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La riflessione su Dio negli ultimi scritti: un bilancio complessivo

In questo paragrafo conclusivo tenteremo di offrire in sintesi la risposta levinasiana sul tema della trascendenza teologica, a partire dagli scritti che hanno caratterizzato l‟ultima fase del suo pensiero ma senza la pretesa di giungere ad un punto di approdo definitivo. Si tratta, a ben vedere, di una «operazione» filosoficamente sostenibile sulla base del fatto che «la posizione di Levinas rispetto al problema di Dio è costante lungo tutto lo sviluppo del suo pensiero»282. In particolare, ci soffermeremo su alcune riflessioni contenute nei corsi su Dio, la morte e il tempo degli anni 1975-1976283, sulle alcune pagine dell‟intervista con Philippe Nemo del 1982 già citata in precedenza 284 , sulla conferenza che tratta dell‟intelligibilità del Trascendente tenuta nel giugno 1983 all‟Università di Ginevra285, sulla raccolta di saggi pubblicata per la prima volta in Francia nel 1991286, ed infine sul volume Alterità e trascendenza che raccoglie dodici testi scritti tra il 1967 ed il 1989287.

La prima osservazione riguarda il piano strettamente metodologico sul quale Levinas costruisce la propria riflessione. Parlare di Dio prescinde da qualsiasi dichiarazione di fede e da qualunque dimostrazione razionale di esistenza: si tratta di descrivere le circostanze fenomenologiche con cui la nozione «Dio» accade nella coscienza, senza tener conto dell‟esistenza effettiva del contenuto o dell‟assenso umano. A livello filosofico, dunque, il discorso su Dio consiste nella salvaguardia del senso della trascendenza, nel mostrare una via in cui il Trascendente sia intelligibile.

Da queste premesse comprendiamo la difficoltà dell‟indagine levinasiana che deve innanzitutto legittimarsi sul piano «epistemologico» - come osserva acutamente Emilio

282

Cfr. EMMANUEL LEVINAS, Dio, la morte e il tempo (a cura di Silvano Petrosino), Jaca Book, Milano, 1996, p.28 283 Cfr. Ivi, in particolare pp.169-297 284 Cfr supra, nota 2 285

Cfr. EMMANUEL LEVINAS, Trascendenza e intelligibilità (a cura di Franco Camera), Marietti, Genova, 1990

286

Cfr. Id., Tra Noi. Saggi sul pensare-all’altro (a cura di Emilio Baccarini), Jaca Book, Milano, 1998 287

Baccarini: «se cum capio è prendere-con, il concetto nella comprensione, è davvero possibile pervenire a una conoscenza di Dio?»288.

Il pensatore francese richiama costantemente l‟orizzonte tradizionale del pensiero per cercare in realtà una strada alternativa in cui anche il termine Dio possa significare. Per la filosofia sarebbe ovvio «che ogni intelligibilità – e perfino il “senso” di Dio – reclami un sapere»289 da intendersi come «relazione del Medesimo con l‟Altro in cui l‟Altro si riduce al Medesimo e si spoglia della sua estraneità»290: il sapere costruito dal modello occidentale è pura immanenza, «presenza nella sua esposizione»291, «lasciarsi prendere, chance del comprendere»292. La fenomenologia husserliana e quella heideggeriana incarnano in modo emblematico questa concezione tradizionale. Quale significato assume la coscienza intenzionale se non la messa in opera di quel meccanismo per cui «la cogitatio fuoriesce da se stessa, ma il cogitatum è presente alla cogitatio»293? D‟altra parte, lo stesso Heidegger, nel tentativo di approfondire la posizione del maestro, ricade inevitabilmente all‟interno delle medesime categorie prospettando la famosa differenza ontologica: la filosofia ha il compito di «considerare l‟essere solo come fondazione dell’ente» e diviene «la modalità secondo la quale l‟essere può dirsi»294. All‟interno di queste prospettive che abbiamo brevemente richiamato, Dio è da intendersi come l‟ente supremo e dunque il pensiero dell‟essere «diventa sapere o comprensione di Dio: teo-logia»295 oppure in ogni caso la rivelazione di un Dio è pensata come disvelamento che trova «il suo compimento nell‟adeguazione della verità»296.

