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Il ruolo della colpa del privato sul piano del calcolo del danno risarcibile

La responsabilità della p.a. per annullamento legittimo della gara non opera per quelle spese e quelle perdite che il vincitore avrebbe potuto evitare utilizzando l’ordinaria diligenza. Su questa base non sono risarcibili le spese effettuate per dare inizio all’esecuzione dell’appalto quando le circostanze erano tali da non rendere ragionevole l’inizio dell’esecuzione prima della definitiva conclusione del contratto. Analogamente non sono risarcibili le spese che siano eccessive rispetto al valore dell’appalto ovvero all’interesse che la p.a. aveva alla sua esecuzione (art. 1227 c.c.).

Non mi sembra condivisibile invece la tesi secondo la quale sarebbe sempre irragionevole, e quindi colpevole, dare inizio all’esecuzione dell’appalto prima della conclusione definitiva del contratto e su questa base negare il risarcimento222. Secondo questa tesi, durante una trattativa la parte che ha interesse a sostenere un investimento significativo prima della conclusione del contratto avrebbe l’onere di stipulare un accordo apposito con il quale stabilire a priori chi dovrà sostenere il costo di questo investimento nel caso in cui la trattativa non dovesse andare a buon fine.

222

Tesi sostenuta in diritto comune da D. Medicus, Schuldrecht: Allgemeiner Teil, 12ed., Monaco, 2005, 61, il quale sostiene che l’affidamento della parte che investe prima della conclusione del contratto non è degno di tutela e quindi afferma che la responsabilità precontrattuale richiede sempre la colpevolezza della parte che recede. Una tesi analoga è sostenuta da S. Shavell, Foundations of economic analysis of law, Cambridge, Mass., 2004, 328, nota 4.

A mio avviso questa considerazione non può avere valore generale. Ci sono sicuramente dei casi in cui la parte che deve fare affidamento sulla conclusione del contratto non può tutelarsi da sé attraverso un’intesa di questo tipo, ma deve appunto confidare nel fatto che qualora le circostanze dovessero cambiare per causa imputabile alla controparte, questa la terrà indenne delle spese ragionevolmente sostenute confidando nella futura conclusione del contratto. Tra questi casi mi sembra esserci anche quello in esame in cui una delle due parti è la p.a. Le procedure strumentali alla conclusione di un appalto pubblico sono infatti sufficientemente rigide da non consentire, o da rendere estremamente difficoltoso, la conclusione in tempi utili di intese precontrattuali di questo tipo.

La colpa del privato è invece rilevante, e produce l’effetto di escludere la responsabilità della p.a., in numerosi altri casi. È fuori discussione, ad esempio, che non possa chiedere il risarcimento del danno il concorrente che abbia determinato l’irregolarità della procedura, o che anche solo abbia conosciuto o avrebbe dovuto conoscere la causa della irregolarità223. Analogamente non può chiedere il risarcimento del danno il concorrente che abbia fornito alla p.a. una giusta causa per rifiutare di concludere il contratto nonostante la aggiudicazione provvisoria. Si prenda il caso in cui la p.a. si accorga in seguito alla aggiudicazione provvisoria che il privato non aveva certe qualità che egli aveva invece dichiarato di avere.

223 Per un caso di questo tipo cfr. Cons. di Stato, sez. VI, 1 marzo 2005, in Urb. e app., 2005, 944, con nota di

G.M. Racca. In questa decisione la responsabilità della p.a. viene esclusa sulla sola base della legittimità del provvedimento. Tuttavia il Cons. di Stato in un obiter dictum dice anche che il privato avrebbe dovuto conoscere la causa della irregolarità della procedura di aggiudicazione ed era quindi in colpa. Cfr. anche il caso all’esame di Cons. di Stato, n. 6389/2002, cit. R. Caranta, Attività contrattuale della pubblica amministrazione, buona fede

e tutela dell’affidamento, in Urb. e app., 2003, 574, critica questa sentenza, a mio avviso con ragione, mettendo bene in evidenza come il Cons. di Stato avrebbe potuto negare il risarcimento del danno sulla base del concorso di colpa del privato, il quale conosceva o avrebbe dovuto conoscere il fatto della irregolarità della gara, senza che fosse necessario negare la configurabilità stessa di una responsabilità precontrattuale della p.a. in caso di provvedimento legittimo. Aderisce a questa critica F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2004, 415.

