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Il rapporto di lavoro nelle reti di imprese.

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Academic year: 2021

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SOMMARIO

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Sommario

Introduzione ...3

CAPITOLO 1: Articolazioni e trasformazioni dell’impresa. ... 7 Brevi cenni sulle reti di imprese ... 7 1.A. La trasformazione dell’impresa: Dal modello fordista alla rete 9 1.B. La risposta dell’ordinamento: il criterio funzionalistico ... 11

CAPITOLO 2: Il rapporto di lavoro nei gruppi di imprese. ... 14 Introduzione al dibattito sulla codatorialità ... 14

2.A. Rilevanza giuridica delle nozioni di “interesse di gruppo’’ e di “impresa di gruppo’’ ai fini dell’individuazione del datore di lavoro ... 16 2.B. Una diversa prospettiva: la codatorialità come rimedio ... 20 2.C. L’uso promiscuo della prestazione di lavoro nel gruppo; la risposta della Corte Suprema ... 23 2.D. L’individuazione del datore di lavoro nei gruppi di imprese al vaglio della Corte di Giustizia. ... 28

CAPITOLO 3: La teoria della codatorialità ... 33 3.A. Profili critici della teoria della codatorialità... 46

CAPITOLO 4: Una prospettiva comparata su gruppi, reti e

codatorialità. ... 52 4.A. Ordinamenti che non attribuiscono rilevanza giuridica ai gruppi. Alcuni esempi: Spagna, Australia, Svezia e Israele ... 54 4.B. L’Italia e la Grecia: rilevanza giuridica limitata al diritto commerciale ... 56 4.C. La rilevanza giuridica del gruppo di imprese anche nel diritto del lavoro ... 58

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SOMMARIO

2 4.F. Conclusioni in chiave comparata: ... 63 4.E. La Fattispecie dell’“associated employer’’ ... 68

CAPITOLO 5: Il rapporto di lavoro nelle reti di imprese ... 70 5.A. Le esigenze delle reti: lo scambio di personale e la flessibilità 73 5.B. Il quadro differenziale tra reti e distretti ... 75 5.C. I mercati del lavoro interni alle reti ... 77

CAPITOLO 6: Il distacco. ... 83 Dalle origini della disciplina allo scambio di manodopera nel gruppo ... 83 6.A. Il distacco nelle reti di imprese ... 92 6.B. L’impugnativa del distacco infra- rete ... 95 6.C. Il distacco Internazionale: le differenze tra il distacco verso Paesi UE e il distacco verso Paesi extra UE ... 99 6.D. Il distacco tra Stati membri dell’Unione Europea alla luce della Direttiva 96/71 CE ... 101

CAPITOLO 7: La nozione di codatorialità “in bianco’’ e

l’assunzione congiunta. ... 105 7.A. Artt. 30 e 31 del d. lgs. 276/2003: le ragioni dell’autonomia delle due disposizioni ... 107 7.B. Lo schema civilistico della “codatorialità’’ nelle reti di imprese ... 114

CAPITOLO 8: Il contratto di rete: dalla disciplina originaria

all’attuale assetto. ... 121 Breve preambolo. ... 121 8.A. I primi interventi legislativi in tema di contratto di rete ... 124 8.B. Gli incentivi fiscali: problematiche economiche e giuridiche . 128 8.C. Gli interventi del 2012: dalla legge n. 134/2012 (Decreto sviluppo) al d.l. 179/2012 (Decreto sviluppo bis) ... 131

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SOMMARIO

3 8.D. Profili giuslavoristici: Rete-soggetto e codatorialità ... 136 8.E. Gli elementi costitutivi del contratto di rete ... 141 8.F. Gli elementi accidentali del contratto di rete. ... 148 8.G. La responsabilità per le obbligazioni contratte dalla rete. Chi risponde dei debiti lavorativi nella rete? ... 152 8.H. Un caso concreto: La RETE GIUNCA e il Welfare Aziendale ... 156

CAPITOLO 9: La contrattazione collettiva nelle reti di imprese. 158 Introduzione al dibattito ... 158 9.A. La contrattazione collettiva nei gruppi di imprese: una

soluzione a lungo sottovalutata in dottrina e giurisprudenza ... 161 9.B. Gruppi di imprese e relazioni industriali: la partecipazione e la contrattazione collettiva. ... 166 9.C. L’esperienza della contrattazione collettiva nei gruppi di imprese ... 173 9.D. La contrattazione di gruppo quale autonomo livello negoziale sovra-aziendale: verso una contrattazione orizzontale... 179 9.E. La contrattazione collettiva di rete possibile ... 186 9.F. Dalla contrattazione collettiva all’idea di welfare aziendale infra-rete. Il caso Gucci. ... 191 9.G. Il recente riferimento normativo al contratto collettivo di prossimità ... 194 9.H. Verso un nuovo orizzonte: Il caso Battistella ... 200

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INTRODUZIONE

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Introduzione

Il rapporto di lavoro, nel suo assetto tradizionale, è inteso come prestazione di lavoro inserita in un’organizzazione all’interno della quale convivono diversi soggetti che, in base alla divisione del lavoro, integrano le varie funzioni in un contesto organizzato. Le innovazioni tecnologiche e organizzative hanno cambiato il quadro; si è passati a forme di integrazione tra imprese fondate sul ruolo dominante di una di esse, come i gruppi, oppure su relazioni paritarie, come le reti. Per facilitare la mobilità dei lavoratori in queste nuove realtà, il legislatore ha previsto forme di scissione tra il datore formalmente titolare del rapporto di lavoro e l’effettivo utilizzatore, che si sono mosse parallelamente al divieto di interposizione introdotto dalla L. 1369/1960 e sopravvissuto, nonostante la formale abrogazione, all’introduzione del d.lgs. 276/2003. Fuori da tali ipotesi lecite di scissione, in dottrina è nata una querelle tra i sostenitori della vocazione binaria del rapporto di lavoro e i sostenitori della pluralità dei datori. Questi ultimi ritengono cioè che il diritto del lavoro si sia trovato ad inseguire i mutamenti produttivi e organizzativi, basati sulla collaborazione tra imprese o sull’utilizzazione del lavoro di altre imprese, fino a prevedere lo sdoppiamento delle prerogative datoriali in capo a soggetti distinti. Ciò che momentaneamente rileva è la <<ritrovata centralità della

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INTRODUZIONE

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figura del datore di lavoro1>>. Il diritto del lavoro classico nasce, infatti, con lo scopo di tutelare il prestatore di lavoro (nella sua dimensione individuale o collettiva) alle dipendenze di un datore individuato, a volte nella persona fisica “imprenditore’’ altre, nell’impresa. Non si può non notare che il codice civile del 1942 preveda una definizione del prestatore di lavoro e non del datore di lavoro. Si individuava il datore <<quasi fotograficamente2>> nel titolare del rapporto e nel soggetto che effettivamente

1 V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, 2010, WP

C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona’’.IT-94/2010 o ancora in tal senso M. BARBERA, Trasformazioni nella figura del datore di lavoro e flessibilizzazione delle regole del diritto, testi oggetto di rielaborazione delle relazioni presentate in occasione del XVI Congresso nazionale dell’Associazione italiana di diritto del lavoro e della sicurezza sociale (Aidlass) sul tema <<La figura del datore di lavoro. Articolazione e trasformazioni>> (Catania, 21-23 maggio 2009); l’Autrice qui citata dice infatti: <<Il diritto del lavoro ha tradizionalmente parlato molto di una delle parti del rapporto di lavoro, il prestatore di lavoro; assai meno dell’altra, il datore di lavoro. La ragione di ciò è legata all’identità della stessa materia. La fattispecie che ha tradizionalmente determinato l’applicazione della disciplina lavoristica tipica è stata la subordinazione. Il se del diritto del lavoro, cioè, è dipeso sostanzialmente dalla natura subordinata della prestazione di lavoro. Era dunque importante sapere chi fosse il lavoratore subordinato. Il quantum, invece, è dipeso per lo più dalla natura del datore di lavoro, che determinava il carattere speciale della disciplina del rapporto. Ma ciò non ha significato che fosse egualmente importante sapere chi fosse il datore di lavoro. Le sue caratteristiche generali venivano individuate in negativo dalla specificazione dei caratteri propri della subordinazione (eterodirezione, dipendenza); quelle speciali venivano individuate volta per volta dal legislatore>>.