Saremmo, dunque, di fronte ad una vera e propria «morte» in cui il termine «Dio» finisce per annullarsi nell‟assenza di ogni significanza possibile, dal momento in cui nell‟atto di ap-

288

EMILIO BACCARINI, La devozione del dire Dio altrimenti, in I. Kajon, E. Baccarini, F. Brezzi, & J. Hansel (a cura di), Emmanuel Levinas, Prophetic Inspiration and Philosophy, Giuntina, Firenze, 2008, p.367

289

E.LEVINAS, Trascendenza e intelligibilità, cit., p.13 290 Ivi, p.14 291 Ivi, p.15 292 Ivi, p.16 293 Ivi, p.18 294

E.LEVINAS, Dio, la morte e il tempo, cit., p.173 295

Ibid. 296

prendere l‟oggetto si manifesta quella «riduzione all‟immanenza entro l‟appercezione trascendentale dell‟Io penso»297

.

Da qui nasce la portata innovativa della riflessione levinasiana che opera un radicale superamento del modello tradizionale per salvaguardare la trascendenza teologica. Si tratta di formulare un pensiero altro, di dire Dio altrimenti, «senza inabissare la parola in un sordo, perché vuoto, flatus vocis»298. Criticando la filosofia occidentale che ha relegato la pensabilità del Dio trascendente «ad una angusta alternativa tra la sua riduzione all'immanenza -- onticizzazione e gnoseologizzazione -- e la sua riduzione all assurdità»299, Levinas invita a cercare un altrimenti che essere, un‟intelligibilità anteriore allo stesso essere, una modalità diversa rispetto alla correlazione tra soggetto e oggetto che avviene nel presente: tentativo estremo di pensare Dio al di fuori della dimensione «onto-teo-logica».

Come abbiamo mostrato in precedenza, il primo passo compiuto dal pensatore francese è il recupero della cartesiana «idea dell‟Infinito». A partire dall‟opera Totalità e Infinito, questo concetto è pensato inizialmente come «paradigma di una trascendenza al di là dell‟oggettività di un tema del sapere»300 e dunque viene assunto nella sua accezione formale: esso rappresenta ciò che non può essere contenuto, l‟inadeguato per eccellenza, «il più nel meno» che sfugge a qualsiasi tentativo di possesso da parte della coscienza intenzionale.

Con la pubblicazione di Altrimenti che essere (1974) e dopo il saggio Dio e la filosofia (1975), «l'idea dell'infinito oltrepassa il limite del discorso formale e viene invece assunta come “sinonimo” filosofico del “Nome” di Dio»301

.

Ne troviamo una conferma, ad esempio, nelle seguenti affermazioni di Levinas:

La venuta, la discesa o la contrazione dell‟infinito in un pensiero finito designa in ogni caso un evento che descrive il senso di ciò che si indica con Dio302.

297

E.BACCARINI, La devozione del dire Dio altrimenti, cit., p.368 298

Ibid. 299

Ivi, p.379 300

EMILIO BACCARINI, L’«intrigo etico» della «gloria di Dio», in Bollettino della Società Filosofica Italiana, n.134, maggio-agosto, 1988, p.44

301 Ibid.

Idea dell‟Infinito in cui il pensiero pensa più di quanto può contenere e in cui, secondo la terza Meditazione di Descartes è nell‟uomo che si pensa Dio, non è Egli come una noesi senza noema?303

Cartesio, Leibniz e il giovane Kant affermano l‟infinità della natura spaziale e temporale mettendola in rapporto con l‟infinito di Dio e l‟eccellenza della creazione.304

Baccarini osserva giustamente che proprio il concetto di «creazione» consente a Levinas di operare questo accostamento tra i termini «Dio» e «Infinito»305.

