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Cronache Economiche. N.007-008, Anno 1977

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(1)

-SCROnflCHE

ECononvcHE

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI TORINO - Spedizione in abb. postale (IV gr.) / 70 - 2" semestre

(2)

insieme nel mondo

servizi estero Sanpaolo

dove puoi trovare collaboratori esperti;

dove puoi operare al passo con i tempi, con sicurezza ed efficienza;

dove i tuoi affari possono assumere nuove e più ampie dimensioni.

(3)

In questo paese di montagne

dove trasportare e muoversi è più difficile.

L'Italia è un paese di montagne per i tre quarti del territorio.Qui la natura costringe l'uomo a vivere "in salita" Qui occorrono precise tecnologie che tengano conto del duro contesto in cui si deve operare. La Fiat conferma, anche qui, la "volontà di continuare" con un programma appositamente studiato

per gli uomini e le comunità che vogliono vivere, lavorare e difendere questo ambiente.

Automobili La Fiat Campagnola, il fuoristra-da a"dimensione alpina",è una vera "arrampicatrice", con la capacità di superare pendenze del 100%. Le sospensioni indi-pendenti sulle quattro ruote e la doppia trazione ne fanno il vei-colo ideale per i collegamenti rapidi sui terreni accidentati.

Veicoli industriali I Fiat e gli OM 65P-75P-90P (4x4) sono autocarri "fuori stra-da", in grado di affrontare, a pie-no carico, pendenze del 70%. La trazione integrale e il dispo-sitivo di bloccaggio dei diffe-renziali conferiscono a questi mezzi agilità insospettata an-che sui tracciati più impervi.

Trattori agricoli I Trattori Fiat sono una linea di modelli, a doppia trazione o cingolati, da 28 a 150 CV. Sicuri sui pendii più ripidi e sci-volosi, veramente "aggrappati al terreno", rappresentano il mezzo ideale per il recupero delle risorse agricole e zoo-tecniche della montagna.

Macchine movimento terra Ogni veicolo Fiat Allis costitui-sce un sistema di lavoro alta-mente specializzato: dallo spe-gnimento degli incendi, allo sgombero delle nevi, al rimbo-schimento, al lavoro nelle ope-re di ingegneria alpina. Sempope-re con coefficienti elevatissimi di affidabilità in condizioni limite.

ansa

(4)

CENTRO REGIONALE PER IL COMMERCIO ESTERO

DEL PIEMONTE

Costituito dalle Camere di Commercio del Piemonte in collaborazione con le associazioni

degli imprenditori piemontesi

IL CENTRO REGIONALE

PER IL COMMERCIO

ESTERO

è stato costituito per aiutare gli operatori a risolvere TUTTI i problemi connessi all'esportazione: commerciali, doganali, valutari, assicurativi, giuridici, finanziari, ecc.

L'assistenza è fornita sia con iniziative generali di INFORMAZIONE E FORMAZIONE, sia con iniziative specifiche di CONSULENZA e PROMOTION.

A) Informazione

Il Centro intende sopperire alla sempre maggiore necessità di informazioni da parte delle aziende su normativa italiana, normativa estera, notizie commerciali tramite:

• Pubblicazioni periodiche.

• Comunicazioni scritte agli utenti secondo necessità ed esigenze espresse e registrate in apposito schedario.

• Riunioni su temi generali o specifici (incontri su normativa italiana,

giornate di incontri con esperti di Paesi esteri, presentazione di studi di mercato, ecc.).

B) Formazione

Per consentire il costante aggiornamento professionale dei funzionari, il Centro organizza: • Corsi di prima formazione per un approccio

ai problemi dell'esportazione.

• Corsi di formazione per funzionari di azienda addetti all'export.

• Giornate di studio su temi specifici (finanziamento ed assicurazione del credito all'esportazione, disposizioni valutarie, sistemi di distribuzione diretta o tramite agenti e concessionari, ecc.).

C) Consulenza

Per risolvere i problemi specifici delle aziende nel corso delle singole operazioni con l'estero, il Centro offre:

• Consulenza Marketing

(ricerche di nominativi, studi di mercato, dati economici e statistici, norme valutarie, problemi finanziari ed assicurativi).

• Consulenza doganale

(legislazione doganale, regime delle importazioni ed esportazioni, procedure semplificate,

documenti amministrativi, normativa CEE ecc.). • Consulenza contrattuale e giuridica

(contratti con agenti e concessionari stranieri, licenze di brevetto e know-how, arbitrato internazionale, modelli di contratti in più lingue).

D) Promotion

Per fornire una valida guida per la penetrazione nel mercato estero ritenuto più conveniente per un dato prodotto, il Centro mette a disposizione la sua organizzazione per: • Missioni di operatori italiani all'estero. • Visite di operatori esteri in Italia.

