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LA TEORIA DELLA CODATORIALITÀ

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CAPITOLO 3: La teoria della codatorialità

Occorre a questo punto affrontare il rimandato tema della “codatorialità’’; con tale termine si intende, semplificando il più possibile, l’imputazione del rapporto di lavoro a più soggetti sostanzialmente autonomi.

La codatorialità è stata terreno fertile di scontro tra coloro che rispettano la vocazione tradizionalmente binaria del rapporto di lavoro e coloro invece, che seguendo percorsi anche molto diversi, arrivano ad ammettere l’imputabilità del rapporto di lavoro a più soggetti. Il legislatore con l. n.99/2013 è intervenuto prevedendo nelle reti la “codatorialità’’ senza specificarne il contenuto44. Questa previsione in bianco ha avuto effetti scoppiettanti su un terreno già spinoso.

Essendo particolarmente difficile individuare nel nostro ordinamento forme di codatorialità, sempre che ve ne fossero, si propone un ragionamento a-contrario45; scartare cioè dallo spettro delle possibili ipotesi di “co-imputabilità’’ del rapporto di lavoro fattispecie che per esplicita previsione normativa non possono esserlo. Non possiamo includere nella codatorialità l’ipotesi della somministrazione autorizzata, in quanto lo stesso legislatore esclude la co-

44 Momentaneamente limitiamoci al tema della codatorialità, ma lo

stesso intervento legislativo (concernente le reti) prevede anche “l’assunzione congiunta’’.

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Percorso a-contrario presente in A. NICCOLAI, Prospettive di codatorialità.

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imputazione del vincolo per il periodo di missione.46 Anche l’istituto del distacco deve essere escluso dai possibili riferimenti alla codatorialità; anche qui il legislatore impone che la titolarità del rapporto si mantenga in capo al distaccante, in ragione del fatto che lo svolgimento della prestazione presso il distaccatario trova le proprie basi nell’interesse del distaccante. In tema di appalto di opere e di servizi, l’appaltatore, quale titolare dell’organizzazione produttiva, è anche datore di lavoro perché le prestazioni lavorative rientrano nei mezzi necessari ai fini dell’esecuzione del contratto di appalto.

E infine, la codatorialità non sussiste nel caso di fenomeni interpositori, in questo caso la legge recide il rapporto di lavoro con il datore formale e lo imputa al solo effettivo beneficiario. Si crede, cioè, di poter seguire la tesi della sopravvivenza del fenomeno interpositorio al d.lgs. 276/2003.

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In tal senso anche M. Biasi, Dal divieto di interposizione alla codatorialità: le trasformazioni dell’impresa e le risposte dell’ordinamento; il quale afferma: << essa (“la codatorialità’’ dell’attuale art. 30 d.lgs. 276/2003) andrebbe tenuta distinta dalla somministrazione, che, come noto, consiste nella fornitura di manodopera in forza di un contratto commerciale tra un’agenzia ed un utilizzatore, cui segue la scomposizione o lo sdoppiamento dei poteri datoriali, normalmente “accentrati”, in capo a questi ultimi due soggetti124: da un lato, all’Agenzia spetta il potere disciplinare e di recesso, oltre all’obbligo retributivo (pur soggetto alla regola della solidarietà), dall’altro lato, all’utilizzatore è attribuito l’esercizio del potere direttivo e di controllo, nonché il rispetto degli obblighi di sicurezza>>.

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Nei casi sopradetti di somministrazione, distacco e appalto, la codatorialità può assumere un <<valore descrittivo47>> nel senso che, in tali situazioni, al datore si aggiunge un ulteriore garante delle obbligazioni, senza alcuna modifica della struttura binaria del rapporto di lavoro. La disciplina della responsabilità solidale si limita a trasformare alcune posizioni debitorie in obbligazioni soggettivamente complesse, senza incidere sul vincolo di subordinazione. A sviluppi più complessi si presta l’idea della codatorialità <<prescrittiva48>> che rappresenta, per i seguaci di questa teoria, una strategia di tutela del lavoratore nelle organizzazioni integrate, prima i gruppi ed ora le reti. Rilevante, in tal senso, si mostra la teoria del prof. Speziale49, che inizia la sua analisi dall’individuazione di istituti che <<incidono sulla nozione di datore di lavoro, che mutano la distribuzione dei poteri che sono tipici del rapporto o estendono obblighi che tradizionalmente erano propri del soggetto attivo del contratto di lavoro. Gli eventi presi in considerazione dimostrano che sono maturi i tempi

