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a. L’individuazione dell’interesse oggetto di tutela

Attraverso la responsabilità precontrattuale possono essere astrattamente tutelati tre diversi interessi. L’interesse di una parte a che controparte non si arricchisca a sue spese, l’interesse a non cominciare trattative inutili e l’interesse a che il contratto venga concluso e trovi regolarmente esecuzione.

Il danno di cui si chiede il risarcimento in caso di fallimento di una trattativa deve essere commisurato a uno di questi interessi. La misura del danno è diversa a seconda che esso sia commisurato all’uno all’altro di essi.

L’azione di arricchimento senza causa peraltro può essere utilizzata anche in casi in cui a fronte dell’arricchimento della controparte non stia un danno effettivo della parte che agisce in giudizio. Di questo caso particolare dirò alla fine a questo capitolo.

b. Nozioni fondamentali sugli interessi tutelabili (positivo, negativo, restitutorio)

La responsabilità precontrattuale in genere, e la responsabilità da fallimento della trattativa in particolare, sono normalmente associate alla tutela dell’interesse negativo delle parti coinvolte. L’interesse negativo viene tutelato mettendo la parte interessata nella stessa posizione o in posizione equivalente a quella in cui essa si sarebbe trovata se non avesse cominciato la trattativa. In alternativa, la legge potrebbe anche accordare tutela all’interesse positivo di questa parte. Per interesse positivo si intende l’interesse che la parte ha alla conclusione e regolare esecuzione del contratto. Questo interesse viene allora tutelato mettendo la parte interessata nella stessa posizione o in posizione equivalente a quella in cui

essa si sarebbe trovata se il contratto fosse stato concluso e avesse avuto regolare esecuzione95.

L’interesse negativo e l’interesse positivo costituiscono due diversi criteri per misurare il danno risarcibile. Il danno individuato secondo questi criteri viene inoltre in alcuni ordinamenti, tra cui il nostro, suddiviso in due voci distinte: il danno emergente ed il lucro cessante96.

Se il danno viene commisurato all’interesse negativo, il danno emergente consiste nelle spese inutilmente sostenute durante la trattativa o confidando nella futura conclusione del contratto ed il lucro cessante consiste nelle occasioni alternative perdute a causa della trattativa non andata a buon fine. Se il danno viene invece commisurato all’interesse positivo, il danno emergente consiste principalmente nel valore di mercato della prestazione che non è stata conseguita a causa del fallimento della trattativa ed il lucro cessante consiste nei profitti ulteriori che si sarebbero realizzati inserendo la prestazione non conseguita nella propria organizzazione. Nell’ambito della tutela dell’interesse positivo il danno emergente può anche consistere in perdite patrimoniali ulteriori causate dalla mancata esecuzione del contratto97.

95 Sulle nozioni di interesse positivo ed interesse negativo in generale si veda L.L. Fuller e W.R. Perdue, The

Reliance Interest in Contract Damages, in The Yale Law Journal, 1936-1937, 52-96 (parte I) e 373-420 (parte II) e P. Trimarchi, Interesse positivo e interesse negativo nella risoluzione del contratto per inadempimento, in

Riv. dir. civ., I, 637-648. Per una panoramica dei principali ordinamenti si veda anche G.H. Treitel, Remedies for

breach of contract, Oxford, 1988, 82 ss. Con specifico riferimento alla responsabilità precontrattuale si veda E.A. Farnsworth, Precontractual liability and preliminary agreements: fair dealing and failed negotiations, in

Columbia Law Review, 1987, 217-294.

96 Cfr. G.H. Treitel, Remedies for breach of contract, cit., 84 s. il quale osserva che il lucro cessante (chiamato

anche danno negativo) può anche comparire nell’ambito dell’interesse negativo. Non si confonda quindi il “danno negativo” con lo “interesse negativo”. Il primo è semplicemente un altro nome per indicare il lucro cessante, quindi è un tipo di danno. Il secondo indica invece un interesse cui il danno da risarcire deve essere commisurato.

97 Sul danno emergente ed il lucro cessante commisurato all’interesse positivo si veda C.M. Bianca,

Si prenda ad esempio il caso in cui il Compratore sia in trattativa con il Venditore per l’acquisto di un immobile di proprietà del Venditore. L’immobile avrebbe per il Compratore un valore di €1 milione. Durante la trattativa il Compratore spende €10.000 per compiere certe indagini sul fondo. Egli inoltre trascura un affare alternativo che gli avrebbe fatto guadagnare €20.000. Il Venditore si dichiara pronto a vendere l’immobile per €500.000 a condizione che il Compratore sostenga tutte le spese necessarie alla stipula del contratto (quantificabili in €10.000). In seguito la trattativa fallisce.

