• Non ci sono risultati.

L’avere scomposto la ratio dell’esdebitazione in due distinte e autonome ra- ra-gioni pratiche relative, rispettivamente, alla crisi delle imprese e al

dell’imprenditore alla protezione sociale del consumatore

8. L’avere scomposto la ratio dell’esdebitazione in due distinte e autonome ra- ra-gioni pratiche relative, rispettivamente, alla crisi delle imprese e al

sovraindebita-mento dei consumatori, consente di verificare la coerenza sistematica della recente legge n. 3/2012 dove, come in precedenza illustrato, l’effetto esdebitatorio ha trova-to una sua precipua disciplina con riguardo al debitrova-tore consumatrova-tore62.

In particolare, in forza dell’art. 12-bis, comma 3, l. n. 3/2012, al giudice è affida-to il compiaffida-to di verificare che il consumaaffida-tore non abbia assunaffida-to obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere o che non abbia colposamente deter-minato lo stato di sovraindebitamento per mezzo di un ricorso al credito al consumo non proporzionato rispetto alle proprie capacità patrimoniali.

In sostanza, il legislatore italiano, coerentemente al modello adottato dai paesi scandinavi63, ha voluto escludere l’accesso alla procedura di “piano del consumato-re”, come visto sottratta al controllo della classe creditrice64, a quei consumatori che abbiano contratto obbligazioni che, per il loro ammontare, non potevano ragione-volmente essere adempiute o abbiano contratto, attraverso la somma di diverse ob-bligazioni, ciascuna di per sé non irragionevole, un livello di debito complessivo squilibrato rispetto al proprio patrimonio.

Con tutta evidenza, attraverso tale opzione legislativa, la legge sul sovraindebita-mento, prendendo le distanze dal sistema monistico nordamericano sopra descritto65, ha voluto recuperare quale elemento della procedura concorsuale del consumatore la dimensione soggettiva della diligenza e della non imputabilità del sovraindebitamen-to66. Ciò, diversamente da quanto già sostenuto da una parte della dottrina con

ri-61 Cfr. supra paragrafo 5.

62 Cfr. supra paragrafo 3.

63 Sul punto cfr. G. Rojas Elgueta, L’esdebitazione del debitore civile, cit., 345 ss.

64 Cfr. supra paragrafo 3 e Tribunale Ordinario di Pistoia, 28.2.2014.

65 Cfr. supra paragrafo 4.

66 In altri termini, si potrebbe sostenere che mentre negli Stati Uniti si è estesa al consumatore la logica della business judgment rule (cfr. supra nota 47), in forza della quale si esclude l’indagine sulla ragionevolezza delle scelte poste in essere dagli amministratori delle società, il nostro ordinamento, nella recente riforma sul sovraindebitamento, ha resistito alla tentazione di introdurre una regola che, nel riconoscere il beneficio

guardo al requisito di meritevolezza di cui all’art. 181 l. fall. pre-riforma67, non deve essere spiegato alla luce di un’aspirazione etica dell’ordinamento, ma trova il suo fondamento in un’esigenza di complessiva efficienza del sistema che si coglie ricon-ducendo l’istituto dell’esdebitazione dei consumatori dentro la prospettiva concet-tuale del diritto assicurativo.

Infatti, una volta escluso che l’esdebitazione sia volta ad incentivare il ricorso al credito al consumo68 ed accolta l’idea che essa sia diretta a proteggere i consumatori contro il rischio di un sovraindebitamento determinato da un evento esogeno avverso (c.d. sovraindebitamento passivo)69, risponde alla logica complessiva del sistema nega-re il pagamento di un “capitale assicurato” (la cancellazione dei debiti nega-residui) per il caso in cui lo stesso consumatore abbia concorso, con dolo o colpa grave (cfr. art. 1900 c.c.), alla causazione dell’“evento assicurato” (lo stato di sovraindebitamento)70.

Il carattere di assicurazione sociale, contro il sovraindebitamento passivo dei con-sumatori, dell’effetto esdebitatorio giustifica, infine, la scelta del legislatore italiano di rimettere ad un organo pubblico indipendente, il Tribunale, e non ai creditori, la decisione sulla concessione di un beneficio il cui costo è distribuito sulla collettivi-tà71. Infatti, per le ragioni che si è cercato di esporre in questo studio, la fattispecie

esdebitatorio quale effetto automatico della procedura, si traduce in una sorta di consuming judgment rule.

Come messo in evidenza da J.B. Braucher, Consumer Bankruptcy as Part of the Social Safety Net, cit., 1067:

«Europeans typically regard bankruptcy as an occasion for social work to preserve and extend the social welfare system. They tend to believe that debtors in over their heads should learn to live at a subsistence level while repaying debts and avoiding quick reentry into the credit system. By comparison, personal bankruptcy in America recycles debtors back into the consumer credit system almost immediately». Sul rapporto fra inadempimento, inesigibilità della prestazione e teoria generale cfr. la recente ricostruzione di L. Modica, Profili giuridici del sovraindebitamento, cit., 208 ss.