47 O. MAZZOTTA, Gruppi di imprese, codatorialità e subordinazione,

in Rivista Giuridica del lavoro, 2013, p. 20; cito testualmente: << quella della codatorialità può essere sia una formula descrittiva di un determinato istituto di diritto positivo, utile magari a dare conforto nel riempimento razionale delle lacune normative, sia una formula prescrittiva, cioè idonea a farsi essa stessa sistema e fonte di diritto sostanziale. Ha carattere certamente descrittivo l’impiego dell’espressione con riferimento alla somministrazione di lavoro, al distacco o alla regolazione giuslavoristica degli appalti>>.

48 Ancora, O. MAZZOTTA, opinione sopra citata. 49

V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, 2010, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona’’. IT- 94/2010.

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per ipotizzare, in alcune specifiche situazioni, vere e proprie forme di codatorialità50>>. Il limite più importante alla tesi della codatorialità è rappresentato dall’art 2094 cod. civ. che non solo preclude la configurazione di più datori nei confronti del medesimo lavoratore, ma rappresenta il fondamento dell’intera disciplina del lavoro subordinato. Preliminarmente è però necessaria un’analisi (quanto più possibile) completa della teoria del prof. Speziale: il contratto di lavoro rappresenta una struttura complessa che ruota attorno alle due principali obbligazioni, quella lavorativa e quella retributiva. Non vi è dubbio che il datore di lavoro sia creditore della prestazione di lavoro, ma nulla esclude, alla luce degli istituti sopra esposti, che la medesima attività lavorativa possa soddisfare interessi di più datori. Per l’autorevole dottrina sopra citata il fatto che lo stesso art 2094 cod. civ. parli di collaborazione nell’impresa, concetto che viene attualizzato alla luce delle profonde modificazioni nei modi di produzione e organizzazione dell’impresa, consente di collegare il contratto di lavoro non ad un soggetto, ma ad una realtà produttiva oggettiva anche se suddivisa tra più imprenditori. Dice infatti: <<in questo caso la subordinazione può essere ricostruita con l’identificazione di coloro, che a prescindere dalla titolarità del contratto, esercitano sul lavoratore quei poteri

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organizzativi che sono la sostanza del lavoro subordinato51>>.

Ostacolo rilevante a queste affermazioni si rivela la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 22910/2006) pronunciata su una vicenda svoltasi in vigenza della legge n. 1369 del 196052. La corte ha enunciato la regola generale

51 V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, 2010, WP

C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona’’. IT- 94/2010 p. 36.

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Nel caso esaminato dalla Corte, Giacomo P., formalmente assunto alle dipendenze della S.p.A. Winner's Sporting Footwear, ha di fatto svolto la prestazione lavorativa come direttore marketing della S.p.A. Master Sport facente parte dello stesso gruppo. Dopo il fallimento di entrambe le società, il lavoratore ha chiesto ad entrambe le amministrazioni fallimentari l'ammissione al passivo dei suoi crediti per differenze di retribuzione, t.f.r. e indennità sostitutiva del preavviso, sostenendo che in base alla legge n. 1369 del 1960 l'interposta Winner's Sporting Footwear doveva ritenersi solidalmente obbligata con l'effettiva datrice di lavoro. L’amministrazione fallimentare della Winner's Sporting non ha accolto la domanda di ammissione al passivo. L'opposizione proposta da Giacomo P. contro questa decisione è stata rigettata dal Tribunale di Bari con sentenza che è stata confermata dalla locale Corte di Appello; le decisioni sono state motivate con riferimento all'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 secondo cui il lavoratore deve considerarsi a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che abbia utilizzato le sue prestazioni. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Bari per vizi di motivazione e violazione di legge. Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite, essendo stata constatata l'esistenza nell'interpretazione della legge n. 1369 del 1960 un contrasto di giurisprudenza nell'ambito della Sezione Lavoro: in base al primo orientamento, in caso di interposizione del rapporto di lavoro, anche l'interposto deve rispondere delle obbligazioni verso il lavoratore; in base al secondo l'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 deve essere interpretato nel senso che l'unico responsabile di tali obbligazioni sia l'interponente, in quanto effettivo datore di lavoro. Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto pronunciandosi a favore del secondo orientamento e rigettando il ricorso del lavoratore.