Ora, supponiamo che il fallimento della trattativa sia dovuto a causa di cui il Venditore debba rispondere e che la responsabilità si estenda a tutte le spese sostenute dal Compratore sin dall’inizio della trattativa (ad esempio il Venditore aveva già segretamente deciso di vendere a Sempronio, ma ha iniziato una nuova trattativa con il Compratore per indurre Sempronio ad offrire un prezzo più alto).

In questo caso, se la legge tutela l’interesse positivo del Compratore (cioè l’interesse alla conclusione ed esecuzione del contratto), il Venditore dovrà risarcire al Compratore €490.000. A questa somma si arriva detraendo dal valore che la prestazione avrebbe avuto per il Compratore (€1 milione) il costo della controprestazione (€500.000 = il prezzo) e le spese che il Compratore ha risparmiato a causa del fallimento della trattativa (€10.000).

Si può osservare che le spese sostenute dal Compratore confidando sulla conclusione del contratto non gli vengono risarcite. Queste somme infatti sarebbero comunque rimaste definitivamente a suo carico se il contratto fosse stato concluso e regolarmente eseguito. Se il Compratore ne ottenesse il risarcimento insieme con il risarcimento del guadagno che avrebbe realizzato dall’affare, egli verrebbe messo in una posizione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se la trattativa non fosse fallita e il contratto fosse stato regolarmente eseguito. Per la stessa ragione il Compratore non può chiedere il risarcimento di €20.000, quanto avrebbe guadagnato dall’affare alternativo.

Le spese risparmiate dal Compratore a causa del fallimento della trattativa (€10.000) vengono invece detratte dalla base di calcolo del danno risarcibile. Se la trattativa non fosse fallita infatti queste spese sarebbero state sostenute dal Compratore e sarebbero rimaste definitivamente a suo carico. Si vede bene quindi che il criterio guida per calcolare il danno risarcibile a titolo di interesse positivo è quello di mettere la parte danneggiata nella stessa posizione in cui essa si sarebbe trovata se il contratto fosse stato concluso e regolarmente eseguito98.

Se invece la legge tutela l’interesse negativo del Compratore e quindi mira a rimetterlo nella stessa posizione in cui egli si sarebbe trovato se non avesse iniziato la trattativa, allora il danno di cui il Compratore può chiedere il risarcimento è di €30.000. A questa somma si arriva sommando le spese sostenute da Tizio durante la trattativa (€10.000) e il guadagno che egli avrebbe conseguito perseguendo l’occasione alternativa, che ha invece trascurato a favore della trattativa con il Venditore (€20.000).

In una situazione di mercato trasparente e concorrenziale l’interesse negativo e l’interesse positivo tendono a coincidere. Questo si spiega per il fatto che, in un mercato concorrenziale e trasparente, ciascuna parte ha sempre davanti a sé molteplici occasioni alternative, tutte equivalenti tra loro. Per questa ragione ciascuna delle occasioni perdute è equivalente per valore a quella effettivamente scelta. Siccome il danno commisurato all’interesse negativo comprende anche il guadagno che si sarebbe ottenuto concludendo affari alternativi, si comprende che interesse positivo ed interesse negativo coincidano. Infatti il guadagno che la

98 Sul calcolo del danno commisurato all’interesse positivo v. E.A. Farnsworth, Contracts, 3 ed., New York,

parte delusa avrebbe realizzato da una qualunque delle occasioni alternative è per definizione uguale a quello che avrebbe realizzato se la trattativa in questione non fosse fallita99.

Tuttavia molti mercati non sono caratterizzati da un grado di trasparenza e liquidità tale da consentire a ciascuna parte di avere in ogni momento davanti a sé molteplici occasioni, tutte equivalenti tra loro. Peraltro si può osservare che l’esistenza stessa di una trattativa comporta che il mercato in questione non è trasparente, nel senso che ciascuna parte deve investire tempo e denaro per scoprire se effettivamente la transazione che la controparte le propone è conveniente. Per queste ragioni nella normalità dei casi sottoposti all’esame dei giudici interesse negativo ed interesse positivo portano al risarcimento di somme diverse.