• Partecipazioni a mostre e fiere specializzate. • Attività di pubblicità all'estero sui vari canali di informazione, anche tramite inviti in Italia a giornalisti stranieri.

C E N T R O R E G I O N A L E

P E R IL C O M M E R C I O E S T E R O D E L P I E M O N T E - 10123 Torino

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RIVISTA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI TORINC

SOMMARIO

3 L'armeria reale di Torino F r a n c o M a z z | n

13 Il finanziamento degli investimenti degli enti locali Mario Re^ 17 Zootecnia piemontese degli anni '70 Fausto M . Pastorin 21 Riflessioni sull'industria dell'abbigliamento Claudio A. Mossett 29 Protezione del consumatore e responsabilità del fabbricante Fabio Bortolott 32 Più facile esportare per i piemontesi Bruno Cerratc 38 Per una utilizzazione promozionale dei registri delle Camere di commercio Giancarlo Biraghi - Franco Alunne

41 Valle di Susa: autostrada si o no? * * i

52 Benefici di una nuova infrastruttura viaria nella Valle di Susa Alberto Russo Frattas

59 Ecologia: dai discorsi ai fatti Carlo Novar:

65 Un esempio di risparmio energetico Franco Fo>

69 Quartieri e partecipazione Marco Bonatt

75 La Sioi torinese ha compiuto trent'anni Alfonso Bellandc 79 Prospettive economiche dell'elicicoltura Massimo Boccalett 81 Di una finanza sociale nell'età antica Costanza Costantinc 84

oo

Tra i libri

In copertina:

Armeria reale di Torino.

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni debbono essere indirizzati alla Direzione deli! rivista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gl scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pensiero dell'Autore e non impegnano I; Direzione della rivista né l'Amministrazione camerale. Per le recensioni le pubblicazion debbono essere inviate in duplice copia. È vietata la riproduzione degli articoli e delle not< senza l'autorizzazione della Direzione. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si resti tuiscono.

Editore: Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino. Presidente: Enrico Salza

Giunta: Domenico Appendino, Mario Catella, Giuseppe Cinotto, Renzo Gandini, Franc<

Gheddo, Enrico Salza, Alfredo Camillo Sgarlazzetta, Liberto Zattoni.

Direttore responsabile: Giancarlo Biraghi Vice direttore: Franco Alunno

Redattore capo: Bruno Cerrato Impaginazione: Studio Sogno

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Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura e Ufficio Provinciale Industria Commercio e Artigianato

Sede: Palazzo degli Affari

Via S. Francesco da Paola, 24

Corrispondenza : 10123 Torino

Via S. Francesco da Paola, 24 10100 Torino - Casella Postale 413.

Telegrammi : Camcomm Torino. Telefoni: 57161 (10 linee). Telex: 23247 CCIAA Torino. C/c postale: 2/26170.

Servizio Cassa :

Cassa di Risparmio di Torino. Sede Centrale - C/c 53.

Borsa Valori 10123 Torino

Via San Francesco da Paola, 28.

Telegrammi : Borsa. Telefoni: Uffici 54.77.04 Comitato Borsa 54.77.43 Ispettorato Tesoro 54.77.03. Borsa Merci 10123 Torino

Via Andrea Doria, 15.

Telegrammi : Borsa Merci

Via Andrea Doria, 15.

Telefoni: 55.31.12 (5 linee).

Gabinetto Chimico Merceologico (presso la Borsa Merci) 10123 Torino

Via Andrea Doria, 15.

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È stata riaperta al pubbli-co lo spubbli-corso giugno, dopo una solenne cerimonia inaugu-rale con l'intervento del Ministro per i Beni Culturali sen. Mario Pedini: un fatto che, fra l'altro, ha riempito per alcuni giorni le cronache dei quotidiani anche per le incertezze circa l'accessibi-lità totale del museo, dovute alla dispe-rante carenza di personale addetto alla custodia (tuttora purtroppo perduranti). Era stata chiusa nel gennaio 1969 quan-do s'era iniziata quell'opera di vaglio e di revisione scientifica del materiale che vide anche l'intervento di due speciali-sti stranieri, Bruno Thomas e Ortwin Gamber, allora rispettivamente diretto-re e conservatodiretto-re dell'Armeria di Vien-na. Quando, in un mese di intenso la-voro, furono eliminati i falsi patenti, fu-rono accantonati i pezzi « in stile », pro-dotti di un artigianato ottocentesco ec-cellente, ma non accostabili alle cose d'epoca; furono smembrate o ricompo-ste correttamente armature che erano state oggetto di completamenti arbitra-ri, secondo concetti decorativi di como-do; furono eliminati fronzoli e aggeggi ridondanti suggeriti dalla letteratura ro-mantica deteriore; quando, in altre paro-le, furono poste le basi del nuovo asset-to del museo, di un nuovo tipo di espo-sizione e presentazione degli oggetti. Quindi erano iniziati quei lunghi otto anni che sono risultati necessari sia per i restauri e il recupero dell'ambiente che ospita le raccolte, sia per realizza-re il riordino vero e proprio. Otto anni: incredibili, specie per il profano che forse cerca di spiegarseli con le solite croniche carenze dell'amministrazione statale. Che potrà essere anche vero, ma solo in parte e aggiungendo però, fra le carenze, quella ben più grave, costitu-zionale, del personale tecnico, la cui presenza avrebbe da un lato contenuto le spese, eliminando il ricorso alla ma-no d'opera esterna, dall'altro

