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nelle reti di imprese.

Nel documento Il rapporto di lavoro nelle reti di imprese. (pagine 158-200)

Introduzione al dibattito

La trasformazione della struttura aziendale, come già visto, ha implicato il superamento dell’impresa tradizionale fordista200, caratterizzata da un’organizzazione produttiva di tipo gerarchico e verticale. In tempi più recenti le imprese hanno mostrato di gradire nuove dimensioni orizzontali che si fondano su relazioni di natura gerarchica o paritaria. Tale trasformazione che ha comportato uno spostamento di assetto – da verticale ad orizzontale201- è dovuta alla

200 Sul punto, R. DE LUCA TAMAJO, Diritto del lavoro e

decentramento produttivo: in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, In Rivista Italiana di diritto del lavoro, 2007, I, il quale afferma simbolicamente: <<L’impresa fordista esplode, distribuendo nella rete le sue diverse operazioni: il grande monolite tende a frammentarsi in una moltitudine di strutture dotate di un’autonomia economica e funzionale più o meno grandi. Parole d’ordine di questo nuovo paradigma organizzativo sono esternalizzazione, terziarizzazione, outsourcing: termini aziendalistici riassuntivi di alcune modalità di superamento della produttività di massa che rimandano alla transizione in corso da un modello assestato (l’impresa fordista verticalmente integrata) ad uno emergente non ancora del tutto delineato, genericamente chiamato post- fordista>>; ma anche T. TREU, Trasformazioni delle imprese: reti di imprese e regolazione del lavoro, in Mercato, Concorrenza e Regole, 2012, 1, p.8.

201 Significativamente in tal senso, A. PERULLI, Gruppi di imprese,

reti di imprese e codatorialità: una prospettiva comparata, Rivista giuridica del lavoro, 2013, I, afferma: «La traiettoria evolutiva dell’impresa rispecchia quella del sistema sociale, un tempo descritto

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necessità di contrastare fenomeni di globalizzazione dei mercati e di innovazione tecnologica.

All’alba del nuovo millennio, infatti, le imprese hanno dovuto far fronte ad una competizione dalle dimensioni internazionali, che le ha costrette a ricorrere in primis a fenomeni di esternalizzazione202, e in un secondo momento, a fenomeni di aggregazione contrattuale e societaria. Gli imprenditori hanno quindi adottato tecniche di allargamento del perimetro della “fabbrica’’, come la delocalizzazione, che ben presto si sono rivelate fallimentari a causa delle negative ripercussioni sui livelli occupazionali. I nuovi fenomeni di collegamento imprenditoriale sono apparsi quindi la soluzione più confacente alle nuove esigenze di competizione sul mercato globale.

La dimensione orizzontale dell’impresa e la concessione in favore dell’imprenditore di maggiore flessibilità

con la metafora della “macchina”, poi dell’“organismo” e del “sistema”, oggi rappresentato attraverso i concetti di “labirinto” e di “rete”, a suggello del definitivo superamento dell’organizzazione gerarchica tipica del capitalismo novecentesco».

202 Significativamente sul punto M. BARBERA, Trasformazioni nella

figura del datore di lavoro e flessibilizzazione delle regole del diritto, 2010, che nella sua analisi incentrata maggiormente sulla figura del datore di lavoro, afferma: << L’impresa si è smaterializzata come spazio economico perché globalizzazione e innovazione tecnologica consentono di gestire relazioni di mercato che si svolgono a distanza e sono spesso slegate dai beni e dai servizi prodotti. Ma nella ricerca di chi sia il datore di lavoro, l’impresa non risulta affatto smaterializzata: dall’impresa si risale pur sempre ad un soggetto giuridico, sia esso singolo (l’imprenditore) o collettivo (la società o il gruppo)>>.

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nell’organizzazione dell’attività economica finiscono inevitabilmente per ripercuotersi sui rapporti individuali e collettivi.

Eppure, si è già visto al capitolo 4, sono rari gli ordinamenti che prendono in considerazione il gruppo di imprese sotto un profilo giuslavoristico. Lo stesso iter è stato percorso per le reti; la disciplina, interviene solo nel 2009 regolamentando un fenomeno già ampiamente utilizzato e i successivi interventi legislativi in tema di contratto di rete si disinteressano del profilo giuslavoristico fino al 2013; con l’intervento di innesto del distacco infra- rete, di uno strumento che rende più flessibile l’uso delle risorse umane (la codatorialità) e con l’introduzione dell’assunzione congiunta, riservata ad ipotesi meramente marginali, il legislatore disciplina solo singoli aspetti del rapporto di lavoro.