Al di fuori dei casi in cui i due interessi coincidono, l’interesse positivo è normalmente superiore all’interesse negativo. Questo si spiega per il fatto che ciascuna parte normalmente porta avanti le trattative più promettenti sotto il profilo del vantaggio economico e trascura invece le trattative meno promettenti. Tuttavia può anche capitare che in casi eccezionali un errore di valutazione faccia sì che una parte coltivi una trattativa che si riveli in seguito meno conveniente di un’altra che era stata invece trascurata100.

c. La ripetizione dell’indebito

Si è detto che sino a quando la trattativa non abbia condotto alla certezza pratica della conclusione del contratto la parte che ha sostenuto un costo di qualche tipo confidando in

99 Per questa osservazione si veda già L.L. Fuller e W.R. Perdue, The reliance interest in contract damages, cit.,

62. Nella letteratura italiana v. P. Trimarchi, Interesse positivo e interesse negativo nella risoluzione del

contratto, cit., 639.

100 In questo caso si pone il problema, che verrà esaminato in seguito, se la parte che ha subito il fallimento della

trattativa possa ottenere il risarcimento di tutto il guadagno che essa avrebbe realizzato attraverso l’affare alternativo, ovvero se il danno risarcibile deve essere limitato a quanto questa parte avrebbe guadagnato dalla conclusione del contratto oggetto della trattativa fallita.

detta conclusione subisce il rischio del fallimento della trattativa. In altre parole, essa non riesce ad ottenere il risarcimento del costo sostenuto, se non provando il dolo o la colpa della controparte, i quali nella normalità dei casi non sussistono.

Tuttavia, la giurisprudenza ammette, nel contesto della responsabilità della pubblica amministrazione in occasione del fallimento di una trattativa con un privato, la responsabilità della pubblica amministrazione limitatamente alla misura del suo arricchimento ed indipendentemente dallo stadio in cui si trovava la trattativa al momento del suo fallimento101.

A questo fine, la giurisprudenza richiede che la pubblica amministrazione abbia riconosciuto l’utilità della prestazione ricevuta. Il requisito del riconoscimento inoltre può risultare anche da fatti concludenti, quali l’avere invitato, accettato, o tollerato la prestazione della controparte102. Per questa ragione esso non sembra determinare una riduzione significativa dell’ambito di operatività di questo rimedio rispetto al suo ambito usuale nei rapporti tra privati103.

Sebbene il rimedio dell’arricchimento senza causa non venga normalmente associato nella letteratura italiana alla responsabilità per fallimento di una trattativa tra privati104, si deve invece ritenere che esso possa svolgere un qualche ruolo anche in questi contesti105.

101 Cfr. Cass. 18 febbraio 1999, n. 1372, in Giur. it., 2000, 504. In dottrina si veda L. Viola, L’arricchimento

senza causa della pubblica amministrazione, Padova, 2002 e R. Tomei, L’ingiustificato arricchimento nei

confronti della pubblica amministrazione, Torino, 2000.

102

Cfr. Cass. 18 febbraio 1999, n. 1372, cit. sopra; Cass. 17 luglio 1997, n. 6570, in Foro it., 1997, I, 2825; Cass. 10 febbraio 1996, n. 1025, in Foro it., 1996, I, 1244.

103 Dove, come si dirà meglio in seguito, il riconoscimento dell’utilità della prestazione non è necessario,

essendo sufficiente in alcuni casi che ci sia stato un consenso alla spesa ovvero in altri casi che la parte arricchita sia stata a conoscenza della spesa e non vi si sia opposta.

104 Non così invece nella letteratura nordamericana dove, probabilmente a causa dell’influenza di Fuller, il

rimedio dell’arricchimento senza causa viene trattato anche nell’ambito della responsabilità precontrattuale. Vedi E.A. Farnsworth, Precontractual liability and preliminary agreements: fair dealing and failed negotiations, cit.,

Si deve ritenere infatti che la parte che ha effettuato un investimento nella fase iniziale della trattativa, quando ancora mancava la certezza pratica della futura conclusione del contratto, possa, in presenza di certi presupposti, chiedere la restituzione del valore del suo investimento nella misura in cui esso abbia arricchito la controparte.

