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Riflessioni conclusive: l’esenzione dal fallimento opera solo per le società in house, sua ratio

principi, regole ed eccezioni

7. Riflessioni conclusive: l’esenzione dal fallimento opera solo per le società in house, sua ratio

Dal percorso logico argomentativo sin qui tracciato discende che, in materia di società pubbliche, la regola generale è la sottoposizione a fallimento, mentre l’esen-zione costituisce un’eccel’esen-zione che può predicarsi solo con riferimento alle società in house.

Tale tipologia di società, largamente diffusa nella gestione dei servizi pubblici locali, si caratterizza, come detto, oltre che per la partecipazione pubblica totalitaria anche per la necessaria compresenza dei requisiti del controllo analogo (ossia l’ente pubblico affidante deve svolgere un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi) e della destinazione prevalente (la società deve svolgere l’attività in modo prevalente con l’ente affidante).

Tali caratteri distintivi del modello in house enucleati dalla giurisprudenza comu-nitaria rendono evidente l’anomalia di tale fenomeno nel panorama societario.

Co-54 Cass. civ., Sez. Un., 9 maggio 2001, n. 10068, in Foro padano, 2002, I, 36.

stituiscono, infatti, una significativa deviazione rispetto al modello societario comu-ne sia il fatto che, comu-nell’in house, la società di capitali non è destinata (se non in via marginale e strumentale) allo svolgimento di attività imprenditoriale a fine di lucro;

sia il fatto che la società non si atteggia come un centro d’interessi autonomo e di-stinto rispetto all’ente pubblico che la partecipa.

L’in house, dunque, configura un tipo di società pubblica che è di autoproduzio-ne di un beautoproduzio-ne o un servizio, come tale incompatibile con la vera e propria organiz-zazione di impresa, finalizzata alla produzione per il mercato, e con l’autonomia dell’organo amministrativo che un’efficiente gestione imprenditoriale richiede55. Tant’è che si ritiene che esso possa trovare giustificazione esclusivamente qualora lo strumento dell’affidamento in house sia sorretto dall’effettiva economicità della ge-stione e perciò da una minore spendita di denaro pubblico rispetto a quanto avver-rebbe attraverso il libero mercato e la concorrenza56.

In altri termini, nella società in house, l’ente pubblico affidante anziché reperire un dato bene o servizio sul mercato, decide di autoprodurlo creando un soggetto che, in virtù dei poteri su di esso esercitati, non è alterum rispetto all’ente affidante ma agisce come longa manus della stesso57.

Ora, è proprio la sussistenza in concreto di questo rapporto di delegazione orga-nica tra società ed ente pubblico che consente di assimilare la società in house ad un ente pubblico a fini dell’esenzione dal fallimento.

55 Ed infatti, si dubita fortemente che un ente comunale possa esercitare sulla società in house effettivamente un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi: ciò perché si ritiene illegittima la creazione di organi atipici dell’amministrazione deputati ad esercitare il c.d. controllo analogo. Infatti, le norme che disciplinano i poteri degli organi sociali (assemblea, organo amministrativo), sono norme di ordine pubblico economico aventi carattere imperativo e non possono in quanto tali essere intaccate da una disciplina statutaria che ne li-miti la piena operatività. In tal senso, M. Libertini, Scelte fondamentali di politica legislativa e indicazioni di principio nella riforma del diritto societario del 2003. Appunti per un corso di diritto commerciale, in Riv. diritto societario, n. 2/2008, pag. 199. M. Libertini, Le società di autoproduzione in mano pubblica: controllo analogo, destinazione prevalente dell’attività ed autonomia statutaria, 21 aprile 2010, in www.federalismi.it.

56 Sul punto la Corte dei Conti si è espressa in termini assai rigorosi, nell’ottica del perseguimento della cor-retta gestione finanziaria degli Enti Locali. Ha infatti affermato l’esigenza di una preliminare verifica dell’ef-fettiva sostenibilità economico-finanziaria delle iniziative progettuali affidate allo strumento societario, evi-denziando che quest’ultimo deve comunque ritenersi funzionalizzato all’obiettivo del soddisfacimento delle effettive esigenze dell’ente pubblico, prevenendo il rischio che lo schema societario venga utilizzato impro-priamente per eludere le normative pubblicistiche. La Corte ne fa conseguire l’esigenza di una adeguata motivazione in ordine alla scelta dello strumento societario in alternativa alle procedure ad evidenza pubbli-ca, individuandone puntualmente la convenienza economica: cfr. Corte dei Conti, Sez. contr. Regione Lombardia, 17 giugno 2010, n. 675; si veda anche Cons. St., 12 marzo 1990, n. 374.

57 Sull’impossibilità di operare una distinzione soggettiva tra società (in house) e socio (pubblico) si veda, tra le molte, Corte Cost., 20 marzo 2013, n. 46 la quale afferma che l’affidamento in house neppure consente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo; così come Cons. Stato Ad. Pl., 3 marzo 2008, n. 1, dove si osserva che “l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa”.

Tale soluzione interpretativa si pone del resto in linea con un recente arresto della giurisprudenza di legittimità58 che è tornata a pronunciarsi nuovamente sui confini della giurisdizione contabile in materia di società pubbliche.

In tale pronuncia, muovendo proprio dall’anomalia delle società in house che

“delle società di capitali hanno solo la forma esteriore ma che in realtà costituiscono del-le articolazioni della pubblica amministrazione”, la Cassazione ha affermato che i principi sino ad ora tracciati dalla stessa sui limiti della giurisdizione contabile in materia di società pubbliche non possono essere ad esse applicati.

In particolare, non può valere con riferimento alle società in house il principio giurisprudenziale secondo cui la giurisdizione contabile si configura solo allorquan-do il danno erariale sia cagionato al socio pubblico, ma non anche quanallorquan-do sia infer-to al patrimonio della società partecipata (stante la distinzione che normalmente intercorre tra la società e il socio pubblico e tra patrimonio sociale e quello dei soci).

Nella società in house, infatti, non risulta possibile configurare un rapporto di alterità tra ente pubblico e la società stessa, con la conseguenza che anche la distin-zione tra patrimonio dell’ente e quello della società si può porre in termini di sepa-razione patrimoniale, ma non di distinta titolarità.

Da ciò discende, secondo la Cassazione, che con riferimento alle società in house, il danno eventualmente inferto al patrimonio sociale da atti illegittimi degli ammi-nistratori è danno erariale, in quanto arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all’ente pubblico, con conseguente attribuzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità.

Tale iter argomentativo della Suprema Corte si rivela particolarmente interessan-te in quanto, sebbene espresso ai limitati fini della giurisdizione contabile sul danno erariale nelle società in house, conferma implicitamente la correttezza delle conclu-sioni cui si è pervenuti in tema di fallimento delle società pubbliche.

58 Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26283, in Diritto e Giustizia online, 2013, 26 novembre 2013.

Per un primissimo commento si veda G. Fischione-G. Pasanisi, Il rapporto del socio pubblico con la società in house sospeso tra assenza di alterità ai fini dell’affidamento e permanenza della separazione patrimoniale (note a margine di Cass., Sez. Un., n. 26283/13), pubblicato il 9 dicembre 2013 in www.giustamm.it; pubblicata anche in Giur. comm., con nota di C. Ibba.

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