abbrevia-to i tempi, consentendo una efficace con-tinuità operativa. Comunque, in quegli otto anni vanno inclusi anche altri ele-menti oggettivi: le sospensioni, le pause imposte dal coordinamento di interventi e operazioni non sovrapponibili; i tem-pi di studio della affatto nuova impo-stazione del museo, dell'esperimento delle vetrine-contenitori che dovevano sostituire le vecchie di neo-gotico dise-gno, ospitando però tutto il materiale già accampato pittorescamente sulle pareti marmoree della galleria Beaumont; i tempi di studio dei problemi che strada facendo si presentavano, non prevedibi-li; la inevitabile lentezza esecutiva di certe operazioni come la stessa mostra dei pezzi — quasi 2000 — cui si dove-va pervenire attraverso laboriose tappe intermedie: raggruppamento e sistema-zione sperimentale su pannelli o soste-gni interinali, per verificarne l'effetto; quindi formazione di supporti definitivi in tondino di ferro (su base universale a snodo), si badi, un supporto per cia-scun oggetto esposto, secondo tipo in-gombro peso e foggia dell'oggetto me-desimo: da un elmo a un paio di spe-roni, da una spada a un brocchiere, da una pistola a una balestra, da un archi-bugio a un'alabarda, per limitarsi alle cose di più comune cognizione. Men-tre per le armature, intere o parziali, al-l'impiedi o equestri, si sono studiati più complessi supporti ad hoc, e tali da con-sentire la eliminazione del manichino e una « posizione » anatomicamente più corretta.

E tutto, per giunta, condizionato da un tiranno assoluto, lo spazio: s'intende la mancanza di spazio, spazio di manovra e di disimpegno che, in assenza di

depo-L'ARMERIA

DI TORINO

Franco Mazzini

REALE

Borgognotta

con rilievi cesellati e agemine in oro, raffiguranti

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sca-In alto:

Scorcio dei locale d'ingresso detto la Rotonda, già piccolo teatro di corte poi trasformato in sala da ballo nel 1820 per

le nozze della principessa Maria Teresa; circa ventanni dopo ridotto alle forme attuali da Pelagio Peiagi che ne disegnò la decorazione,

dalle travature del soffitto al fregio e al severo ammobigiiamento recuperato

dal recente restauro. La sala è dedicata per io più ad armi

militari del XIX secolo, ma ospita anche armi in asta dei XV sec. XVIII fin primo piano, accanto a due

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Nella pag. 4 in basso, da sinistra a destra:

Un angolo della sala ex-medagliere dove è stato esposto il fiore delle

collezioni esotiche, extra-europee. Una delle due testate della galleria,

disegnate da Benedetto Alfieri. In alto: trofei bellici e allegorie della Vittoria e della Fama, stucchi di

Giuseppe Muttoni (1737-41). Le statue visibili ai lati, di Ignazio

e Filippo Collino, raffigurano la Rettitudine e l'Affabilità (1760-63).

In alto:

Galleria Beaumont: uno dei sei tavoli a parete riabilitati nella nuova sistemazione. Essi fanno parte della decorazione marmorea policroma disegnata da Benedetto Alfieri. Le sculture si devono alla collaborazione di Simone Martinez e dei fratelli Collino (1755-75).

A sinistra:

Giacomo Spalla: La liberazione dell'assedio

di Torino (1706). È uno dei quattro bassorilievi

dedicati alle vittorie militari sabaude, i cui soggetti erano stati stabiliti nel 1823. ma che solo nel '32 furono compiuti e messi in opera.

Claudio Beaumont: L'Olimpo, con Venere

implorante da Giove la salvezza di Enea.

È /'/ grande scomparto centrale delle storie dell'iI Eneide » nella volta della galleria che prese poi nome dal pittore di corte sabaudo, che la esegui a partire dal 1738.

A destra:

Particolare della galleria prima del riordino museografico. Evidente — specie nel confronto con le immagini seguenti — // pittoresco affastellarsi delle cose esposte.

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Ione alfieriano alla scoperta di antiche vestigia nel sottotetto; per non citare che le voci più risonanti di una lunga sequenza.