2 M. BIASI, Dal divieto di interposizione alla codatorialità: le

trasformazioni dell’impresa e le risposte dell’ordinamento, WP CSDLE “Massimo D’Antona’’.IT-218/2014, consultabile presso http://csdle.lex.unict.it.

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INTRODUZIONE

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esercitava il potere direttivo. Occorre quindi, venendo al punto di questo progetto di tesi, tentare di risolvere il problema riguardante il ripensamento non solo sulla figura del datore ma anche sul rapporto di lavoro, per poi arrivare alla disciplina del rapporto di lavoro nelle reti di impresa. Sarà tuttavia necessario affrontare le principali problematiche relative ai gruppi, che rappresentano <<la palestra nella quale si sono affinate le tecniche ricostruttive in ordine alla possibile proiezione della codatorialità3>>.

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CAPITOLO 1: ARTICOLAZIONI E TRASFORMAZIONI DELL’IMPRESA

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CAPITOLO 1: Articolazioni e trasformazioni

dell’impresa.

Brevi cenni sulle reti di imprese

In un sistema economico caratterizzato dalla presenza dominante di medie e piccole imprese, quale quello italiano, la rete di imprese rappresenta la via adeguata per accrescere la capacità di innovazione, le competenze distintive e la propensione all’internazionalizzazione. Nell’attuale contesto di globalizzazione dei mercati, il modesto livello competitivo delle PMI italiane, le scarse risorse finanziarie e la bassa propensione al rischio comportano una limitata capacità di espansione nei mercati internazionali. Le imprese “facendo rete’’4 hanno creato un’alternativa strategica capace di accrescere la loro competitività sui mercati e il loro grado di innovazione; utilizzano, cioè, una struttura in grado di connettere realtà imprenditoriali che mantengono la loro autonomia formale e sostanziale. È un percorso alternativo ai gruppi aziendali caratterizzati da legami proprietari che determinano situazioni di controllo; nella rete, invece, i rapporti si basano su relazioni fiduciarie e paritarie. L’autonomia delle singole imprese è un presupposto basilare della rete e permane anche nelle cd. reti centrate5

4 Definizione di C. SACCON, I vantaggi economici per le imprese nel

“fare rete’’, in Contratto di rete e diritto del lavoro (a cura di) G. ZILIO GRANDI- M. BIASI, 2014 CEDAM.

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A costituire la rete sono generalmente imprese con risorse significative o forte attitudine alla leadership che organizzano e coordinano il

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CAPITOLO 1: ARTICOLAZIONI E TRASFORMAZIONI DELL’IMPRESA

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caratterizzate dalla presenza di imprese leader che svolgono funzioni di guida rispetto alle altre. Le attività svolte dalla rete sono varie e atipiche: spaziano dal coordinamento di attività svolte autonomamente da ciascuna impresa, alla collaborazione concernente una fase o un progetto, allo svolgimento in comune di un’attività economica.

Ne consegue una definizione di rete come modello di collaborazione tra imprese autonome non legate al limite della territorialità tipico dei distretti, che consente lo scambio di informazioni, di accrescere le competenze, investimenti e rendimenti e condividere i costi della sperimentazione. Ciascuna impresa si concentrerà su specifiche competenze finendo per specializzarsi con conseguente riduzione di tempi di lavorazione, sprechi e difetti. La riduzione dei costi e dei rischi si riverbera positivamente anche sulla capacità di ottenere capitale e finanziamenti a condizioni più favorevoli; quando la rete è stabile, infatti, le singole imprese ottengono rating migliori. È prospettabile anche la concessione di finanziamenti alla rete in virtù di un rating di rete. La scelta di far parte di una rete implica decisioni importanti per l’impresa che dovrà comparare i vantaggi nel lungo periodo con le possibili criticità della rete; non sempre le reti, infatti, mantengono

processo di produzione selezionando le imprese retiste sulla base di specifiche competenze. Le reti in cui non prevale un’impresa leader sono definite, invece, reti paritarie o simmetriche. Si noti però, che il potere dell’impresa leader nella rete asimmetrica non può mai estendersi al controllo proprietario.

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CAPITOLO 1: ARTICOLAZIONI E TRASFORMAZIONI DELL’IMPRESA

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nel tempo la loro capacità di rispondere agli obiettivi assegnati. Nei casi più critici sono state create reti finalizzate al mero accesso ai contributi erogati da enti pubblici, nazionali o europei6.

1.A. La trasformazione dell’impresa: Dal modello fordista alla rete

Da quanto emerge, i paradigmi produttivi della grande impresa fordista su cui si sono costruiti i modelli di lavoro e di relazioni industriali del secolo scorso stanno crollando dalle fondamenta7. Al prototipo dell’impresa integrata

6 C. BENTIVOGLI, F. QUINTILIANI, D. SABBATINI, Il contratto

di rete: limiti e opportunità, in L’Industria, 2013,2, efficacemente: <<Gli incentivi fiscali possono fornire un contributo, ma vanno, tuttavia definiti in modo da attenuare il rischio di introdurre distorsioni nel funzionamento dei meccanismi di mercato. Sotto questo profilo i possibili effetti positivi derivanti dallo schema di incentivi previsto a favore del contratto di rete, accompagnato da un’asseverazione delle associazioni di categoria, vanno esaminati in relazione ai potenziali svantaggi. Occorre infatti considerare che gli incentivi specificamente orientati alle imprese che creano un “contratto di rete’’ innalzano il costo opportunità di altre forme di coordinamento (quali il consorzio con attività esterna o la società), che in taluni casi potrebbero essere più rispondenti agli obiettivi e alle esigenze specifiche delle imprese stesse>>.

7 Sul punto, R. DE LUCA TAMAJO, Diritto del lavoro e

decentramento produttivo: in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, In Rivista Italiana di diritto del lavoro, 2007, I, il quale afferma simbolicamente: <<L’impresa fordista esplode, distribuendo nella rete le sue diverse operazioni: il grande monolite tende a frammentarsi in una moltitudine di strutture dotate di un’autonomia economica e funzionale più o meno grande. Parole d’ordine di questo nuovo paradigma organizzativo sono esternalizzazione, terziarizzazione, outsourcing: termini aziendalistici riassuntivi di alcune modalità di superamento della produttività di massa che rimandano alla transizione in corso da un modello assestato (l’impresa fordista verticalmente

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CAPITOLO 1: ARTICOLAZIONI E TRASFORMAZIONI DELL’IMPRESA

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verticalmente si affiancano oggi sistemi produttivi organizzati a livello orizzontale in forma di gruppo o di rete8. Nei rapporti fra imprese proprie delle catene di fornitura nazionali e mondiali, l’impresa fordista sembra oggi inadeguata rispetto alla rete intesa come organizzazione flessibile di rapporti. Le trasformazioni dell’impresa procedono di pari passo con la diversificazione dei contenuti di lavoro, indotta anch’essa dalle innovazioni tecnologiche e dalle pressioni della competizione globale9. L’attenzione del diritto del lavoro si è prevalentemente incentrata sulle forme di decentramento che risultano critiche per le condizioni di lavoro, cercando di controllare eventuali forme elusive delle norme protettive del lavoratore e della contrattazione.

integrata) ad uno emergente non ancora del tutto delineato, genericamente chiamato post- fordista>>.

8 Sul punto v. in particolare T. TREU, Trasformazioni delle imprese:

reti di imprese e regolazione del lavoro, in Mercato, Concorrenza e Regole, 2012, 1, p.8, ma anche M. BARBERA, Trasformazioni nella figura del datore di lavoro e flessibilizzazione delle regole del diritto, la quale afferma: << L’impresa si è smaterializzata come spazio economico perché globalizzazione e innovazione tecnologica consentono di gestire relazioni di mercato che si svolgono a distanza e sono spesso slegate dai beni e dai servizi prodotti. Ma nella ricerca di chi sia il datore di lavoro, l’impresa non risulta affatto smaterializzata: dall’impresa si risale pur sempre ad un soggetto giuridico, sia esso singolo (l’imprenditore) o collettivo (la società o il gruppo)>>.