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giuslavoristica per cui, salve le eccezioni previste e disciplinate per legge, <<in relazione a identiche prestazioni lavorative deve essere esclusa la configurabilità di due diversi datori di lavoro>>.

Nonostante la sostanziale abrogazione della legge sul divieto di interposizione, esso rimane immutato ed è la stessa Cassazione a prevedere che il divieto di interposizione di manodopera continui a sussistere anche dopo il d.lgs. 276/2003 parlando in alcuni casi di <<un’abrogazione con effetti parzialmente abolitivi53>>. Non mancano però voci contrarie in dottrina; c’è chi ritiene che sia impossibile, alla luce della situazione attuale, pervenire ad una valutazione stabile sulla permanenza nell’ordinamento di un generale divieto di interposizione. Pare tuttavia potersi affermare che l’abrogazione della L. 1369/1960 è connessa al fatto che il legislatore abbia previsto ipotesi di scissione tra il datore formale e l’effettivo utilizzatore; dissociazione sempre

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Cass. pen.2006 n. 20758, ma si rimandi in dottrina a O. MAZZOTTA, Il problema dell’interposizione nel rapporto di lavoro; il quale sostiene: << (…) è ancora codificato il principio della illiceità dei rapporti interpositori, che non siano attuati secondo la tecnica dell'interposizione autorizzata di cui agli artt. 20-28 del d.lgs. n. 276 del 2003 o che risultino da un uso distorto e non conforme alla fattispecie legale dell’appalto e del distacco. Nell’attuale panorama dottrinale appare invece del tutto isolata l’opinione di chi sottolinea la strutturale irriducibilità del nuovo sistema al precedente. In questo ambito viene in particolare enfatizzata l'erezione a nuovo tipo contrattuale della somministrazione di lavoro e la conseguente assunzione di essa come «modalità fisiologica di organizzazione dei fattori della produzione, al pari del rapporto di lavoro subordinato» (Romei).>>

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vietata sotto la vigenza della legge in questione. Pertanto, il divieto di interposizione non può più avere una portata generale, ma rimane elemento centrale del sistema. Per le forme di dissociazione previste dal legislatore sono infatti richiesti requisiti specifici, e qualora non vi fossero, su richiesta dell’interessato, si impone la costituzione del rapporto in capo all’ effettivo utilizzatore. Quindi, un esempio per tutti, se nel distacco mancano i requisiti della temporaneità e dell’interesse del distaccante allo svolgimento della prestazione presso il distaccatario (interesse peraltro presunto nelle reti), il distacco è irregolare e il rapporto di lavoro viene imputato al distaccatario.

È una critica pesante all’ipotesi della codatorialità; il legislatore, infatti, avrebbe potuto prevedere come soluzione al distacco irregolare (ma vale lo stesso per l’appalto e la somministrazione) la via della codatorialità, ma sceglie invece il percorso dell’imputazione all’effettivo beneficiario in armonia con la tradizionale vocazione binaria del contratto. È in verità un ostacolo che il prof. Speziale supera con facilità; sostiene infatti, che l’esempio del distacco non sia pertinente. Nella codatorialità, dice, la prestazione di lavoro è <<eterodiretta dai codatori che ricevono dal lavoro un beneficio immediato e contestuale>>. Il divieto di interposizione di persona e la codatorialità operano cioè su piani del tutto differenti; entrambi i datori di lavoro per l’Autore sono non solo organizzati come imprese vere e non

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fittizie, ma entrambe integrano i presupposti della subordinazione54 per lo stesso lavoratore in riferimento alla stessa prestazione di lavoro. Si giunge, infatti, ad affermare << la disposizione del codice civile non esclude, in astratto, la possibilità di un unico contratto di lavoro con diversi datori. E, in tale contesto, la permanenza del divieto di interposizione non esercita alcuna influenza55>>. Non foss’altro che la stessa Cassazione dispone che <<la struttura del rapporto di lavoro subordinato, quale risulta dalla normativa sostanziale (ex art 2094 cod. civ.) è bilaterale e non plurilaterale56>> ciò che risulta maggiormente problematico è l’utilizzo della codatorialità come rimedio a fenomeni leciti di esternalizzazione e di integrazione tra imprese, quali i gruppi e le reti.