Da ciò ne consegue innanzitutto un nuovo modo di intendere il ruolo della soggettività. La coscienza è il luogo della «passività più passiva di ogni passività», poiché l‟idea di Dio «è un mettere in noi di ciò che non può essere assunto»306. Affezione, pazienza, «profondità di un subire che nessuna capacità comprende»307, da un lato, ma anche «dolore dell‟occhio irritato

dalla luce», «disubriacatura», «risveglio o vita»308: la coscienza è messa in questione dalla trascendenza, che scuote il pensiero assolto nell‟identità del Medesimo.

L‟io è sradicato, svuotato, inquietato da Dio che si presenta ritraendosi nell‟idea dell‟Infinito, assolvendosi in un passato immemoriale anteriore a qualunque presa di posizione. Dio è presente alla coscienza come «affezione passiva, evento di un tempo fuori dal tempo»309; di più, esso significa come Desiderio dell‟Infinito.

La struttura del Desiderio, contrapposta alla soddisfazione del bisogno e analizzata a più riprese da Levinas fin dall‟opera del 1961, incarna emblematicamente «il senso del “traumatismo” del risveglio della soggettività alla trascendenza»310

, poiché si tratta di una tensione dis-interessata, senza fine e dunque – come abbiamo mostrato nelle pagine precedenti – Desiderio del Bene.

302

E.LEVINAS, Trascendenza e intelligibilità, cit., p.24 303

E.LEVINAS, Tra noi. Saggi sul pensare-all’altro, cit., p.210 304

E.LEVINAS, Alterità e trascendenza, cit., p.64 305

«Questa assunzione si produce facendo entrare in gioco una nozione centralissima sempre in Levinas, determinante negli ultimi scritti, la nozione-evento di creazione» (E.BACCARINI, L’«intrigo etico» della «gloria di Dio», cit., p.44)

306

E.LEVINAS, Dio, la morte e il tempo, cit., p.288 307

E.BACCARINI, L’«intrigo etico» della «gloria di Dio», cit., p.45 308

E.LEVINAS, Tra noi. Saggi sul pensare-all’altro, cit., p.121 309

E.BACCARINI, La devozione del dire Dio altrimenti, cit., p.384 310

Dall‟Idea di Infinito, Levinas giunge così al Desiderio declinandolo in Bene, da intendersi non come termine di una relazione ma come dinamica di godimento «perpetua», «accrescersi della fame»: in un tale capovolgimento globale accade la trascendenza teologica, «sradicamento dall‟essere nel disinteressamento del Desiderio»311.

Bene in senso eminente, Dio rimane tuttavia separato come Desiderabile, invisibile, Santo. Levinas radicalizza l‟assoluta trascendenza di Dio per evitare di ricadere nelle categorie dell‟immanenza e rendere il divino un «ente» al pari degli altri.

In questa separatezza estrema, per la quale «Dio non prende mai corpo»312, si affaccia la «rivoluzione copernicana» del pensiero levinasiano: dall‟alto della sua Maestà e Altezza, dalla profondità della desiderabilità, Dio è colui che rinvia al Non-Desiderabile, ad altri, colui che «mi concerne tramite una Parola in guisa di volto dell‟altro uomo»313

.

L‟Infinito, Dio, si trascende nel finito poiché «ordina il prossimo senza esporsi a me»314

, orienta ad una prossimità con l‟altro che rompe con l‟unità della coscienza inglobante: il volto altrui è precisamente traccia dell‟Infinito.

Siamo di fronte allo snodo centrale nella riflessione sulla trascendenza teologica, grazie al quale acquistano senso tutte le considerazioni successive. Ritenere che l‟idea dell‟Infinito in me «accade in quella relazione con l‟altro che infine è la mia stessa relazione a-Dio»315

significa ribaltare i canoni teoretici e gnoseologici tradizionali e pensare autenticamente la trascendenza come altrimenti che essere.