9 L’idea del lavoro passivamente condizionato alle trasformazioni

aziendali è spesso presente nel dibattito sulla flessibilità mentre l’autonomia del lavoro rispetto all’organizzazione aziendale è un’idea che prevale nelle analisi sociologiche. Autorevole dottrina (T. TREU op. ult. cit) ritiene che tra i due fattori -lavoro e trasformazione dell’impresa- intercorrano rapporti di influenza reciproca.

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CAPITOLO 1: ARTICOLAZIONI E TRASFORMAZIONI DELL’IMPRESA

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1.B. La risposta dell’ordinamento: il criterio funzionalistico

A fronte della frammentazione dell’impresa tradizione, il legislatore ha risposto prevedendo strumenti funzionali all’individuazione della figura del datore cui riferire la titolarità del rapporto di lavoro e di conseguenza diritti e obblighi10. La titolarità del contratto, originariamente criterio unico, finisce per essere affiancata dal riferimento all’effettivo utilizzo delle prestazioni di lavoro. Il criterio funzionalistico dell’effettiva utilizzazione della prestazione di lavoro non è previsto dal legislatore in modo uniforme: a volte, come nel caso della somministrazione, si sostanzia nella distribuzione tra datore contraente ed effettivo utilizzatore dei poteri tipici del datore. Altre volte, come nell’appalto, subappalto o subfornitura, si prevedono forme di responsabilità congiunta e solidale. Mentre in materie sensibili, come la sicurezza sul posto di lavoro, si adotta una nozione di “datore’’ molto ampia che va oltre la mera titolarità del rapporto e si estende a dirigenti, delegati alla sicurezza o soggetti che, pur privi di regolare investitura, esercitano in concreto poteri datoriali. Più complesse sono le scelte del legislatore in merito al principio di uguaglianza di

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In tal senso M. BARBERA (op. ult. Cit) sostiene che: << La tesi secondo le quali la subordinazione si sostanzia nell’utilizzazione diretta della prestazione da parte del datore di lavoro, nonché nell’appropriazione diretta dei suoi frutti, privilegia una nozione di subordinazione basata sui dati di fatto, vedendo, marxianamente, nella sovrastruttura nient’altro che l’espressione della struttura sottostante.>>

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CAPITOLO 1: ARTICOLAZIONI E TRASFORMAZIONI DELL’IMPRESA

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trattamento: tale principio opera fra lavoratori somministrati e dipendenti dell’utilizzatore, ma non trova alcuna applicazione nei casi di appalto. Non abbiamo, quindi, un sistema lineare e lo stesso criterio dell’effettiva utilizzazione mostra incertezze interpretative.

La legge sul lavoro interinale prima e sulla somministrazione poi, la disciplina dell’appalto e del trasferimento d’azienda, le norme sul distacco, le disposizioni in tema di salute e sicurezza del lavoro, la tutela antidiscriminatoria dei lavoratori atipici, forniscono esempi diversi di come il diritto del lavoro si sia indirizzato verso canoni funzionalistici di individuazione della figura del datore di lavoro, che si connota diversamente a seconda del contesto e dei fini che l’ordinamento intende realizzare11.

Con la moltiplicazione dei possibili centri di imputazione dei rapporti di lavoro, si assiste alla frammentazione e al ridimensionamento del principio generale desumibile dall’art 1, legge n. 1369/ 1960, in base al quale quando la prestazione di lavoro è inserita in un’impresa, la qualità di datore di lavoro non può scindersi dalla titolarità formale del rapporto. Si noti però che il vecchio divieto di interposizione continua ad ombreggiare nell’ordinamento12; opera, infatti,

11

In tal senso M. BARBERA, Trasformazioni nella figura del datore di lavoro e flessibilizzazione delle regole del diritto.

12 Per maggiore chiarezza, si rinvia a O. MAZZOTTA, Il problema

dell’interposizione nel rapporto di lavoro, consultabile su

http://www.fondazioneforensefirenze.it/uploads/fff/files/2013/2013.II /2013.12.02%20Appalto%20e%20contratto%20lavoro%20(AGI)/Mater iale/Prog_%20Mazzotta.pdf.

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CAPITOLO 1: ARTICOLAZIONI E TRASFORMAZIONI DELL’IMPRESA

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nelle ipotesi di scissione permanente tra il datore cd. formale e l’effettivo ed esclusivo utilizzatore della prestazione (somministrazione, appalto e distacco irregolare).

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CAPITOLO 2: IL RAPPORTO DI LAVORO NEI GRUPPI DI IMPRESE

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CAPITOLO 2: Il rapporto di lavoro nei gruppi

di imprese.

Introduzione al dibattito sulla codatorialità

Nonostante vi sia differenza sostanziale tra i gruppi e le reti,13 la dottrina e la giurisprudenza relativa ai primi forniscono spunto per la trattazione dei rapporti di lavoro all’interno delle reti di impresa. Nel gruppo, in quanto ascrivibile alle strategie di decentramento produttivo, una medesima attività economica viene frammentata fra più soggetti giuridicamente autonomi. In linea astratta, la prestazione del lavoratore è quindi resa nell’interesse del datore formale o di altre società. Per quanto attiene al diritto del lavoro, non esiste una regolamentazione legislativa specifica dalla quale possa trarsi un riconoscimento del rapporto di lavoro all’interno di un gruppo d’imprese e «…nessuna disposizione ci autorizza a ritenere che sia costruibile una sorta di soggettività unitaria nell’ambito di più imprese fra loro collegate14». A fronte di una prestazione resa nell’interesse di più soggetti, alcuni

13 I gruppi sono aggregazioni di imprese societarie formalmente

indipendenti, ma assoggettate all’influenza dominante di un’unica società (cd. capogruppo o madre) che indirettamente o direttamente controlla e dirige secondo un disegno unitario l’attività delle società figlie per il perseguimento di uno scopo di gruppo (cd. interesse di gruppo). Rappresenta quindi, una struttura gerarchica e verticale, che si differenzia nettamente dalla struttura paritaria e orizzontale delle reti di imprese.

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CAPITOLO 2: IL RAPPORTO DI LAVORO NEI GRUPPI DI IMPRESE

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ritengono che il rapporto di lavoro si instauri sempre con una sola delle imprese appartenenti al gruppo, rimandando all’interprete il compito di individuare il datore effettivo15. Altri invece sostengono che la qualità di datore vada attribuita sulla base delle modalità effettive di impiego della prestazione e dell’esercizio del potere datoriale.16

Nonostante l’assenza di una specifica normativa che definisca compiutamente questo fenomeno nell’ambito del diritto del lavoro, l’appartenenza di un’impresa ad un gruppo è stata spesso oggetto del vaglio della giurisprudenza, nella definizione di questioni attinenti all’imputazione del rapporto di lavoro dei dipendenti dell’impresa stessa, per cui rappresenta tema d’interesse anche per la disciplina giuslavoristica. Già la giurisprudenza degli anni ottanta affermava l’assoluta irrilevanza del gruppo come soggetto autonomo a cui imputare i rapporti di lavoro; nei gruppi vi era quindi, unicità di impresa dal punto di vista economico e pluralità di soggetti dal punto di vista giuridico. Nel caso del gruppo è utile precisare, poi, che l’art. 2094 c.c. nel prevedere il rapporto di lavoro

15 In tal senso M.T CARINCI, Argomenti diritti del lavoro, 2007,

p.1019 che ritiene che l’unicità del datore di lavoro, come parte del contratto e titolare di diritti e obblighi connessi, sia regola generale dell’ordinamento giuslavoristico.

16 Da qui, V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata,

2010 di cui si parlerà in seguito arriva ad affermare la teoria della codatorialità. Oppure O. RAZZOLINI, Impresa di gruppo, interesse di gruppo e codatorialità nell’era della flexicurity, Rivista Giuridica del lavoro, 2013, p. 44 che si mostra maggiormente propensa al ricorso della fattispecie dell’obbligazione soggettivamente complessa.

