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La struttura della Rivelazione

3.1.1. Torah e Talmud: Legge orale e Legge scritta

Ecco dunque una Torah orale, a fianco della Torah scritta, e fornita di un‟autorità non inferiore. Questa autorità è rivendicata dal Talmud stesso, è ammessa dalla tradizione religiosa ed è riconosciuta dai filosofi del Medioevo, compreso Maimonide. Essa è per gli ebrei una Rivelazione che completa l‟Antico Testamento. (L’aldilà del versetto, p.220)

L‟ebraismo di Levinas è radicato a pieno titolo nel solco della tradizione rabbinica e farisaica. In questa prospettiva, la fonte primaria da cui scaturisce ogni riflessione è quella della Bibbia illuminata dal Talmud. Per comprendere più a fondo i termini della questione è necessario compiere un passo indietro e fornire alcune indicazioni relative a ciò che l‟ebraismo tradizionale intende quando vuole riferirsi alla Scrittura337. Innanzitutto, il termine Torah, tradotto in italiano con la parola «legge», significa in senso ampio «insegnamento» e nella sua radice ebraica rimanda all‟idea di «mirare un bersaglio», evocando anche i concetti di luce e fuoco. La Torah dunque è l‟insegnamento per eccellenza, la Parola di Dio. Essa è una, ma viene rivelata sotto due forme: quella scritta (Torah scritta, Scrittura) e quella orale (Torah orale, Tradizione). Si tratta di una posizione ribadita, «implicitamente ed esplicitamente», proprio dalla stessa Tradizione orale, di cui troviamo un esempio nel trattato Avot (i Padri) della Mishnah338.

In questo contesto si inserisce la pratica del midrash – alla lettera «ricerca, interpretazione» -, quel metodo esegetico che tenta di spiegare il testo biblico ricavandone insegnamenti di tipo normativo oppure omiletico339. La Scrittura infatti ha bisogno di essere ascoltata, attualizzata, interpretata: e tutto questo è possibile grazie all‟apporto della Tradizione, la Torah orale. L‟unità della Torah, per il pensiero rabbinico tradizionale, si realizza quindi soltanto nel faticoso lavoro di due «anime» opposte e complementari, lo scritto e l‟orale.

337

Le considerazioni che seguono sono tratte dal testo di A.C.AVRIL – P.LENHARDT, La lettura ebraica della Scrittura, (a cura di Alberto Mello), Edizioni Qiqajon, Magnano (VC), 1984

338

Per il significato dei termini Avot e Mishnah si rimanda alle note del testo sopra citato. 339

Su questa linea, il Talmud – dalla radice ebraica lamad: «apprendere, insegnare» - designa lo studio o l‟insegnamento della Torah, e dunque si riferisce all‟insieme della Torah, la Scrittura più la Tradizione (interpretazione). Nello specifico, il Talmud richiama talvolta una delle due grandi raccolte che vanno sotto il nome di Talmud di Gerusalemme (redatto nel IV secolo dell‟era volgare) e Talmud di Babilonia (risalente alla fine del V secolo). Ogni estratto talmudico segue solitamente uno schema ricorrente e risulta suddiviso in due sezioni differenti: la Mishnah, parte iniziale, e la Gemara, che a sua volta sviluppa o discute la Mishnah340.

Comprendiamo bene come il tema della Torah e del Talmud acquisti una centralità particolare nella riflessione levinasiana. Sono numerosi infatti i testi che tentano di esplicitare il senso stesso di queste due fonti, in quanto salvaguardia e memoria dell‟identità di Israele.

A questo proposito risultano particolarmente significative quelle pagine di Difficile liberté – nella parte intitolata «Polèmiques»341 - in cui Levinas critica un certo uso della Bibbia promosso da autori quali Paul Claudel e Simone Weil. Pur riconoscendo la grandezza d‟animo di questi pensatori, il filosofo non esita a denunciare una comprensione parziale, superficiale del testo biblico, riaffermando l‟idea che «la lettura piena della Bibbia è possibile soltanto con il Talmud»342. Così si esprime Levinas in uno dei passaggi del testo:

Semplicemente crediamo che è proprio l‟atmosfera del Talmud che comunica alla lettura della Bibbia quel preciso contatto che impedisce le approssimazioni dell‟impressione343.

