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Il riordino della legislazione in materia portuale La Legge n 84/94 e le linee guida del 2004 per la redazione dei Piani Regolatori Portuali.

Capitolo 2 La dimensione marittima nelle politiche ordinarie e negli strumenti di piano e normativi in Italia

2.5 Il riordino della legislazione in materia portuale La Legge n 84/94 e le linee guida del 2004 per la redazione dei Piani Regolatori Portuali.

In Italia la gestione dei porti è regolamentata dalla legge 28 gennaio 1994 n. 8487, che ha istituito le Autorità Portuali ed individuato nel Piano Regolatore Portuale lo strumento urbanistico per la pianificazione dello sviluppo dei porti.

La riforma della legislazione portuale si pone a conclusione di un processo di riorganizzazione del sistema nazionale che nasce dall’esigenza di regolamentare il mercato delle operazioni portuali in funzione dei principi della libera concorrenza e della libera iniziativa privata.

Infatti se prima della Legge 84/94 gli enti portuali avevano natura di “ente pubblico economico” con entrambi funzioni pubblicistiche e privatistiche, con la riforma invece si ha una netta separazione dei ruoli che rende indipendente l’attività di indirizzo, programmazione, coordinamento e controllo delle operazioni portuali dal loro esercizio, ovvero dall’attività di impresa88.

A seguito del riformato assetto istituzionale ed organizzativo introdotto dalla Legge 84/94 nei principali porti italiani viene istituita l’Autorità Portuale, con personalità

87 Cfr. Legge Nazionale 28 gennaio 1994 n. 84, recante Riordino della legislazione in materia portuale.

88 Cfr. Musso E. Ferrari C. Benacchio M. Bacci E., Porti, lavoro, economia. Le regioni portuali di fronte alla rivoluzione logistica, CEDAM,

giuridica di Organismo di diritto pubblico, a cui vengono demandate le funzioni di pianificazione territoriale e pianificazione strategica del porto, nonché il controllo e rilascio di autorizzazioni per l’espletamento delle operazioni portuali e di concessioni di aree e di banchine ai terminalisti.

In questo modo è stata garantita l’apertura regolamentata del mercato dei servizi portuali agli operatori economici privati, consentendo nel complesso del sistema nazionale portuale un rilancio dell’economia marittima e una maggiore competitività degli scali italiani nel panorama internazionale.

Inoltre la norma prevede all’interno dell’Autorità l’istituzione di un Comitato Portuale inteso come organismo orizzontale per la programmazione, pianificazione e gestione delle aree del porto, che a sua volta è composto anche da rappresentanti degli Enti locali e degli operatori portuali.

Dal punto di vista gestionale, altro aspetto interessante è l’autonomia finanziaria e programmatico delegata alle Autorità Portuali che, attraverso gli strumenti del Piano Regolatore Portuale e del Programma Operativo Triennale, consentono di pianificare in autonomia lo sviluppo e la riqualificazione delle infrastrutture e delle funzioni all’interno della propria area di competenza.

Spetta proprio al comitato portuale la verifica e l’adozione del piano regolatore del porto, che deve essere adottato dall’Autorità Portuale d’intesa con l’Amministrazione Comunale per poi venire approvato dalla Regione, previo parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e procedura di valutazione ambientale del Ministero dell’Ambiente.

L’istituto dell’intesa con l’Amministrazione Comunale da un lato apre alla condivisione, all’integrazione tra piano portuale e piano urbanistico, dall’altra rende evidente la conlittualità tra le esigenze del porto e quelle dell’amministrazione locale89.

La Legge 84/94 consente dunque al PRP di acquisire una dimensione urbanistica, non essendo più programma di opere, ma un vero e proprio piano-processo che coinvolge le sfere economica, gestionale, urbanistica, ambientale e dei trasporti. Successivamente, con le Linee Guida pubblicate dal Ministero nel 2004 vengono

fornite indicazioni più dettagliate per la redazione dei piani regolatori portuali in coordinamento con la pianificazione urbana e le normative ambientali di settore90. La legge 84/94, se da un lato ha avuto il merito di riformare l’odinamento portuale introducendo i principi di libero mercato, dall’altro non ha superato alcune problematiche che ancora oggi pongono degli ostacoli al rilancio portuale.