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CAPITOLO 2: IL RAPPORTO DI LAVORO NEI GRUPPI DI IMPRESE

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subordinato, non definisce altresì l’impresa quale datrice di lavoro ma ne presuppone la nozione, caratterizzata dalla soggettività giuridica, con la conseguenza che, salve le ipotesi simulatorie, ad una pluralità di soggetti societari esercitanti i poteri del datore corrisponde una pluralità di rapporti. Pertanto, la regola generale è che ciascuna società è titolare esclusiva dei rapporti di lavoro subordinato con i propri dipendenti, senza che i relativi obblighi si estendano alle altre società del gruppo.

2.A. Rilevanza giuridica delle nozioni di “interesse di gruppo’’ e di “impresa di gruppo’’ ai fini dell’individuazione del datore di lavoro

Nel 200317 l’art 2497 cod. civ recepisce le nozioni elaborate dalla dottrina giuscommercialistica di “interesse di gruppo’’ e di “impresa di gruppo’’ al fine di facilitare l’aggregazione di società in gruppi per il raggiungimento di obiettivi che le singole società non sono in grado di realizzare. Alla luce della riforma, la capogruppo può coordinare e dirigere le società controllate in funzione della realizzazione dell’interesse di gruppo, che non coincide con l’interesse delle singole società né con l’interesse della società madre ma corrisponde alla sintesi degli interessi del gruppo che si sostanziano in un disegno strategicamente condiviso da tutte le società. Le società controllate ottengono i cd. “vantaggi compensativi’’ che scontano il prezzo del controllo della holding, in caso contrario, la società controllata lesa avrà diritto al

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CAPITOLO 2: IL RAPPORTO DI LAVORO NEI GRUPPI DI IMPRESE

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risarcimento del danno. Voci in dottrina18, a fronte della modifica dell’art 2497 cod. civ. ritengono inadeguata l’attitudine della giurisprudenza lavoristica a prevedere, in presenza di indici denotativi di un’ipotesi di frode alla legge, l’imputazione del rapporto di lavoro al gruppo come centro unitario. La giurisprudenza ha cioè individuato indici che, se presenti, denotano una finalità fraudolenta ed elusiva del gruppo; al giudice di merito era chiesta la valutazione circa la sufficienza di taluni tra questi elementi per la configurazione dell’unico centro di imputazione del rapporto di lavoro.19

18

Si rinvia a O. RAZZOLINI, contitolarità del rapporto di lavoro nel gruppo caratterizzato da <<unicità>> di impresa, in Diritto del lavoro e relazioni industriali,2009, pp.263 ss.

19 In alcuni casi la corte- Cass 19 giugno 1998, n. 6137 – non ritiene

necessaria la compresenza degli elementi sintomatici, attribuendo carattere decisivo all’utilizzazione promiscua dei lavoratori. Efficacemente in tal senso, TAGLIAGAMBE, Giurisprudenza di legittimità e giurisprudenza di merito in materia di società collegate, in D&L, 588: «…i giudici di merito , in presenza dei requisiti di fatto dinnanzi illustrati, ritengono di poter superare l’autonomia soggettiva delle diverse società del gruppo, estendendo direttamente al patrimonio di altre società la conseguenza di vicende formalmente afferenti una singola diversa società, e ciò anche prescindere da simulazione e/o atti in frode alla legge. I giudici di legittimità, in presenza degli stessi requisiti di fatto, ritengono raggiunta la prova di una frammentazione soggettiva operata in frode alla legge e, quindi, ne inducono l’esistenza di un centro di imputazione unitaria del rapporto, che raggruppa in sé più soggetti, facendo poi cadere su ciascuno dei medesimi le conseguenze di vicende formalmente afferenti uno solo di essi. Come dire che, dati i medesimi presupposti di fatto, sia la giurisprudenza di merito che quella di legittimità pervengono oramai a conclusioni identiche, seppure con motivazioni diverse».

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CAPITOLO 2: IL RAPPORTO DI LAVORO NEI GRUPPI DI IMPRESE

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Tali indici di fatto sono, in particolare:

a) l’unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) l’integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il relativo interesse comune;

c) un coordinamento tecnico- amministrativo e finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;

d) l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore di vari imprenditori20.

La prof.ssa Razzolini ritiene che gli indici di fatto individuati dalla giurisprudenza21 contrastino con l’idea sopra esposta di società coordinate e comunicanti nel gruppo ai fini del raggiungimento di quello scopo comune o se si vuole “interesse di gruppo’’. Bisogna valutare gli indici, considerati come indicativi di una patologia del gruppo, alla luce del considerevole livello di integrazione che in quanto previsto dal legislatore all’art 2497 cod. civ. deve essere considerato come “fisiologico’’.

20 O. RAZZOLINI, Impresa di gruppo, interesse di gruppo e

codatorialità nell’era della flexicurity, Rivista Giuridica del lavoro, 2013 p 38 ss.

21

Anche in sentenze relativamente recenti, una per tutte Cass 2012 n. 88.

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CAPITOLO 2: IL RAPPORTO DI LAVORO NEI GRUPPI DI IMPRESE

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L’utilizzazione contemporanea e indifferenziata della prestazione di lavoro da parte delle diverse società nel gruppo non deve quindi condurre alla lettura di tale fenomeno in chiave fraudolenta ma all’individuazione del datore di lavoro sulla base del criterio funzionalistico. Sostiene la dottrina sopra citata22 che l’utilizzazione della prestazione di lavoro da parte delle diverse società nel gruppo debba interpretarsi <<come la normale applicazione delle regole che presiedono al giudizio di imputazione del rapporto di lavoro>>. Nell’imputare il rapporto di lavoro al gruppo quindi, non si sanziona un’ipotesi fraudolenta, ma si usa il criterio funzionalistico.

Seguendo questa tesi, è cioè possibile utilizzare il meccanismo giurisprudenziale degli indici di fatto in chiave regolativa e non più sanzionatoria; lettura che appare adeguata se si considera che tali indici selezionano un fenomeno che dopo la riforma del 2003 non è di per sé fraudolento, ma meritevole di tutela alla luce del nuovo 2497 cod. civ. E ancora, se la qualità di datore di lavoro viene attribuita al titolare dell’impresa nella quale è in concreto impiegata la prestazione di lavoro sulla base del criterio funzionalistico, nulla osta a ritenere titolari del rapporto di lavoro la pluralità di imprese che effettivamente utilizzano

22 Opinione sopra citata e ancora, O. RAZZOLINI, relazione presentata

al XVI congresso nazionale dell’Associazione Italiana di diritto del lavoro e della sicurezza sociale (Aidlass) svoltosi a Catania dal 21 al 23 maggio 2009 sul tema <<la figura del datore di lavoro- articolazioni e trasformazioni>>. Consultabile anche in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona’’. IT- 94/2010.

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CAPITOLO 2: IL RAPPORTO DI LAVORO NEI GRUPPI DI IMPRESE

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la prestazione; si configura così un regime di contitolarità del rapporto di lavoro23.

2.B. Una diversa prospettiva: la codatorialità come rimedio

L’imputazione del rapporto di lavoro a più soggetti formalmente autonomi dal punto di vista imprenditoriale investe però la vocazione binaria del contratto di lavoro. Tralasciando momentaneamente questo primo profilo, occorre sottolineare la tendenza della dottrina, di fronte a fenomeni di integrazione delle imprese e di segmentazione del ciclo produttivo assolutamente leciti, di utilizzare la <<codatorialità come congegno rimediale24>>.

Si vuole dire cioè che fintanto che il gruppo risponde ad obiettive esigenze di impresa, che non siano quelle di diminuire le tutele per i lavoratori a indebito vantaggio del loro datore di lavoro, la scelta di questa tipologia organizzativa è sicuramente meritevole di tutela, in quanto costituisce esplicazione del principio fondamentale, sancito dall’art. 41 della Costituzione, per il quale «l’iniziativa economica privata è libera», fatto comunque salvo il limite che «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità

23

O. RAZZOLINI, Rivista giuridica del lavoro, 2013 p. 39.

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umana25». In questa prospettiva il coordinamento e la direzione della società capogruppo, aspetti leciti e fisiologici, non comportano di per sé l’imputazione del rapporto di lavoro a più imprese; solo qualora la capogruppo andasse concretamente ad incidere sulla gestione del singolo rapporto di lavoro potrebbe conseguire l’imputazione dello stesso alla società madre.

