-1896 - perché non nasceva dal nulla. La sua forza consisteva anzi nel far leva su antichi stereotipi e vecchi retaggi. Per quanto moderna nella forma (cinematografica, radiofonica, giornalistica, fotografica) il contenuto dell’immagine dell’Africa da essa veicolata aveva aspetti tradizionali, se non proprio atavici». N. Labanca,
Oltremare, cit., p. 251.
40 La popolarità della guerra del 1911-1912 è legata a molteplici fattori, cha vanno dal sostegno della riunita
classe dirigente alla prossimità geografica della Libia, ma è da mettere in relazione anche con il perfezionamento delle strutture della propaganda: l’Istituto coloniale italiano costituito nel 1906, il Ministero delle Colonie aperto nel 1912.
57 delle ideologie dominanti41.