La legge orale è eternamente contemporanea a quella scritta. […] L‟una non mantiene né distrugge l‟altra, ma la rende praticabile e leggibile. Il famoso studio della Torah consiste nel penetrare quotidianamente in questa dimensione e soggiornarvi […] Il più grande malinteso tra Simone Weil e la Bibbia non consiste nell‟aver ignorato i testi del Talmud, ma nel non averne intuito la dimensione344.

340

La Mishnah, conclusa alla fine del II secolo, rappresenta il codice fondamentale della letteratura rabbinica ed è formata da sei ordini per 63 trattati. La Gemara è invece il commento che segue la Mishnah in tutte le sue divisioni.

341

Cfr. Ivi, pp. 127-196 342

A.CHIAPPINI, Amare la Torah più di Dio, cit., p.56 343

E.LEVINAS, Difficile libertà, cit., p.156 344

Per Levinas, l‟opera del Talmud appartiene a pieno titolo alla storia dell‟ebraismo moderno ed è ciò che permette di distinguere la lettura cristiana o scientifica degli storici da quella propriamente giudaica. Non si tratta semplicemente di «una procedura per ingabbiare la Bibbia in un qualche sistema filosofico»345 ma di «oltrepassare la lettera del testo e anche il suo apparente dogmatismo»346, per far risplendere un secondo strato di significati.

L‟intera riflessione levinasiana si muove dunque all‟interno di questa cornice di riferimento ed è radicata in un «farisaismo» che assume i tratti paradossali dell‟ «amare la Torah più che Dio», parafrasando il titolo di uno scritto del pensatore francese347. In questo testo, pronunciato per la prima volta nel 1955 in una trasmissione radiofonica, Levinas riporta la storia di Yossel, figlio di Yossel Rakover di Tarnapol che parla a Dio, testimone dei terribili eccidi del Ghetto di Varsavia durante la resistenza. Nei suoi pensieri prendono forma le questioni ultime dell‟esistenza umana: «cosa significa questa sofferenza di innocenti? Non testimonia forse un mondo senza Dio, una terra in cui solo l‟uomo misura Bene e Male?»348

. Dinanzi alle facili risposte dell‟ateismo, Yossel prova la certezza di Dio «con una nuova forza, sotto un cielo nuovo»349, poiché il senso specificamente ebraico della sofferenza rivela in realtà «un Dio che rinunciando ad ogni pietosa manifestazione, fa appello alla piena maturità dell‟uomo totalmente responsabile»350. E questo è reso possibile dal fatto che la relazione tra Dio e l‟uomo è «un rapporto tra spiriti, attraverso la mediazione di un insegnamento, attraverso la Torah»351, fino al punto di poter affermare: «Lo amo [Dio, ndr], ma amo ancora di più la sua Torah […] E se anche fossi deluso da lui e come disincantato non smetterei comunque di osservare i precetti della Torah»352. Nella vicenda di Yossel, come osserva Chiappini, troviamo «alcune idee ricorrenti di Levinas: Dio è esigente, Egli offre 345 Ivi, p.147 346 Ibid. 347

Cfr. Amare la Torah più di Dio, in Difficile libertà, cit., pp.179-183 348 Ivi, p.180 349 Ibid. 350 Ivi, p.181 351 Ibid. 352 Ivi, p.182

all‟uomo che entra nel mondo delle parole severe»353. L‟ebraismo della tradizione è dunque

quello di una difficile libertà e di un Dio «concreto non a motivo dell‟incarnazione ma per mezzo della Legge»354, «presente e realmente incontrato dietro la parola o la lettera della Torah»355.

