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Ritorsione verso gli arabi musulmani in seguito all'11 settembre 2001 e la “guerra al terrorismo”: la responsabilità dei media, degli Usa e

CAP 2 IL CONTESTO STORICO DELLA PRODUZIONE E DELLA REGIA

2.1 Approfondimento del contesto di produzione della musalsal Gli attentati terroristici del 2001 negli Stati Uniti hanno scatenato un dibattito a

2.1.3 Ritorsione verso gli arabi musulmani in seguito all'11 settembre 2001 e la “guerra al terrorismo”: la responsabilità dei media, degli Usa e

le molteplici incomprensioni culturali

Alla luce delle riflessioni affrontate finora, la grave incrinatura dei rapporti tra Occidente e Islam sorta dopo l'11 settembre 2001 può essere inquadrata in una complessa analisi di stampo politico e ideologico che affonda le proprie radici più profonde nella storia.

Ma è importante anche esaminare altri punti di vista e porre attenzione sull'impatto che l'evento ha riscontrato nei rapporti sociali, cambiando per sempre la visione dei civili sull'attuale ordine mondiale e accentuando i già esistenti conflitti culturali e religiosi.

L'umanità ha attribuito un grande peso e significatività all'11 settembre 2001: nessuna data sembra essere mai stata, nella storia della civiltà moderna, così apocalittica.

Secondo Monique Sicard, la rappresentazione della realtà di quel giorno, che di conseguenza oggi è la nostra, si basa in gran parte sui media.21

20 Romano, BETTINI, Sociologia del diritto islamico, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 115-116. 21 Monique, SICARD, Babette et Banania Qu'est-ce qu'une violence par l'image?, in “Les Cahiers de

Con più veemenza, Alain Flageul, sostiene che senza la televisione e il “mediamorfismo”22 che essa implica, l'attentato sarebbe rimasto un crimine odioso

e tragico che non avrebbe scosso così tanto le coscienze.

Il ruolo della componente mediatica in questo avvenimento drammatico appare dunque decisivo: a causa di un'organizzazione terroristica internazionale rimasta relativamente silenziosa, ci si è costruiti un'opinione basata sui “filtri” dei giornali e telegiornali.

Il costante dibattito intorno al problema del terrorismo islamico, le immagini televisive dell'attentato trasmesse quasi in diretta e mondializzate all'istante, la discussione sulla penetrazione islamica nel continente europeo, la collusione tra le moschee e l'organizzazione del terrorismo internazionale hanno determinato negli attori sociali occidentali un diffuso senso di insicurezza, che ha influenzato la corretta percezione del fenomeno.23

Roger Silverstone, stimato specialista degli studi sui media in Gran Bretagna, ha posto attenzione sul fatto che tutte le informazioni mediatiche siano state descritte in funzione di un determinato punto di vista politico, che cambia persino da nazione a nazione (anche nello stesso continente europeo).24

22 Alain Flageul definisce “mediamorfismo” il principio consistente nel mettere in opera degli atti a fini mediatici.

In L'assassinat comme genre télévisuel, in “Les dossiers de l'audiovisuel”, n. 104, luglio-agosto 2002, À chacun son 11 septembre, pp. 21-25 (cit. daRémy, M. RIEFFEL, Che cosa sono i media? Pratiche, identità, nfluenze, Roma, Armando, 2006, p.94-95 (ed. or. Que sont les médias? Pratique, idéntités, influences, Éditions Gallimard 2005)

23 Angelo, PITTALUGA, “Pericolo islamico e mezzi di comunicazione”, in Quaderno dei lavori 2007 , Terzo Seminario Nazionale di Sociologia del Diritto (AIS- Sezione di Sociologia del Diritto), Capraia Isola, 1-8 settembre 2007, Massimiliano, VERGA (a cura di),p 22

In particolare, un gruppo indipendente di controllo sui media, Fairness and Accuracy in Reporting, ha notato che “I media statunitensi in generale, pur con molte eccezioni, promuovono l'idea che terrorismo sia eguale a islam”.25

Questo significa che nel fare giornalismo, essi appoggiavano la politica adottata dall'allora presidente George W. Bush, che aveva dichiarato una “guerra al terrore” da combattere contro il fondamentalismo islamico o islamismo, un nemico spietato e fanatico, ma non esattamente definito.

