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DI RISPARMIO ENERGETICO

Nel documento Cronache Economiche. N.007-008, Anno 1977 (pagine 69-76)

Franco Fox

È indubbio che in buona parte gli at-tuali problemi di inquinamento e di cri-si energetica sono risolvibili con il rag-giungimento di uno stadio più evoluto di quello raggiunto dalla progettazione nei vari settori tecnologici.

Molti dei gravi problemi della natura appena menzionata e che travagliano in questo momento soprattutto l'uma-nità più tecnicamente progredita, sono infatti stati determinati da una progetta-zione molto miope avvenuta in un re-cente passato in cui i responsabili del-la ricerca scientifica non avevano anco-ra anco-raggiunto una sensibilità e maturità ecologica sufficiente perché fosse data loro la « licenza di progettare ». Purtroppo solo « sbagliando si impara » e solo dopo decenni si possono ora in-dividuare certi fenomeni di accumulo di danno che spesso, anche se individuati o almeno intuiti in fase di progetto ini-ziale, venivano con maggiore o minore buona fede sottovalutati o taciuti dagli ideatori e promotori, smaniosi come ge-neralmente erano e sono di ottenere fa-ma e risultati concreti a breve scadenza. Come conseguenza però di tante scotta-ture ricevute nel recente passato si ha ora l'impressione che non ci si

abban-doni più ai facili entusiasmi di una vol-ta verso tutte le novità sfornate dalla progettazione tecnologica in un clima di uno sfrenato ed insano consumismo, ma che almeno le persone dotate di un certo senso di responsabilità abbiano assunto un atteggiamento più critico e cosciente nella valutazione di certi fenomeni. Malgrado questa introduzione non vor-rei essere giudicato come uno che non crede nell'aiuto dato dal progresso scientifico e tecnologico al progresso umano in generale. Anzi si è dispiaciuti che tanti meravigliosi risultati ottenuti dalla scienza e dalla tecnica possano esere sminuiti nella loro importanza da questi dannosi fenomeni inquinanti col-laterali che potrebbero essere evitati con un po' più di ponderatezza ed onestà in fase di progetto.

Un'esigenza alla quale ormai non può più sottrarsi una progettazione « moder-na » (nel senso cioè di essere cosciente dei problemi ecologici di inquinamento e di depauperamento energetico che es-sa può determinare con i suoi prodotti) è quella della « polifunzionalità » che l'oggetto progettato deve essere in gra-do di espletare nell'arco della sua vita. In altri termini, un qualsiasi oggetto

quando viene progettato non deve esse-re pesse-revisto con una forma, con delle di-mensioni, con tipi e qualità di materiali in vista dell'espletamento da parte sua di una sola funzione, ma di più funzioni diverse da espletarsi nel tempo. Se per esempio nella progettazione di un'autovettura si terrà almeno presente che questa una volta che avrà assolto al-la sua prima funzione, che è quelal-la di servire come veicolo, dovrà assolvere a quella di essere facilmente riciclabile anche se solo a livello di rottamazione, questo sarà già un primo passo verso la progettazione polifunzionale. Logica-mente il senso di questa parola sarà tan-to più compiutan-to quantan-to più numerose e pregiate saranno le funzioni successi-ve che i vari componenti o addirittura tutto l'oggetto potranno svolgere duran-te l'arco della loro vita.

Se per esempio, per restare sempre nel caso della progettazione dell'auto, du-rante questa si prevederanno degli abbi-namenti fra le parti in vetro della vet-tura (parabrezza, lunotto, vetri laterali) con alcune in lamiera (portiere, cofano, padiglione) in modo che, finita la prima funzione di veicolo, queste parti siano facilmente staccabili ed accoppiabili per

Muro formato da bottiglie a forma di mattone, adatto a riempire le intercapedini fra muri esterni e muri interni per coibentare termicamente gli edifici.

Sezione di bottiglie a forma di mattone avvitate in serie. Prima di avvitare i filetti di vetro, questi devono essere avvolti con nastro di teflon.

Bottiglia a forma di mattone avvitabUe ad una contigua. Sezione di bottiglie cilindriche avvitate in serie. Bottiglia cilindrica avvitabUe,

adatta a formare canalizzazioni resistenti agli acidi.

Sotto:

Progetto di autogrill utilizzante energia solare con l'impiego di un collettore ad acqua calda costituito da bottiglie vuote a forma di mattone.

