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Rete di distribuzione e contratti di licenza

CAPITOLO 3: IL CASO BURBERRY

3.2 Il periodo di Rose Marie Bravo (1997-2005)

3.2.7 Rete di distribuzione e contratti di licenza

Se nel caso dei prodotti non dati in licenza, Burberry esercitava il controllo sull’intero processo, dal disegno alla ricerca dei materiali, dalla manifattura alla distribuzione, nel caso in cui fossero richieste competenze specifiche al di fuori di quelle che erano proprie dell’azienda, ad esempio profumi, orologeria, abbigliamento da bambino, occhiali, la compagnia lavorava attraverso contratti di licenza stipulati con terzi. Questi ultimi di conseguenza acquisivano il diritto di disegnare, produrre e distribuire prodotti sotto il nome di Burberry. I contratti di licenza, nonostante contassero solo una bassa percentuale dei ricavi di Burberry, circa il 10%, rispecchiavano e concretizzavano la reale situazione frammentata dell’azienda.

Come è possibile riscontrare nella letteratura, i contratti di licenza d’uso presentano dei lati positivi, poiché ad esempio costituiscono una delle tipologie di attività meno onerose per l’impresa e rappresenta la possibilità concreta di estendere il nome della propria marca ad un’ampia gamma di prodotti. Risulta essere pertanto possibile la derivazione di una serie di vantaggi, come viene del resto sostenuto dal ‘paradigma eclettico’ (paragrafo 2.3.2), dei quali la casa-madre godrebbe senza dover necessariamente impegnare alcuna risorsa in termini di impianti e conoscenze. Dall’altro lato invece, le licenze, ancor più se presenti in numero elevato, potrebbero contribuire a danneggiare

l’immagine dell’azienda e mettere in pericolo l’integrità di quest’ultima. È tutt’altro che lontana dal verificarsi la possibilità che le imprese che possiedono la licenza su alcuni articoli, spinte da altri interessi (si veda l’’azzardo morale’ nel paragrafo 2.3.1), ad esempio relativi al risparmio economico, abbassino il livello di qualità fissato dalla principale e quindi ledano il nome della marca.

Inoltre, dal momento in cui l’impresa sceglie di delegare a terzi la realizzazione di oggetti a suo nome, esercita inevitabilmente un minor controllo sul processo di produzione degli stessi.

Con l’obiettivo di diminuire le differenze a livello di prezzi, design e qualità diffuse nel mercato Rose Marie Bravo decise di ridurre nel numero e limitare molti dei vecchi contratti di licenza; quelli rimasti dovevano essere coerenti con la nuova immagine del marchio Burberry.

La compagnia scelse quindi di esercitare un controllo più stretto sulla distribuzione, comprando alcuni distributori, ponendo fine alle relazioni con altri e rinegoziando i contratti con altri ancora. In particolare, l’amministratrice delegata optò in primo luogo per intervenire sui due mercati più profittevoli della compagnia, rispettivamente quello giapponese e quello spagnolo. Nel luglio del 2000, Burberry comprò le licenze spagnole a 130 milioni di sterline sostenendo così l’intenzione di riacquisire il controllo sul marchio, accelerare il processo di crescita dell’intera compagnia ed essere coerenti con la nuova immagine del marchio.151 L’operazione attuata sull’area spagnola era stata

conseguita facilmente e preceduta solo di pochi mesi dalla rinegoziazione delle licenze giapponesi. Queste ultime, stipulate con Mitsui (la più grande azienda giapponese di commercio) e Sanyo (uno dei maggiori designer, produttori e distributori di abbigliamento all'ingrosso), prevedevano che Burberry avesse un controllo maggiore sul

design e ottenesse una percentuale più elevata in termine di profitti. Nonostante Bravo

avesse intenzione di comprare anche le licenze giapponesi, optò per il rinnovo delle stesse (apportando solamente qualche modifica) poiché il processo sarebbe risultato troppo complesso. L’azienda stimò che le nuove condizioni alle quali sottostavano le licenze giapponesi avrebbero incrementato i profitti nell’anno successivo (2001) di circa