La nota pronuncia della Corte di Cassazione n.2570/2011 ha efficacemente esplicato il confine tra il potere della capogruppo di direzione e coordinamento lecito e il superamento dello stesso: <<la concreta ingerenza della società capogruppo nella gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società del gruppo, che ecceda il ruolo di direzione e coordinamento generale spettante alla stessa sul complesso delle attività delle società controllate, determina l’assunzione in capo alla società capogruppo della qualità di datore di lavoro, in quanto soggetto effettivamente utilizzatore della prestazione e titolare dell’organizzazione produttiva nel quale l’attività lavorativa è inserita con carattere di subordinazione>>.

L’imputazione del rapporto di lavoro alla società madre è la conseguenza di un fenomeno patologico e se vogliamo, applicazione del principio di effettività, che consiste nella ricerca e nel disvelamento del reale datore di lavoro. La

25 In tal senso, S. ITALIA, Rapporto di lavoro e gruppo di imprese,

consultabile su

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costituzione coattiva o ex lege del rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal formale datore deve necessariamente passare dal binario delle previsioni legislative; inoltre, si ricordi, qualora si volesse seguire questo percorso, che la responsabilità solidale è un principio eccettivo e per questo non suscettibile di estensione analogica.

L’art 2497 cod. civ deve quindi essere interpretato in modo coerente con il sistema; evitando di sollevare incoerenza tra il diritto commerciale e il diritto del lavoro, possiamo interpretarlo come sanzione al comportamento patologico della capogruppo. Più precisamente, la previsione codicistica individua un esercizio abusivo dell’attività di direzione, finalizzata a soddisfare un interesse imprenditoriale proprio della capogruppo che esonda dall’ambito della corretta gestione. Fuori dalle ipotesi di gruppo fraudolento, <<l’elemento cruciale che fa scoppiare la scintilla della imputazione del rapporto non può che essere la rigorosa verifica del concreto esercizio del potere direttivo26>>. Il cd. “interesse di gruppo’’ non può essere elemento costitutivo della subordinazione; la quale prescinde dalla ricerca delle finalità imprenditoriali.

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2.C. L’uso promiscuo della prestazione di lavoro nel gruppo; la risposta della Corte Suprema

In presenza di una forte integrazione organizzativa del gruppo e dell’uso indistinto del prestatore di lavoro, tale per cui non fosse possibile distinguere la porzione di lavoro svolta nell’interesse di un datore o di un altro, si può prospettare l’imputazione del rapporto di lavoro alle diverse società. Lungi dal rappresentare una rivoluzione copernicana, anche questa volta siamo di fronte ad un profilo patologico che transita in egual modo sui binari classici della subordinazione: si tratta, infatti, dell’individuazione del datore di fatto che detiene ed esercita i poteri datoriali. Se si vuole, questa ipotesi può definirsi codatorialità a-tecnica; nel senso in cui questa non comporti comunque la duplicazione della titolarità del rapporto.

La lettura di una sentenza della Suprema Corte27 sembra suggerirci l’unicità del rapporto di lavoro qualora uno stesso lavoratore presti contemporaneamente servizio per due datori di lavoro e non fosse possibile distinguere quale parte sia svolta nell'interesse di un datore di lavoro e quale nell'interesse dell'altro, con la conseguenza che entrambi i fruitori di siffatta attività devono essere considerati solidalmente responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, ai sensi dell'art 1294 cod. civ28.

27 Cass. 28 agosto 2000, n. 11275. 28

In tal senso: Cass. 24 marzo 2004, n. 4274; ma anche Cass. 17 maggio 2003, n. 7727, in Orient. Giur. Lav., 2003, I, pag. 385, che, non

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Anche seguendo questa strada comunque, non si ha alcun riferimento alla codatorialità, ma un mero riferimento alla responsabilità solidale. Si può convenire che la disciplina della responsabilità solidale non è sempre sufficiente ad attribuire la qualifica di datore di lavoro, come ci dimostrano la fattispecie dell’appalto e della somministrazione, per le quali la stessa legge esclude che la duplicazione delle posizioni creditorie possa alterare la qualificazione formale di datore di lavoro.

Infine, nel caso in cui gli indici di fatto sopra esposti fossero identificativi di un centro unitario di interesse, con il consequenziale superamento dell’autonomia giuridica delle società nel gruppo, non sarebbe prospettabile un’ipotesi di codatorialità. Ci troviamo di fronte ad un altro caso di gruppo fraudolento: le società consorelle non mantengono la loro autonomia imprenditoriale determinando la <<sostanziale reductio ad unitatem della stessa organizzazione produttiva29>>. Questo orientamento della giurisprudenza idoneo a far emergere la fraudolenta parcellizzazione di un’impresa, è adatto ai casi di <<pseudogruppi>> cioè ipotesi in cui si configura sotto tutela del lavoratore tramite l’utilizzazione dello schermo della persona giuridica come strumento separatore di ciò che nei fatti è unito. Ma proprio in questo sta il suo limite; il

esprimendosi in termini di codatorialità, ha ravvisato un’ipotesi di responsabilità solidale ex art. 1294 c.c. per gli obblighi propri del datore di lavoro in capo a tutte le società che “codeterminano” la prestazione.

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tentativo di individuare il vero datore vale di fronte ad una patologia del gruppo, ma non al cospetto di gruppi genuini30. Non sembra quindi, condivisibile la teoria secondo la quale si potrebbe prescindere dalla soggettività delle singole società, valorizzando l’organizzazione del complesso imprenditoriale e trattandolo alla stregua di un soggetto unitario31. Trascurare l’autonomia delle singole società deve essere, infatti, la conseguenza di un’ipotesi fraudolenta e non la via principale prevista dall’ordinamento32. Una ricostruzione unitaria del gruppo di società rappresenta una penalizzazione di forme di integrazione lecite, ed è irrealistico pensare che l’economia reale proponga forme di

30

Efficacemente sul punto M.G. GRECO, La ricerca del datore di lavoro nell’impresa di gruppo: la codatorialità al vaglio della giurisprudenza, Rivista Giuridica del lavoro, 2013.

31 G. MELIADÒ, Il rapporto di lavoro nei gruppi di società.

Subordinazione e imprese a struttura complessa, 1991, Giuffrè.

32 Non mancano tuttavia decisioni in senso contrario; Trib. Roma

24.3.2014, in www.wikilabour.it, che, in un caso di licenziamento intimato con lettera sottoscritta da tre società formalmente diverse, a favore delle quali il lavoratore era risultato svolgere indistintamente le mansioni di pertinenza, ha individuato nelle tre imprese un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, specificando che, in tale ipotesi, “ciascun soggetto giuridico perde la propria individualità fondendosi in un unico soggetto giuridico, configurante un autonomo soggetto di diritto ossia centro di imputazione del rapporto diverso dalle singole società o enti collegati, i quali perdono la rispettiva personalità giuridica”; se si legge che, in tale modo, “il lavoratore fa capo al nuovo soggetto giuridico”, la stessa decisione ha tuttavia disposto la reintegra del lavoratore per manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo dedotto ai sensi dell’art. 18, comma 7 l. 20 maggio 1970, n. 300 nei confronti di una soltanto delle società, pur responsabili in solido per tutti i crediti e gli importi dovuti al lavoratore a titolo risarcitorio.

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integrazione tra imprese al solo fine di eludere le norme poste a tutela del lavoratore.