Ancora una volta si passi però ad analizzare in primis la tesi avanzata dal prof. Speziale in ordine a realtà produttive caratterizzate da una, più o meno forte, integrazione organizzativa. I soggetti componenti realtà integrate57 possono operare in luoghi distinti dal punto di vista spaziale

54 In sintesi: entrambi si fanno carico del rischio di impresa sulla base

di un’organizzazione produttiva in cui il lavoratore è inserito con carattere di subordinazione e sono ambedue titolari dell’interesse raggiunto con lo svolgimento della medesima prestazione di lavoro.

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V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, 2010.

56 Cass. S.U.22910/2006.

57 Non ci limiti all’ipotesi dei gruppi caratterizzati da funzione

economica predominante di una società sulle altre o nel caso dei gruppi a catena di controllo a sequenza, ma si pensi anche ai distretti industriali caratterizzati da servizi e strutture comuni e talvolta, dalla condivisione di know how oppure al fenomeno delle reti di imprese.

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(ma comunque collegati telematicamente) oppure, secondo il fenomeno della esternalizzazione intra moenia,58 operano nello stesso ambiente. In questa seconda ipotesi, i lavoratori dipendenti di datori di lavoro giuridicamente autonomi lavorano in una stretta contiguità spaziale, rendendo complessa la distinzione tra le organizzazioni produttive dei diversi datori. Ovviamente non si deve trattare di imprese “fittizie’’ ma di imprenditori dotati di apparati organizzativi, capitali ed attrezzature, che inoltre mantengono la loro indipendenza, pur essendo legati da relazioni talmente durature da creare dipendenza organizzativa. In questi processi di produzione integrata l’Autore lamenta un affievolimento delle tutele dei lavoratori59.

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In tal senso R. DE LUCA TAMAJO, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, in Rivista italiana diritto del lavoro, 2007 spiega: << la modifica del sostrato organizzativo assume talora la forma della “terziarizzazione interna’’ che si attua mediante la cessione a terzi di parti del processo produttivo, che permangono intra moenia, entro il perimetro aziendale dell’impresa committente, con utilizzo dello stesso ambiente tecnologico e materiale e del capitale umano impiegato in precedenza. Il fenomeno coniuga la tendenza al decentramento giuridico-funzionale con l’opposta esigenza di contiguità spaziale delle produzioni. (…) Il risultato più evidente di tali operazioni è la compresenza di una pluralità di strutture societarie e dei loro dipendenti nella stessa unità produttiva, la cui morfologia diviene, sotto questo aspetto, assimilabile ad una struttura aeroportuale, tipicamente contenitrice di una pluralità di imprese o di enti, addetti ad attività complementari o talora coessenziali al processo produttivo o gestionale primario>>.

59 Sostiene, per fare un esempio che si abbia una lesione del principio

di uguaglianza in tema di trattamento economico con riferimento ai dipendenti dell’impresa fornitrice rispetto ai dipendenti della committente <<per il sol fatto di lavorare in un’impresa integrata e

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Rileva infatti che mentre nell’impresa organizzata in senso verticale, la relazione diretta con l’imprenditore assicura al dipendente una serie di diritti individuali e collettivi, nell’impresa integrata tali garanzie non sono sempre di uguale consistenza e sono modulate a seconda delle caratteristiche del datore e delle dimensioni dell’impresa. Se così fosse, ovviamente si avrebbero decentramenti meramente finalizzati a ridurre il costo del lavoro; <<l’impresa orizzontale organizzata con contratti commerciali, può frustrare queste finalità protettive nei confronti dei lavoratori in condizioni del tutto analoghe, dal punto di vista della dipendenza economica ed organizzativa, rispetto a quelli assunti da un unico imprenditore60>>. Allo spiazzamento delle tutele lavoristiche nelle imprese integrate l’Autore risponde con la codatorialità, che giustifica sulla base di due diversi percorsi; che chiama <<prospettiva civilistica>> e <<prospettiva lavoristica>>.

