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3. Parte patologica

3.1 RISOLUZIONE DEL CONTRATTO

Al comma 78 la legge prevede una disciplina specifica con esclusivo riferimento all’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore. Tenendo conto che ci troviamo innanzi ad un particolare strumento dell’attuale diritto della crisi, il dato non deve affatto stupire (278).

Un’altra ragione che ha spinto il legislatore in tal senso è legata all’enorme mole di pronunce giurisprudenziali che l’ ipotesi patologica in questione ha sollevato; è opportuno ricordare che essa ha rappresentato lo spunto dacui ha avuto origine la storica bipartizione fra

leasing di godimento e leasing traslativo (279). In altri termini si tratta di uno dei casi concreti più ricorrenti nella prassi dell’istituto e per questo il legislatore non ha potuto fare a meno di dettare una disciplina di dettaglio; una disciplina ad hoc studiata in modo da attuare una logica di bilanciamento dei contrapposti interessi.

Il comma 78 recita: «In caso di risoluzione del contratto di

locazione finanziaria per inadempimento dell'utilizzatore, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenute a valori di mercato, dedotta la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto. L'eventuale differenza negativa è corrisposta dall'utilizzatore al concedente.»

L’art. 1526 del c.c., che ha rappresentato, ed ancora oggi rappre- senta, la norma cardine della categoria del leasing traslativo, stabilisce

278 Vedi cap. II, § 2.5.2

279 Cap. I, § 1.3; lo stesso V.BUONOCORE, op. cit., p. 50, riconosce che in materia di leasing, la risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore costitui- sce in assoluto la fattispecie concreta che vanta il maggior numero di prece- denti giurisprudenziali.

invece quanto segue: «Se la risoluzione del contratto ha luogo per l'i-

nadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate ri- scosse, salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l'indennità convenuta».

Come abbiamo già avuto modo di sostenere in altra sede (280), le due norme contengono delle differenze di rilievo ma presentano una me- desima ratio: ovvero quella di garantire che la risoluzione non costitui- sca occasione per falsare l’equilibrio contrattuale in vantaggio di una delle parti del rapporto. Il meccanismo disposto dalla norma deve por- tare sostanzialmente ad un’equivalenza economica fra epilogo fisiolo- gico e patologico del contratto (281).

La differenza più marcata rispetto all’art. 1526 c.c. risiede nel fatto che, a parte la restituzione del bene che avviene subito al momento della risoluzione, il meccanismo compensatorio è agganciato al momento della vendita o ricollocazione del bene.

Questo aspetto sembra andare ad apportare un particolare tratta- mento in favore della parte concedente, la quale, fin tanto che non sia riuscita a ricollocare il bene nell’attuale contesto di crisi del mercato immobiliare, non dovrà corrispondere alcunché, potendosi in tal modo trattenere i canoni medio tempore corrisposti dall’utilizzatore.

La parte utilizzatrice peraltro sembra in base al dato testuale sfornita di tutela nell’eventualità in cui la parte concedente attui pratiche dilato- rie, posto che la legge non dispone alcun termine entro il quale la parte

280 Cap. I, § 1.3.

281 Ricordiamo che il comma 78 peraltro riprende e cristallizza nel testo di legge una prassi già invalsa negli ultimi anni di inserire nei contratti di leasing le clasuole c.d. “scaduto + scadere – bene”, le quali comportavano che il con- cedente potesse trattenere i canoni scaduti e pretendere quelli da pagare fino alla scadenza, compreso il riscatto dietro versamento all’utilizzatore di quanto ricavato dalla vendita del bene. A differenza di tali clausole però il comma 78 prevede che l’utilizzatore debba corrispondere solamente “l’eventuale diffe- renza negativa” a seguito della successiva ricollocazione del bene.

concedente è tenuta ad agire. Dunque il legislatore ha posto nelle mani del concedente le redini che governano il meccanismo di compensa- zione previsto dalla norma.

Per questa ragione il legislatore, sempre al comma 78, ha cercato un contemperamento prevedendo che il concedente debba attenersi “a

criteri di trasparenza e pubblicita' nei confronti dell'utilizzatore”. Tut-

tavia questa formula pare anch’essa dotata di uno scarso valore vinco- lante nei confronti del concedente e non è pertanto in grado di offrire all’utilizzatore particolari strumenti di tutela in caso di pratiche abusive e dilatorie (282).