Le cd. esternalizzazioni, che certamente hanno effetti sulla gestione del rapporto di lavoro che acquisisce, si dirà in seguito, il prisma della flessibilità, sono espressione di nuovi approcci ai sistemi produttivi. Il gruppo di società è la forma giuridica della grande e media impresa; mentre la rete rappresenta invece una flessibile aggregazione delle piccole e medie imprese. Tuttavia, il diritto del lavoro, costruito intorno al modello della grande impresa fordista, non poteva non reagire con sospetto alle strategie di decentramento. Un sospetto che è andato attenuandosi allorquando è emerso il profilo funzionale e non frodatorio del ricorso alle esternalizzazioni, in qualche modo coessenziale all’attuale fase di sviluppo delle economie capitalistiche avanzate. La legislazione del lavoro si è così orientata, con passo diverso nei vari Paesi, a distinguere le ipotesi di decentramento fittizio da quelle genuine e a salvaguardare i diritti dei lavoratori coinvolti, più che ad ostacolare e penalizzare aprioristicamente le scelte imprenditoriali di segmentazione del ciclo.

La giurisprudenza del lavoro non può quindi limitarsi a considerare il gruppo di società come frammentazione elusiva, ma deve analizzarlo nella sua fisiologia33. In tal

33 G. DE SIMONE, La gestione dei rapporti di lavoro nelle imprese a

struttura complessa, in Diritto e Relazioni industriali, 1991, p. 82 osserva che <<solo un’accentuata miopia può indurre a vedere i gruppi

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senso, si noti che i giudici del lavoro hanno spesso optato per una regolamentazione dei gruppi non distonica rispetto alla disciplina del rapporto di lavoro nell’appalto, che pare essere l’unico punto di riferimento per i fenomeni di monocommittenza34.

Nell’appalto, infatti, la riconducibilità del contratto di lavoro in capo al committente si prevede solo nel caso in cui l’apporto dell’appaltatore sia davvero ridotto al minimo. Si noti, che anche nello schema dell’appalto abbiamo un soggetto diverso dal datore formale- il committente – che esercita un potere tipico datoriale, il controllo, ma l’affievolimento dell’appalto ad interposizione vietata si ha nel solo caso in cui la struttura imprenditoriale dell’appaltatore sia inconsistente.

Il divieto di interposizione ci segnala cioè che è vietato acquisire direttamente energie lavorative attraverso schemi giuridici diversi dal contratto di lavoro subordinato. La titolarità del rapporto va riconosciuta attraverso il principio dell’effettività, in modo conforme alla previsione del 2094 cod. civ35. Da tale articolo si ricava che, chi presta attività di lavoro è lavoratore dipendente di quell’impresa, quale che sia lo schema giuridico apparentemente utilizzato; la tecnica

come uno strumento anti-labour; solo un eccesso di egocentrismo può indurre i giuslavoristi a ritenere che il ricorso a strutture organizzative complesse, nelle quali gioca un ruolo primario la persona giuridica delle società, sia funzione di eludere le norme del diritto del lavoro>>.

34 O MAZZOTTA, Gruppi d’impresa, codatorialità e subordinazione,

Rivista Giuridica del lavoro, 2013, pp 25ss.

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dell’art 2094 cod. civ serve ad individuare il datore effettivo e non ad affiancare al datore formale un altro datore e dunque a fondare la codatorialità. La disciplina dell’appalto, infatti, così come quella della somministrazione, esclude la duplicazione dei datori.

2.D. L’individuazione del datore di lavoro nei gruppi di imprese al vaglio della Corte di Giustizia.

Guardando fuori dal territorio nazionale, si noti che la casistica della giurisprudenza comunitaria in tema di rapporto di lavoro nei gruppi non è ampia quanto quella nazionale. La ragione, in primis legata alla natura della Corte di Giustizia, discende da <<una filosofia legislativa36>> che considera il fenomeno dei gruppi un dato empirico creato dall’autonomia privata da non intralciare purché non rappresenti un ostacolo al perseguimento degli scopi dell’Unione. La Corte tuttavia, non considera irrilevante il fenomeno dei gruppi, e in particolare due decisioni sono richiamate dalla nostra dottrina a sostegno o contro la teoria della codatorialità nei gruppi.

Nella prima37 la Corte era stata chiamata a decidere in tema di obbligo di informazione e di consultazione in vista di un

36

M.G. GRECO, La ricerca del datore di lavoro nell’impresa di gruppo: la codatorialità al vaglio della giurisprudenza, Rivista Giuridica del lavoro, 2013, pp 131 ss.

37 Corte di Giustizia 10 settembre 2009, causa 44/08, riguarda la

Direttiva 98/59 Ce.; ma si veda nella stessa direzione anche Corte di Giustizia 15 dicembre 2011, C-384/2010, “Navimer’’; che, nel risolvere un quesito circa l’interpretazione dell’art. 6, n. 2, lett. a), della convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali

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licenziamento collettivo che la direttiva prescrive in <<un tempo utile>>.

Oltre alla formula elastica, la situazione si complica allorché nei gruppi la decisione strategica di riduzione del personale è presa dalla capogruppo e successivamente adottata dalla controllata, datrice di lavoro dei lavoratori coinvolti nel licenziamento. La Corte ribadisce che l’obbligo di avviare la procedura di consultazione sorge <<quando è stata adottata la decisione strategica o commerciale>> dalla holding, specificando però che tale obbligo grava solo sulla società controllata. Dispone la corte che <<un’impresa che controlla il datore di lavoro, anche se può adottare decisioni vincolanti nei confronti di quest’ultimo, non ha la qualità di datore di lavoro38>>.

Da qui, il prof. Raimondi39 rileva una “responsabilità oggettiva’’ in capo alla controllata, ma anche qui -per coerenza- bisogna ritenere il potere di direzione della capogruppo come lecito, fintantoché non sfori in una pregnante ingerenza sui rapporti di lavoro. La Corte di

(Regolamento CE 593/2008, c.d. “Roma I”), ha ritenuto che la “sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore” rimane quella che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e non quella a cui egli è collegato per l’effettivo svolgimento delle sue mansioni, ben potendo anche la sede di un’impresa diversa da quella che risulta formalmente come datore di lavoro essere qualificata come “sede”, ove elementi oggettivi consentano di stabilire l’esistenza di una situazione concreta che divergerebbe da quella che emerge dai termini del contratto.

38 Corte di Giustizia, sentenza sopra citata. 39

E. RAIMONDI, Gruppi imprenditoriali e codatorialità, Rivista Giuridica del Lavoro, 2012, pp 295 ss.

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Giustizia, infatti, non ha affrontato il problema del confine tra il lecito esercizio dei poteri di direzione e coordinamento e lo sconfinamento nella gestione concreta dei rapporti di lavoro, per cui almeno sulla base di questa decisione bisogna attenersi a quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata40. Inoltre le decisioni della holding non possono costituire un espediente per la controllata al fine di sottrarsi agli obblighi propri del datore.

Nella seconda decisione41 la Corte è invece chiamata a pronunciarsi in tema di trasferimento d’azienda; in particolare, se potesse essere considerata cedente anche l’impresa presso cui erano assegnati i lavoratori legati da un contratto di lavoro con altra impresa. Secondo la corte, la nozione di <<cedente>> può essere riferita anche alla società appartenente ad un gruppo alla quale siano permanentemente assegnati lavoratori formalmente alle dipendenze di altra società appartenente allo stesso gruppo. In estrema sintesi, il quesito è: quali sono i presupposti in presenza dei quali un’impresa, seppur priva della qualità di datore formale, possa essere considerata <<cedente>> con riferimento a quei settanta lavorati che nel caso concreto erano stati stabilmente trasferiti in una struttura e ad una società esterna?

La Corte risponde che in un medesimo gruppo possono coesistere due datori <<uno avente rapporti contrattuali

40

Corte di Cass. n. 2570/2011.

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con i lavoratori di detto gruppo e l’altro avente rapporti non contrattuali con essi>>. Il criterio identificativo del datore che definisce non contrattuale è il carattere della permanenza42. In sostanza, per la Corte di Giustizia, qualora un dipendente fosse stabilmente destinato a svolgere una prestazione di lavoro presso un datore diverso dalla società formalmente datrice, si avrebbe un’ipotesi di coesistenza di due datori di lavoro all’interno di un gruppo.

È chiaro che questa seconda decisione della Corte, a differenza della prima, è utilizzata come argomento di prova dai sostenitori della teoria della codatorialità, ma si consentano due rilievi: in primis, per usare le parole del prof. Biasi, questa idea di codatorialità data dalla Corte di Giustizia, anche se pare sui generis, non è stata <<mai in grado di assurgere ad elemento di sistema, tanto a livello nazionale, quanto sovranazionale>>.