Il tema della centralità della Torah – intesa nella sua duplice accezione di tradizione scritta e orale – richiama immediatamente un‟altra distinzione tipica della scuola rabbinica che riguarda gli insegnamenti delle Scritture: quella tra Aggadà e Halakhà. Il primo termine sta ad indicare la parte normativa della vita religiosa e civile, mentre il secondo tutto ciò che si presenta come commento omiletico in forma di parabole, racconti, apologhi e dunque la parte teologico-filosofica della tradizione.

Prima di addentrarci nel cuore della Rivelazione, analizzando il suo contenuto autentico, è necessario soffermarci su quello che rappresenta «il più alto atto della pratica delle prescrizioni, la prescrizione delle prescrizioni che le vale tutte»356, ovvero lo studio della Legge (scritta o orale).

3.1.2 Interpretazione ed esegesi: il metodo della sollecitazione

È opportuno infine far osservare che lo studio dei comandamenti – lo studio della Torah, cioè la ripresa della dialettica rabbinica – equivale, per il suo valore religioso, all‟osservazione dei comandamenti, come se in questo studio l‟uomo si trovasse in contato mistico con la stessa volontà divina. (L’aldilà del versetto, p.225)

Interpretazione, ricerca, midrash: sono le parole chiave che assumono il valore di un vero e proprio atto liturgico per un ebreo moderno. Prima di addentrarci nel mare dell‟ermeneutica levinasiana, è opportuno fornire qualche precisazione sull‟orizzonte dell‟esegesi rabbinica,

353

A.CHIAPPINI, Amare la Torah più di Dio, cit., p.109 354

E.LEVINAS, Difficile libertà, cit., p.182 355

A.CHIAPPINI, Amare la Torah più di Dio, cit., p.60 356

prendendo spunto dalle considerazioni che troviamo nel già citato scritto di Avril e Lenhardt357.

Tra le varie tipologie di lettura ebraica della Scrittura, accanto a quella liturgica e di commento, assume un ruolo di primo piano la pratica del midrash, «ricerca», «interpretazione». Si tratta a ben vedere di una modalità particolare per fare esperienza di Dio, «il quale si rende presente nella sua Parola ricercata, studiata, praticata e pregata»358. Nella Torah scritta si manifesta l‟intensità di un paradosso unico, quello per cui Dio «si fa immanente nella sua Parola umana e comunica la trascendenza a questa Parola»359. Per questo motivo, se ogni dettaglio della Scrittura risulta significativo, allora il midrash ha una portata illimitata (l‟unico limite è quello imposto in realtà dalla Tradizione)360

.

David Banon, discepolo di Levinas, offre ulteriori spunti sul senso dell‟esegesi rabbinica in uno dei suoi scritti361, sottolineando come l‟atto di lettura autentico sia sempre e necessariamente un‟ermeneutica e coinvolga ciascuno in modo personale nel rispetto della Tradizione:

Mettersi all‟ascolto di questa parola, andarle incontro, non può essere concepito senza interrogazione. […] L‟esegesi è dunque un compito a cui ognuno è invitato nella singolarità della sua persona, ma anche nella fedeltà alle lezioni della tradizione362.

L‟importanza di una corretta ermeneutica deriva inoltre dalla consapevolezza che essa rappresenta la modalità in cui prende forma una filosofia, un pensiero religioso di Israele – come specifica ancora Banon:

357

Cfr. A.C.AVRIL – P.LENHARDT, La lettura ebraica della Scrittura, cit., pp.23-75 358 Ivi, pp.45-46 359 Ivi, p.48 360 Cfr. Ivi, p.52 361

DAVID BANON., «Exégèse biblique et philosophie», in J. GREISCH e J. ROLLAND (a cura di), Emmanuel Lévinas. L’éthique comme philosophie première. Actes du colloque de Cerisy-la-Salle, 23 agosto - 2 settembre 1986, Cerf, Paris, 1993, p.209-227

362

L‟esegesi è sottesa da un pensiero. Attraverso l‟interrogazione dei testi, essa secerne il proprio pensiero, si potrebbe dire il suo proprio «logos». Soltanto, esso non si offre immediatamente, ma converrà coglierlo, farlo levare, o più esattamente, esprimerlo363.