A destra:

Altre utilizzazioni.

, __ Villetta con pannelli solari ad acqua ' " \ ™ installati sul tetto.

Uscita acqua calda

Faccia interna delle bottiglie rivestite in alluminio

Pannello solare ad acqua costituito da bottiglie a forma di mattone avvitate fra loro, da collocare sul tetto degli edifici.

Ingresso acqua fredda Uscita 'acqua calda Ingresso acqua fredda

Sezione de! collettore solare.

Collettore solare ad acqua orientabile costituito da bottiglie a forma di mattone avvitate fra loro.

formare delle celle solari, avremo de-stinato questi oggetti a svolgere due fun-zioni pregiate già in fase progettativa, alle quali poi potrà più oltre seguire la terza funzione di recupero da rottame. Viene a questo punto spontaneo chie-dersi cosa si intende per funzione più o meno pregiata. Ci sembra giusto rispon-dere: una funzione è tanto più pregiata quanto maggiore è il risparmio nel bi-lancio globale energetico che essa deter-mina.

Le forme di riciclaggio sono infatti mol-teplici, da quelle primordiali della rotta-mazione e della rifusione, a quelle del recupero di particolari da destinarsi al-lo stesso uso o ad altri.

Ognuna di queste operazioni ha un suo bilancio energetico dovuto ai processi di trasformazione ai quali si deve ricor-rere ed è logico che qualsiasi scelta fra tipi diversi di riciclaggio è condizionata da un confronto di spese energetiche rapportate al valore di mercato dell'og-getto che si deve produrre.

Si deve tenere sempre presente che due sono i fattori principali determinanti il prezzo di un dato materiale o oggetto:

1) la sua disponibilità;

2) le spese energetiche per ottenerlo. Vorrei ora brevemente illustrare una proposta per un esempio di progettazio-ne polifunzionale. Essa consiste progettazio-nello

stampare le bottiglie « vuoto a perdere » a forma di mattone affinché esse pos-sano, una volta esaurita la loro prima funzione di contenitori di liquidi vari, assumerne una seconda nel settore del-l'edilizia.

Questa esigenza nasce da molte consi-derazioni:

1) il vetro a perdere costituisce attual-mente un grave elemento di disturbo delle operazioni di ricupero dei rifiuti solidi, specialmente quando se ne vuo-le ricavare dei concimi;

2) il riciclaggio del rottame di vetro ot-tenuto mediante la sua rifusione è una via energeticamente dispendiosa; 3) l'attuale politica di risparmi energe-tici da attuarsi negli edifìci suggerisce l'impiego di materiali energeticamente poveri da impiegare nella coibentazione delle abitazioni per ridurre i consumi di combustibile per il loro riscaldamento; 4) il trasporto di bottiglie a forma

squa-drata è più agevole e conveniente che non quello delle tradizionali.

Gli accorgimenti tecnici di progettazio-ne di tali bottiglie sono:

1) esse devono avere un corto collo ci-lindrico per rendere agevole lo sversa-mento del liquido in esse contenuto e la loro chiusura con tappo a vite o a pressione;

2) nel loro fondo dovrà essere stampata una rientranza tale da consentire in es-sa l'alloggiamento del collo della botti-glia contigua. Tale incavo potrà essere anche filettato in modo da permettere, quando lo si desideri, l'avvitamento di bottiglie contigue, previo avvolgimento del filetto maschio con nastro di teflon. In questo caso si potranno ottenere ca-nalizzazioni continue in vetro per liqui-di corrosivi, ma sarà meglio stampare in questo caso le bottiglie con forma ci-lindrica;

3) le superfici esterne del mattone di vetro dovranno essere rugose per per-mettere la presa su di esse della malta cementizia o del collante che servirà ad unirli per formare i muri;

4) dovranno essere introdotte delle di-mensioni standard a livello nazionale per permettere che bottiglie aventi capa-cità diverse siano comunque fra loro combinabili per innalzare i muri.