Da sottolineare, infine, che dovendo operare per cosi dire sul duplice fronte del riordino museografico e, contestual-mente, del recupero dell'ambiente — un ambiente articolato in tre locali del tut-to diversi che non hanno permesso l'adozione di un unico registro — oc-correva, mentre si pensava al museo, ri-spettare la realtà, oggettiva e preesi-stente, della sede, specie nella galleria Beaumont dove Juvarra e Alfieri, gli scultori e il citato pittore hanno lasciato testimonianze di grande rilevanza stori-co-artistica.

È a questo punto che il lettore, come un qualsiasi visitatore, potrebbe porsi il quesito: perché si è dato corso a tan-ta impresa destinatan-ta a priori a una so-luzione compromissoria — un museo nel museo! — anziché cercare altrove una sede neutra, dove, fra l'altro, una delle massime raccolte d'armi e armatu-re che si conoscano avarmatu-rebbe potuto spa-ziare in una rassegna molto meno fitta e serrata. Per rispondere, è indispensa-bile qualche cenno storico sulle origini dell'Armeria, che devono inquadrarsi nel momento storico-politico dei primi anni di regno di Carlo Alberto (poco dopo il 1831), con riferimento a quel deciso orientamento verso riforme e ini-ziative anche nel campo artistico e cul-turale, e di cui appunto l'istituzione di due pubblici musei, la « Sabauda » e l'Armeria, sono prova.

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Nella pagina accanto:

Uno scorcio delia galleria riordinata: le vetrine sono raggruppate lungo l'asse centrale dell'ambiente recuperato anche arch/tettonicamente. Nei grandi riquadri parietali, forse destinati in origine

a una decorazione pittorica o ad ospitare arazzi, sono distesi i drappi di alcune bandiere storiche.

Un altro scorcio della stessa galleria: sulla pedana, un'armatura italiana fine '500; sul cavallo dal manto tigrato, un'altra armatura cinquecentesca, dei Mattei di Roma.

A sinistra:

Pistola a ruota lancia-dardi, a canne rotanti, di armaiolo tedesco (inizio XVI sec.). Appartenuta all'imperatore Carlo V.

Testiere di barda spigolata,

detta « alla massimiliana », di armoraro forse milanese, fine XV - inizio XVI secolo.

sembra sapere di parafrasi letteraria di un noto passo dello storiografo Luigi Lanzi (puntualmente citato dal france-se), perché scaturisce da acute e convin-centi osservazioni di prima mano. Se può restare il sospetto che al Roussel poteva far velo il fatto che Carlo Alber-to venticinquenne aveva militaAlber-to sotAlber-to bandiera francese, guadagnandosi la Le-gion d'Onore alla Campagna di Spagna nel 1823, è pur vero che siffatto giudi-zio risulta confermato da tante pagine del « diario » carlalbertino nonché, a di-stanza di tempo, dalle analisi storiche dei nostri giorni.

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Sopra:

Armatura bianca equestre di Otto Heinrich di Baviera (XVI sec.); appiedata perché se ne potesse meglio apprezzare l'eccezionale pregio degli ornati a sbalzo e a niello.

Al centro, dall'alto in basso:

Rotella da parata con rilievo cesellato e agemina in oro: raffigurante san Giorgio che abbatte il drago. Di probabile provenienza

genovese, sec. XVI. Armatura turca completa, in maglia

e piccole piastre, recante ii marchio dell'Arsenale di Istanbul (inizio XVI sec.).

A destra:

Spada del XVI secolo, con lama ageminata in oro e argento.

Nella pagina accanto:

Armatura da giostra dell'armoraro milanese Negroii (seconda metà del '500).

Appartenente a Emanuele Filiberto, che ia indossa parzialmente, « all'eroica » sopra ii saglio, nel noto ritratto di parata eseguito

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l'istituzione dell'Armeria poteva adom-brare.

L'allestimento volutamente spettacola-re, al di là di quanto imputabile al gu-sto del tempo, sembra confermarlo, se già un contemporaneo, il solito Roussel (ma qui non si può che stare tutti dalla sua parte) biasimava i curatori del neo-museo sabaudo per essersi lasciati do-minare dalla preoccupazione di « éblou-ir le spectateur au moyen du groupe-ment habile et symétrique des armu-res, au lieu de les classer suivant l'or-dre historique et cronologique ». Per questo, in ogni modo, si è trovata anche una motivazione tecnica partico-lare nei precedenti « scenici » dei Gal-liari all'Arsenale torinese, dove molte armi ed armature, poi raccolte per il costituendo museo, erano state montate in trofei e panoplie che si ritrovano in alcuni acquerelli di Pietro Ayres, mol-to significativi dell'imperante gusmol-to « troubadour » e della stretta connessio-ne allora esistente fra costumi, allesti-menti teatrali e divise militari (vedi