In primo luogo, la tempistica dell’iter approvativo del Piano Regolatore Portuale negli anni è risultata spesso rallentata dalle procedure farraginose per i pareri del Ministero dell’Ambiente e del Consiglio Superiore dei lavori pubblici nonché per la difficile acquisizione dell’intesa da parte dei Comuni per l’adozione del Piano.

La seconda problematica è connessa alla definizione delle strategie di sviluppo portuale. Nonostante le Linee Guida del 2004 avessero proposto una maggiore integrazione con gli strumenti urbanistici, la dimensione programmatica del PRP rimane ancora limitata all’ambito urbano, e più precisamente all’interfaccia città-porto intesa quasi esclusivamente come waterfront. Manca ancora un diretto richiamo e coordinamento con la pianificazione dei trasporti sovraordinata.

Ad oggi permangono infatti criticità infrastrutturali e colli di bottiglia nei collegamenti tra alcuni porti e reti stradali e ferroviarie che non possono essere risolti da pianificazioni separate a livello locale e regionale/nazionale.

Un ultima osservazione, tra l’altro mossa già in precedenti occasioni dalle associazioni del settore portuale, riguarda l’assenza della categoria di “hub transhipment” nella classificazione dei porti riportata nella Legge.

Questa tipologia di scali presenta funzioni strategiche di livello nazionale che dovrebbero seguire iter approvativi direttamente connessi alle Autorità regionali e nazionali.

La crescita dei traffici marittimi nel Mediterraneo tra il 1990 e il 2007 ha infatti offerto ai porti italiani (ma non solo) nuove opportunità di sviluppo per le economie portuali. Allo stesso tempo però il gigantismo navale rincorso dalle compagnie di navigazione ha letteralmente rivoluzionato l’assetto dei porti, costringendo a creare bacini più ampi con accosti più lunghi e fondali con almeno 16 metri di profondità per ospitare

90 Cfr. Circolare 15 ottobre 2004 n. 17778 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sull’applicazione delle Linee guida per la

le navi postpanamax.

Invece la dotazione degli spazi a terra comincia ormai a presentare livelli di saturazione diffusi in tutto il sistema portuale europeo, che non è più in grado di individuare aree specializzate, piazzali di grandi dimensione, tecnologie di movimentazione avanzata, e connessioni efficienti con le reti di accesso ai territori interni.

Tali cambiamenti si sono manifestati nello spazio di pochi anni tanto da costringere le Autorità Portuali italiane a perseguire una modernizzazione forzata delle aree demaniali all’interno di un territorio fortemente urbanizzato.

Questa criticità costituisce la principale caratteristica dei porti italiani rispetto agli scali del Nord Europa, della Spagna, della Francia e degli altri porti della sponda Sud del Mediterraneo91.

Infatti, mentre nei grandi porti europei la riorganizzazione delle aree è avvenuta attraverso il decentramento e la delocalizzazione delle attività portuali dal tessuto urbano, in Italia il decentramento dello sviluppo portuale si scontra con l’indisponibilità di aree libere realmente disponibili ed in alcuni casi si tende ad ovviare il problema ricorrendo alla riqualificazione di aree industrializzate sottoutilizzate.

Ma in ogni caso la localizzazione della maggior parte dei principali scali nazionali è interna al tessuto urbano e si sviluppa spazialmente proprio dai loro centri storici. Tale aspetto si è però rilevato una “criticità vincente” per il settore crocieristico e diportistico.

Questa discrasia tra città e porto è fondamentalmente la principale causa delle mancate intese tra Autorità Portuali e Amministrazioni Comunali per l’adozione del Piano Regolatore Portuale.

I numerosi tentativi di recupero urbano, con programmi di riqualificazione delle aree adiacenti al porto, non sono riusciti ancora a produrre risultati di particolare rilievo. Nella maggior parte dei casi infatti la linea di confine demaniale è rimasta invalicabile al tessuto urbano circostante.

Tale problematica è stata spesso affrontata solo ed esclusivamente dal punto di vista

del waterfront urbano ma, si ribadisce, con scarsi risultati in termini di condivisione strategica tra i due Enti coinvolti nell’adozione del PRP.

Ci si chiede se la questione della frattura città porto non debba andare oltre il tema del fronte a mare, ed affrontare anche aspetti economici, ambientali, logistici e di riequilibrio territoriale di area vasta.

Ci si chiede se la questione non debba essere affrontata in termini anche di politiche marittime oltre che di politiche urbane.

Capitolo 3 Le politiche regionali di sviluppo. Percorsi paralleli delle

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