In contesti particolarmente complessi sotto il punto di vista giuslavoristico, quali i gruppi e le reti, in cui il legislatore interviene in modo confuso e sporadico, pare davvero inevitabile interrogarsi sulla funzione da attribuire alla contrattazione collettiva203, quale forma di tutela dei

203

Il prof. T. TREU, in @bollettinoadapt.It, Le relazioni industriali nell’era della globalizzazione: gli accordi in deroga in Europa e la sfida ai sistemi contrattuali, sostiene che le pressioni del mercato globale si ripercuotano anche sulla contrattazione collettiva. Dice infatti: <<le implicazioni di tali iniziative vanno oltre le particolarità del contesto italiano perché investono la capacità di tutti i sistemi contrattuali e sindacali, costruiti in contesti nazionali e sostenuti da attori pure nazionali, di funzionare nel contesto dei mercati globalizzati e di reggere

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lavoratori coinvolti da simili processi e, forse, come sostituto dell’intervento legislativo, maggiormente idoneo a realtà flessibili e variegate.

Posto, come già visto, che le realtà aggregate non necessariamente si risolvono in fenomeni meramente elusivi delle normative a tutela del lavoratore, per l’analisi della contrattazione collettiva delle reti di imprese, sarà (ancora una volta) necessario attraversare la via più navigata: i gruppi di imprese.

9.A. La contrattazione collettiva nei gruppi di imprese: una soluzione a lungo sottovalutata in dottrina e giurisprudenza

La disciplina dei gruppi di imprese pare ancora oggi caratterizzata da interventi finalizzati ad ottenere risultati specifici; manca cioè un quadro unitario idoneo a coprire i vari rami del diritto e in particolare, per quello che qui interessa, il diritto del lavoro.

L’attenzione del diritto del lavoro sul tema in questione si è concentrata, in un primo momento, sui processi di

le pressioni che tale nuovo contesto esercita sugli attori del sistema, le parti sociali e lo stato nazionale. Non a caso la pressione sui sistemi nazionali di contrattazione collettiva è andata crescendo già prima dell’attuale crisi finanziaria ed economica, in parallelo con l’aprirsi dei mercati globali. Nel contempo si sono moltiplicati i segnali di criticità degli stessi sistemi, a cominciare dalle spinte al decentramento delle strutture contrattuali e dalla rottura dei quadri di regolazione nazionale in molti ordinamenti europei, emblematizzati dai contratti cd di concessione e dalle clausole in deroga>>.

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disarticolazione e frammentazione dell’organizzazione produttiva attraverso la costruzione dell’Impresa come “persona giuridica”; tale fenomeno è stato affrontato attraverso la previsione di tutele rimediali come, per esempio, la responsabilità solidale dei soggetti coinvolti nel processo produttivo. Più di recente, nel dibattito dottrinale giuslavoristico, come visto, si è posto con maggiore vigore il problema della ricomposizione dell’impresa (datore di

lavoro) attraverso il concetto giuridico di

<<codatorialità>>.

Nel frattempo in giurisprudenza, gli itinerari percorsi per ricondurre il gruppo a un soggetto unitario non sono univoci; il prof. Mazzotta simbolicamente già nel 1988 definiva l’iter giurisprudenziale in oggetto <<un arcipelago frastagliato e variopinto204>>.

204 O. MAZZOTTA, Divide et impera: diritto del lavoro e gruppi di

imprese, in Lavoro e diritto 1988; il quale disegna il percorso giurisprudenziale affermando: <<Intanto, in alcuni casi, e sono la maggior parte, il tessuto unitario emerge come predicato dall’unitarietà dell’organizzazione dell’impresa complessivamente risultante dalla ricucitura delle singole società e conduce talvolta all’identificazione di una società di fatto, talaltra alla valorizzazione della dimensione di un’impresa unitaria (più che dal dato societario). In tali circostanze, gli indici elaborati per individuarla vanno dalla interscambiabilità del personale alla utilizzazione dello stesso immobile e dei locali, dalla coincidenza dei titolari-persone fisiche alla complementarità economica delle attività. In altre situazioni, invece, è il dato- tutto formale- dell’esistenza del collegamento societario che conduce a riferire non al gruppo- unitario centro di imputazione- ma alla società dominante la titolarità dei rapporti di lavoro, quando i soggetti <<dominati>> operino come singoli reparti di un’unica azienda. Altre volte ancora, pur muovendosi dal punto fermo dell’autonomia giuridica delle singole società, se ne ravvisa un impiego anomalo o meglio fraudolento e se ne