L'Armeria reale riordinata, a cura di

F. Mazzini, Torino, 1977, pag. 27). Non è tuttavia che le critiche transalpi-ne abbiano sortito qualche effetto; infat-ti, di pari passo con la divulgazione della letteratura e della pittura del Ro-manticismo storico, la ricerca della sug-gestione storica perseguita anche a costo di integrazioni arbitrarie, di arric-chimenti artificiosi, non si arrestò negli anni successivi, nel secondo Ottocento. Divenne anzi un tratto caratteristico, ti-pico dell'Armeria torinese che conservò tale fisionomia tradizionale e cara al gran pubblico in chiave sentimentale pa-triottica. Indicativa è in tal senso la no-tazione nella Descrizione di Torino del Berto lotti (1840): « ... qual commozio-ne in un cuor piemontese il vedervi

[nell'Armeria] le armi portate da' suoi principi a S. Quintino, a Torino, a Guastalla! Gli par di rivivere in quelle gloriose vittorie... ».

Al tempo dell'unità d'Italia l'Armeria era ormai entrata nel repertorio em-blematico del Piemonte sabaudo, in-clusa nella Guida Illustrata

dell'Ita-lia Settentrionale, edita a Milano dal

Sonzogno. Appare insomma evidente il rapporto con la vicenda storica ri-sorgimentale, quale che sia il valore

in-Archibugi, fiasche e pistole del XV/-XVII secolo, donate ai Savoia forse d3 principi tedeschi. Sono tra i capolavori dell'Armeria,

specie per lo straordinario pregio degli ornati e delle figurazioni a intarsio d'avorio e delle parti

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A sinistra:

Armatura bianca equestre, « disarcionata » nel vaglio critico del 1369 perché risultava completata con parti non pertinenti. Proveniente dalla famiglia bresciana dei Martinengo, seconda metà del XVI sec.

Sotto:

Particolare della celata di un'armatura da giostra (inizio

del XVII sec.) appartenuta al principe Emanuele Filiberto, terzogenito di Carlo Emanuele /.

Da notare l'ornato di soli incisi e dorati che spiccano sul metallo bronzato.

trinseco della raccolta come tale. E la stessa storia esterna del museo è ben distinta da quella della istituzione car-lalbertina gemella, la quadreria (oggi Galleria Sabauda), la quale già occupa-va, con gran parte delle tele più presti-giose, proprio la galleria Beaumont; che, all'atto della sua costituzione — nel 1832, cinque anni prima dell'Arme-ria — fu sistemata in palazzo Madama, perciò subito fuori della residenza rea-le; che poi, nel 1860, fu donata dalla Corona allo Stato Italiano, che ne dispo-se il trasferimento nel palazzo dell'Ac-cademia delle Scienze, perfezionandone cosi la fisionomia di pubblico istituto, e

con un direttore del calibro di Alessan-dro Baudi di Vesme.

L'Armeria, invece, come rimase inalte-rata nella sua sede originaria, rimase alla Corona, con tutte le prerogative della raccolta dinastica alla quale i membri della famiglia reale, insieme a doni, acquisti e altri incrementi, legaro-no oggetti e armi personali; dove, nella direzione affidata a esponenti dell'Eser-cito, prevalse, su quello storico-estetico, l'interesse tecnico-militare.

Poi, in seguito al referendum del 2 giu-gno 1946 l'Armeria (col palazzo reale), dall'Amministrazione dei Beni Dema-niali già dotazione Corona passò in con-segna alla competente Soprintendenza, quindi, di recente, definitivamente allo Stato e ai suoi organi tecnici.

Ora, centoquarantanni dopo la fonda-zione, questo museo ha così iniziato un capitolo nuovo della sua storia, e con un volto nuovo. Quello tradizionale, delle panoplie spettacolari, dei manichi-ni di pelle e delle maschere di cartape-sta adocchianti fieramente di sotto le ce-late, dei velluti e dei pennacchi vario-pinti, è scomparso. Forse qualcuno ne ha nostalgia, tacitamente; ma solo per comprensibili motivi sentimentali, ma-gari legati a un ricordo d'infanzia. Era però un volto appartenente a un mondo ormai lontano, a una sensibilità da troppo tempo tramontata; e che appari-va ormai incompatibile non solo con il concetto del museo modernamente in-teso, anche in senso scientifico, ma al-tresì in senso didattico e di comunica-zione proprio col pubblico. Nulla pe-raltro è andato perduto, ché ne resta-no le testimonianze oggettive, i docu-menti fotografici, che potranno sempre servire agli studiosi. Apposta si è pub-blicato, intanto, il volume sopra ricor-dato che, fra l'altro, è un rapporto della metodologia e delle fasi di lavoro illu-strate da sequenze di immagini e dida-scalie che mettono a confronto situazio-ni preesistenti, fasi intermedie, procedi-menti, risultati finali.