Qui è evidente che il rischio del fallimento della procedura di aggiudicazione dell’appalto pubblico debba rimanere sul privato disonesto o negligente. Anzi in simili casi si potrà porre il problema del diritto della p.a. a chiedere il risarcimento delle spese necessarie per ripetere la gara e del danno rappresentato dal ritardo nell’esecuzione dell’opera.

Capitolo III

La responsabilità per la violazione di un obbligo di informazione

1. Introduzione

In questo capitolo mi occupo del risarcimento del danno per la violazione di un obbligo precontrattuale di informazione. Preliminarmente mi sembra opportuno definire l’ambito di applicazione di questi tipi di obblighi e mettere in luce il ruolo svolto in questo ambito dal requisito della colpevolezza.

Questa analisi preliminare, condotta con il grado di approfondimento consentito in un lavoro dedicato specificamente al problema del quantum del danno, è necessaria, in parte, per valutare l’ampiezza e la portata pratica del problema ed, in parte, per individuare alcuni presupposti della responsabilità precontrattuale di cui si discute, utili al fine della individuazione dell’interesse (positivo o negativo) cui commisurare il danno risarcibile e quindi al fine della sua quantificazione. Avremo così una cornice all’interno della quale svolgere l’analisi relativa al risarcimento del danno224.

224 Sugli obblighi precontrattuali di informazione si vadano le monografie di G. Visintini, La reticenza nella

formazione dei contratti, Padova, 1972; G. Grisi, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990; A.M. Musy, Il dovere di informazione, Trento, 1999. Si veda anche, oltre alle opere citate nelle note seguenti, A.M. Musy, Informazioni e responsabilità precontrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 559; F.D. Busnelli, Itinerari

europei nella «terra di nessuno tra contratto e fatto illecito»: la responsabilità da informazioni inesatte, in

2. La fattispecie

L’ordinamento italiano disciplina il complesso degli obblighi di informazione nell’ambito di diversi istituti. I più importanti tra questi sono, per la parte generale del contratto, l’errore, il dolo e la responsabilità precontrattuale225. Vi sono poi altre disposizioni, disseminate nel codice e nelle leggi ad esso collegate, le quali si applicano di volta in volta alla generalità dei contratti ovvero a singoli contratti speciali. Basti qui citare a titolo esemplificativo le disposizioni sulle dichiarazioni inesatte e le reticenze nel contratto di assicurazione (artt. 1892 e 1893 c.c.)226.

Limitando l’analisi al gruppo di disposizioni individuato dalle discipline dell’errore, del dolo e della responsabilità precontrattuale, si può osservare preliminarmente che il legislatore italiano distingue a seconda che l’errore in cui si sia trovata una parte al momento della conclusione del contratto sia stato spontaneo ovvero indotto da controparte o da un terzo. A mio avviso questa distinzione, non sempre messa in luce dalla dottrina italiana227, è invece fondamentale per comprendere la funzione degli istituti di cui si discute e per intravederne le possibili evoluzioni.

225 Cfr. V. Roppo, L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano, e prospettive di diritto europeo, in

Riv. dir. priv., 2004, 6 s., il quale menziona gli artt. 1337 (obbligo di buona fede durante le trattativa), 1338 (conoscenza di una causa di invalidità), 1428 (errore), 1439, comma 1 (dolo di controparte), e 1440 (dolo incidente) c.c.

226 Cfr. V. Roppo, L’informazione precontrattuale, cit., 7. Vedi anche, più recentemente, la l. 6 maggio 2004, n.

129 sull'affiliazione commerciale (franchising), in particolare gli artt. 4 e 6, i quali prevedono obblighi di informazione sia in capo all'affiliante che in capo all'affiliato. Su questi obblighi v., in generale, L. Guerrini,

Sulla violazione degli obblighi di informazione in materia di affiliazione commerciale, in Contratto e impr., 2005, 1263, e le osservazioni critiche di V. Roppo, L’informazione precontrattuale, cit., 19 ss.