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L’ostinazione con cui la giurisprudenza di merito ha perseguito l’obiettivo di ricondurre all’unitarietà il gruppo di impresa tramite l’individuazione di indici empirici, può solo condurre <<ad un irrigidimento e ad una sclerotizzazione dell’atteggiamento del giudice di legittimità205>>. La dottrina e la giurisprudenza, spinte dalla smania di ricercare il profilo elusivo del gruppo, hanno quindi sottovalutato la portata della contrattazione collettiva che meglio si adatta al contesto dei gruppi e delle reti che il prof. Mazzotta definisce “il regno delle differenze206’’.

Serve quindi un atteggiamento maturo che non si ostini a ricondurre ad unitarietà il gruppo, ma che rispetti e valorizzi il collegamento societario senza per questo privare la fattispecie lavorativa del contesto economico in cui la prestazione si svolge.

trae motivo per consentire la sommatoria dei lavoratori dipendenti delle singole società ai fini dell’applicazione della disciplina dello statuto dei lavoratori>>. Ovviamente, rispetto al 1988, gli indici utilizzati dalla giurisprudenza sono cambiati e una recente rassegna degli stessi può essere utile (O. RAZZOLINI, Impresa di gruppo, interesse di gruppo e codatorialità nell’era della flexicurity, Rivista Giuridica del lavoro, 2013 p 38 ss.). Sembra però che, a fronte dell’aggiornamento di tali indici, non cambi l’approccio della giurisprudenza, che innesca una critica. Il processo argomentativo di chi utilizza gli indici di fatto in oggetto muove dagli effetti per individuare la fattispecie; ma si noti che il procedimento logico che il giudice dovrebbe seguire va in direzione opposta e cioè individua preventivamente la fattispecie e solo in un secondo momento riconduce ad essa gli effetti.

205 Ancora O. MAZZOTTA, Divide et impera: diritto del lavoro e

gruppi di imprese, in Lavoro e diritto 1988.

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Non si vuole qui seguire l’impostazione di chi, tramite un’aprioristica ricostruzione in termini unitari del gruppo, “criminalizza’’ il collegamento societario e l’utilizzazione in esso dei lavoratori, e non si vuole nemmeno percorrere la via della “divinizzazione’’ dell’interesse di gruppo207. Il percorso che si intende seguire fa della contrattazione collettiva l’ago della bilancia tra le esigenze dell’impresa in gruppo (e poi in rete) e i contorni della subordinazione nella realtà integrata208.

Serva a rassicurare la dottrina più timorosa e reticente l’esistenza di quelli che l’Autore sopra citato209 definiva <<anticorpi sufficienti dell’ordinamento lavoristico>> idonei a reagire al sistema dell’impiego del lavoratore nell’ambito dei gruppi societari; individuando in essi la L. n. 1369/1960.

207 Ci si riferisce a O. RAZZOLINI, Impresa di gruppo e codatorialità

nell’era della flexicurity, in Rivista giuridica di diritto del lavoro, 2013.

208

Sia chiaro che la contrattazione collettiva può certamente svolgere altre funzioni; l’angolo di visuale dal quale si intende guardare alla stessa è limitato all’oggetto del presente elaborato. Si pensi però per completezza al ruolo assunto dalla negoziazione collettiva nel caso Bridgestone. Di fronte alla chiusura dello Stabilimento di Bari – peraltro già deliberata dall’assemblea di soci e quindi non configurabile come una sorta di “ricatto occupazionale” – il caso Bridgestone dimostra come la contrattazione collettiva possa essere utilizzata, in modo responsabile e partecipativo, come uno strumento di contemperamento tra le esigenze di mercato espresse dalle aziende e la salvaguardia dei livelli occupazionali nei momenti di crisi. Si rimanda per completezza a R. ARCIDIACONO e E. BERTOLDO; Contrattazione in deroga, competitività e occupazione: il caso Bridgestone, consultabile su

www.bollettinoadapt.it.