La prima via si fonda su due presupposti sostanziali: il contratto commerciale (l’appalto o il franchising ad esempio) deve dare vita, nel suo concreto svolgimento a un’integrazione gerarchica tra imprese di intensità tale da consentire l’individuazione di un interesse comune o condiviso, il secondo elemento, più rilevante per il diritto del

senza un diretto rapporto di subordinazione con l’imprenditore principale che promuove l’esternalizzazione>>.

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lavoro, consiste nella prestazione di lavoro destinata a soddisfare <<in via esclusiva o rilevante gli interessi economici e organizzativi>> dell’impresa principale. In presenza di entrambi i requisiti, il collegamento negoziale fra il contratto commerciale e contratto di lavoro è idoneo a dare vita ad un unico contratto con una sola causa61, o a un’operazione economica complessiva realizzata con diversi contratti con una causa complessiva che si aggiunge a quella dei singoli negozi, capace di produrre la compenetrazione degli interessi e la traslazione degli effetti ricollegati ai diversi tipi negoziali, fra cui, il più importante, l’effetto dell’imputazione del rapporto di lavoro anche all’impresa principale.

La teoria del collegamento negoziale non è la sola che per il prof. Speziale può fondare la contitolarità del contratto di lavoro, ma si affianca alla <<prospettiva lavoristica>> che fonda la codatorialità sui principi propri del diritto del lavoro e in particolare sull’art. 2094 cod. civ. Questo secondo percorso prende vita da due presupposti: la qualificazione dei lavoratori nell’impresa integrata come “dipendenti di fatto’’ dell’impresa che promuove il decentramento e la presunta inidoneità del codice civile e della subordinazione a cogliere i mutamenti epocali che contrassegnano il lavoro

61 In tal senso il prof. SPEZIALE (op. ult. Cit.) richiama una tendenza

della dottrina francese, che ha parlato di contratti caratterizzati da uno scopo comune con una causa unica ed indivisibile. In questo caso, gli accordi secondari vengono attratti dal contratto principale creando rapporti tra soggetti che non hanno legami negoziali diretti.

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subordinato. La codatorialità scaturisce, peraltro, dalla teoria della subordinazione come doppia alienità; tesi formalizzata dalla Corte Costituzionale in una sentenza del 199662; che si concretizza, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata del 2094 cod. civ., nell’individuazione del datore di lavoro nell’effettivo utilizzatore del prestatore di lavoro. Di conseguenza, in una

62 Sentenza Corte Costituzionale n.30/1996. Il diritto del lavoro in Italia

(così come viene inteso nella concezione del novecento) è sempre stato concepito come il diritto del rapporto di lavoro subordinato, con finalità di tutela dei lavoratori.

Il lavoratore subordinato è colui che collabora nell'impresa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro. Ciò è bene esemplificato nella nozione del 2094 cod. civ. (che aveva ben presente il lavoratore operaio presso la catena di montaggio). La giurisprudenza (metodo tipologico) ha elaborato alcuni indici di subordinazione: gli indici cardine sono la sussistenza del potere direttivo, di controllo e disciplinare.

Altri indici con valenza sussidiaria non decisiva sono: l'inserimento del lavoratore nell’organizzazione datoriale, la monodatorialità (ossia lo svolgimento della prestazione presso un unico datore di lavoro), la determinazione della retribuzione su base oraria in presenza di un orario di lavoro ben definito, la mancanza di titolarità dei mezzi di produzione. Un'altra teoria (metodo sussuntivo o per identità) prevede, invece, la natura subordinata del rapporto solamente in presenza di tutti gli elementi fondamentali e sussidiari. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 30/1996, ha cercato una nuova via per rilevare la sussistenza della subordinazione, producendo il concetto di c.d. “doppia alienità”. Pertanto, si versa in rapporto di lavoro subordinato ove: il lavoratore presta l'attività presso una organizzazione produttiva altrui e il risultato dell'attività non è immediatamente riconducibile al lavoratore stesso.

Al fine di limitare il contenzioso in materia, è intervenuto il d. lgs. n. 276/2003 che ha introdotto un ulteriore strumento per la valutazione dei contratti: la certificazione. Le parti interessate si rivolgono a commissioni di esperti del diritto del lavoro che analizzano il contenuto dei contratti ed emettono un provvedimento di certificazione.

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