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Nel paragrafo precedente, è stata evidenziata la necessità di mantenere una chiara distinzione tra leadership e management; tuttavia, la commistione tra questi due aspetti non costituisce l’unico elemento di criticità in cui il leader può incorrere nell’esercizio del proprio ruolo. Infatti, la leadership nasconde delle “zone oscure”391, che sono collegate fondamentalmente con la tentazione di fare un “uso distorto del potere”392 che si detiene in quanto leader: se queste dinamiche non vengono gestite in maniera equilibrata, il leader corre il rischio di frammentare lo staff di lavoro e le prestazioni dell’organizzazione.

Il tema dei rischi connessi alla leadership è stato indagato chiedendo agli interlocutori di indicare quali caratteristiche il leader non deve possedere: nell’intervista A, l’interlocutrice spiega che il leader “non deve essere alleato con un ufficio, con un

settore piuttosto che con un altro” e che, di conseguenza, “deve cercare di essere il più neutrale possibile e il più obiettivo e oggettivo possibile”. In questo contesto, il concetto

di alleanza non viene usato in senso costruttivo, per indicare un gruppo di persone che mettono insieme le proprie risorse per affrontare un compito o una problematica; esso viene invece adoperato nella sua accezione distruttiva ed evoca l’idea di un insieme di soggetti che si coalizzano per opporsi ad altri individui. Tale situazione corrisponde ad uno degli effetti che, secondo Conger (1990), sono associati ad un abuso di potere da parte del leader, per cui “le relazioni tra i gruppi di lavoro sono contraddistinte da

estreme e continue rivalità”393. Infatti, se il leader non si dimostra imparziale, gli altri possono credere che egli usi il proprio potere per favorire determinati collaboratori, anche al di là dei loro effettivi meriti: ciò può diventare la causa scatenante di conflitti che sono alimentati dall’invidia e che minano le possibilità di cooperazione, ripercuotendosi in maniera negativa sul funzionamento dell’organizzazione. L’obiettività del leader permette quindi di prevenire questo genere di dinamiche; occorre comunque sottolineare che anche l’atteggiamento di neutralità non deve essere portato all’estremo, se non si vuole incorrere in conseguenze altrettanto negative:

391 Ibidem, p. 116. 392 Ibidem, p. 117. 393

78 l’eccessivo timore di dare adito a preferenze può indurre il leader ad astenersi dal fornire qualsiasi genere di riscontro ai propri collaboratori, perdendo così l’occasione di esercitare una funzione motivante nei loro confronti. Al riguardo, può essere utile far riferimento al modello proposto da Kouzes e Posner (1987)394, in base al quale il leader deve essere capace di “riconoscere il contributo dei singoli al progetto complessivo”395 e di “mettere strettamente in relazione il riconoscimento con la prestazione”396: essere obiettivi significa quindi valutare i propri collaboratori sulla base della loro effettiva e concreta attività; si tratta di un criterio equo e trasparente, che mette il leader al riparo da qualsiasi sospetto di favoritismo e che, al tempo stesso, salvaguarda il ruolo motivazionale che svolge rispetto ai propri collaboratori. Inoltre, Kouzes e Posner evidenziano che il leader deve “tendere costantemente a riconoscere i risultati

raggiunti come frutto del lavoro collettivo (a dire sempre noi)”397: le prestazioni dei singoli vanno quindi ricondotte nel contesto più ampio e generale del lavoro di gruppo, in modo da promuovere la consapevolezza che ciascuno fornisce un contributo importante per il buon andamento dell’organizzazione ed in modo da incoraggiare la cooperazione tra i collaboratori.

L’interlocutrice dell’intervista B ritiene che il leader “non debba essere né

eccessivamente autoritario, né eccessivamente delegante”. L’eccesso di autoritarietà

delinea un leader fortemente centrato su se stesso, che incontra difficoltà nel fidarsi degli altri e nel delegare a loro incarichi e mansioni; al polo opposto, l’eccesso di delega viene descritto come un modo per scaricare sugli altri i propri compiti e le proprie responsabilità: si tratta di un comportamento che appare scorretto dal punto di vista morale e che risulta anche controproducente sul piano pratico, perché porta il leader a perdere il controllo sull’organizzazione e sul suo funzionamento. In entrambi i casi, si assiste ad un’inadeguatezza da parte del leader nel confrontarsi con il potere associato al suo ruolo: nell’eccesso di autoritarietà, il leader è talmente focalizzato sul proprio potere che non intende condividerne una parte con gli altri. Tuttavia, appare evidente che nessun individuo può caricarsi sulle spalle tutto il peso dell’organizzazione: essere 394 Ibidem, pp. 51 – 56. 395 Ibidem, p. 56. 396 Ibidem. 397 Ibidem, pp. 54 – 55.