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ol-tre la sezione orientale cui è stata riser-vata la sala aggiunta dell'ex-medagliere. Anzi, è cresciuta e come rigenerata nel rigoroso vaglio critico cui si è sottopo-sta; è là nella sua sontuosa sede stori-ca testé completamente riscoperta, per-ciò con quel singolare distintivo di mu-seo « diverso » dalla generalità degli al-tri: perché continua a vivere in un am-biente cui è legata tutta una vicenda storica non soltanto sabauda e piemon-tese, vicenda che ogni visitatore può ri-percorrere evocandola da testimonianze artistiche che da sole basterebbero a elevare quell'ambiente a rango di « mu-seo ».

Ma non solo per questo l'Armeria è cambiata.

Entriamo nella « galleria » del Beau-mont. In luogo della pittoresca sceno-grafia è intervenuto un ordine ragiona-to sulla scorta dei raggruppamenti sragiona-to- sto-rici dei vari oggetti; che ha sostituito an-che le precedenti simmetrie « decorati-ve », ingannevoli in quanto fine a sé stesse e non certo fatte per chiarir le idee al visitatore, pur se ne appagavano superficialmente il colpo d'occhio. Le uniche simmetrie, ora, sono nella dispo-sizione delle vetrine, raggruppate lungo l'asse centrale e solo in funzione del ri-spetto ambientale e dei « campi » corri-spondenti al disegno e alle decorazioni delle pareti.

Ma è cambiato profondamente soprat-tutto il rapporto fra museo e visitatore. Infatti, quei raggruppamenti storici de-gli oggetti in ciascuna vetrina, quella di-sposizione secondo una spaziatura pro-porzionata e ritmica, riposante e per così dire silenziosa sullo sfondo del pan-no-carta da zucchero cui la luce spio-vente conferisce toni ora cerulei ora di morbida ombra, consentono ad un tem-po una visione d'insieme e un'agevole osservazione ravvicinata del singolo pezzo, esibito quanto è possibile con le angolazioni consentite dagli speciali supporti.

Interruzioni di codesto ritmo contenuto, con qualche concessione allo spettaco-lo: i cavalli e le armature laterali. I cavalli, sporgenti dai vani delle dodi-ci finestre, sembrano rompere anche il silenzio con quella possente imminen-za fisica in uno spazio angusto, eccezio-nali sculture lignee piene,

terribilmen-te vere ricoperterribilmen-te come sono di auterribilmen-tentico manto equino; e quando portano in groppa quelle spigolose e rilucenti arma-ture, possono stuzzicare inevitabilmente fantastiche rimembranze di battaglie e tornei forse soltanto vagheggiati. Per-ché — ancor questo è un tratto « di-verso » d'un siffatto museo — proprio le armature che sembrano più complete e perfette hanno poi servito unicamente da parata: niente più che un costume per una ricorrenza, per ricevere regal-mente un ospite importante. Basti un'oc-chiata, qui stesso, al ritratto di Emanue-le Filiberto dipinto dall'Argenta, posto accanto all'armatura equestre del duca. Un'occasione per rilevare come questo tipo di museo non interessa soltanto la storia militare ma altresì del costume (per tacere della storia dell'arte che, al-l'Armeria torinese, è onorata dalla pre-senza di pezzi famosi anche per il solo pregio artistico).

Le armature che, intere o parziali, sono schierate lungo le pareti, fra camini e consoles, corredate di qualche « rotel-la », di svettanti picche arotel-labarde parti-giane falcioni; anche quando spietata-mente mutile, hanno trovato nel sup-porto neutro, in quell'ardito ma neces-sario restauro « spaziale » una sorta di integrazione fisiologica non dissacrante, che non importuna il riguardante; così come l'assenza dei manichini o di altro surrogato corporeo nelle tanto appari-scenti armature equestri non sembra aver scandalizzato alcuno. Una prova che anche il pubblico è cambiato. Anzitutto per una ragione di fondo, è da credere. Perché il pubblico è indubbia-mene maturato, magari inconsciamente, nel quotidiano incontro con l'immagine imposto dalla comunicazione attuale dei mezzi visivi, dal cinema alla televisione alla pubblicità d'ogni tipo. Ciò che lo abitua ad accettare e decifrare anche moduli di immagine ermetici, allusivi, meno espliciti di quelli considerati tra-dizionali.

