2. Voce di danno A (Illegittimi conferimenti di incarichi dirigenziali)
2.13. Nella gerarchia delle fonti, una norma di rango regolamentare che sia in contrasto con una norma sovraordinata (di fonte costituzionale o legislativa, poco importa) è
2.13.3. Al riguardo della querelle relativa al requisito della formazione universitaria, il Collegio osserva quanto segue
Per la c.d. dirigenza esterna, prevista dall'art. 19, comma 6, del D.Lgs. 165/2001 - come anche per gli incarichi esterni non necessariamente dirigenziali, consentiti ora solo per
"esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria" (v. art. 7, comma 6, del D.lgs. n. 165/2001, come modif. dall'art. 3, comma 76, L. n. 244/2007 e successivamente dall'art.46, comma 1, del D.L. n.112/2008, conv. in L. n.133/2008) - si pone a presupposto del conferimento il possesso in capo ai designati di una ”particolare e comprovata qualificazione professionale” unitamente allo svolgimento di “attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali” o al conseguimento di “una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla
formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla
dirigenza…”.
Pertanto, almeno secondo la disciplina vigente all'epoca dei fatti per cui è causa, la formazione universitaria e postuniversitaria costituiva un requisito per il legittimo
affidamento dell'incarico, alternativo alla maturazione di concrete esperienze di lavoro, necessario ad attestare il possesso di una “particolare specializzazione professionale”, secondo il disposto del comma 6 dell'art.19 sopra citato. Invero, una corretta
interpretazione di tale disposto porta inevitabilmente a ritenere, secondo logica e buon senso, prima ancora che diritto, che l'ente conferente l'incarico è tenuto a valutare caso per caso, in relazione alla tipologia di incarico da affidare, il tipo di formazione adeguata da richiedere, ferma restando l'assoluta inderogabilità del requisito della particolarità della specializzazione professionale richiesta. Ciò significa, di conserva, che corre, ancora una volta, obbligo di evidenza pubblica nell'individuazione dei casi in cui la particolare natura e
specializzazione dell'incarico renda comunque imprescindibile il possesso della preparazione universitaria da parte del soggetto affidatario.
Per guardare all'aspetto che assume maggiore rilevanza in questa sede, va richiamata, innanzitutto, la circolare del Ministro della Funzione Pubblica del 27 dicembre 2000 (pubbl.
in G.U. n. 6 del 9 gennaio 2001), concernente la valenza ai fini dell'accesso al pubblico impiego dei titoli universitari previsti dal regolamento in materia di autonomia didattica degli atenei approvato con il decreto ministeriale n. 509/1999: in essa, come è (o, almeno, dovrebbe essere) noto (anche se ciò sembrerebbe essere smentito dagli atteggiamenti elusivi o contraddittori assunti da molte amministrazioni), si indica il diploma di laurea specialistica come requisito necessario per l'accesso dall'esterno alle qualifiche
dirigenziali. A sua volta, la legge 15 luglio 2002, n. 145, nel riscrivere l'art. 28 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sull'accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni statali, ha introdotto due previsioni che, anch'esse, confermano il medesimo orientamento in ordine al valore da attribuire ai diversi titoli di studio (vecchi e nuovi) rilasciati dalle università.
Infatti, il comma 2 dell'art. 28 (nella nuova formulazione) stabilisce che al concorso per esami per ottenere la qualifica dirigenziale possono essere ammessi i dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, «muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio svolti in posizioni funzionali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea»; vengono, inoltre, ammesse altre categorie di soggetti, i quali, in ogni caso, devono essere dotati di diploma di laurea (o di titolo di studio universitario
corrispondente). Nel comma 3, sempre dell'art. 28 (e sempre nella versione derivante dalla legge per il «riordino della dirigenza» del 2002), invece, si ammettono al corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale, da svolgersi presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, «soggetti muniti di laurea nonché di uno dei seguenti titoli: laurea
specialistica, diploma di specializzazione, dottorato di ricerca, o altro titolo
post-universitario rilasciato da istituti universitari italiani o stranieri, ovvero da primarie istituzioni formative pubbliche o private», secondo modalità di riconoscimento disciplinate tramite apposito decreto emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e la stessa Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione; al corso-concorso possono essere, altresì, ammessi dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni con requisiti analoghi a quelli previsti nel comma 2
(possesso di laurea ed attività lavorativa almeno quinquennale in posizioni per le quali si richiede il diploma di laurea), nonché dipendenti di strutture private aventi le medesime caratteristiche ed esperienze professionali.