Quei media contribuirono a sponsorizzare l'immagine che gli Stati Uniti sembravano voler dare di sé di paladini della libertà e della democrazia; grazie anche a questa prospettiva

priva di sfumature, la paura e il sospetto verso l'islamismo si sono proiettate spesso indiscriminatamente, sui musulmani e sull'islam nel suo insieme.26

Angelo Pittaluga, autore della tesi “La presenza islamica nel Mediterraneo e in Europa. Profili storici, modelli di regolamentazione giuridica e percezione sociale”, ha evidenziato l'esistenza di alcune tecniche comunicative molto interessanti che forniscono una conoscenza falsata della realtà: per esempio, la tendenza a mostrare ripetutamente, con insistenza, alcuni aspetti di estremismo di singoli gruppi, per rappresentare l'intera comunità musulmana. Coglie poi l'utilizzo martellante di alcuni termini di forte impatto comunicativo: 'fondamentalismo', 'estremismo', 'terrorismo', divenuti ormai, grazie alla loro ripetizione assidua, sinonimi di fondamentalismo islamico, estremismo islamico, terrorismo islamico. Un'altra strategia comunicativa consiste nell'utilizzo di espressioni che creano una rigida e netta separazione: 'noi' e 'loro'. A tal proposito è significativo il forum di

25 Martha, C. NUSSBAUM, La nuova intolleranza. Superare la paura dell'Islam e vivere in una società più libera, Milano, Il Saggiatore, 2012, p.60 (ed. or. The New Religious Intolerance: Overcoming the Politics of Fear in an Anxious Age,Harvard University Press, 24 aprile 2012 )

26 Ben, DUPRÉ, 50 grandi idee. Politica, Bari, Edizioni Dedalo 2011, p. 104 (ed. or. 50 political ideas you really need to know, Londra, Quercus Publishing Plc)

Magdi Allam, sulla pagina internet del Corriere della Sera, dal titolo “Noi e gli Altri”, attivo dal 2004 al 2008.27

Ma il punto principale risiederebbe tuttavia nell'utilizzo delle immagini. Le notizie sull'islam, che, nella cronaca televisiva, riguardano per lo più il terrorismo islamico e gli attentati, vengono costantemente associate ad immagini di persone con determinate caratteristiche “estetiche”, quali l'abbigliamento, il velo islamico, la barba, che creano un forte effetto di “suggestione visiva”.

La costante abitudine all'associazione tra questi simboli e la notizia del terrorismo genererebbe così un inconsapevole processo mentale di assimilazione figurativa, che porterebbe a trasferire la paura, sempre più diffusa, dell'attentato, su coloro che presentano queste caratteristiche, siano costoro anche innocui immigrati musulmani.28

Nell'immaginario collettivo vi sono anche altre componenti che contribuiscono ad alimentare la diffidenza verso il mondo islamico: innanzitutto il sistema giuridico musulmano che rifiuta il principio del nostro stato laico di diritto, di uguaglianza sostanziale tra gli individui, del diritto di libertà religiosa. Inoltre, a causa della scarsa integrazione sociale, i musulmani vengono spesso associati ai crimini legati alla microcriminalità e al traffico di stupefacenti.29

Ciò non significa che la risposta occidentale sia stata influenzata in blocco da tali tendenze. Rémy Rieffel ha analizzato come le reazioni siano state molto varie: da chi ha assunto un atteggiamento di compassione, appello al dialogo e alla tolleranza, a un pubblico critico circa “la copertura mediatica, il voyeurismo e il sensazionalismo che genera”, ed infine a chi ha espresso una critica sulla linea

27 Magdi Cristiano Allam, “Noi e gli altri”, http://forum.corriere.it/noi_e_gli_altri/ (consultato il 31/01/2014) (cit. da Angelo, PITTALUGA, Op. cit., p.22)

28 Angelo, PITTALUGA, ibidem 29 Ivi, p. 20

politica da adottare.30 Questi ultimi erano divisi in sostenitori degli Stati Uniti, della

democrazia contro il terrorismo, in contrari alle politiche americane e altri, più cauti, che insistevano sulle responsabilità dell' 'Occidente'.