Da qui possiamo cogliere una prima caratteristica fondamentale dell‟interpretazione rabbinica: la parola del testo scritto «è complessa, fatta di molti strati e sfumature che suggeriscono altri significati»364, non si tratta di riferimenti chiari ad una realtà univoca e codificata; nessun codice stabile e ordinato ma un sovrapporsi di strati nascosti nelle pieghe del testo. Tutto ciò significa dunque il rifiuto di una comprensione immediata, di un sapere «a portata di mano», ma piuttosto la pazienza della ricerca, l‟accettazione di dover sempre essere disturbati e messi in discussione, senza il raggiungimento di un significato definitivo.

Il rabbino e filosofo francese Marc-Alain Ouaknin parla addirittura di un «Libro che è più del Libro», in riferimento alla questione della lettura/interpretazione:

Il “più” nel “meno” che si rivela nel Libro è la maniera più eminente che l‟ebraismo ha per vivere la trascendenza. […] Il Libro è dunque il luogo di un paradosso – o di un incontro […] L‟interpretazione non è altro che la creazione dell‟eccedenza di significato che permette l‟esplosione e la trascendenza. Il paradosso è il seguente: il Libro è Libro quando non è più Libro365.

Il Libro presenta una struttura particolare proprio perché è in relazione con la trascendenza. L‟operazione dell‟interprete consiste nel far emergere i significati nascosti, propriamente nel «creare nuovi testi», nell‟intraprendere una lettura creativa. L‟esegesi è un compito quanto mai necessario perché nel Libro il «poter dire» supera il suo «voler dire»; il Libro contiene sempre un “di più” che deve venire alla luce. Tuttavia, lettura creativa non è affatto sinonimo di soggettivismo o arbitrarietà, come chiarisce la studiosa Catherine Chalier:

Affinché molteplicità dei significati e non-assurdità siano pensabili nello stesso tempo, ci vuole una tradizione […] Passare attraverso la tradizione, attraverso il Talmud, è disporre di un metodo di lettura che rende solidali di un popolo e permette di evitare l‟assurdità di significati dispersi e privati. Non è

363

Ivi, p.210 364

A.CHIAPPINI, Amare la Torah più di Dio, cit., p.65 365

prendere la propria coscienza come la misura del testo, ma confrontarla con quella di tutti coloro che hanno letto, ciò che non risparmia del lavoro interpretativo366.

Levinas ripercorre le orme di questa lunga tradizione di pensiero ed elabora quella che è stata definita come «ermeneutica della sollecitazione», il cui compito è quello di «liberare, nel significato offerto con immediatezza dalla proposizione, gli altri significati che vi si trovano soltanto racchiusi»367. Se «l‟aldilà del versetto» – per riprendere il titolo di una raccolta levinasiana – è l‟ammissione che «la Parola di Dio può essere contenuta nelle parole di cui si servono tra loro gli esseri creati»368, allora siamo di fronte ad una struttura «stra-ordinaria» della Scrittura, che impone un compito altrettanto straordinario al lettore, poiché «l‟unicità di ogni ascolto porta con sé il segreto del testo» e «la molteplicità delle persone irriducibili è necessaria alle dimensioni del senso»369. Di più, l‟uomo è allo stesso tempo «colui al quale viene detta la Parola, ma anche colui mediante il quale vi è Rivelazione»370. Il linguaggio ordinario porta con sé l‟inflessione divina: la parola di Dio fa appello all‟uomo.

Questo carattere trascendente è proprio ciò che rende possibile l‟operazione fondamentale dell‟interpretazione che tuttavia non esaurirà mai il testo, ma sempre lascerà un non-detto presente tra le lettere. Questo «movimento» fa sì che la lettura sia sempre inesauribile, infinita, aperta e mai chiusa: l‟ultima parola, in breve, non può mai essere pronunciata.