79 un buon leader significa anche saper riconoscere i propri limiti e saper valutare con obiettività quando ed a chi delegare determinate funzioni. Questa riflessione è coerente con i risultati di una ricerca condotta dal Center for Creative Leadership di Greensboro, per cui la centratura su di sé e l’incapacità di delegare rientrano tra i fattori che possono condurre ad un fallimento della leadership398. Su un piano più ampio, si può fare riferimento al concetto di empowerment399, secondo cui la leadership deve stimolare “la

crescita dei collaboratori […] attraverso una condivisione del potere e il conferimento di autorità ai diversi livelli organizzativi”400: l’empowerment favorisce la formazione “di persone più efficaci, innovative e pronte a cambiare se necessario”401, con evidenti ricadute positive sull’organizzazione e sulla sua capacità di affrontare le sfide a cui è chiamata. A tale scopo, occorre “dare ai collaboratori il potere di prendere decisioni

significative”402 e ciò può essere fatto solo se si è “disposti ad allentare il controllo, a

rischiare di perdere potere sui collaboratori, ad avere fiducia nella capacità di costoro di fare la cosa giusta all’occorrenza”403: ne consegue che il leader deve essere capace di mettere da parte le logiche personalistiche e di ragionare in base ai vantaggi che la condivisione del potere può comportare per l’organizzazione. Nell’eccesso di delega, il

leader sembra invece alla ricerca di una fuga dal proprio potere e dalle corrispondenti

responsabilità; si tratta di un fenomeno disfunzionale, perché la cessione del potere risponde esclusivamente ai bisogni egoistici del singolo individuo e non si inserisce nella prospettiva più generale di promuovere il miglioramento dell’organizzazione attraverso la maturazione dei collaboratori.

Nell’intervista C, l’interlocutore porta l’attenzione sulla struttura gerarchica delle organizzazioni, sostenendo che “la tentazione di frammentare lo staff” è “tipica di una

organizzazione molto piramidale”: si tratta di una struttura che richiede “più autorità”,

ma che “lascia anche meno spazio, meno capacità di partecipazione ai vari ruoli

dell’organizzazione”. La struttura descritta dà l’idea di un’organizzazione quasi a

compartimenti stagni, in cui ciascuno svolge i propri compiti, ma in cui il

398 Ibidem, pp. 114 – 115.

399 Cfr. 1.2.4. La leadership trasformazionale ed empowering. 400 Quaglino G.P., Ghislieri C., Op. cit., p. 88.

401 Quinn R.E., Spreitzer G.M., La via all’empowerment, in Quaglino G.P. (a cura di), Op. cit., p. 227. 402 Quaglino G.P., Ghislieri C., Op. cit., p. 85.

403

80 coinvolgimento verso l’ente di appartenenza appare ridotto: questo elemento può rappresentare un ostacolo per il processo di empowerment, che trae invece beneficio da una struttura più aperta, in cui i collaboratori hanno la possibilità di contribuire alle decisioni dell’organizzazione ed in cui sono consapevoli che le loro proposte non vengono ignorate, ma vengono invece vagliate con attenzione e considerazione404. Analogamente a quanto osservato nell’intervista B, anche in questo caso viene evidenziato che un potere eccessivamente centralizzato penalizza il processo di crescita dei collaboratori e, quindi, dell’organizzazione nel suo complesso. L’interlocutore riconosce che anche una struttura meno centralizzata non è esente da rischi: infatti, in questa situazione può manifestarsi la tendenza a “portare spesso le decisioni a livello

molto diffuso”, tanto che “risulta poi difficile gestire queste informazioni”. Allo scopo

di favorire l’empowerment, l’apertura alla partecipazione ed al coinvolgimento deve quindi essere bilanciata da una dose adeguata di disciplina e di controllo: infatti, i collaboratori empowered “conoscono i limiti delle proprie capacità decisionali. Sanno

su che cosa vertono le loro responsabilità e quali siano le responsabilità degli altri, devono raggiungere mete chiare, ma stimolanti e obiettivi in linea con la visione organizzativa dei loro capi”405. La consapevolezza circa aspetti come i limiti delle capacità decisionali, le responsabilità, gli obiettivi, permette di contrastare la difficoltà di gestione a cui si riferiva l’interlocutore, perché impedisce che l’apertura al coinvolgimento ed alla partecipazione degeneri nella disorganizzazione e nella confusione dei ruoli. Tali valutazioni indicano che la struttura di un’organizzazione deve presentare delle caratteristiche intermedie tra il caso in cui il potere è eccessivamente centralizzato ed il caso in cui il potere è eccessivamente diffuso.

L’analisi delle interviste conferma che la gestione del potere costituisce una questione cruciale con cui la leadership deve confrontarsi: il leader che sottovaluta o peggio ancora, che nega il peso di questo fattore, è meno disposto ad attivare le contromisure necessarie e, di conseguenza, cade vittima più facilmente della tentazione di abusare delle proprie prerogative. Di conseguenza, è fondamentale che il leader sviluppi “maggiore consapevolezza e più acuta sensibilità”406 sulla problematica del

404 Ibidem, p. 233. 405 Ibidem. 406

81 potere, in modo da essere capace di cogliere gli eventuali segnali di disfunzionalità per affrontarli nella maniera più opportuna: a questo scopo, può essere utile adottare un atteggiamento basato sull’obiettività ed evitare eccessi nell’ambito dell’autoritarietà e della delega, così come in quello della centralizzazione e della diffusione del potere.

I rischi della leadership Le conseguenze negative Le strategie di contrasto

Favoritismi e preferenze. Relazioni di lavoro caratterizzate dall’invidia e dalla rivalità. Atteggiamento di neutralità e di obiettività. Eccesso di autoritarietà. Eccesso di delega. Ostacolo all’empowerment dei collaboratori.

Fuga del leader dalle proprie responsabilità.

Valutare con obiettività quando ed a chi delegare.

Eccessiva centralizzazione del potere.

Eccessiva diffusione del potere.

Ostacolo all’empowerment dei collaboratori.

Disorganizzazione, confusione dei ruoli.

Bilanciare l’apertura al coinvolgimento ed alla partecipazione con la disciplina ed il controllo.

Tabella 5. I rischi della leadership.