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LE RESPONSABILITA’ PENALI E CIVILI DEGLI AMMINISTRATORI NELLE OPERAZIONI DI ASSISTENZA

FINANZIARIA

La violazione della disciplina dell’assistenza finanziaria può dare luogo all’infrazione delle norme penali a tutela del patrimonio sociale, contro l’infedeltà patrimoniale e contro gli abusi o i conflitti d’interesse.

Prima della riforma del diritto penale societario, avvenuta con l’entrata in vigore del d. Lgs. 11 aprile 2002 n.61, la violazione dell’art. 2358 c.c. era penalmente sanzionata dall’art. 2630, 1 comma n. 2 c.c.. Tuttavia, dall’espressa previsione del divieto di assistenza finanziaria come reato non poteva meccanicamente evincersi la penale rilevanza dei leveraged buyout, neppure qualora si fosse ritenuto (erroneamente) che qualsiasi fattispecie di LBO concretasse una violazione dell’art. 2358 c.c.

Infatti, anche in questa prospettiva di massimo rigore, in realtà non sostenuta da alcuno, distinguendosi pur sempre, per contro, tra fattispecie “illecite e fattispecie illecite di leveraged buyout”178, l’illiceità si sarebbe pur sempre concretata, sul piano civilistico, in termini di violazione indiretta, cioè di elusione (ex art. 1344 c.c.) del precetto proibitivo.

L’illiceità sul terreno civilistico non poteva dunque, neppure nel previgente regime, riflettersi sul piano penalistico, perché l’ampliamento della portata prescrittiva dell’art. 2358 c.c. che definiva la condotta vietata, non si sarebbe configurato come interpretazione estensiva, ma avrebbe condotto a sconfinare nell’applicazione analogica (La dottrina penalistica non mancò infatti di precisare che, anche volendo accedere alle interpretazioni civilistiche più restrittive, ciò non avrebbe avuto rilievo in campo penale, in “presenza del divieto di analogia

178 Così MONTALENTI, Il leveraged buyout, nt.1, p. 129 e ss., e F. GRANDE STEVENS,

costituzionalizzato dall’art. 25, secondo comma, Cost.”, in quanto “l’identità descrittiva delle rispettive fattispecie civilistica e penalistica non reca necessariamente con sé l’inevitabile conseguenza di una soluzione interpretativa unica (…). Pretendere di trasferire automaticamente il complesso iter argomentativo civilistico sul differente piano della valutazione penalistica significa accettare preliminarmente una rottura della tipicità della fattispecie in aperta violazione della legalità sostanziale”179. Con la riforma del diritto societario il novellato testo dell’art. 2630 c.c., che anteriormente sanzionava penalmente la violazione dell’art. 2358 c.c., riguarda fattispecie del tutto diverse, concretanti, oltretutto, illeciti amministrativi (“Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi”).

Infatti, la nuova disciplina dei reati societari, diversamente da quanto previsto in particolare negli abrogati artt. 2630, 1 comma, n. 2 e 2630 bis C.c., non contiene più un espresso riferimento agli articoli del codice civile, ma si riferisce alle corrispondenti fattispecie, sanzionando penalmente l’acquisto o la sottoscrizione di azioni o quote (proprie o della controllante) che vengano effettuate dagli amministratori “fuori dai casi consentiti dalla legge” e “cagionando una lesione dell’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge”, precisando che “se il capitale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto” (cosi l’art. 2628, 3 comma).

Più precisamente si dovrà riflettere se l’acquisto effettuato oltre il limite “ degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato”, concreti per ciò solo” una lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge” o se invece tale lesione costituisca un quid pluris. Interrogativo legittimo non fosse altro perché il riferimento agli utili distribuibili nella norma penale è scomparso.

Pertanto, la violazione delle disposizioni dell’art. 2358 c.c., non può più dare luogo all’infrazione delle norme penali a tutela del patrimonio sociale, contro

179 Così MUSCO, La società per azioni nella disciplina penalistica, in Trattato delle società

per azioni, diretto da G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, Vol. IX, t.1, Torino, 1994, p. 425

e nello stesso senso ACCINNI, Profili penali delle operazioni di Leveraged-Management

l’infedeltà patrimoniale e contro gli abusi o i conflitti d’interesse. Tuttavia non trova applicazione l’art. 2628 c.c. che espressamente è riferito alla violazione delle norme sull’acquisto delle azioni proprie e, contenendo una norma penale, non è ovviamente applicabile per analogia.

Oltretutto non è prevista una specifica sanzione civilistica che in ragione del carattere imperativo delle norme in esame, dovrebbe essere ricavato dal primo comma dell’art. 1418 c.c..( c.d. nullità virtuale).

La nullità investe, dunque, il rapporto di finanziamento e la costituzione della garanzia, salva la responsabilità degli amministratori e di chi abbia concorso nel loro illecito per i danni causati alla società ai soci ed ai terzi. Nessuno degli autori ha mai ritenuto potersi ravvisare nel leveraged buyout un’operazione in contrasto diretto con l’art. 2358 c.c., bensì, in determinate circostanze, un’elusione indiretta del precetto imperativo, conseguentemente, si può concludere che, a fortiori, la penale rilevanza di qualsiasi violazione indiretta del divieto di financial assistance non è più oggi configurabile180.