D'altronde — diversamente da quanto avviene in una raccolta di quadri, dove il soggetto della figurazione suggerisce di per sé certi riferimenti ovvii e invita a una contemplazione, più o meno pro-fonda e consapevole, dell'immagine — in un museo come il nostro l'oggetto, sussidiato dalla didascalia, suggerisce

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IL FINANZIAMENTO

DEGLI INVESTIMENTI

DEGLI ENTI LOCALI

Mario Rey

L'attuale situazione relativa alla possi-bilità di ottenimento di mezzi finanzia-ri (diversi, ovviamente, da entrate cor-renti) per la costruzione di opere pub-bliche dei comuni si presenta piuttosto complessa. In primo luogo infatti alla normativa finanziaria in vigore, in mate-ria di accensione di mutui, si sono an-date sovrapponendo sia normative tran-sitorie sia regole di comportamento dei vari istituti mutuanti, che tendono a di-versificare le risorse disponibili in rela-zione al tipo di intervento ed in relazio-ne all'entità dell'opera richiesta. Accanto a questi elementi occorre ag-giungere che negli ultimi anni i vincoli finanziari alla accensione di mutui per opere pubbliche da parte dei comuni so-no andati perdendo di rilievo rispetto ad altri tipi di condizionamento. Que-sti condizionamenti discendono dai sem-pre più stretti legami esistenti tra la pos-sibilità di accensione di un mutuo ed il riconoscimento di contributi in conto capitale e / o interessi da parte dell'ente Regione. Questa connessione non solo intende risolvere la vecchia incongruen-za, nella quale spesso si trovavano le amministrazioni locali di vedersi rico-noscere un contributo in conto interessi e / o quota capitale di un mutuo ancora da ricercare o da accendere, ma vuole introdurre una sempre più assorbente direttiva programmatoria nel tipo di opera pubblica, nella sua localizzazione, nella sua rilevanza in relazione alle ca-renze evidenziate e alle collettività che ne possono fruire (es. rilevanza interco-munale, ecc.).

Tutto questo impone alla amministrazio-ne comunale, interessata alla realizzazio-ne di opere pubbliche, la messa a punto di una serie di strategie e modalità di comportamento, di cui l'esame delle condizioni di bilancio costituiscano so-lo un aspetto e non sempre il più im-portante della questione.

Per quanto riguarda il collegamento tra le possibilità di accensione di mutui e le condizioni di bilancio i vincoli esisten-ti sono solo due. In primo luogo quello fissato dall'art. 300 del T.U. della Legge comunale e provinciale e successive mo-dificazioni (in part. L. 5-1-1950, n. 10) per cui « salvi i casi previsti da leggi speciali, nessun mutuo può essere con-tratto dai comuni e dalle provincie se

gli interessi di esso, aggiunti a quelli dei debiti o mutui di qualunque natura pre-cedentemente contratti, facciano giun-gere le somme da iscrivere al bilancio per il servizio degli interessi, ad una cifra superiore al quarto delle entrate effettive ordinarie, valutate in base al conto consuntivo dell'anno precedente alla deliberazione relativa al mutuo ». Al riguardo occorre fare due osservazio-ni. La prima concerne la circostanza che tale vincolo riguarda la quota interessi, e non anche l'importo della quota ca-pitale. Poiché, come è noto, i mutui ven-gono contratti in modo da rendere l'one-re annuo l'one-relativo complessivamente con-siderato (interessi più rimborso capitale) pari ad una quota percentuale costante per la durata del mutuo stesso, in modo tale per altro che all'inizio il peso pre-valente è da attribuirsi agli interessi e poco al rimborso, situazione che si rove-scia man mano che si procede con il periodo di ammortamento, se ne evince che sono soprattutto i mutui di più re-cente assunzione che vengono a pesare sul vincolo predetto.

In secondo luogo le situazioni di dero-ga a questa norma sono andate facendo-si assai ampie con riferimento a mutui contratti per un ampio ventaglio di opere pubbliche, il che consente alla amministrazione di superare, quanto al-l'ammontare degli interessi, il tetto del 25 per cento delle entrate ordinarie. I mutui, in cui gli interessi non sono computati nel quarto delle entrate effet-tive ordinarie, sono i seguenti:

a) mutui per i pareggi economici dei

bilanci (art. 3 D.L.L. 11-1-1945, n. 51),

b) mutui per l'esecuzione di opere

pub-bliche di interesse degli enti locali (ar-ticolo 23, L. 3-VIII-1949, n. 589 e suc-cessive modificazioni) vale a dire: ope-re igieniche, acquedotti, fognatuope-re, mat-tatoio;

c) mutui per l'esecuzione di opere rela-tive all'edilizia scolastica (L.

24-VII-1962, n. 1073);

d) mutui per la realizzazione di opere di

viabilità comunale (art. unico, L. 4-VII-1971, n. 601).