L'impiego più utile ed immediato di questi mattoni di vetro in edilizia ap-pare quello di innalzare con essi negli alloggi muri perimetrali di isolamento termico. La bassa conducibilità del ve-tro e la presenza in ogni bottiglia di una camera d'aria a perfetta tenuta sono gli argomenti che convincono al riguardo. Infiniti altri impieghi però possono essi ricevere grazie alla fantasia degli utiliz-zatori, come innalzare divisori trasluci-di con possibilità trasluci-di circolazione inter-na ad essi di liquidi colorati, lucerinter-nari vari, calotte paraboliche, con circolazio-ne interna d'acqua e fondo opaco, per raccogliere energia solare, igloo semi-trasparenti, ecc...

Auguriamoci che almeno il miraggio di potersi divertire con queste « bottiglie quadre » una volta vuote, invogli qual-cuno a stamparle finalmente in questo modo per il bene di tutti.

QUARTIERI

E PARTECIPAZIONE

Marco Bonatti

Le elezioni dei consigli circoscrizionali sono previste a Torino per il 30 otto-bre 1977. Non si tratta ancora di una data definitiva, visto che l'indizione del-le consultazioni è fortemente condizio-nata dall'accordo politico fra i partiti, sia a livello locale che nazionale. Se si svolgeranno, le elezioni rappresenteran-no comunque urappresenteran-no dei più importanti mutamenti « istituzionali » nel rapporto fra amministratori ed amministrati e nel modo stesso di intendere la partecipa-zione alla vita della città. La scelta del-la « istituzionalizzazione » dei consigli di quartiere rappresenta infatti la tappa finale di un cammino,di partecipazione che si è sviluppato in diverse città ita-liane e straniere in questi ultimi anni, sulla spinta soprattutto della contesta-zione studentesca ed operaia del '68-69. Il movimento dei comitati spontanei di quartiere, che ha alle spalle già altre esperienze di democrazia diretta (dai consigli di gestione nelle fabbriche ai CLN zonali dell'immediato dopoguerra) ha trovato nella particolare situazione del '68-69 l'occasione per un coagulo ed uh « salto di qualità ». Se prima la caratteristica principale dei comitati spontanei di quartiere era stata la « ter-ritorialità », intesa come impegno diret-to nelle realtà del proprio quartiere, ne-gli anni della contestazione i comitati spontanei diventano momenti molto più significativi: in essi si vede l'occasione per sperimentare un rapporto diverso con il potere; e si tenta il passaggio da una « democrazia della delega » ad una democrazia diretta. L'aggrega-zione spontanea dei cittadini non vuole essere un momento alternativo alle isti-tuzioni esistenti, ma piuttosto l'occasio-ne per riunire gruppi e persol'occasio-ne che non si riconoscono soltanto nella logica dei partiti, e che cercano altre forme di par-tecipazione alla vita pubblica.

E proprio la « democrazia diretta » la caratteristica che forse differenzia mag-giormente i comitati di quartiere degli anni fra il '68 ed il '70 rispetto agli esperimenti precedenti. Mentre infatti restano inalterate altre connotazioni, eome ad esempio la territorialità, il fat-to nuovo nei comitati spontanei è rap-presentato da questo sforzo di parteci-pare e far parteciparteci-pare i cittadini in un rapporto ben diverso da quello

elettora-le (o partitico) tipico della « democra-zia della delega ».

L'assumere la partecipazione come ca-ratteristica essenziale del lavoro nel quartiere ha alcune conseguenze, cui è utile accennare brevemente. Innanzitut-to lo sforzo costante per giungere ad un'azione unitaria: non si vuole cioè reinventare le differenziazioni ideologi-che già esistenti fra i partiti, ma piutto-sto confrontarsi su problemi concreti sforzandosi non tanto di « interpretare » le situazioni secondo i propri schemi quanto di trovare un « terreno comu-ne » su cui agire in modo unitario. Una seconda caratteristica da sottolinea-re è lo sforzo per confrontarsi su sottolinea-realtà locali concrete: il rischio che alcuni quartieri hanno corso è stato proprio quello di trasformare le assemblee e le riunioni in palestre di oratoria per fru-strati dalla « grande politica », vanifi-cando cosi ogni sforzo di concretezza. Una terza caratteristica, forse la più im-portante sul piano del metodo, è la ricer-ca costante del confronto con la popola-zione: il comitato spontaneo non intende essere un organo « rappresentativo » in senso stretto, ma piuttosto una cellula di animatori, di persone che stimolano nei cittadini l'interesse ai problemi lo-ro più vicini. Questa ricerca del con-fronto si è tradotta in forme diverse: dalle assemblee di quartiere o di caseg-giato alla formazione di commissioni permanenti per l'esame di singoli pro-blemi (scuola, casa, verde, sanità...) a riunioni specifiche per affrontare un te-ma particolarmente urgente, al volanti-naggio, ecc.: in ogni caso il comitato di quartiere ha cercato di proporsi sempre come un gruppo aperto e pronto a rice-vere ogni contributo che rispettasse due sole condizioni: il rispetto dell'opinione altrui e l'accettazione del metodo demo-cratico.

