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Riflessioni sulla pertinenza del termine “Rivoluzione”

CAP 2 IL CONTESTO STORICO DELLA PRODUZIONE E DELLA REGIA

2.2 Approfondimento del contesto della regia: la rivolta egiziana e la caduta di Mubarak

2.2.8 Riflessioni sulla pertinenza del termine “Rivoluzione”

Alcuni studiosi, di background ideologici diversi tra loro, hanno sollevato delle contestazioni circa l'utilizzo del termine “Rivoluzione”. Tra questi Ṭāriq Ramaḍān, nipote del fondatore del movimento dei Fratelli musulmani Ḥasan al Bannā, che nel suo libro “L'Islam e il risveglio arabo” (Parigi, 2011), esprime delle riserve

130Eliana, FAVARI, Op. cit.

nell'uso di tale parola che implica un cambiamento radicale e una rottura radicale con il passato: sostiene che sia più appropriato parlare di “sollevamenti”.

L'autore s'interroga poi sui confini tra la volontà popolare e quella dei potenti del mondo,

citando la formazione ricevuta alcuni protagonisti delle “sollevazioni” negli Usa e nei Balcani sulle tecniche delle “Rivoluzioni colorate”, come l'uso del simbolo del pugno (lo stesso di Otpor, movimento serbo che contribuì alla caduta di Milošević), l'uso degli slogan unificanti, evitando quelli ideologici o anti-occidentali, l'uso di internet e dei social networks.

Tuttavia non è un mistero: proprio Al-Jazeera ha confermato che la rivoluzione in Egitto non è stata spontanea, ma è stata preparata per almeno tre anni, lasso di tempo in cui i rivoluzionari si sono “professionalizzati”, anche con il training di Otpor.

Inizialmente molte preoccupazioni vedevano nell'organizzazione il segnale di una strategia statunitense dai tratti non chiari. Il ruolo degli Stati Uniti effettivamente è reale, ma il tutto si è svolto alla luce del sole, tanto che per quanto riguarda l'attuale caso del Medio Oriente, è possibile consultare le tabelle dei finanziamenti di Washington elaborate dal Carnegie Endowment For International Peace.132

Secondo Adnane Mokrani, nell'articolo “Le Rivoluzioni arabe e le sfide della costruzione democratica”(Settembre-Dicembre 2012), “il fatto che alcuni giovani abbiano approfittato delle occasioni di formazione sui metodi non-violenti negli Usa e altrove, non diminuisce la legittimità delle rivoluzioni né la fedeltà e il coraggio dei giovani [..] e delle persone che hanno messo le loro vite in pericolo affrontando regimi criminali spietati”.

132Emanuela, C. DEL RE, “Il gelsomino nel pugno: il modello Otpor nelle rivolte araba”, “(Contro)rivoluzioni in corso.Primavera araba o inverno mediterraneo?Dal Nordafrica al Pakistan, la terra trema se la Libia diventa una grande Somalia”, Limes. Rivista italiana di geopolitica (3 2011), pp. 247-251

Se per esempio, afferma Mokrani, Wael Ġonīm ha avuto un ruolo nella rivoluzione o il suo datore di lavoro ha offerto i mezzi necessari al popolo egiziano per superare la censura governativa, ciò non fa di questo giovane una spia, ma esprime l'interesse americano in Egitto e l'intelligenza di Ġonīm di servirsi della sua posizione al servizio del paese.

D'altro canto, prosegue il giornalista e docente, si sa che i mass media non sono totalmente indipendenti dagli interessi politici: il ruolo del canale qatariota Al- Jazeera nelle rivoluzioni, come appena dimostrato, è ben noto, conoscendo lo stretto rapporto tra Qatar e Usa.

Tornando al termine “Rivoluzione”, c'è un'altro elemento che ha reso gli osservatori più scettici, ossia l'ascesa degli islamisti al potere e l'emergere dei salafiti, la branca più conservatrice e letteralista del movimento islamista. Un fenomeno accompagnato da una serie di rivendicazioni 'settoriali' che non hanno nulla a che fare con gli obiettivi iniziali delle rivoluzioni: giustizia, libertà e dignità. La vittoria della Fratellanza sembrava aver dato loro un senso di orgoglio sproporzionato dopo lunghi anni di crudele emarginazione, al punto di schivare l'opportunità più plausibile di creare un'alleanza nazionale più allargata alla luce della gravità e dell'urgenza dei problemi.