Quanto al diritto del concedente di agire in risoluzione del contratto vi è un limite posto dalla nuova tutela consumeristica del credito immo-

biliare ai consumatori (283), la quale ci consente oggi un’applicazione diretta dell’art. 40, II comma, del TUB: tale disposizione consente la risoluzione del contratto solamente quando l’utilizzatore abbia per sette

282 Per questo sembra condivisibile che le parti stabiliscano nel contratto le modalità di ricollocazione del bene, affidando ad esempio alla valutazione di un perito indipendente la stima dell’immobile ed affidandone la vendita o ri- collocazione alle c.d. aste telematiche notarili, le quali oltre all’affidabilità della gestione, attribuita ad un soggetto particolarmente qualificato, prevedono una particolare predeterminazione dell’iter, trasparenza dei vari segmenti pro- cedimentali e garantirebbero un sufficiente grado di diffusione presso il pub- blico (sul punto vedi A. MUSTO,,Il leasing immobiliare abitativo: prime os- servazioni,p. 19); ciò che pare piuttosto evidente è che per trasparenza non possa intendersi solamente un possa passare solamente attraverso un obbligo di informazione (i sistemi della licitazione o trattativa privata sarebbero da escludere già i base a tale interpretazione restrittiva. Oltre alle aste notarili non sarebbe così peregrino neanche lo strumento ad oggi sostanzialmente atipico dell’asta privata, vedi sul punto V.GUNNELLA e G.TRAPANI, Offerta al pub-

blico di compravendita immobiliare: l’applicazione all’asta privata, ancora non normata, di principi accettati (Studio n. 153-2014/C, 2015), i quali ap- profondendo l’istituto delle aste private, ipotizzano il ricorso all’istituto dell’offerta al pubblico di cui al 1336 c.c., sul quale è innestata una selezione su base d’asta quale procedimento tecnico che consente l’individuazione del soggetto disposto a rendersi acquirente di un bene alle migliori condizioni pos- sibili e che può essere svolto anche nella contrattazione tra privati, articolando in più fasi l’iter di formazione del contratto.

volte, anche non consecutive, corrisposto il canone con un ritardo com- preso entro i 30 e 180 giorni. Tuttavia laddove l’utilizzatore ritardasse nel pagamento per un periodo superiore a 180 giorni, sarebbe ipotizza- bile la risoluzione del contratto anche per il mancato pagamento di un solo canone pattuito. Questa lettura tuttavia risulterebbe contraria ai sensi dell’art. 33, comma 1, del Codice del Consumo (284), in quanto una clausola di questo tipo configurerebbe un eccessivo squilibrio ai danni dell’utilizzatore/consumatore (285).

Il legislatore non ha invece previsto alcuna disciplina particolare in caso di inadempimento della parte concedente; nel qual caso si appli- cheranno le norme generali previste dagli artt. 1453 e ss. del c.c.,

Il silenzio della legge si fonda su una ragione molto semplice, di carattere pratico: il comma 76 dispone che tutti i rischi compresi anche quello di perimento sono posti in capo alla parte utilizzatrice. Tali clau- sole, prima ancora che il comma 76 le elevasse a rango di legge, erano considerate perfettamente valide dalla giurisprudenza maggioritaria (286), la quale aveva avuto modo di precisare che le clausole di inver- sione totale del rischio non possono essere considerate vessatorie in quanto, ai sensi dell’art. 34, III comma, del Codice del Consumo, sono clausole che riproducono norme di legge. In passato la norma di riferi- mento era rappresentata dall’art. 1523 c.c. in materia di vendita con ri- serva della proprietà, oggi invece possiamo direttamente considerare

284 D.lgvo. 6 agosto 2005, n. 206.

285 G.O.MANNELLA , Il leasing per l’acquisto dell’abitazione principale: la disciplina dall’1/1/2016, in Il QuotidianoGiuridico, 2016, per il quale, nulla prevedendo la norma in ordine all’entità dell’inadempimento che legittima la risoluzione, «rimangono legittime […] le pattuizioni che consentono al conce- dente di chiedere la risoluzione del contratto anche in caso di mancato paga- mento di un solo canone, quale che ne sia l’ammontare».