Tuttavia, sullo sfondo di un'effettiva minaccia terroristica di matrice islamica, la reazione, in generale, è stata una grande incomprensione e mancanza di sensibilità: l'idea diffusa e consolidata è che la presenza dell'islam in Europa e negli Stati Uniti rappresenti un pericolo.

Dietro la paura della società per il terrorismo islamico, gli attentati suicidi, la penetrazione dell'Islam fondamentalista e illiberale in Europa, esiste una verità diversa e nascosta. Quotidianamente i musulmani sono stati, per la sola appartenenza all'Islam, i bersagli di violenze fisiche e atti intimidatori: numerosi sono, ad esempio, i casi di ragazze musulmane a cui è stato, in segno di disprezzo, strappato il velo indossato per coprire il capo. Insulti espressamente anti-islamici sono stati riversati addosso a persone di religione islamica, o che solo indossavano abiti in stile arabo. E spesso gli insulti si sono tradotti in botte e pestaggi per umiliare e annichilire le vittime musulmane.31

Accanto a questo tipo di violenza, si sono rilevati anche enormi difficoltà sociali relative all'inserimento lavorativo e scolastico, in ragione della fede di appartenenza islamica.

Gli Stati Uniti invece, non sono mai stati teatro di eccessivi episodi di violenza di massa in quanto società abituata a convivere nell''eterogeneità e nel pluralismo religioso.

Tuttavia il pregiudizio anti-islamico e la violenza occasionale sono aumentati nel panorama americano dopo l'11 settembre: il foulard islamico ad esempio ha causato problemi in episodi isolati e con alcuni datori di lavoro privati. Inoltre 30 Rémy, M. RIEFFEL, Op. cit., p.94

l'Equal Employment Opportunity Commission (EEOC) ha segnalato l'aumento dei casi di discriminazione sul lavoro. Anche proteste e minacce verso le moschee sembra si siano diffuse: nel 2010, a nove anni dagli attentati, l'American Civil Liberties Union ha contato trenta moschee, esistenti o proposte, che hanno subito atti di vandalismo, proteste pubbliche o una forte opposizione dovuta all'ostilità verso l'Islam.32

Il sentimento anti-islamico è indubbiamente frutto del pregiudizio e della disinformazione.

Con grande probabilità, la maggioranza dei musulmani non ha condiviso le atrocità degli attacchi alle Twin Towers né è coinvolta personalmente nel terrorismo internazionale di matrice islamica.

Questo non nega il loro probabile disprezzo per le politiche occidentali adottate nei propri paesi. Anzi, nel mondo musulmano, molti hanno giudicato affrettata e falsa la reazione agli attentati alle Twin Towers e gli avvenimenti successivi non hanno cancellato i sospetti sulle ambizioni imperialiste e le motivazioni tutt'altro che disinteressate dell'Occidente.33 A tal proposito Edward Said, scrittore noto per la

sua critica del concetto di Orientalismo,34 in“Covering Islam: How the media and

the experts determine how we see the rest of the world”(1997), sostiene risolutamente che esiste un preciso disegno che mira a delegittimare l'immagine politica, culturale, religiosa e sociale dell'Islam al fine di mantenere un'egemonia occidentale che si ripresenta tale e quale all'epoca del Colonialismo. Si tratta di una strategia basata sul discorso religioso e culturale per coprire il vero argomento, l'interesse economico sul petrolio mediorientale.

32 Martha, C. NUSSBAUM, Op. cit., p.23-29 33 Ben, DUPRÉ, Op.cit, p. 104

34 Nell'analisi dell'autore in Orientalismo (1978), la visione dispregiativa dell'Oriente viene interpretata come uno strumento funzionale alla costruzione dell'identità occidentale, basata sull'assunto: “noi siamo noi (occidentali) in quanto diversi da loro (civiltà arabo-islamica sottosviluppata, inferiore)”, giustificando così il Colonialismo