Dio viene all‟idea in quanto «possibilità del risveglio nella visitazione-evento del volto dell‟Altro traccia di Dio»316

. Non si dà alcuna rappresentazione, rivelazione, manifestazione del trascendente, che rimane separato e Santo, terza persona (Illeità – un termine che

311

E.BACCARINI, La devozione del dire Dio altrimenti, cit., p.385 312

E.LEVINAS, Alterità e trascendenza, cit., p.143 313

Ibid. 314

E.BACCARINI, La devozione del dire Dio altrimenti, cit., p.385 315

Ivi, p.372 316

ritroviamo costantemente negli scritti levinasiani) ma rivolge il mio sguardo sul volto nudo e indifeso dell‟altro uomo: la trascendenza è etica.

In questa prospettiva, comprendiamo meglio il linguaggio maturato da Levinas per approfondire il significato e le conseguenze di questa impostazione.

Se «il solo modo in cui l‟altrimenti he essere può significare è la relazione con il prossimo»317, l‟io si riscopre primariamente responsabile nei confronti dell‟altro, assoggettato «ad un ordine assoluto, all‟autorità per eccellenza o all‟autorità dell‟eccellenza o del Bene»318. Il soggetto è eletto nella sua unicità, per-l’altro, propriamente fuori di sé fino ad una paradossale sostituzione o espiazione, ossessionato dall‟altro e per l‟altro, immediatamente responsabile di tutto ciò che può accadere.

Una delle conseguenze innovative della riflessione levinasiana sulla trascendenza teologica riguarda inoltre la concezione della temporalità. L‟idea dell‟Infinito in me infatti rompe con la sincronizzazione dell‟Io, con la presenza inglobante dell‟intenzionalità e apre ad un «tempo della trascendenza» che è l‟a-priori, il prima di un passato remoto. Il comando etico, la Parola di Dio, mi giunge da un‟ anteriorità immemoriale, che precede qualunque possibilità di scelta e di ascolto. Il tempo della trascendenza è quello di una «responsabilità anteriore ad ogni deliberazione logica che richiede la decisione ragionata»319, dia-cronia priva di presente, deformalizzazione contro la rappresentazione. Levinas parla in proposito di ispirazione o profetismo per indicare – lo abbiamo visto – questa «eteronomia dell‟obbedienza etica»320, «modo senza eguali in cui, assolutamente irreversibile, il futuro comanda il presente»321. Il tempo, in sostanza, viene pensato «a partire dal volto d‟altri, ove „Dio ci viene all‟idea‟»322

, a condizione di non nominare quel Dio „in-conosciuto‟ (inconnu)323

se non in forza di quel comando che mi rivolge.

317

E.LEVINAS, Dio, la morte e il tempo, cit., p.263 318

E.LEVINAS, Tra noi. Saggi sul pensare-all’altro, cit., p.210 319 Ivi, p.205 320 Ivi, p.189 321 Ibid. 322 Ivi, p.212

Veniamo, allora, ad uno dei punti decisivi nella riflessione sulla trascendenza teologica. Quel Dio «strappato dall‟oggettività della presenza e dall‟essere»324

, che non mi colma di bene ma mi obbliga alla bontà, restando separato come desiderabile, «Egli (Il) al fondo del Tu»325, «trascendente fino all‟assenza»326 - di questo Dio si dà testimonianza nell‟ «Eccomi» pronunciato dal soggetto dinanzi al volto del prossimo. Soltanto mediante questa testimonianza, «la cui verità non è verità di rappresentazione o di percezione»327, si offre una rivelazione di Dio. Di più, in questa testimonianza etica del soggetto «si glorifica la gloria dell‟Infinito»328

- afferma ancora Levinas.

La «gloria» dell‟Infinito, in sostanza, è la «testimonianza» che se ne dà; nella voce del testimone, che risponde all‟appello etico mettendo a tacere il comando alla persistenza nell‟essere, accade la glorificazione dell‟Infinito. In questo senso, possiamo affermare con Levinas che «la gloria di Dio è l‟altrimenti che essere»329.

Dall‟analisi sulla trascendenza teologica che abbiamo intrapreso in questo capitolo, risulta che per Levinas la parola «Dio» è significante in quanto parola «di Dio» che mi comanda nei confronti del prossimo. Il parlare «su Dio» è in realtà un parlare «di Dio», che si rende intelligibile unicamente nella modalità «del comandamento e della legge a cui sono obbligato a rispondere»330 e che dimora in uno «”sfondo” imperscrutabile – non tematizzabile da alcun sapere filosofico o da alcun sistema teologico»331.