286 Cass., 14 ottobre 2011, n. 21301: «Al riguardo deve ribadirsi che, in tema di leasing traslativo, la clausola contrattuale che pone a carico dell’uti- lizzatore il rischio per la perdita del bene oggetto del contratto non ha carat- tere vessatorio, poiché essa si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformita della disciplina legale desumibile, in via analogica, dall’art. 1523 c.c. […]. Sotto l’indicato profilo, dunque, non è prospettabile alcuna violazione di legge.»

l’art. 1, comma 76 della finanziaria 2016.

Oltre alla suddetta esclusione di responsabilità del concedente legi- slativamente prevista, abbiamo avuto già modo di vedere di come costi- tuisca oramai una prassi diffusa per le società di leasing quella di eso- nerarsi, attraverso apposite clausole, da ogni responsabilità quanto all’obbligo di consegna (la quale avviene in modo diretto fra dal terzo venditore all’utilizzatore) ed ai relativi vizi della cosa, consentendo all’utilizzatore di agire direttamente nei confronti del terzo al fine di esperire le relative azioni di adempimento o risarcitorie. Tale prassi si fonda essenzialmente su due aspetti pratici: 1) la fase delle trattative, la scelta del bene e le concrete modalità di gestione del rapporto vengono poste in essere direttamente dalla parte utilizzatrice (287); 2) come di re- cente affermato dalle Sezioni Unite del 2015 (288), la parte concedente riveste solamente un ruolo formale all’interno dell’operazione di lea-

sing, in quanto essa si limita a mettere a disposizione un certo capitale,

acquisendo la proprietà dell’immobile solamente come garanzia del re- lativo finanziamento.

Tuttavia non abbiamo mancato di rilevare, parlando di causa del contratto di leasing abitativo, che la natura mista di finanziamento e di scambio dovrebbe portare a considerare invalide talune clausole, quali ad esempio quelle di esonero totale di responsabilità in caso di mancata consegna del bene (289): ciò in quanto alla parte concedente non può es- sere concesso un completo disinteresse quanto alla gestione del rapporto

287 Vedi cap II, § 2.5.

288 Cass., Sez. Un., 5 ottobre 2015, n. 19785.

289 Cass., del 2 novembre 1998, n. 10926; Cass., 19 novembre 1998, n. 11669; Cass., 25 maggio 2004, n. 10032; Cass., 2 agosto 2004, n. 14786; vedi nello stesso senso anche Cass., 29 settembnre 2007, n. 20592: «Nell’opera- zione di leasing finanziario, che non dà luogo ad un unico contratto plurilate- rale, ma realizza una figura di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, se il concedente imputa all’utilizzatore l’inadempi- mento costituito dalla sospensione del pagamento dei canoni e su questa base chiede la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno nell’ammontare

al fine di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore al godimento effettivo dell’immobile. In base a quanto detto si dovrebbe imporre alla parte con- cedente una partecipazione più effettiva rispetto a quella che le Sezioni Unite hanno fotografato nella loro pronuncia in materia di locazione fi- nanziaria in genere.

Prendendo proprio spunto da quest’ultimo riferimento non resta che analizzare l’ipotesi di risoluzione del contratto di compravendita da parte del soggetto utilizzatore.

Sembra opportuno finalmente esplicitare le argomentazioni con- clusive delle Sezioni Unite del 2015, che più volte abbiamo per diversi aspetti citato nella presente trattazione: con essa infatti si è affermato che l’utilizzatore, in assenza di una clausola espressa, non possa agire per la risoluzione del contratto di compravendita fra terzo e concedente in caso di inadempimento del soggetto fornitore; la Corte però, una volta escluso il collegamento negoziale fra contratto di leasing e quello di compravendita, tale per cui non possa operare fra i due contratti l’effetto

simul stabunt simul cadent, tipico del collegamento funzionale, non la-

scia affatto l’utilizzatore sfornito di ogni tutela: «In conclusione, si può

affermare il principio in ragione del quale: in tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, oc- corre distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della con-