Questo brevissimo (e incompleto) schiz-zo delle caratteristiche del movimento dei comitati spontanei è ovviamente ri-costruito a posteriori, sulla base delle esperienze compiute dai quartieri tori-nesi in questi ultimi anni: è evidente che all'interno di queste linee generali ogni comitato ha avuto caratteristiche proprie, anche estremamente differen-ziate, ed ha compiuto evoluzioni diver-se. C'è però una « storia comune »

al-l'intero movimento dei comitati sponta-nei torinesi: una storia che rappresenta un ulteriore salto di qualità rispetto al comitato legato soltanto al proprio ter-ritorio. Con la formazione del coordina-mento dei comitati di quartiere (1972), la partecipazione spontanea acquista una dimensione cittadina: e il fatto stes-so che più quartieri si aggreghino accre-sce anche il peso e la portata dell'intero movimento.

Il coordinamento è stato per alcuni an-ni (dalla sua formazione fino a metà del 1975) il vero « motore » delle iniziative e delle scelte più importanti compiute dai quartieri: proprio perché ha assun-to come base l'intera città, i problemi di ogni quartiere hanno trovato un in-quadramento più organico ed hanno avuto una « interpretazione » più com-pleta. La funzione del coordinamento si è rivelata determinante non tanto sul piano organizzativo (ogni comitato ha sempre conservato una notevole autono-mia per le proprie iniziative) ma su quello della riflessione e del dibattito comune sui problemi della città. La mo-bilitazione cittadina per le consultazio-ni della variante 17 al piano regolatore (il famoso « piano dei servizi »), la bat-taglia condotta contro le « opere farao-niche » (seconda pista di Caselle, auto-strada Torino-Pinerolo, centro direzio-nale a Cit Turin, ecc.) hanno trovato nel coordinamento il punto di coagulo e di formulazione di proposte alterna-tive.

Si può senz'altro affermare che la for-mazione del coordinamento ha contri-buito a dare « prestigio » all'intero mo-vimento dei quartieri, e a farne per un certo periodo di tempo un valido inter-locutore dell'amministrazione comunale sulle decisioni che richiedevano una scelta precisa in merito al « modello di città » che si intendeva realizzare. Sulla più recente evoluzione dei rappor-ti fra comitarappor-ti di quarrappor-tiere e coordina-mento, e fra coordinamento e poteri pubblici non è il caso qui di soffermar-ci: il cambio di maggioranza in consi-glio comunale dopo le amministrative del 15 giugno ha indubbiamente influito sulla « politica » dei comitati di quar-tiere; e il progressivo crescere del dibat-tito intorno al problema della « istitu-zionalizzazione » ha posto in secondo

piano temi che negli anni fra il '70 e il '74 erano senz'altro prioritari.

* * *

Di istituzionalizzare i comitati di quar-tiere, cioè di trasformare l'aggregazio-ne spontal'aggregazio-nea dei cittadini in un'assem-blea riconosciuta (elettiva o nominata che sia) si è parlato fin dall'inizio del-l'esperienza dei comitati spontanei. In altre città italiane 1 esistono già da an-ni orgaan-ni di decentramento ammian-nistra- amministra-tivo, o come organi elettivi o come as-semblee nominate dal consiglio comu-nale, che hanno essenzialmente una fun-zione consultiva. A Torino esperienze di questo genere non hanno mai trovato, per diverse ragioni, lo spazio necessario per crescere. Prima dei comitati sponta-nei nella loro forma attuale è giunta in consiglio comunale una sola proposta di regolamentazione, che però non venne mai approvata. Soltanto dopo il '70 si fa strada l'ipotesi di realizzare forme di de-centramento di alcuni servizi ammini-strativi (anagrafe, ambulatori di zona, centri civici, ecc.) e, parallelamente, di « istituzionalizzare » la partecipazione dei cittadini attraverso organi che ab-biano come obiettivo specifico la tratta-zione dei problemi locali. 11 primo do-cumento « ufficiale » in questo senso è la « bozza Valente », dal nome dell'al-lora assessore al decentramento, del lu-glio 1974: essa rappresenta il primo tentativo organico di istituzionalizzare i comitati; la delibera però, approvata in consiglio comunale, viene bocciata dal comitato regionale di controllo per-ché non esiste alcuna legge nazionale che disciplini il decentramento. La nuova giunta eletta dopo il 15 giu-gno 1975 fa proprio l'impegiu-gno della isti-tuzionalizzazione: due bozze di regola-mento (una presentata dalla giunta PCI-PSI, l'altra dalla DC) vengono discusse a lungo nei quartieri e in apposite con-sultazioni con la popolazione nell'autun-no del 1976, dopo l'entrata in vigore della legge quadro sul decentramento approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento nella primavera dello stesso anno: ma ancora una volta, do-po l'approvazione della delibera da par-te del consiglio comunale, il comitato di controllo boccia il regolamento