Si vede bene come in questo modo la parte che effettua l’investimento continua a sostenere il rischio che l’investimento effettuato non abbia alcuna utilità in conseguenza del fallimento della trattativa, non operando in questa fase la responsabilità oggettiva per il danno da affidamento. Tuttavia, per effetto della responsabilità di controparte nella misura in cui questo investimento sia andato a suo beneficio, il rischio del fallimento della trattativa si riduce a quella parte dell’investimento che sia divenuto assolutamente inutile per entrambe la parti. Abbiamo così una terza forma di responsabilità precontrattuale. Questa responsabilità è di tipo oggettivo, dal momento che non è necessaria la prova della colpa o del dolo della controparte, ed opera potenzialmente sin dal primo instaurarsi della trattativa. Il suo ambito di applicazione particolarmente esteso è tuttavia convenientemente bilanciato dal fatto che la misura del risarcimento è strettamente limitata all’arricchimento del responsabile106.

olandese. Vedi J.M. van Dunné, Netherlands, in Precontractual liability, a cura di E.H. Hondius, Kluwer, 1991, 227 s.

105 Probabilmente la ragione per cui il rimedio dell’arricchimento in caso di fallimento di una trattativa ha fatto la

sua comparsa in giurisprudenza esclusivamente quando convenuta era la p.a. e non invece quando convenuto era un privato risiede nel fatto che storicamente la p.a ha goduto di un privilegio nei confronti della responsabilità civile in genere. Non potendo ottenere il risarcimento della spesa sostenuta a titolo di responsabilità precontrattuale, la parte convenuta chiedeva la ripetizione dell’indebito. Nella misura in cui il privilegio della p.a. è venuto meno, dovrebbe anche ridursi l’importanza pratica del rimedio dell’arricchimento.

106 Il codice utilizza il termine indennizzo, quando parla di responsabilità da arricchimento, proprio per segnalare

che essa opera indipendentemente da una colpevolezza. Vedi oltre all’art. 2041 comma 1 c.c. anche l’art. 1592 c.c. Tuttavia in questa tesi si è scelto di estendere il termine risarcimento anche ai casi di responsabilità oggettiva. In questo modo si vuole mettere bene in evidenza, da una parte, come tra la responsabilità per l’arricchimento e la responsabilità oggettiva per l’affidamento nella futura conclusione del contratto esista un

Ad un primo esame potrebbe osservarsi che una simile responsabilità non dovrebbe avere l’effetto di scoraggiare l’instaurazione di una trattativa. La parte responsabile infatti non rischia di vedere diminuito il proprio patrimonio in caso di fallimento della trattativa, dal momento che al più essa sarà costretta a restituire l’equivalente di quanto essa si sia ingiustificatamente arricchita in occasione della trattativa107. Tuttavia ad un esame più approfondito ci si avvede che il rimedio dell’arricchimento, pur non determinando una modificazione quantitativa del patrimonio dell’arricchito (la sua misura rimane invariata) determina invece una modificazione qualitativa dello stesso108. Per effetto della restituzione il

responsabile si trova ad avere un patrimonio di valore uguale a quello che avrebbe avuto se non si fosse verificato l’evento causa dell’arricchimento, ma di composizione diversa. In questo senso quindi la parte “arricchita” potrebbe vedersi imporre uno scambio che essa non avrebbe volontariamente accettato e, entro questi limiti, potrebbe subire un danno.

In considerazione di questo fenomeno la legge normalmente impedisce ad un soggetto di imporre ad un estraneo il conseguimento di un arricchimento contro il pagamento di un corrispettivo. E quindi chi realizza una certa opera che attribuisce una qualche utilità anche ai propri vicini non può pretendere che essi gli corrispondano il valore del loro arricchimento109. La legge impedisce l’imposizione di uno scambio tra arricchimento ed indennizzo anche in quei contesti in cui esiste tra l’arricchito e l’impoverito un rapporto assimilabile (per possibilità di una specifica negoziazione) a quello esistente tra le parti di una trattativa. L’art. responsabilità precontrattuale da illecito interferisca con l’uno e con l’altro sovrapponendosi ora al primo e ora al secondo.

107 Cfr. Farnsworth, Precontractual liability and preliminary agreements, cit., passim. 108

Cfr U. Breccia, L’arricchimento senza causa, in Trattato Rescigno, IX, 2 ed., Torino, 1999, 997 e P. Trimarchi, L’arricchimento senza causa, Milano, 1962, 8 ss.