323

Cfr. Ivi, p.210 324

E.LEVINAS, Dio, la morte e il tempo, cit., p.296 325

Ibid. 326

Ivi, p.297 327

E.LEVINAS, Etica e Infinito, cit., p.100 328

Ibid. 329

Ivi, p.102 330

FRANCO CAMERA, Postfazione a Trascendenza e intelligibilità, cit., p.83 331

Capitolo terzo

La «rivelazione» di Dio negli scritti ebraici di Levinas

Dopo aver indagato le «tracce» di significazione della trascendenza teologica per via fenomenologica, il terzo capitolo del presente lavoro tenterà di sviluppare la riflessione sulla base di una delle esperienze pre-filosofiche per eccellenza che hanno caratterizzato la vita del filosofo francese, ovvero quella dell‟ebraismo.

Il rapporto tra Levinas e l‟identità ebraica, come abbiamo già evidenziato, emerge ad un primo sguardo dalla distinzione tra le opere propriamente «filosofiche» e quelle a stampo «confessionale», che raccolgono le celebri letture talmudiche e altri scritti dedicati specificamente all‟ebraismo.

Nato e vissuto all‟ombra del giudaismo lituano, che ha sperimentato la secolarizzazione al suo stesso interno e dunque si pone in sintonia col mondo, fin da piccolo Levinas «dispone di un precettore per la lingua ebraica e per la Bibbia»332 - come ricorda Salomon Malka. Ma sarà soprattutto a partire dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale che il filosofo francese entrerà in contatto con il mondo dell‟ermeneutica biblica e talmudica, animato dal compito di ricostruire l‟ebraismo europeo, sotto la guida di illustri pensatori che lasceranno una traccia indelebile nella sua attività intellettuale (tra i quali spiccano Monsieur Chouchani e Franz Rosenzweig). Da discepolo diviene lui stesso maestro, partecipando ogni sabato, dopo la liturgia sabbatica, agli incontri di lettura e commento del Talmud per studenti e amici, all‟interno della Scuola normale israelita orientale di cui è direttore: incontri che diverranno col tempo un appuntamento «obbligato» per la comunità ebraica parigina. Inoltre, dal 1960 e fino al 1991, Levinas si colloca tra le figure di riferimento nell‟organizzazione dei Colloqui degli intellettuali ebrei di lingua francese, che lo vedono protagonista anche in veste di relatore.

332

SALOMON MALKA, Leggere Levinas (a cura di Emilio Baccarini), Queriniana, Brescia, 1986, p.55

Precisamente questo tratto ebraico del pensiero levinasiano sarà il punto di partenza per sviluppare la riflessione sul tema della trascendenza teologica: la Torah da un lato ed il Talmud dall‟altra, letti attraverso l‟occhio «attualizzante» del filosofo francese, con la convinzione che «la singolarità ebraica attende la sua filosofia»333 poiché «il fatto di Israele, le sue Scritture e le loro interpretazioni […] costituiscono una figura nella quale si mostra un modo essenziale dell‟umano e nella quale, prima di ogni teologia e di ogni mitologia, Dio viene all‟idea»334

.

Nel ripercorrere le tappe di questo itinerario, la nostra analisi tenterà dunque di offrire una risposta a quel «fatto “metafisico” detto rivelazione»335, che rappresenta «l‟irruzione in questo mondo di una verità che viene dal di fuori»336, commentando, con il supporto di altri testi, alcune affermazioni che Levinas ci consegna nello scritto La rivelazione nella tradizione ebraica, pubblicato per la prima volta nel 1977.

333

EMMANUEL LEVINAS, L’aldilà del versetto. Letture e discorsi talmudici (a cura di Giuseppe Lissa), Guida, Napoli, 1990, p.290

334

Ivi, p.54 335

AZZOLINO CHIAPPINI, Emmanuel Levinas lettore del Talmud, La Giuntina, Firenze, 1999, p.164

336 Ibid.