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Nonostante la sostanziale abrogazione della legge sul divieto di interposizione, si noti bene, esso rimane un principio centrale del nostro ordinamento; ed è la stessa Cassazione a prevedere che il divieto di interposizione di manodopera continui a sussistere anche dopo il d.lgs. 276/2003 parlando in alcuni casi di <<un’abrogazione con effetti parzialmente abolitivi210>>. Le linee di intervento della legge del ’60 consentono, quindi, ancora oggi di operare una distinzione tra la patologia e la fisiologia dei gruppi societari. Il divieto di interposizione di persona costituisce infatti un punto di riferimento idoneo a separare le tecniche lecite di impiego della manodopera da quelle illecite.

210 Cass. pen.2006 n. 20758, ma si rimandi in dottrina a O.

MAZZOTTA, Il problema dell’interposizione nel rapporto di lavoro; il quale sostiene: << (…) è ancora codificato il principio della illiceità dei rapporti interpositori, che non siano attuati secondo la tecnica dell'interposizione autorizzata di cui agli artt. 20-28 del d.lgs. n. 276 del 2003 o che risultino da un uso distorto e non conforme alla fattispecie legale dell’appalto e del distacco. Nell’attuale panorama dottrinale appare invece del tutto isolata l’opinione di chi sottolinea la strutturale irriducibilità del nuovo sistema al precedente. In questo ambito viene in particolare enfatizzata l'erezione a nuovo tipo contrattuale della somministrazione di lavoro e la conseguente assunzione di essa come «modalità fisiologica di organizzazione dei fattori della produzione, al pari del rapporto di lavoro subordinato» (Romei).>> Pare infatti potersi affermare che l’abrogazione della L. 1369/1960 è connessa al fatto che il legislatore abbia previsto ipotesi di scissione tra il datore formale e l’effettivo utilizzatore; dissociazione sempre vietata sotto la vigenza della legge in questione. Pertanto, il divieto di interposizione non può più avere una portata generale, ma rimane elemento centrale del sistema.

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Fuori dalle ipotesi di gruppi fraudolenti o

<<pseudogruppi>> si concentrerà quindi l’analisi della contrattazione collettiva.

9.B. Gruppi di imprese e relazioni industriali: la partecipazione e la contrattazione collettiva.

L’ottica societaria va confrontata con quella lavoristica e delle relazioni industriali, che è sempre stata estranea all’impresa e tanto più ai gruppi.

Ci troviamo quindi di fronte al classico bivio; da una parte l’interesse del datore ad un uso efficiente (e in questo caso flessibile del lavoratore), dall’altra la tradizionale natura protettiva del diritto del lavoro. La dialettica in questione deve poi tener conto del contesto economico e sociale, non solo nazionale, ma almeno di dimensione europea, dato l’accentuato carattere transnazionale dei gruppi.

La storica distanza tra lavoro e impresa è stata in alcuni casi colmata da sistemi partecipativi; come nel caso tedesco, che ha tuttavia mostrato ben presto i suoi limiti. La partecipazione è infatti rimasta ancorata alla “fabbrica’’ più che all’impresa; implicando un limite non solo dimensionale ma anche oggettivo211.

211 T. TREU, in @bollettinoadapt.It, Le relazioni industriali nell’era

della globalizzazione: gli accordi in deroga in Europa e la sfida ai sistemi contrattuali, riferendosi agli accordi Fiat sostiene che: << Il contesto sindacale e politico italiano non ha permesso il diffondersi di pratiche partecipative per motivi risalenti nel tempo e tuttora non superati: e la Fiat non è certo un eccezione. Un rafforzamento di tali pratiche

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A livello europeo l’esigenza di un riconoscimento dei diritti di partecipazione in un contesto specificamente giuslavoristico, nasce con il progetto Vredeling nel 1980; e si conclude in parte con la direttiva europea 94/45, e poi, da ultimo, nel 2002, con la direttiva 2002/14 sull’informazione e consultazione dei lavoratori. La direttiva n. 94/45 (c.d. Vredeling II)212, approvata nel settembre del 1994, prevede l’istituzione di un Comitato aziendale europeo o di una “procedura” per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese, o in ciascun gruppo di imprese di dimensione comunitaria. Elemento centrale della normativa è il nuovo organismo di rappresentanza ad hoc, il Comitato aziendale europeo, costituito per l’esercizio della funzione d’informazione e consultazione dei lavoratori; ovvero, in alternativa a tale opzione strutturale, è possibile prevedere

aiuterebbe molto ad affrontare le difficili scelte imposte dalla crisi, non solo la questione delle deroghe. Lo dimostra il fatto che le aziende ove si sono praticate forme diffuse di coinvolgimento dei sindacalisti e del sindacato sono riuscite ad affrontare situazioni di crisi e di sviluppo con successo e senza i traumi registrati alla Fiat. (…) Il giudizio finale sull’accordo (si riferisce all’accordo di Mirafiori) dipenderà molto dalla capacità di queste commissioni di introdurre reali elementi di partecipazione nella gestione dei processi e delle innovazioni organizzative necessarie a migliorare la competitività aziendale. Si tratta di forme partecipative confacenti alla tradizione italiana, quindi non di tipo cogestionale: ma nonostante questo il loro utilizzo è importante, tanto più in un contesto difficile come la Fiat>>.