In secondo luogo, la permanente dissociazione tra il titolare del rapporto di lavoro e l’effettivo utilizzatore è incompatibile con il nostro ordinamento. Sono certamente ammesse forme di dissociazione, ma la temporaneità pare potersi elevare a filo rosso del sistema; si pensi al contratto di agenzia in base al quale lo svolgimento della prestazione di lavoro sotto il controllo e la direzione dell’utilizzatore deve avere carattere temporaneo. O ancora al distacco, la

42 O. RAZZOLINI, Il problema dell’individuazione del datore di lavoro

nei gruppi di imprese al vaglio della Corte di Giustizia. Verso un’idea di codatorialità? in Rivista italiana diritto del lavoro, 2011 pp 1286 ss.

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CAPITOLO 2: IL RAPPORTO DI LAVORO NEI GRUPPI DI IMPRESE

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natura temporanea della prestazione è requisito affiancato all’interesse del distaccante all’esecuzione della prestazione di lavoro presso il distaccatario. Ed anzi, nelle reti di imprese, a differenza del gruppo, essendo l’interesse del distaccante presunto ex lege, la temporaneità assume maggior rilevanza e non può essere relegata ad un ruolo ancillare43.

L’unico limite a tale tesi potrebbe essere rappresentato dalla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, che però è ammessa solo in casi tassativamente individuati dalla legge o dalla contrattazione collettiva. A ciò si aggiunga il limite costituito dalla necessaria autorizzazione del Ministero del Lavoro di cui deve essere munito il somministratore. Pare doversi affermare, in conclusione, che la circostanza che le due società appartengano al medesimo gruppo e perseguano una medesima strategia non assume alcuna rilevanza giuridica ai fini dell’individuazione del datore nel rapporto di lavoro.

43 Al distacco nelle reti sarà dedicato un apposito capitolo, ma per

esemplificazione rimando momentaneamente a M. G. GRECO, Distacco e codatorialità nelle reti di impresa, in Argomenti di diritto del lavoro, 2014, pp.380 ss.

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CAPITOLO 3: LA TEORIA DELLA CODATORIALITÀ

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CAPITOLO 3: La teoria della codatorialità

Occorre a questo punto affrontare il rimandato tema della “codatorialità’’; con tale termine si intende, semplificando il più possibile, l’imputazione del rapporto di lavoro a più soggetti sostanzialmente autonomi.

La codatorialità è stata terreno fertile di scontro tra coloro che rispettano la vocazione tradizionalmente binaria del rapporto di lavoro e coloro invece, che seguendo percorsi anche molto diversi, arrivano ad ammettere l’imputabilità del rapporto di lavoro a più soggetti. Il legislatore con l. n.99/2013 è intervenuto prevedendo nelle reti la “codatorialità’’ senza specificarne il contenuto44. Questa previsione in bianco ha avuto effetti scoppiettanti su un terreno già spinoso.

Essendo particolarmente difficile individuare nel nostro ordinamento forme di codatorialità, sempre che ve ne fossero, si propone un ragionamento a-contrario45; scartare cioè dallo spettro delle possibili ipotesi di “co-imputabilità’’ del rapporto di lavoro fattispecie che per esplicita previsione normativa non possono esserlo. Non possiamo includere nella codatorialità l’ipotesi della somministrazione autorizzata, in quanto lo stesso legislatore esclude la

44 Momentaneamente limitiamoci al tema della codatorialità, ma lo

stesso intervento legislativo (concernente le reti) prevede anche “l’assunzione congiunta’’.

45

Percorso a-contrario presente in A. NICCOLAI, Prospettive di codatorialità.

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CAPITOLO 3: LA TEORIA DELLA CODATORIALITÀ

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imputazione del vincolo per il periodo di missione.46 Anche l’istituto del distacco deve essere escluso dai possibili riferimenti alla codatorialità; anche qui il legislatore impone che la titolarità del rapporto si mantenga in capo al distaccante, in ragione del fatto che lo svolgimento della prestazione presso il distaccatario trova le proprie basi nell’interesse del distaccante. In tema di appalto di opere e di servizi, l’appaltatore, quale titolare dell’organizzazione produttiva, è anche datore di lavoro perché le prestazioni lavorative rientrano nei mezzi necessari ai fini dell’esecuzione del contratto di appalto.

E infine, la codatorialità non sussiste nel caso di fenomeni interpositori, in questo caso la legge recide il rapporto di lavoro con il datore formale e lo imputa al solo effettivo beneficiario. Si crede, cioè, di poter seguire la tesi della sopravvivenza del fenomeno interpositorio al d.lgs. 276/2003.

46

In tal senso anche M. Biasi, Dal divieto di interposizione alla codatorialità: le trasformazioni dell’impresa e le risposte dell’ordinamento; il quale afferma: << essa (“la codatorialità’’ dell’attuale art. 30 d.lgs. 276/2003) andrebbe tenuta distinta dalla somministrazione, che, come noto, consiste nella fornitura di manodopera in forza di un contratto commerciale tra un’agenzia ed un utilizzatore, cui segue la scomposizione o lo sdoppiamento dei poteri datoriali, normalmente “accentrati”, in capo a questi ultimi due soggetti124: da un lato, all’Agenzia spetta il potere disciplinare e di recesso, oltre all’obbligo retributivo (pur soggetto alla regola della solidarietà), dall’altro lato, all’utilizzatore è attribuito l’esercizio del potere direttivo e di controllo, nonché il rispetto degli obblighi di sicurezza>>.

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CAPITOLO 3: LA TEORIA DELLA CODATORIALITÀ

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Nei casi sopradetti di somministrazione, distacco e appalto, la codatorialità può assumere un <<valore descrittivo47>> nel senso che, in tali situazioni, al datore si aggiunge un ulteriore garante delle obbligazioni, senza alcuna modifica della struttura binaria del rapporto di lavoro. La disciplina della responsabilità solidale si limita a trasformare alcune posizioni debitorie in obbligazioni soggettivamente complesse, senza incidere sul vincolo di subordinazione. A sviluppi più complessi si presta l’idea della codatorialità <<prescrittiva48>> che rappresenta, per i seguaci di questa teoria, una strategia di tutela del lavoratore nelle organizzazioni integrate, prima i gruppi ed ora le reti. Rilevante, in tal senso, si mostra la teoria del prof. Speziale49, che inizia la sua analisi dall’individuazione di istituti che <<incidono sulla nozione di datore di lavoro, che mutano la distribuzione dei poteri che sono tipici del rapporto o estendono obblighi che tradizionalmente erano propri del soggetto attivo del contratto di lavoro. Gli eventi presi in considerazione dimostrano che sono maturi i tempi

47 O. MAZZOTTA, Gruppi di imprese, codatorialità e subordinazione,

in Rivista Giuridica del lavoro, 2013, p. 20; cito testualmente: << quella della codatorialità può essere sia una formula descrittiva di un determinato istituto di diritto positivo, utile magari a dare conforto nel riempimento razionale delle lacune normative, sia una formula prescrittiva, cioè idonea a farsi essa stessa sistema e fonte di diritto sostanziale. Ha carattere certamente descrittivo l’impiego dell’espressione con riferimento alla somministrazione di lavoro, al distacco o alla regolazione giuslavoristica degli appalti>>.

48 Ancora, O. MAZZOTTA, opinione sopra citata. 49

V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, 2010, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona’’. IT- 94/2010.

