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LA RIFORMA PENSIONISTICA DEL 2011

Nel documento XV RAPPORTO ANNUALE Luglio 2016 (pagine 108-111)

La legge 22 dicembre 2011, n. 214 (di conversione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 recante Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamen-to dei conti pubblici) ha messo a sistema un insieme di interventi finalizzati all’in-nalzamento dell’età media di accesso al pensionamento, condizionati dall’esigenza di contenimento del costo della spesa pensionistica.

Nel comma iniziale dell’art. 24 della stessa legge viene enucleata la serie di principi e criteri direttivi cui la manovra pensionistica deve conformarsi:

a) equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli;

b) flessibilità nell’accesso ai trattamenti pensionistici anche attraverso incentivi alla prosecuzione dell’attività lavorativa;

c) adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita; ol-tre semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali.

LA PENSIONE DI VECCHIAIA

La legge n. 214 del 2011 punta nuovamente ad un meccanismo di incentivo allo spostamento nel tempo dell’erogazione del trattamento pensionistico, prevedendo che nel calcolo della pensione le anzianità contributive maturate dopo il 2011 siano valorizzate con il sistema contributivo e consentendo ai lavoratori il proseguimen-to dell’attività lavorativa a partire dal conseguimenproseguimen-to del requisiproseguimen-to anagrafico “mi-nimo” sino al massimo dell’età di 70 anni, incentivando tale prosecuzione mediante modifica del calcolo del trattamento (con l’operare di più favorevoli coefficienti di trasformazione calcolati sino a quell’età), nonché assicurando la protezione sul piano lavoristico, attraverso la dilatazione nel tempo del meccanismo di stabilità reale del posto di lavoro anche in favore degli optanti, attraverso il richiamo all’art. 18, della legge n. 300 del 1970.

Prosegue, però, nell’omologazione, relativamente alla pensione di vecchiaia dei la-voratori cui si applica il sistema contributivo con i lala-voratori che ricadono nel sistema “misto”. L’età pensionabile è la medesima, mentre viene anche aumentato a 20 anni il requisito dell’anzianità contributiva minima richiesto per la pensione di vecchiaia, rispetto ai 5 anni previsto dalla legge n. 335 del 1995 e confermati anche dalle riforme successive.

Per l’accesso alla pensione di vecchiaia per i lavoratori interamente contributivi è inoltre richiesto che l’importo del trattamento pensionistico non risulti inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale tranne per chi raggiunge l’età pensionabile mas-sima (70 anni, ora 70 anni e 7 mesi) che può ottenere la pensione interamente con-tributiva con soli 5 anni di contribuzione e senza alcun vincolo di importo minimo.

DALLA PENSIONE DI ANZIANITÀ ALLA PENSIONE ANTICIPATA

Prima dell’ultimo intervento di riforma, l’anticipazione della data di percezione della prima pensione rispetto all’età pensionabile avveniva attraverso l’istituto della pensione di anzianità, introdotto nell’ordinamento negli anni Sessanta, con l’attribu-zione agli iscritti nel regime generale dei lavoratori dipendenti del diritto alla pen-sione a qualunque età, purché i soggetti potessero far valere almeno trentacinque anni di contribuzione effettiva.

Le condizioni di accesso alle pensioni di anzianità sono state successivamente mo-dificate, dapprima attraverso provvedimenti di carattere temporaneo, poi attraver-so la riforma del 1995 secondo due requisiti:

a) raggiungimento di anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni, in con-correnza con almeno 57 anni di età;

b) raggiungimento di anzianità contributiva non inferiore a 40 anni.

Tra le ulteriori iniziative normative finalizzate a ritardare la data di percezione delle pensioni di anzianità si collocano anche le misure c.d. di scaglionamento dei pen-sionamenti a date predeteminate nel corso dell’anno (c.d. “finestre”), misure poi estese, peraltro, anche alle pensioni di vecchiaia.

L’effetto più evidente di tali normative è stato quello di differenziare il momento acquisitivo del diritto (diritto al trattamento) da quello di accesso al godimento del medesimo (diritto all’accesso al trattamento), innalzando ulteriormente l’’età media di accesso al pensionamento.

Dal 1° gennaio 2012, per effetto della legge n. 214 del 2011, la pensione di anzia-nità è stata sostituita dalla “pensione anticipata”.

Concettualmente, l’espressione “anticipazione” rafforza l’idea che l’età pensionabile (seppur flessibile) rimane quella legata ai requisiti anagrafici restando la pensione erogata prima del raggiungimento di tali requisiti, un’eccezione consentita dall’or-dinamento. Il legislatore del 2011 ha riportato la pensione anticipata alle origini, prevedendo che il diritto a questa prestazione sia conseguito per effetto dell’entità di contribuzione maturata senza alcun riguardo all’età. Viene così superato il siste-ma delle quote, introdotte a partire da metà del 2009. Proprio questo intervento ha generato però i maggiori effetti di rigidità del sistema, non consentendo più di ottenere la pensione con 35 anni di anzianità contributiva pur in presenza di una minima età anagrafica.