Il leveraged buyout non può infatti configurarsi come operazione in pregiudizio dei creditori, sanzionata penalmente dall’attuale art. 2629 c.c. La norma non intende, infatti, configurare come fattispecie di reato la violazione di qualsiasi disposizione di legge a tutela dei creditori in occasione di operazioni di riduzione, altrimenti ci si troverebbe di fronte ad un’espansione incontrollata dell’area del diritto penale societario, in contrasto con lo spirito della riforma.

Vero è invece che il legislatore ha inteso confermare la penale rilevanza della violazione delle specifiche norme a tutela dei creditori dettate in materia di riduzione del capitale, di fusione e di scissione.

La ragione della formulazione apparentemente meno perspicua rispetto al previgente regime può ricercarsi nella volontà di non creare “guasti” sistematici o, se si vuole, di non imporre successive modificazioni alle norme penali testè approvate, successivamente alla riforma del diritto societario, che avrebbe potuto introdurre una nuova numerazione degli articoli del codice civile.

In altre parole è ragionevole ritenere che si sia omesso il riferimento specifico alle norme civilistiche in vigore, perché le stesse avrebbero potuto trovare con la riforma societaria una diversa collocazione numerica.

La tesi restrittiva qui sostenuta trova del resto chiaro conforto nella relazione governativa al d. Lgs. n. 61 del 2002, in cui è scritto con chiarezza che “la

fattispecie, strutturata come reato di danno, mira a tutelare l’integrità del patrimonio sociale ed è direttiva a sostituire l’art. 2623, n.1, c.c., che sanzionava l’inosservanza dei precetti civilistici in tema di riduzione del capitale, fusione e scissione”.

Non sarebbe dunque sostenibile la tesi secondo cui, essendo l’art. 2358 c.c. norma a tutela dei creditori, la sua violazione nell’ambito di una fusione concreterebbe una fattispecie di reato; anche il nuovo regime intende soltanto sanzionare penalmente la violazione dei precetti di cui agli artt. 2306, 2445 e 2503 c.c., applicabile, ex art. 2054 - novies, 4 comma c.c., anche il caso di scissione.

In altri termini, poiché la violazione del divieto di accordare prestiti o garanzie per l’acquisto di azioni proprie non è più espressamente contemplata dal legislatore come reato, né attraverso il richiamo espresso della norma civilistica (come avveniva nel precedente regime: cfr. art. 2630, 1 comma, n. 2, c.c. ora non più vigente), né attraverso la descrizione della condotta, si deve concludere che la violazione diretta del divieto di assistenza finanziaria non concreta più di un’ipotesi di reato.

Diverso è l’aspetto delle responsabilità che incorrono in capo all’organo amministrativo nella circostanza in cui quest’ultimo non provveda alla predisposizione della relazione sull’operazione, il cui contenuto è dettagliatamente indicato dal terzo comma dell’art. 2358 c.c., il quale ha la funzione di assicurare un’informazione preventiva dell’operazione medesima e di consentire ai soci di assumere consapevolmente la deliberazione di autorizzazione, richiesta dal secondo comma dell’art. 2358 c.c..

Infatti, gli amministratori incorrono in una responsabilità patrimoniale, nella circostanza in cui gli stessi non rispettino alcuno degli elementi procedurali e sostanziali che contraddistinguono l’assistenza finanziaria, fino a poco tempo fa

vietata nel nostro ordinamento ed oggi ammessa purché venga rispettato il patrimonio della società finanziatrice e/o garante.

La violazione del nuovo art. 2358 C.c., potrà pertanto assumere rilievo penale solo se ed in quanto integrante uno dei reati posti a tutela del patrimonio sociale o ancora contro le infedeltà patrimoniali o gli abusi di mercato.

Sul versante civilistico, naturalmente, resta ferma la responsabilità degli amministratori e di chi abbia concorso nel loro illecito per i danni causati alla società dalla conclusione dell’operazione in assenza dei requisiti di legge (e segnatamente, si può sin d’ora prevedere, in caso di mancato rispetto delle condizioni di mercato), risultando del tutto irrilevante sotto questo profilo la preventiva autorizzazione assembleare. La deliberazione assembleare, come detto, offre piuttosto ai soci e ai creditori un rimedio preventivo, rappresentato dalla impugnazione della stessa ex art. 2379 c.c., per contrarietà a norme imperative poste indubbiamente a presidio di interessi di carattere generale che trascendono l’interesse dei soci.

Il carattere imperativo e la dimensione assiologica delle disposizioni in esame dovrebbe inoltre consentire l’esperimento, da parte di chiunque vi abbia interesse dell’azione di nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., primo comma, c.c. (nullità virtuale), nei confronti dei contratti di costituzione di garanzie o di finanziamento finalizzati all’acquisto di azioni della società, che siano stati comunque stipulati in violazione dell’art. 2358 C.c.

Infine, se la ratio dell’art. 2358 C.c. consiste nell’assunto che l’adesione alle sue prescrizioni equivale alla soddisfazione dei principi di corretta amministrazione aziendale da parte degli amministratori, non appare azzardato ipotizzare come possibile un’azione di responsabilità sociale contro gli amministratori, proponibile da parte dei soci 181.

In particolare se gli amministratori non si conformassero alle previsione normativa, potrebbero subire da parte dei soci che rappresentino il decimo del capitale sociale (nel caso di società quotate, l’entità è rappresentata dal ventesimo, salvo di versa previsione statutaria) la denunzia al tribunale di tali condotte ex art. 2409 C.c. Analoga azione può essere proposta dai creditori sociali: questi ultimi

avrebbero la possibilità, sussistendone i presupposti, di proporre un’azione revocatoria per impoverimento del patrimonio sociale.

CAPITOLO VIII