Levinas, come abbiamo detto, parla di sollecitazione per indicare l‟atteggiamento dell‟interprete dinanzi al testo. Non si tratta di «pura ricerca etimologica o analisi lessicale»371, ma rappresenta un «tentativo di animare il testo per mezzo di corrispondenze ed echi»372, di « “dare gioco” […] perché il processo di interpretazione possa avvenire»373.

366

CATHERINE CHALIER, Judaïsme et Altérité, Lagrasse, 1982, pp.207-208 367

E.LEVINAS, L’aldilà del versetto, cit., p.59 368 Ibid. 369 Ivi, p.218 370 Ivi, p.229 371

A.CHIAPPINI, Amare la Torah più di Dio, cit., p.76 372

DAVID BANON, «Une herméneutique de la sollicitation. Levinas, lecteur du Talmud», in J. ROLLAND (a cura di), Les Cahiers de «La nuit surveillée». Emmanuel Lévinas, Lagrasse, Verdier, 1984, p.107

373

Il nostro filosofo pone continuamente attenzione ai riferimenti biblici del Talmud che creano legami tra piani diversi, in una intersezione di orizzonti che mira a «far sorgere un senso inatteso al di là della “dubbia” etimologia che ne ha causato l‟avvicinamento»374

: procedimento di «sollecitazione della sollecitazione».

Una metafora particolarmente efficace per spiegare questo concetto astratto è quella del «fuoco che cova sempre sotto la cenere», ripresa da Levinas sulla scia di Rabbi Hayym di Volozhyn375, come lui stesso precisa in calce ad un articolo intitolato «Sulla lettura ebraica delle Scritture»376. Il significato delle parole, i passaggi muti o enigmatici, vengono sprigionati soltanto dalla potenza del soffio, della sollecitazione, così come il fuoco che si trova sempre sotto la cenere. La parola non va mai abbandonata, dispersa, ma è necessario seguirla in ogni istante, «attraverso la sua disseminazione»377, affinché possa condurci verso nuovi contesti e orizzonti. Altre immagini suggestive che ricorrono per chiarire il metodo della sollecitazione sono quelle dello «sfregare» e «triturare» il testo. Verbi che denotano la fatica, l‟impegno, la profondità del lavoro dell‟ermeneuta. In questa prospettiva, Banon evidenzia giustamente come «tutto dipenderà dunque dalla virtuosità dell‟interprete: lo stesso pezzo darà luogo ad un‟infinità di interpretazioni, secondo l‟estensione della conoscenza e della padronanza della tradizione orale»378.

Ma come procede in concreto Levinas nelle sue letture talmudiche? Proviamo a ripercorrere brevemente i passi che guidano il filosofo francese a partire dal già citato capitolo «Sulla lettura ebraica delle Scritture» che troviamo nella raccolta L’aldilà del versetto379. In questo testo Levinas si propone di commentare una delle ultime pagine ricavate dal Talmud

374

Ivi, p.109 375

Per l‟importanza di questa figura e l‟influenza nel pensiero levinassiano vedi infra 376

«Secondo un detto dei Pirké Aboth del Trattato dei principi del Talmud di Babilonia, la parole dei “dottori rabbinici”, la parola che enuncia o commenta la Torah, si può paragonare alla brace ardente. Un notevole talmudista […] Rabbi Chaim di Volozine, interpretava all‟incirca così questa

affermazione: la brace si anima sotto l‟effetto del soffio, l‟ardore della fiamma che così si mette a vivere dipende dalla lunghezza del soffio di colui che interpreta» (E.LEVINAS, L’aldilà del versetto, cit., p.189, nota 7)

377

D.BANON, Une herméneutique de la sollicitation. Levinas, lecteur du Talmud, cit., p.109 378

Ivi, p.110 379

babilonese Makkoth, che riguarda la questione delle sanzioni giuridiche, tra cui la flagellazione.