L'uso del termine “Rivoluzione” risulta ancora più dubbio per il suo carattere molto contraddittorio: nonostante l'entrata in scena di nuova classe dirigente che ha sostituito la leadership corrotta precedente, tutto il resto del corpo dello Stato è rimasto quasi intatto nell'assenza di una vera riforma dell'economia, della giustizia, della sicurezza, dell'informazione.133

La questione in realtà è molto più complessa e riguarda il ruolo dei militari e dei Fratelli musulmani: molti studiosi e critici hanno visto nella caduta di Mubarak un 133 Adnane, MOKRANI, “Le Rivoluzioni arabe e le sfide della costruzione democratica”, “'Primavera araba'?: autunno islamico”, in Religioni e società. Rivista di scienze sociali delle religioni, XXVII, 74, Settembre- Dicembre 2012, pp. 34- 37

colpo di Stato dell'esercito, acclamato dalla maggior parte degli insorti, secondo i quali il male era incarnato dal clan presidenziale. Alcuni rivoluzionari infatti, sono rimasti a lungo prigionieri del mito dell'esercito come avanguardia e custode dell'unità del popolo. Prima della rivoluzione, questo mito era stato strumento di legittimazione, ma anche un imperativo categorico.134

Secondo Massimo Campanini,135 l'esercito si è fatto garante di una transizione

morbida che lo ha erto responsabile del processo di cambiamento e di evoluzione istituzionale.

Aclimandos136sostiene che la transizione democratica, che è stata voluta da tutti,

ma le cui modalità sono state definite da due attori autoritari – l'esercito e i Fratelli Musulmani – è stata concepita come la restaurazione dell'autorità e il ritorno dell'ordine.

Le due componenti hanno in comune una concezione della politica, anche sotto le sembianze della democrazia, come movimento che va dall'alto al basso.

Esse ovviamente si differenziano per obiettivi: i militari difendono soprattutto uno status quo, la loro funzione di difesa del paese e quella di attore sociale ed economico

controllano più di un terzo dell'economia). I secondi volevano servirsi dell'apparato statale per imporre la loro concezione impoverita dell'ortodossia islamica.

Per loro l'islam è un'ideologia totalitaria che si traduce in una riorganizzazione globale della vita sociale.

In ogni caso il presidente democraticamente eletto Mursī ha perso la sua legittimità guadagnata con le urne. Il 3 luglio 2013 l'intervento militare ha 134Tewfick, ACLIMANDOS, Op. cit, p.26

135 Karim, K. MEZRAN; S. COLOMBO; Saskia, VAN GENUGTEN (a cura di), L'Africa mediterranea. Storia e futuro, Roma, Donzelli Editore, 2011, p.24

destituito il Presidente, ponendo fine all'esperienza di governo islamista del Partito Libertà e Giustizia.

Mentre la stampa occidentale parlava di colpo di stato, quella locale - fatta eccezione per i giornali fedeli al presidente - non vi faceva accenno, presentando la vicenda in maniera parzialmente diversa. “Messo da parte dalla legittimità popolare” scriveva il mercoledì lo storico Al-Ahram, il quotidiano governativo statale che stampava la prima pagina con i caratteri grafici dedicati alle giornate storiche.

Tecnicamente però un colpo di stato c’è stato, anche se anomalo: si è compiuto a seguito di una campagna popolare di raccolte firma per la destituzione del presidente che ha avuto più di 20 milioni di adesioni.137

Rispettando la costituzione del 1971, la presidenza infatti è passata nelle mani del presidente della Suprema Corte Costituzionale, ̒Adlī Manṣūr.

La situazione a circa tre anni dalla deposizione di Mubarak, sembra essere ancora lontana dal cambiamento radicale per cui milioni di egiziani, soffocati da trent'anni di dittatura e defraudati della propria dignità, si erano mobilitati.

La “Rivoluzione” di piazza Taḥrīr chiedeva libertà e democrazia: nonostante tutti gli elementi considerati, Mokrani legittima l'uso del termine perché scelto dal popolo per esprimere le proprie aspirazioni e rivendicazioni.

In tal senso la “Rivoluzione” è ancora in fieri: “se è vera e autentica riesce alla fine a far germogliare i semi del cambiamento anche con ritardi, esitazioni” ed 'errori umani' causati dalla “mancanza di esperienza politica e mediatica”.138

137Azzurra, Meringolo, “L’Egitto ricomincia da tre”, in Affari internazionali. Rivista online di politica, strategia ed economia, 04/07/201 http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2361 (consultato il 08/01/2014)