227 V. però V. Roppo, Il contratto, cit., 812 e R. Sacco, Raggiro, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVI, Torino, 1997,

a. La disciplina dell’errore-vizio del consenso

Quando l’errore è spontaneo si applica la disciplina dell’errore-vizio. Quando invece esso è indotto da controparte (lasciando da parte eventuali terzi) si applica la disciplina del dolo- vizio o del raggiro228. In un caso e nell’altro si può applicare eventualmente (in presenza dei presupposti previsti dalla legge) anche la disciplina della responsabilità precontrattuale229. Il dolo infatti non è altro che una induzione intenzionale (e quindi appunto dolosa) in errore230. Si può dire anzi che tutta la disciplina degli obblighi di informazione ruota intorno al concetto di errore, inteso non come istituto giuridico (l’errore-vizio del consenso), ma come situazione di fatto in cui si sia trovata una parte al momento della conclusione del contratto: situazione caratterizzata da una falsa rappresentazione della realtà231. La disciplina degli

obblighi di informazione serve dunque a stabilire in quali casi la parte caduta spontaneamente od indotta da controparte in errore abbia a disposizione un qualche rimedio, quale, ad esempio e per quanto qui ci interessa, il rimedio dell’annullamento e/o quello del risarcimento del danno.

228 Espressione preferita dal Sacco perché non equivoca, come invece è l’espressione “dolo”, la quale può

riferirsi sia al caso del dolo-vizio del consenso sia al caso del dolo-intenzione di arrecare danno: R. Sacco, in R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, cit., II, 548.

229 Preciso, con V. Roppo, Il contratto, cit., 813, che in caso di induzione dolosa in errore essenziale, dove sono

astrattamente applicabili sia la disciplina del dolo che quella dell’errore, l’attore potrà scegliere, sulla base della sua convenienza, di quale delle due discipline chiedere l’applicazione. Per un approfondimento v. A. Trabucchi,

Il dolo, Padova, 1937, 361 ss.

230

Vedi però A. Trabucchi, Il dolo, 1937, cit., 357 ss., 378 ss. ed in particolare 384 ss., il quale sostiene una tesi differente. Il dolo sarebbe rilevante e causa di annullabilità anche quando non ha indotto controparte in errore. Fa l’esempio di Tizio che, per indurre Caio a concludere un certo contratto, induce in errore Mevio, fidato consigliere di Caio. Mevio consiglia a Caio la conclusione del contratto. In questo caso la volontà di Caio non sarebbe viziata da errore, essendo le malizie state dirette contro Sempronio. Trabucchi vi trova confermo della sua tesi secondo la quale la causa dell’invalidità non risiede nel fatto dell’errore indotto, ma direttamente nel fatto del dolo.

231 Non a caso in common law la dottrina della Misrepresentation è quella più vicina alla nostra disciplina degli

Quando una parte è caduta spontaneamente in errore il legislatore italiano distingue (a) a seconda che l’errore fosse essenziale o non essenziale, (b) a seconda che esso fosse riconoscibile o non riconoscibile dalla controparte dell’errante, ed infine (c) a seconda che esso fosse scusabile o non scusabile.

In altre parole il legislatore italiano, per stabilire chi debba risentire delle conseguenze negative dell’errore-vizio (potremmo dire del danno causato dall’errore), guarda se la colpa di una delle due parti o di entrambe abbia giocato un ruolo nella causazione dell’errore. L’errore inescusabile è infatti un errore attribuibile alla colpa dell’errante232. Analogamente, l’errore

riconoscibile è un errore attribuibile alla colpa della controparte dell’errante233.

i. Gli scenari possibili

Aderendo a questa impostazione tradizionale fondata sul concetto di colpa si presentano allora quattro possibili scenari:

232 V. Roppo, Il contratto, cit., 782, definisce l’errore inescusabile come l’errore che si sarebbe potuto evitare

con la normale diligenza. Vedi anche R. Sacco, in R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, cit., I, 501, dove: “Chi erra inescusabilmente è in colpa”.

233 Critico della tesi che fa coincidere il giudizio di riconoscibilità con il giudizio di colpevolezza è V. Pietrobon,

Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova, 1990 (rist.), 204 ss. Vedi invece gli autori citati dallo stesso a nota 46. Pietrobon sostiene (p. 206 s.) che il giudizio di riconoscibilità non è libero, come quello di colpevolezza, ma è invece vincolato dal legislatore, il quale limita all’art. 1431 c.c. le circostanze che il giudice potrebbe prendere in considerazione (contenuto, circostanze del contratto, ovvero alla qualità dei contraenti). Mi sembra invece che questa delimitazione (ammesso che sia vincolante per il giudice e non svolga invece una semplice funzione esemplificativa delle circostanze che il giudice è libero di valutare: sul punto vedi anche M. Mantovani, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995, 204, nota 56) possa svolgere al massimo una funzione di economia processuale (limitando la possibile estensione del giudizio) e forse, ancora di più, la funzione di delimitare il campo di attenzione che si pretende dalla controparte dell’errante, similmente a come si fa con il requisito di essenzialità. Entro questi limiti quindi la distinzione di Pietrobon tra riconoscibilità e colpa mi sembra corretta. Mi sembra però che il fondamento tra i due giudizi (colpa e riconoscibilità) sia comune e precisamente consista nella rimproverabilità della condotta.