Nelle osservazioni preliminari emerge con chiarezza quale sia «il progetto più modesto»380 della sua interpretazione: si tratta innanzitutto di dimostrare come, nella coscienza ebraica, il commento della Scrittura diventi strada verso la trascendenza; inoltre il nostro filosofo si propone di far constatare come l‟operazione di lettura del testo talmudico (già di per sé un commento a versetti scritturistici) esiga a sua volta una interpretazione, una «esegesi dell‟esegesi» in linea con «il pluralismo caratteristico del pensiero rabbinico che, paradossalmente, si vuole compatibile con l‟unità della Rivelazione»381. Infine, risulta imprescindibile per Levinas «toccare i problemi dell‟oggi»382, in un autentico spirito di attualizzazione.

Prima di affrontare il testo, inoltre, Levinas non nasconde il pericolo di «urtare i cervelli moderni», o addirittura «ferire le nostre anime liberali»383: il lettore potrebbe provare un vero e proprio rigetto dinanzi a questo tipo di discussioni che sembrano il «resto» di un mondo ormai perduto. Per questo è necessario innanzitutto «ammettere pazientemente […] i dati del testo nell‟universo che è loro proprio»384

: una condizione necessaria affinché quelle lettere impresse «si liberino degli anacronismi e del colore locale»385 e possano dar vita ad un «movimento» che apre alla significazione profonda. Per Levinas si tratta di una «modalità paradigmatica della riflessione talmudica»:

Le nozioni restano in comunicazione con gli esempi o ritornano su di essi, mentre avrebbero dovuto servirsene come trampolini per elevarsi nella generalizzazione, o rischiarano il pensiero che scruta aiutandosi con la luce segreta di mondi nascosti o isolati nei quali irrompe; e, contemporaneamente,

380

Ivi, p.179. Atteggiamento tipico di Levinas, all‟inizio di ogni sua discussione talmudica, è proprio l‟ammissione di inadeguatezza di fronte al testo, che non è affatto manifestazione di falsa modestia ma un riconoscimento della parzialità delle proprie posizioni, nel momento in cui il libro è «eccedente», il «non-detto» è sempre possibile.

381

Ivi, pp.179-180 382

A.CHIAPPINI, Amare la Torah più di Dio, cit., p.85 383

E.LEVINAS, L’aldilà del versetto, cit., p.181 384

Ibid. 385

questo mondo incastonato o perduto nei segni viene illuminato dal pensiero che gli proviene dal di fuori o dall‟altro lato del canone, rivelandone le possibilità che attendevano l‟esegesi, e che erano rimaste, in qualche modo, immobilizzate nelle lettere386.

L‟interpretazione sembra essere il frutto di un continuo «va e vieni» dalle lettere alle idee, da un orizzonte all‟altro dell‟intero testo, fino a produrre un bagliore di comprensione ed una luce di significato, dopo un faticoso lavoro di «sfregamento».

Dopo queste premesse, Levinas passa a sviluppare concretamente il suo commento della pagina talmudica, facendo emergere in prima persona quel metodo della sollecitazione che abbiamo descritto; un metodo in cui «la lettera è ancora più aperta per far conoscere verità fondamentali»387. Senza ripercorrere l‟itinerario levinasiano avventurandoci nel mare del Talmud – per ulteriori approfondimenti si rimanda direttamente alla lettura del commento sviluppato dall‟autore -, ciò che interessa evidenziare ai fini del nostro discorso è il punto di approdo cui il filosofo giunge a conclusione del suo approfondimento. Come osserva Chiappini, infatti, alla fine della discussione, «sembra di essere lontani dal tema di partenza (la lettura ebraica delle Scritture)»388, e questo è reso possibile dal fatto che Levinas insegna a seguire la strada del testo per «scoprire orizzonti nuovi che poi bisogna tradurre in un linguaggio attuale»389; si tratta, ancora una volta, di far uscire quel “di più” nascosto nel “meno”. In questa prospettiva, si apre allora una nuova questione da esaminare, ossia quella