109 Il che equivarrebbe ad attribuire ad un soggetto il potere di imporre uno scambio (e quindi un contratto) ad un

terzo indipendentemente dalla volontà di questo. Sulla tutela dei soggetti contro imposizioni unilaterali di scambi si veda V. Roppo, Il contratto, cit., 24 s., il quale riconduce questa tutela al principio dell’accordo.

1592, comma 1, c.c. ad esempio dispone che il conduttore non ha diritto ad una indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata, salvo che il locatore non abbia prestato il proprio consenso110. L’effetto di questa disposizione è che, se il conduttore vuole avere l’indennizzo delle spese sostenute nella misura in cui esse siano andate a beneficio di controparte, egli ha l’onere di ottenerne il previo consenso.

La norma di cui all’art. 1592, comma 1, c.c. potrebbe trovare applicazione anche nel contesto di una trattativa. Si prenda l’esempio in cui Tizio e Caio sono impegnati in una trattativa per la vendita dell’immobile di proprietà di Tizio e temporaneamente detenuto da Caio in qualità di locatore111. Caio effettua alcune spese per migliorare l’immobile confidando nella futura

conclusione del contratto di vendita, nonostante la trattativa non avesse ancora condotto alla certezza pratica della futura conclusione del contratto (soglia in corrispondenza della quale comincia ad operare la responsabilità oggettiva per l’intero danno da affidamento). Tizio, nel caso in cui la trattativa fallisca, non sarà tenuto a pagare a Caio un’indennità per le spese sostenute commisurata al suo arricchimento, se non nell’eventualità in cui egli avesse dato il proprio consenso a che quelle spese venissero effettuate112.

110 Cfr. P. Trimarchi, L’arricchimento senza causa, cit., 13 s.

111 Questo è un tipico caso in cui, se la trattativa avesse raggiunto lo stadio della certezza pratica della

conclusione (ad esempio, accordo raggiunto oralmente su tutti gli elementi essenziali), la giurisprudenza affermerebbe la responsabilità oggettiva del recedente per tutto il danno subito da controparte per aver confidato nella conclusione del contratto e quindi oltre i limiti del suo arricchimento.

112 È significativo ai nostri fini che la giurisprudenza costante richieda che il consenso del locatore sia esplicito,

non rilevando un consenso implicito desumile, ad esempio, dall’avere conosciuto e tollerato la spesa. Cfr. Cass., 26 novembre 1997, n. 11874 in Arch. locazioni, 1998, 716 secondo la quale “questo consenso, importando cognizione dell’entità anche economica e della convenienza delle opere da eseguirsi, non può essere implicito né può arguirsi da pretesi atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una manifestazione esplicita ed inequivoca di volontà”. Sulla stessa linea Cass., 24 giugno 1997, n. 5637 in Arch. locazioni, 1997, 811. Ci si potrebbe chiedere se la giurisprudenza seguirebbe la stessa linea qualora la spesa sia stata effettuata dal conduttore durante una trattativa confidando anzitempo di diventare proprietario ed essendone il locatore a conoscenza. La conferma di questo orientamento generale anche nel caso di una trattativa potrebbe comportare che il locatore che non abbia consentito espressamente alla spesa avrebbe in seguito la possibilità di chiedere un prezzo maggiore

Potenzialmente rilevante nel contesto delle trattative è anche l’art. 936 c.c. da cui si deduce che il terzo che abbia fatto delle opere su di un fondo a conoscenza e senza opposizione del proprietario ha diritto ad ottenere il risarcimento delle spese sostenute e della sua mano d’opera113. L’applicazione di questa disposizione al contesto della trattativa comporta che il terzo in trattativa con il proprietario per l’acquisto di un bene immobile che abbia effettuato un certo investimento diretto a valorizzare il bene confidando anzitempo sulla conclusione del contratto ha diritto al risarcimento delle spese sostenute nei limiti dell’arricchimento di controparte qualora in seguito la trattativa dovesse fallire.

Si prenda questo esempio. Tizio ha interesse a far costruire su di un immobile di sua proprietà un certo stabile. A questo fine entra in trattativa con Sempronio, un imprenditore edile. Tizio non è ancora sicuro di affidare l’appalto a Sempronio, il quale non sembra avere una organizzazione all’altezza del compito. Quando la trattativa è ancora in corso Sempronio