isti-tutivo e impone quindi l'elaborazione di una nuova proposta. Solo nella pri-mavera di quest'anno la seconda delibe-ra istitutiva supedelibe-ra lo scoglio del Co.re.co.; le elezioni vengono fissate per il 30 ottobre.

Il regolamento approvato dalle forze politiche assegna ai consigli elettivi di circoscrizione (la città è stata divisa in 23 circoscrizioni, i cui confini sono omogenei con quelli delle unità locali dei servizi, con la zonizzazione scola-stica e psichiatrica) poteri decisionali abbastanza limitati: il loro compito di-venta però non indifferente nella pro-spettiva politica che la giunta afferma di voler fare propria: quella cioè di disag-gregare il bilancio comunale quartiere per quartiere: e di assegnare quindi ai consigli elettivi la preparazione della porzione di bilancio riguardante il pro-prio quartiere. Ma è evidente che un progetto di questo genere sarà realizza-bile solo dopo alcuni anni di rodaggio. Di fronte alla istituzionalizzazione i co-mitati spontanei hanno assunto, nel tem-po, posizioni diverse: molto « diffiden-ti » nel 1974, all'epoca della prima boz-za di regolamento, le posizioni all'inter-no del coordinamento si soall'inter-no poi diver-sificate. Da una parte gli « spontanei-sti » tendevano a difendere il valore dell'aggregazione spontanea, non limita-ta da elezioni e formalità burocratiche, né dall'ingresso dei partiti, con propri uomini e propri mezzi, in un terreno fino allora « riservato » proprio a chi non si identificava pienamente nell'ideo-logia e nella prassi politica di un parti-to. Dall'altra parte, fra i fautori dell'isti-tuzionalizzazione, si puntava piuttosto sul problema della rappresentatività: un consiglio di quartiere elettivo assicurava la presenza di tutte le forze, e il suo ruolo sarebbe stato proprio quello di non « trascurare » anche quelle presen-ze culturali, ricreative, religiose —

che a livello di quartiere hanno la pro-pria espressione. L'istituzionalizzazione, inoltre, significava uscire dall'ambiguo terreno dello spontaneismo ed ottene-re un riconoscimento giuridico e mag-giori possibilità organizzative: fattori non trascurabili se si considera la po-vertà di mezzi e di persone in cui i co-mitati spontanei hanno operato in que-sti anni.

Angolo di quartiere (litografia di E. Sogno).

Ma sull'istituzionalizzazione non si sono mai formate precise « correnti » all'in-terno del movimento dei quartieri: si è trattato piuttosto di accentuazioni di questo o quel momento, o di riferimenti alla linea di un partito politico. Una posizione che ci sembra particolarmen-te significativa ed equilibrata è quella che assegna ai consigli di quartiere « istituzionalizzati » compiti specifici, secondo il regolamento approvato in consiglio comunale; ma che reclama an-che la garanzia di uno spazio a tutte le forze che intendano aggregarsi spon-taneamente: queste forze dovranno tro-vare posto accanto al consiglio eletti-vo, e funzionare costantemente da sti-molo e da « controllore » dell'attività dei membri eletti. In questa linea si sal-vano le istanze fondamentali del movi-mento « spontaneo » senza

Nel documento Cronache Economiche. N.007-008, Anno 1977 (pagine 69-76)