La pensione anticipata, erede della pensione di anzianità è, quindi, lo strumento sistematico con il quale il nostro sistema pensionistico persegue flessibilità.

Conferma ne è il fatto che il legislatore del 2011 fa rientrare nell’alveo della pen-sione anticipata anche il recupero della flessibilità per i lavoratori cui si applica il sistema contributivo.

Si prevede, infatti, che questi lavoratori possano ottenere la pensione anticipata, pur-ché in possesso di almeno 20 anni di anzianità contributiva, ad un’età di tre anni inferiore rispetto a quella pensionabile. Viene ripristinata, quindi, per i lavoratori che

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rientrano nel sistema contributivo la scelta fra un anticipo dell’accesso a pensione con un minore importo della pensione stessa in quanto nel calcolo si applicherà un coefficiente di trasformazione più basso di quello previsto in corrispondenza delll’età pensionabile. Anche in questo caso viene aggiunto come ulteriore condizione per l’u-scita il raggiungimento di una soglia minima di pensione (2,8 volte l’assegno sociale). Questa flessibilità, a differenza di quanto previsto dalla legge n. 335 del 1995, è pre-clusa ai lavoratori che hanno cominciato a lavorare prima del 1996. La legge n. 214 del 2011 ha, infatti, inibito loro la possibilità di scegliere la flessibilità esercitando il diritto di opzione previsto dall’articolo 1, comma 23, della legge 8 agosto 1995, n. 335. La riforma del 2011 ha previsto che questa facoltà possa essere esercitata solo per modificare il sistema di calcolo della propria pensione, ma non ha più effetti sulle regole per il diritto. Un lavoratore che esercita l’opzione ex articolo 1, comma 23, della legge n. 335 del 1995 avrà una pensione calcolata con il sistema contributivo, ma i requisiti per l’ottenimento del diritto rimangono gli stessi richiesti ai lavoratori “misti”. È un aspetto che va attentamente valutato. In un futuro nem-meno troppo lontano si avranno coorti di lavoratori molto simili il cui diritto di accesso alla pensione differisce per ben tre anni. Basti pensare alla differenza che passa tra chi ha anche una sola settimana di contribuzione da lavoro prima del 1996 e chi è privo di contribuzione al 31 dicembre 1995.

Le penalizzazioni sulla pensione anticipata

La legge n. 214 del 2011 ha anche previsto delle riduzioni percentuali le cosiddette “penalizzazioni” dell’importo delle pensioni per quei lavoratori che raggiunto il requisito contributivo previsto nei diversi anni per il conseguimento della pensione anticipata decidano di andare in pensione prima di aver compiuto 62 anni di età. In particolare, la quota retributiva della pensione subisce una riduzione pari a un punto percentuale per ogni anno di anticipazione nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni. Tale percentuale è elevata a 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto ai due anni.

Il nuovo requisito di anzianità contributiva previsto (41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini nel triennio 2016-2018) non impedisce l’acces-so al trattamento pensionistico ad un’età inferiore a 62 anni, ma assume valore di parametro per l’eventuale applicazione di una penalizzazione, volta a disincentivare le richieste di pensionamento anticipato, a prescindere dal periodo in cui si colloca la contribuzione.

Per la prima volta il legislatore prevede di rendere anche il calcolo retributivo funzione dell’età del lavoratore alla decorrenza della pensione, ma soprattutto conferma la scelta di considerare il pensionamento anticipato come lo strumento idoneo a garantire la flessibilità in uscita.

I lavoratori considerano con attenzione le possibilità che l’ordinamento offre di poter ottenere la pensione prima del raggiungimento dell’età pensionabile, ma con la stessa attenzione valutano e sono disincentivati dalla prospettiva di una ridu-zione, talvolta anche forte e permanente, della propria pensione. L’età media dei lavoratori che hanno fruito della pensione anticipata si abbassa sensibilmente tra

il 2014, anno in cui erano in vigore le penalizzazioni, e il 2015 primo anno in cui la legge ha previsto una sospensione dell’applicazione delle penalizzazioni stesse (per gli uomini si passa da 63,3 a 62,2). La successiva analisi sui comportamenti tenuti dalle lavoratrici nell’utilizzo della cosiddetta “opzione donna” rafforza queste affer-mazioni, potendosi, peraltro, basare su dati anche più consolidati.

Nel documento XV RAPPORTO ANNUALE Luglio 2016 (pagine 108-111)