67 Cfr. supra nota 46.

68 Cfr. supra paragrafo 6.

69 Cfr. supra paragrafo 7. D. Cerini, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy, cit., 10 ss. distingue fra inde-bitamento c.d. attivo, che comprende i casi in cui il ricorso al credito «risulti frutto di spese affrontate per mero effetto di c.d. condizionamenti ambientali, tipici dei modelli sociali di consumerismo immaturo» e indebitamento c.d. passivo, che risulta determinato da «eventi imprevisti e non voluti».

70 C.G. Hallinan, The “Fresh Start” Policy, cit., 103 s., mette in evidenza i punti di convergenza fra l’istituto dell’esdebitazione e i meccanismi tipici di una polizza assicurativa. A p. 108 s., l’Autore sottolinea come l’approccio nordamericano alla discharge devii significativamente dalla logica assicurativa nella parte in cui non esclude il beneficio esdebitatorio per coloro che hanno concorso a determinare il sovraindebitamento attraverso un comportamento negligente. Nello stesso senso cfr. A. Feibelman, Defining the Social Insurance Function of Consumer Bankruptcy, cit., 143, dove si sottolinea come il modello liberale della discharge, pro-prio degli Stati Uniti, non consente di mitigare il c.d. moral hazard, problema tipico delle dinamiche assi-curative. R.A. Hillman, Contract Excuse and Bankruptcy Discharge, cit., 134, tracciando un parallelismo tra non imputabilità dell’inadempimento per impossibilità sopravvenuta ed esdebitazione, sottolinea l’impor-tanza di recuperare la dimensione della colpa nella consumer bankruptcy.

71 N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, 78, scrive: «i problemi di giustizia sociale vanno risolti all’esterno del mercato, attraverso misure fiscali, offerte di servizi pubblici e politiche economiche». Per una rassegna delle procedure concorsuali c.d. concordate e di quelle c.d. autoritative in altri ordinamenti, cfr. L.

dell’esdebitazione dei consumatori non si risolve nei rapporti interni, di natura ob-bligatoria, fra il debitore e la classe creditrice ma coinvolge un interesse più alto, di natura pubblicistica, consistente nella protezione sociale dei soggetti onesti ma sfor-tunati.

Modica, Profili giuridici del sovraindebitamento, cit., 308 ss. La tensione fra interessi privati e interessi pub-blici nei procedimenti concorsuali è descritta da A. Bonsignori, Il fallimento, cit., 117 ss. Sul punto cfr.

anche L. Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia – Le procedure di insolvenza, Bologna, 2007, 68 ss. e F. Di Marzio, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio del sovraindebitamento, cit., 13.

CORTE APPELLO NAPOLI, sez. I, 24 aprile 2013, n. 57 Presidente dott. Vito Frallicciardi – Estensore dott. Paolo Celentano

Eav Bus s.r.l. in liquidazione c. Curatela del fallimento della Eav Bus in liquidazione + altri

In difetto di specifici dati normativi, idonei a giustificare la qualificazione delle società in mano pubblica come enti pubblici, esse non possono essere escluse dall’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni sul fallimento, sul concordato preventivo e sull’amministrazione straordinaria delle grandi im-prese in crisi.

Diritto – L’art. l, co. 1, l.f. esclude espressamente gli enti pubblici, pur se esercen-ti un’impresa commerciale (cioè pure i ccdd. enesercen-ti pubblici economici), dall’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni sul fallimento e sul concordato preven-tivo e dunque – stante quanto disposto dall’art. 2 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 – anche da quello delle disposizioni in tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Non fornisce però la nozione di ente pubblico cui fa riferimento, così consenten-do di ipotizzare che questa possa comprendere anche soggetti che non sono qualifi-cati formalmente come tali dalla legge, se ciò non fosse da un’altra legge espressa-mente vietato.

Nel trattare la questione – da qualche anno venuta alla ribalta giudiziaria come conseguenza della crisi economico-finanziaria che affligge il Paese – dell’assoggetta-bilità alle disposizioni concernenti le citate procedure concorsuali delle ormai nu-merosissime società di capitali o cooperative che presentano un tasso di pubblicità elevato (giacché evidentemente quanto meno maggiore di quello dato dalla mera partecipazione al loro capitale sociale di un ente pubblico), la dottrina e la giurispru-denza più recenti spesso invero trascurano di considerare che, proprio per porre un freno all’incontrollata proliferazione di enti pubblici, la legge 20 marzo 1975, n. 70, dispose la soppressione di tutti gli enti pubblici esistenti alla data della sua entrata in vigore, fatte salve le sole eccezioni dalla stessa specificamente indicate, al contempo vietando – con il suo mai, almeno esplicitamente, abrogato art. 4 – l’istituzione o il riconoscimento di nuovi enti pubblici mediante atti non aventi forza di legge (“nes-sun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”).