In realtà, quindi, per dirimere ogni questione in materia, occorre far leva sulla piena valorizzazione della ratio, oltre che della lettera, dell'art. 28 del decreto legislativo sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, che ritiene imprescindibile, per chi voglia entrare nei ranghi della dirigenza pubblica dall'esterno, e non abbia alle spalle qualificate esperienze lavorative, il possesso di un titolo di studio ulteriore rispetto ai titoli di base rilasciati dalle università. Né vale, a questo preciso riguardo, addurre in contrario (pag.30 della memoria M.) l'omessa conversione, di per sé anodina, del D.L. n.280/2004 - il cui art.4, comma 1, avrebbe fornito l'interpretazione autentica dell'art.19, comma 6 del D.Lgs. 165/2001, specificando che gli incarichi
dirigenziali “possono essere conferiti anche a dirigenti e, limitatamente a quelli di seconda fascia, a funzionari dell'area funzionale C laureati appartenenti ai ruoli delle
amministrazioni pubbliche” - in quanto il riferimento a dirigenti e funzionari dell'area C (corrispondente alla D negli enti locali) laureati è ivi chiaramente riferito al personale appartenente ai ruoli delle pubbliche amministrazioni, e non agli esterni. Invero, tutto il personale dirigenziale e direttivo delle pubbliche amministrazioni deve essere laureato, per cui la norma non avrebbe introdotto nulla di nuovo al riguardo. Ma, a ben vedere, anche la
Delibera della Sezione Centrale di Controllo di questa Corte, n.13 del 21 dicembre 2004, non assume il significato voluto dalle difese, in quanto il personale dell'area C dei Ministeri deve essere fornito di laurea; in particolare, la questione deferita nell'occasione a detta Sezione concerneva in ciò: se il comma 6 dell'art.19 fosse applicabile anche ai funzionari già in servizio presso la stessa Amministrazione conferente e se dovesse essere rispettato il limite minimo di anzianità previsto dall'art.28 del D.lgs. 165 del 2001, non essendo in discussione il requisito della laurea, che i due funzionari nominandi, com'era necessario, avevano.
Per tutte queste ragioni, pertanto, le amministrazioni pubbliche, a cominciare dagli enti dotati di autonomia istituzionale, debbono rifuggere da comportamenti elusivi, così come dalla tentazione di reclamare il diritto all'adozione di scelte derogatorie, in nome della
«specialità» o della natura peculiare della loro autonomia, sicchè tutte le amministrazioni pubbliche sono chiamate a realizzare un giusto equilibrio fra due esigenze, entrambe riconducibili all'obiettivo di garantire, nell'accesso agli impieghi pubblici, così come nel conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, la «scelta dei migliori», di modo che, il curriculum lavorativo attesti il possesso di una specializzazione professionale così alta da equivalere alla formazione universitaria e postuniversitaria. Pertanto, ponendo attenzione al suddetto criterio di equivalenza, nel verificare i requisiti per l'accesso degli esterni alla dirigenza pubblica, l'ente è chiamato ad appurare ed esternare con sufficiente grado di motivazione il patrimonio di conoscenze ed abilità attestato dal curriculum
lavorativo, in mancanza del possesso del titolo universitario.
Fa eco a tali assunti la stessa giurisprudenza amministrativa, secondo cui l'ambito applicativo dell'art. 28 D.lgs. n.165 del 2001 riguarda le sole assunzioni di dirigenti da parte delle amministrazioni statali e degli enti pubblici non economici, mentre per gli enti
locali è rimesso alla relativa potestà regolamentare degli enti locali l'individuazione delle modalità di selezione del personale e la relativa disciplina, con l'unica condizione di
rispettare i principi ora contenuti nell'art. 35 d.lg. n. 165 del 2001, secondo cui l'assunzione deve avvenire mediante procedure selettive volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano adeguatamente l'accesso dall'esterno, e siano conformi ai principi di trasparenza, imparzialità, economicità ed efficacia meglio specificati al comma 3 dello stesso art. 35 (T.A.R. Liguria-Genova, sez. II, 30 agosto 2006, n. 938).
Più in generale ed in ogni caso, il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all'amministrazione, ai sensi dell'art 19 del D.lgs. n.165 del 2001, deve avvenire in base a qualifiche professionali attestate dall'attività lavorativa svolta, da studi universitari compiuti, da pubblicazioni scientifiche e da altre specializzazioni post-universitarie, di livello pari all'esperienza lavorativa e al titolo di studio richiesti per l'accesso alla qualifica di dirigente dall'art. 28 del D.lgs. n.165 del 2001 (Corte Conti , sez. contr., 20 agosto 2001). E non v'è chi non veda, a tal proposito, come assuma, in tali casi, un particolare rilievo l'effettuazione di un'istruttoria volta a dimostrare anzitutto l'inesistenza di idonee professionalità
nell'ambito dell'organico dei dirigenti dell'amministrazione. Palesemente priva di pregio è, a questo riguardo, l'eccezione difensiva che fa leva sul secondo comma dell'art.110 del TUEL - laddove esso limita agli enti nei quali non è prevista la dirigenza la possibilità di stipulare “al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente, contratti a tempo determinato di dirigenti” - in quanto è agevole osservare che, in tal caso, si tratta del diverso concetto di professionalità
analoghe a quelle oggetto di conferimento, che si spiega in ragione del fatto che, date le dimensioni dell'Ente, non sia prevista per esso la dirigenza.
Per tutto quanto sopra, prive di pregio si appalesano le contrarie deduzioni difensive formulate sul punto dai convenuti, poiché, a tutto concedere, la materia dei requisiti non rientra nella potestà regolamentare dell'Ente locale, espressamente circoscritta, ai sensi del secondo comma dell'art.110 del TUEL, ai “limiti, criteri e modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire”.
2.13.4. Anche sull'equivoco della “fiduciarietà” è necessario ancor meglio puntualizzare