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per ipotizzare, in alcune specifiche situazioni, vere e proprie forme di codatorialità50>>. Il limite più importante alla tesi della codatorialità è rappresentato dall’art 2094 cod. civ. che non solo preclude la configurazione di più datori nei confronti del medesimo lavoratore, ma rappresenta il fondamento dell’intera disciplina del lavoro subordinato. Preliminarmente è però necessaria un’analisi (quanto più possibile) completa della teoria del prof. Speziale: il contratto di lavoro rappresenta una struttura complessa che ruota attorno alle due principali obbligazioni, quella lavorativa e quella retributiva. Non vi è dubbio che il datore di lavoro sia creditore della prestazione di lavoro, ma nulla esclude, alla luce degli istituti sopra esposti, che la medesima attività lavorativa possa soddisfare interessi di più datori. Per l’autorevole dottrina sopra citata il fatto che lo stesso art 2094 cod. civ. parli di collaborazione nell’impresa, concetto che viene attualizzato alla luce delle profonde modificazioni nei modi di produzione e organizzazione dell’impresa, consente di collegare il contratto di lavoro non ad un soggetto, ma ad una realtà produttiva oggettiva anche se suddivisa tra più imprenditori. Dice infatti: <<in questo caso la subordinazione può essere ricostruita con l’identificazione di coloro, che a prescindere dalla titolarità del contratto, esercitano sul lavoratore quei poteri

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organizzativi che sono la sostanza del lavoro subordinato51>>.

Ostacolo rilevante a queste affermazioni si rivela la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 22910/2006) pronunciata su una vicenda svoltasi in vigenza della legge n. 1369 del 196052. La corte ha enunciato la regola generale

51 V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, 2010, WP

C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona’’. IT- 94/2010 p. 36.

52

Nel caso esaminato dalla Corte, Giacomo P., formalmente assunto alle dipendenze della S.p.A. Winner's Sporting Footwear, ha di fatto svolto la prestazione lavorativa come direttore marketing della S.p.A. Master Sport facente parte dello stesso gruppo. Dopo il fallimento di entrambe le società, il lavoratore ha chiesto ad entrambe le amministrazioni fallimentari l'ammissione al passivo dei suoi crediti per differenze di retribuzione, t.f.r. e indennità sostitutiva del preavviso, sostenendo che in base alla legge n. 1369 del 1960 l'interposta Winner's Sporting Footwear doveva ritenersi solidalmente obbligata con l'effettiva datrice di lavoro. L’amministrazione fallimentare della Winner's Sporting non ha accolto la domanda di ammissione al passivo. L'opposizione proposta da Giacomo P. contro questa decisione è stata rigettata dal Tribunale di Bari con sentenza che è stata confermata dalla locale Corte di Appello; le decisioni sono state motivate con riferimento all'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 secondo cui il lavoratore deve considerarsi a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che abbia utilizzato le sue prestazioni. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Bari per vizi di motivazione e violazione di legge. Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite, essendo stata constatata l'esistenza nell'interpretazione della legge n. 1369 del 1960 un contrasto di giurisprudenza nell'ambito della Sezione Lavoro: in base al primo orientamento, in caso di interposizione del rapporto di lavoro, anche l'interposto deve rispondere delle obbligazioni verso il lavoratore; in base al secondo l'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 deve essere interpretato nel senso che l'unico responsabile di tali obbligazioni sia l'interponente, in quanto effettivo datore di lavoro. Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto pronunciandosi a favore del secondo orientamento e rigettando il ricorso del lavoratore.

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giuslavoristica per cui, salve le eccezioni previste e disciplinate per legge, <<in relazione a identiche prestazioni lavorative deve essere esclusa la configurabilità di due diversi datori di lavoro>>.

Nonostante la sostanziale abrogazione della legge sul divieto di interposizione, esso rimane immutato ed è la stessa Cassazione a prevedere che il divieto di interposizione di manodopera continui a sussistere anche dopo il d.lgs. 276/2003 parlando in alcuni casi di <<un’abrogazione con effetti parzialmente abolitivi53>>. Non mancano però voci contrarie in dottrina; c’è chi ritiene che sia impossibile, alla luce della situazione attuale, pervenire ad una valutazione stabile sulla permanenza nell’ordinamento di un generale divieto di interposizione. Pare tuttavia potersi affermare che l’abrogazione della L. 1369/1960 è connessa al fatto che il legislatore abbia previsto ipotesi di scissione tra il datore formale e l’effettivo utilizzatore; dissociazione sempre

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Cass. pen.2006 n. 20758, ma si rimandi in dottrina a O. MAZZOTTA, Il problema dell’interposizione nel rapporto di lavoro; il quale sostiene: << (…) è ancora codificato il principio della illiceità dei rapporti interpositori, che non siano attuati secondo la tecnica dell'interposizione autorizzata di cui agli artt. 20-28 del d.lgs. n. 276 del 2003 o che risultino da un uso distorto e non conforme alla fattispecie legale dell’appalto e del distacco. Nell’attuale panorama dottrinale appare invece del tutto isolata l’opinione di chi sottolinea la strutturale irriducibilità del nuovo sistema al precedente. In questo ambito viene in particolare enfatizzata l'erezione a nuovo tipo contrattuale della somministrazione di lavoro e la conseguente assunzione di essa come «modalità fisiologica di organizzazione dei fattori della produzione, al pari del rapporto di lavoro subordinato» (Romei).>>

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CAPITOLO 3: LA TEORIA DELLA CODATORIALITÀ

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vietata sotto la vigenza della legge in questione. Pertanto, il divieto di interposizione non può più avere una portata generale, ma rimane elemento centrale del sistema. Per le forme di dissociazione previste dal legislatore sono infatti richiesti requisiti specifici, e qualora non vi fossero, su richiesta dell’interessato, si impone la costituzione del rapporto in capo all’ effettivo utilizzatore. Quindi, un esempio per tutti, se nel distacco mancano i requisiti della temporaneità e dell’interesse del distaccante allo svolgimento della prestazione presso il distaccatario (interesse peraltro presunto nelle reti), il distacco è irregolare e il rapporto di lavoro viene imputato al distaccatario.

È una critica pesante all’ipotesi della codatorialità; il legislatore, infatti, avrebbe potuto prevedere come soluzione al distacco irregolare (ma vale lo stesso per l’appalto e la somministrazione) la via della codatorialità, ma sceglie invece il percorso dell’imputazione all’effettivo beneficiario in armonia con la tradizionale vocazione binaria del contratto. È in verità un ostacolo che il prof. Speziale supera con facilità; sostiene infatti, che l’esempio del distacco non sia pertinente. Nella codatorialità, dice, la prestazione di lavoro è <<eterodiretta dai codatori che ricevono dal lavoro un beneficio immediato e contestuale>>. Il divieto di interposizione di persona e la codatorialità operano cioè su piani del tutto differenti; entrambi i datori di lavoro per l’Autore sono non solo organizzati come imprese vere e non

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fittizie, ma entrambe integrano i presupposti della subordinazione54 per lo stesso lavoratore in riferimento alla stessa prestazione di lavoro. Si giunge, infatti, ad affermare << la disposizione del codice civile non esclude, in astratto, la possibilità di un unico contratto di lavoro con diversi datori. E, in tale contesto, la permanenza del divieto di interposizione non esercita alcuna influenza55>>. Non foss’altro che la stessa Cassazione dispone che <<la struttura del rapporto di lavoro subordinato, quale risulta dalla normativa sostanziale (ex art 2094 cod. civ.) è bilaterale e non plurilaterale56>> ciò che risulta maggiormente problematico è l’utilizzo della codatorialità come rimedio a fenomeni leciti di esternalizzazione e di integrazione tra imprese, quali i gruppi e le reti.

Ancora una volta si passi però ad analizzare in primis la tesi avanzata dal prof. Speziale in ordine a realtà produttive caratterizzate da una, più o meno forte, integrazione organizzativa. I soggetti componenti realtà integrate57 possono operare in luoghi distinti dal punto di vista spaziale

54 In sintesi: entrambi si fanno carico del rischio di impresa sulla base

di un’organizzazione produttiva in cui il lavoratore è inserito con carattere di subordinazione e sono ambedue titolari dell’interesse raggiunto con lo svolgimento della medesima prestazione di lavoro.

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V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, 2010.

56 Cass. S.U.22910/2006.

57 Non ci limiti all’ipotesi dei gruppi caratterizzati da funzione

economica predominante di una società sulle altre o nel caso dei gruppi a catena di controllo a sequenza, ma si pensi anche ai distretti industriali caratterizzati da servizi e strutture comuni e talvolta, dalla condivisione di know how oppure al fenomeno delle reti di imprese.

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