(a) Nel primo scenario l’errore è scusabile e non riconoscibile con l’utilizzo della normale diligenza. Qui l’errore non è attribuibile alla colpa di alcuna delle due parti.

(b) Nel secondo scenario l’errore è inescusabile e non riconoscibile. Qui la parte caduta in errore era in colpa, mentre la controparte non può essere rimproverata di nulla.

(c) Nel terzo scenario l’errore è inescusabile e riconoscibile. Qui l’errore è attribuibile alla colpa di entrambe le parti. La condotta diligente di una delle due parti avrebbe permesso di rilevare l’errore.

(d) Infine, nel quarto scenario l’errore era scusabile e riconoscibile. Qui è la parte caduta in errore ad essere incolpevole, mentre la controparte non ha agito con la diligenza richiesta. L’errore era riconoscibile ed essa non lo ha rilevato, ovvero pur avendolo rilevato non ne ha informato controparte.

Il numero di scenari si moltiplicherebbe se distinguessimo tra dolo e colpa della controparte dell’errante. Questa ulteriore distinzione è però ai nostri fini non necessaria.

ii. L’errore scusabile e non riconoscibile

Nel primo scenario, dove entrambe le parti sono incolpevoli la regola è che l’errante risente delle conseguenze negative del suo errore234. Egli non può chiedere l’annullamento del

contratto e/o il risarcimento del danno, ma deve pagare la prestazione promessa e ricevere la controprestazione, anche se questo le causa un danno. Questa regola, che potremmo chiamare la regola fondamentale, si giustifica per il fatto che normalmente la parte caduta spontaneamente in errore è quella che si trovava nella posizione migliore per evitare l’errore235. Inoltre, essa è manifestazione di un principio generale di autoresponsabilità, per

234 Cfr. R. Sacco, in R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, cit., I, 502, dove, a proposito del caso in cui il

destinatario della dichiarazione non fosse in colpa (errore non riconoscibile): “Il dichiarante […] dichiara a suo rischio”.

cui è opportuno che ciascuno risenta delle conseguenze negative delle proprie iniziative, anche quando esse non sono attribuibili alla sua colpa e, beninteso, se non esiste una valida ragione per spostare queste conseguenze negative sulla controparte. Questo principio di autoresponsabilità per le conseguenze negative è la controfaccia del principio per cui ciascuno deve potersi appropriare dei frutti delle proprie iniziative, secondo la massima cuius commodo eius atque incommodo236. Infine, questa regola, che lascia tutte le conseguenze negative dell’errore sull’errante, consente di tutelare l’affidamento della controparte incolpevole nella validità del contratto.

iii. L’errore inescusabile e non riconoscibile

Le considerazioni fatte per il caso di errore scusabile e riconoscibile valgono a maggior ragione anche per il secondo scenario, dove la parte caduta in errore è stata colpevole per non aver riconosciuto l’errore, mentre la controparte non era in colpa, perché non avrebbe potuto riconoscere l’errore con l’utilizzo della normale diligenza. Anche qui l’errante non può chiedere l’annullamento del contratto e non può chiedere il risarcimento del danno.

iv. L’errore inescusabile e riconoscibile

Nel terzo scenario, dove entrambe le parti sono colpevoli (l’errore era sia inescusabile che riconoscibile), la regola è che il danno causato dall’errore viene suddiviso tra le due parti. La legge infatti consente alla parte caduta in errore di chiedere l’annullamento del contratto, ma non le consente di chiedere il risarcimento del danno per avere confidato nella sua validità (art. 1338 c.c.)237. Specularmente, la controparte non può impedire l’annullamento del contratto e non può chiedere il risarcimento del danno ex art. 1338 c.c., dal momento che

236 Cfr. F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, 9 ed., Napoli, 2002 (rist.), 148. 237 C.M. Bianca, Il contratto, cit., 172, nota 50; V. Roppo, Il contratto, cit., 880.

anche essa era in colpa. In questo modo entrambe perdono per effetto dell’annullamento il profitto sperato dall’affare e ciascuna si tiene per effetto dell’impossibilità di invocare la disposizione di cui all’art. 1338 c.c. le spese sostenute e le perdite subite confidando nella validità del contratto. Il danno viene appunto suddiviso tra le due parti.