212 Vredeling II nasce perché il primo tentativo era stato fortemente

criticato dalla comunità imprenditoriale quale violazione dell’autonomia giuridica e manageriale delle singole imprese. Le critiche rivolte al sovraccarico di informazioni richieste hanno dato vita alla seconda versione della direttiva, che risulta un tentativo più annacquato.

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l’istituzione di una procedura che assolva la medesima funzione, senza alcun organo tipizzato.

Gli interventi del legislatore europeo si sono quindi limitati alla tematica dell’informazione, della consultazione e della partecipazione, <<postergando213>> la questione più problematica della disciplina contrattuale collettiva.

Se da una parte si può confermare che le relazioni collettive di tipo partecipativo sono in grado di cogliere le relazioni fra le diverse imprese del gruppo nell’ottica del rapporto gerarchico che interessa la società dominante e la dominata; espressione dell’esigenza più volte ricordata di identificare il gruppo quale unico centro di imputazione. Dall’altra si deve notare sin da subito che tale approccio non può essere adottato nelle reti di imprese, tipicamente caratterizzate da rapporti paritari che mantengono inalterata l’autonomia (non solo formale, ma anche sostanziale) delle singole società.

In altri contesti invece lo strumento principale di regolazione dei rapporti di lavoro è stata la contrattazione collettiva; e anche questa ha dovuto estendere il suo intervento al di là della “fabbrica’’.

213 In tal senso, G. ZILIO GRANDI, La contrattazione collettiva nelle

reti di imprese, in Contratto di rete e diritto del lavoro. (a cura di) G. ZILIO GRANDI, M. BIASI, CEDAM, 2014.

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Diceva già nel 1988 il prof. Treu214: << la crescente integrazione economica finanziaria e tecnica, che caratterizza l’impresa moderna ed i suoi processi decisionali, tende a rendere i nessi fra politica ed impresa decisivi per svolgere efficacemente persino le tradizionali funzioni normative della contrattazione collettiva e della legislazione protettiva. Anche gli accordi più minuti e precisi sulle condizioni di lavoro si rivelano alla fine “inutili’’ se i lavoratori non hanno la possibilità di influire sulle prospettive del loro lavoro, le quali discendono sempre di più da fattori e decisioni concernenti la posizione dell’impresa sul mercato e quindi attinenti alle cosiddette prerogative manageriali>>.

Il diritto del lavoro e l’istituto della partecipazione e, ancor di più, la contrattazione collettiva, hanno sempre trovato forti resistenze nell’incidere sulla struttura dell’impresa e sulle funzioni manageriali. Nel caso dei gruppi di imprese, tali resistenza sono accresciute dalla complessità e dal carattere multiforme delle relazioni interne.

Diffusasi a cavallo tra gli anni 80 e 90, la contrattazione di gruppo, spesso informale e ad opera di agenti contrattuali temporanei (comitati ad hoc), non era oggetto di istituzionalizzazione nella tradizione Europea, che conosceva per lo più la contrattazione di categoria, di impresa o di stabilimento. Non era vista come un livello di contrattazione

214

T. TREU, Gruppi di imprese e relazioni industriali: tendenze Europee, in Giornale di diritto del lavoro, 1988, p. 641 ss.

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generale, ma specializzato in materie identificate che avevano ripercussioni sull’impiego di manodopera (quali ad esempio le ristrutturazioni industriali o l’introduzione di nuove tecnologie).

La soluzione ricercata da questo livello contrattuale mirava a promuovere e regolare la mobilità infra-gruppo, nell’ottica della ricercata flessibilità ma anche quale forma deterrente di possibili riduzioni di personale da parte delle singole imprese nel gruppo. I sindacati hanno quindi chiesto, in cambio della loro collaborazione nei nuovi processi organizzativi, mobilità interna215 congiunta a diritti di informazione e consultazione. L’obiettivo era quello di

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