151 Cfr. KIBAZO J., “Burberry pays £130m for Spanish licensee”, Financial Times – London edition, 3 luglio

15,2 milioni di dollari.152

Nel biennio successivo, scelse di ricomprare i diritti di distribuzione nei mercati di Hong Kong, Singapore, dell’Australia (2001) e della Corea (luglio 2002), terminando così il processo di consolidamento di ‘controllo diretto’ nei suoi principali mercati asiatici al di fuori del Giappone.153

Burberry cercò inoltre di espandersi sempre più sia aumentando le dimensioni dei punti vendita già di sua proprietà (San Francisco, New York e Parigi), che andando ad insediarsi in alcuni stati asiatici dal momento che questi ultimi presentavano un alto interesse verso il settore del lusso e tassi di crescita economica molto più elevati rispetto a quelli delle altre aree. Tra il 2003 e il 2004, furono aperte nuove boutique a Singapore, Hong Kong, Kuala Lumpur, Melbourne, Dubai, San Paolo e negli Stati Uniti; nel 2005 invece la Corea vide l'inaugurazione di sette nuovi negozi.154

Burberry distribuiva i propri prodotti attraverso canali sia all’ingrosso che al dettaglio. La distribuzione al dettaglio avveniva con: DOS (Directly Operated Stores) ovvero negozi monomarca gestiti direttamente dalla compagnia che comprendevano flagship store e negozi regolari, concessioni, outlet e spacci. La distribuzione all’ingrosso includeva invece dettaglianti indipendenti, tra i quali: department store, negozi specializzati, duty-

free155 e autonomi. Burberry selezionava i consumatori all’ingrosso sulla base della loro

reputazione e del posizionamento nel mercato, e lavorò inoltre con i clienti all’ingrosso sui negozi per garantire il giusto mix di prodotti. Nel 2002 ne contava 3.162, includendo 434 department store e 2.728 negozi specializzati. Infine i licenziatari distribuivano attraverso i propri canali.

Nello specifico, i flagship store (come approfondito nel paragrafo 2.2.5) ricoprono un ruolo di notevole importanza, dal momento che rappresentano una vetrina per il

152 Cfr. FALLON J., “Burberry buys Spanish licensee”, WWD, 180.3, 7 luglio 2000.

153 Cfr. CONTI S., “Burberry’s 1st annual meeting addresses exec pay packages”, WWD – New York, 186.11,

16 luglio 2003.

154 Cfr. MANUELLI S., Design for shopping: new retail interiors, Laurence King Publishing, 2006.

155 Il duty-free è un tipo di negozio al dettaglio al quale non vengono applicate imposte sui prodotti

venduti. Tali negozi si trovano generalmente in zone franche come ad esempio aeroporti, navi da crociera o aree militari.

marchio attraverso il quale Burberry (in questo caso) è in grado di promuovere il proprio stile e le proprie gamme di prodotti. Questo tipo di boutique viene utilizzata anche per provare nuovi concept e proporre nuovi prodotti, oltre ad ospitare collezioni esclusive. I flagship store di Burberry normalmente richiedono una superficie superiore ai 10.000 metri quadrati e sono collocati in aree esclusive delle città del mondo più attente alla moda. Nel 2000 venne aperto il primo flagship store in New Bond Street a Londra, al quale seguito altri nel biennio successivo a New York (il più grande), Tokyo e Barcellona.

Continuando a mettere in atto strategie per il suo nuovo posizionamento, la compagnia decise di chiudere un certo numero di negozi e rinnovarne o trasferirne altri al fine di rimanere sempre fedele alla propria immagine e performance.

I prodotti offerti all’interno dei negozi erano pressoché gli stessi in tutte le varie aree geografiche del mondo, considerando le diverse disponibilità di spazio espositivo e le esigenze dei consumatori.

Allo stesso modo il merchandise fu adattato ai differenti climi locali e rifletteva le variazioni nelle gamme di prodotti di Burberry. Ad esempio, il negozio di Beverly Hills presentava una buona proporzione di articoli in taglie piccole se comparata agli altri punti vendita degli Stati Uniti.

Burberry coinvolse una parte dei consumatori nelle attività promozionali attraverso

showroom a Londra, Barcellona, Milano, Parigi, Hong Kong e Düsseldorf.156