v. L’errore scusabile e riconoscibile

Nel quarto scenario infine, dove l’errante era incolpevole, mentre la controparte era colpevole (l’errore era scusabile e riconoscibile), la regola è che tutto il danno viene spostato sulla controparte dell’errante. Questo risultato si ottiene consentendo all’errante di chiedere l’annullamento del contratto ed al contempo consentendogli di chiedere il risarcimento del danno subito per avere confidato nella validità del contratto (art. 1338 c.c.). Questo risultato si giustifica per il fatto che, essendo l’errore scusabile e riconoscibile, la controparte dell’errante si trovava eccezionalmente in una posizione migliore dell’errante per evitare le conseguenze negative dell’errore238. Si deroga quindi alla regola fondamentale per cui ciascuna parte risente dei danni che nascono all’interno della propria sfera. Questa regola inoltre ha per effetto di consentire alla generalità dei contraenti di confidare nel fatto che qualora essi dovessero cadere spontaneamente in errore la controparte sarà indotta ad informarli. In questo modo si ottiene di ridurre l’onere di attenzione che ciascuna parte impiega durante la fase precontrattuale per ridurre il rischio di errori, con beneficio per la generalità dei contraenti.

vi. Esemplificazione

Per meglio illustrare i concetti espressi sopra può essere utile fare un esempio. Si prenda il caso in cui il Venditore vende al Compratore un certo bene ad un prezzo di €1 milione. Il valore del bene per il Venditore è di €700.000, nel senso che il Venditore avrebbe potuto

vendere lo stesso bene ad un terzo, Sempronio, a questo prezzo. Il Compratore è caduto in errore su una certa qualità del bene che deve ritenersi determinante del consenso (art. 1429, numero 2, c.c.). Se il bene avesse avuto le caratteristiche che il Compratore si era rappresentato, esso avrebbe avuto per il Compratore un valore di €1.500.000. Siccome invece il bene non ha queste caratteristiche, esso non ha per il Compratore alcuna utilità diretta. Tuttavia, il Compratore è in grado di rivendere il bene a Sempronio al prezzo di €500.000. A questo si aggiunga che durante le trattative il Venditore ed il Compratore hanno speso ciascuno €25.000. Inoltre, il Compratore ha perduto l’opportunità di concludere un affare alternativo da cui avrebbe realizzato un profitto di €75.000.

Se il bene avesse avuto le caratteristiche che il Compratore si era rappresentato, il Compratore avrebbe realizzato un profitto di €400.000. Questo profitto è pari alla differenza tra il valore ipotetico del bene (i.e. il valore che il bene avrebbe avuto se fosse stato come rappresentato) e la somma di tutte le spese e le perdite sostenute dal Compratore per acquistare il bene (i.e. la somma del prezzo, delle spese della trattativa, e del profitto alternativo perduto) 239.

Siccome invece il bene non ha le caratteristiche che il Compratore si era rappresentato, il Compratore realizza dall’esecuzione del contratto una perdita di €600.000, pari alla differenza tra la somma del prezzo, delle spese e delle perdite, da una parte, e del valore reale del bene, dall’altra (i.e. il valore che il bene ha, dato lo stato reale delle cose, diverso da quello che il Compratore si era rappresentato)240. Si noti che nel nostro esempio il valore reale del bene per

il Compratore è pari al prezzo di rivendita del bene a Sempronio (€500.000).

Se l’errore non era riconoscibile (primo e secondo scenario), il Compratore non può chiedere né l’annullamento del contratto, né il risarcimento del danno, sia che egli fosse stato in colpa (errore inescusabile) sia che invece fosse stato incolpevole (errore scusabile). In questo modo

239 1.500.000 - (1.000.000 + 25.000 + 75.000) = 400.000. 240 500.000 - (1.000.000 + 25.000 + 75.000) = - 600.000.

il Compratore si tiene il suo danno (€600.000) e il Venditore realizza il profitto sperato (€200.000).

Se invece l’errore era inescusabile e riconoscibile (terzo scenario), il Compratore può chiedere l’annullamento del contratto, ma non può chiedere il risarcimento del danno (ex combinato disposto degli artt. 1338 e 1428 c.c.). In questo modo il Compratore restituisce il bene e recupera il prezzo, che è superiore al valore reale del bene. Egli invece si tiene le spese e le perdite subite per concludere il contratto (€100.000). Il Venditore analogamente perde il profitto sperato dall’affare, dal momento che deve restituire il prezzo contro la restituzione del