Né, ad avviso di questo Collegio, questo generale e perentorio divieto può rite-nersi superato (rectius: implicitamente abrogato) dalle non poche disposizioni legi-slative varate negli ultimi anni, soprattutto sotto la spinta del legislatore

comunita-rio, che hanno accolto, ma chiaramente solo per definire il loro proprio ambito soggettivo di applicazione, una nozione ampia e sostanzialistica di ente pubblico (o di organismo di diritto pubblico o di pubblica amministrazione, ecc.), in modo tale da farvi rientrare anche almeno una parte – più o meno ampia a seconda dei casi, a conferma della loro portata settoriale – di quegli enti giuridici che vengono comu-nemente definiti società pubbliche, senza peraltro che vi sia concordia sulla relativa nozione [omissis].

Anzi, a ben vedere, proprio queste disposizioni legislative di carattere settoriale costituiscono la migliore dimostrazione dell’esigenza e dell’intento del legislatore di attrarre solo a determinati effetti nella sfera del diritto pubblico soggetti che general-mente orbitano e che sono dunque destinati, per il resto, a rimanere nella sfera del diritto privato, giacché l’art. 4 della legge n. 70 del 1975 vieta che possano essere qualificati enti pubblici, e dunque, piuttosto che implicare la tacita abrogazione di questo divieto, ne postulano la perdurante vigenza.

[omissis]

Sostanzialmente in linea con queste considerazioni è la giurisprudenza della Cor-te di cassazione che è [omissis] costanCor-te nell’affermare che, in linea generale, una società non muta la sua natura di soggetto di diritto privato sol perché un ente pub-blico è titolare di una parte o della totalità del suo capitale e possono in tal modo, indirettamente, influenzarne le scelte organizzative ed operative secondo le regole proprie del diritto societario, pur se sulla base di determinazioni adottate dai loro organi secondo le regole proprie del diritto amministrativo [omissis].

D’altronde, nemmeno sussistono concreti dati normativi che possano autorizza-re a riteneautorizza-re che le società in mano pubblica possano, in tutti od in alcuni casi, esse-re considerate enti pubblici (anche) ai limitati effetti della loro esclusione dall’ambi-to soggettivo di applicazione delle disposizioni sul fallimendall’ambi-to, sul concordadall’ambi-to preventivo e sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, salvo, ovviamente, il caso in cui non svolgano un’attività commerciale. [omissis]

Al contrario di quanto affermato dalla reclamante, la tesi che vuole escluse dall’ambito soggettivo di applicabilità delle disposizioni sul fallimento, sul concor-dato preventivo e sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi le società in mano pubblica, almeno al ricorrere di alcune condizioni da precisare, prima fra tutte quella dello svolgimento da parte di una tale società di un servizio pubblico essenziale, è tutt’altro che consolidata in giurisprudenza, non essendo mai stata chiaramente accolta dalla Corte di cassazione ed essendo difficile dire quanto sia effettivamente diffusa nella giurisprudenza di merito, l’effettiva pubblicità dei suoi arresti essendo purtroppo, com’è noto, ancora assai limitata ed affidata a canali informativi il cui accesso ai dati rilevanti certamente non è improntato ai canoni delle scienze statistiche. [omissis]

La società che svolge un servizio pubblico, essenziale o non, sia o meno in mano pubblica, non ne ha mai la titolarità, che spetta invece sempre ad un ente pubblico, il quale può, nei limiti stabiliti dalla legge, decidere discrezionalmente se svolgere il servizio pubblico di cui è titolare direttamente ovvero indirettamente, affidandolo a soggetti privati o ad una società di cui sia l’unico socio od uno dei soci, che non diviene perciò un ente pubblico, né a tutti gli effetti, né ai limitati fini della sua inassoggettabilità al fallimento, al concordato preventivo ed all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ma semmai, a seconda dei casi, ad altri limitati fini, rimanendo, per il resto, governata dalle regole del diritto privato e, per quel che qui rileva, in particolare di quelle che connotano lo statuto degli imprendi-tori commerciali privati. [omissis]

L’eventuale fallimento della società in mano pubblica che svolge un servizio pub-blico essenziale, anche quando di questo sia affidataria esclusiva, non impinge nell’indisponibilità degli interessi pubblici che quel servizio è volto a soddisfare, ma impone, da un canto, all’ente pubblico che di tali interessi è titolare di trovare una soluzione alternativa ai fini della loro soddisfazione e, dall’altro, agli organi del falli-mento di procedere alla liquidazione delle attività fallimentari nel rispetto dei limiti generalmente stabiliti dalla legge al fine di assicurare la continuità del servizio pub-blico già affidato alla società fallita.

Outline

Documenti correlati