convenzionalmente predeterminato e se l’utilizzatore eccepisce l’inadempi- mento del fornitore all’obbligazione di consegna e chiede perciò il rigetto della domanda, l’accoglimento dell’eccezione, che deve avvenire sulla base dell’art 1463 cod. civ., non può trovare ostacolo nel fatto che il con- tratto di leasing contenga una clausola che riversi sull’utilizzatore il rischio della man- cata consegna, dovendosi ritenere invalide siffatte clausole. Peraltro, se l’uti- lizzatore accetta di sottoscrivere senza riserve il verbale di consegna pure a fronte di una consegna incompleta da parte del fornitore (invece di rifiutare la prestazione e far constatare il rifiuto nel relativo verbale), egli pone il con- cedente nelle condizioni di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore, ma non gli può essere allora consentito di opporre al concedente che la consegna non è stata completa né di fondare su ciò il diritto di sospen- dere il pagamento dei canoni.»

segna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi successi- vamente alla stessa perchè nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presup- posti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di for- nitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostitu- zione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i mede- simi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l'utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la re- stituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pa- gati al concedente.»

Dunque la Corte recupera la tutela dell’utilizzatore sul piano dell’esecuzione del contratto: in forza della clausola generale di buona fede gravano sul concedente una serie di obblighi integrativi di prote- zione e di solidarietà nei confronti dell’utilizzatore ‘‘al fine di evitare

che questo subisca pregiudizi’’. Doveri che si concretizzano nell’ob-

bligo di sospendere il pagamento del fornitore sino a che non sia effet- tivamente avvenuta la consegna del bene, nonchè nell’obbligo di agire per la risoluzione del contratto di fornitura, laddove i vizi del bene ma- nifestatisi prima della consegna, ovvero successivamente alla stessa, giustifichino l’esercizio di tale azione.

Nel conflitto tra interesse dell’utilizzatore a vedere risolto il rapporto e interesse del concedente alla separazione del rischio finanziario, è sicuramente il primo ad avere la meglio.

Le Sezioni Unite sbilanciandosi per la tutela dell’utilizzatore fanno così prevalere un criterio di giustizia sostanziale sull’autonomia

contrattuale (290), confermando l’avversità dei diritto civile nei riguardi del trasferimento volontario di rischi tra le parti laddove questo possa produrre trasferimenti di ricchezza che risultino, nella sostanza, ingiustificati. L’effetto raggiunto ricorrendo al principio di buona fede è, in questo senso, assimilabile agli scopi perseguiti da talune norme imperative applicabili ora alla locazione, ora alla vendita, che, pur talvolta invocate con riferimento alla disciplina in esame, sono di difficile applicazione nel contesto di un contratto atipico come quello di specie (291).

A nostro avviso per quanto riguarda il leasing abitativo, in alternativa al richiamo dell’art. 1375 c.c. e dei correlativi obblighi di integrazione nella fase di esecuzione del contratto, potremmo giungere alla medesima soluzione approntata dalla Corte, passando però direttamente attraverso la causa di scambio cui tale contratto assolve e che pertanto ci impone di considerare come essenziale il godimento effettivo del bene da parte del soggetto utilizzatore (292).

290 Vedi sul punto i richiami alla ‘‘giustizia contrattuale’’ di BARALDI, Il governo giudiziario della discrezionalità contrattuale, in Contratto e Impresa, 2007, pp. 500 ss. e GALGANO, La categoria del contratto alle soglie del terzo

millennio, 2000, p. 925 ss.

291 Si pensi in particolare all’art. 1579 c.c. a mente del quale i vizi tali da rendere impossibile il godimento della cosa giustificano sempre la risoluzione della locazione indipendentemente dai patti intercorsi tra le parti, nonchè, all’art. 1490 c.c. inerente l’ipotesi di mala fede del venditore. In dottrina vedi CASELLI, Leasing, in Contratto e Impresa, 1987, p. 220 e V. BUONOCORE,

‘‘Leasing’’, in Noviss. Dig. It., Torino, 1983, p. 80. 292 Sul punto vedi Cass., 29 settembnre 2007, n. 20592.