Inoltre il termine di entrata effettiva or-dinaria, data la nuova classificazione delle entrate e delle spese, va

conside-rato con riferimento ai titoli I, II e III delle entrate, cioè entrate tributarie, compartecipazioni a tributi erariali e entrate extra-tributarie al netto delle en-trate « una tantum ». In altre parole si tratta dell'aggregato a cui si fa riferi-mento nel quadro dimostrativo della si-tuazione economica del bilancio di pre-visione (art. 5 D.P.R. 8-III-1965, n. 670).

Infine occorre ricordare che i comuni i cui bilanci di previsione siano stati presentati in disavanzo economico sono soggetti ad inviare una copiosa docu-mentazione alla Divisione finanza locale del Ministero dell'interno; copie della deliberazione e dei pareri degli organi di controllo di legittimità e di merito tecnico, dichiarazioni relative ai vincoli in merito alla quota interessi e alla di-sponibilità di delegazioni (cfr. ultra), eventuali contributi statali e regionali, ecc.

In secondo luogo viene il vincolo rela-tivo alle delegazioni di pagamento a ga-ranzia dei mutui. Esso è disciplinato da-gli articoli 15 e 16 del D.P.R. 26-X-1972 n. 638, che modificando la prece-dente legge 13-VI-1962 n. 855, così re-citano « Le province, i comuni... pos-sono rilasciare a garanzia di mutui... de-legazioni di pagamento a valere sul get-tito dei tributi e delle compartecipazio-ni a tributi erariali di loro spettanza nel limite dell'80 per cento del gettito dell'ultimo anno... » (art. 15), ed inol-tre « F i n o al 31-XII-1977 (termine del periodo transitorio previsto dalla legge di riforma tributaria n.d.r.) gli enti di cui al precedente articolo possono rila-sciare delegazioni di pagamento anche sulle somme che le Intendenze di finan-za sono tenute a corrispondere agli en-ti stessi » (art. 16) quali attribuzioni di somme sostitutive a compenso dei tribu-ti locali soppressi.

Con il successivo D.P.R. 3-1-1976 n, 17 è stato disposto che l'intero ammontare di tali somme sostitutive possa essere impegnato per le delegazioni.

(18)

l'applicazione delle disposizioni concer-nenti il servizio di raccolta e smaltimen-to dei rifiuti solidi urbani. Infine pos-sono essere date delegazioni anche sul contributo dello Stato per le spese per la pubblica istruzione, purché il mutuo sia destinato ad opere relative alla pub-blica istruzione stessa.

Questa normativa viene a stabilire un diretto collegamento tra la possibilità di accesso al credito e la espansione delle entrate correnti di natura tributaria o tariffaria. Tale collegamento è stato in parte snaturato dalla soppressione della autonomia impositiva locale, che ha eli-minato questa opportunità di maggiore capacità di indebitamento connessa ad un maggiore sforzo fiscale e tariffario da parte della comunità amministrata. A questa che potremmo definire la nor-mativa ordinaria di vincolo finanziario occorre aggiungere le recenti disposizio-ni del d.l. 17-1-1977 n. 2 convertito in legge 18-111-1977, n. 63, noto come de-creto o legge Stammati, contenente di-sposizioni per il consolidamento delle esposizioni bancarie a breve termine di comuni e province, ma con norme che vanno ben al di là di tale consolida-mento.

Infatti l'art. 2 al terzo comma cosi di-spone: « Fino al 31 dicembre 1977 i cespiti delegabili potranno essere impe-gnati, sino alla concorrenza di importi di spesa già deliberati e non concretati in mutuo, a garanzia di mutui destinati esclusivamente ad opere pubbliche ob-bligatorie con priorità per quelle indi-cate dall'art. 16 bis della legge 16-X-1975 n. 492 » cioè opere igienico-sani-tarie, asili-nido, scuole materne, verde pubblico attrezzato.

Questo significa che fino alla fine del 1977 gli enti locali possono contrarre mutui solo se: a) abbiano deliberato gli importi di spesa prima del 17 gennaio 1977; b) si tratti di opere pubbliche obbligatorie. In altre parole per questo periodo non sarà invece possibile assu-mere mutui per nuove opere pubbliche, ancorché indicate come obbligatorie dalla legge comunale e provinciale, an-che se assistite da contributo regionale. Neppure sarà consentito contrarre mutui per nuovi maggiori importi conseguen-ti ad aumenconseguen-ti di asta, revisioni prezzi, perizie suppletive ed a variante

relati-vi ad opere pubbliche deliberate ante-cedentemente al 17-1-1977.

In ogni caso, anche indipendentemente dal predetto divieto, che, se protratto oltre comprometterebbe il ruolo strate-gico delle amministrazioni comunali nel settore degli investimenti pubblici, le condizioni di accesso al credito da parte dei comuni presentano un ventaglio di variabilità quanto mai ampio. Con rife-rimento all'elemento più saliente cioè l'onere complessivo medio annuo, inte-ressi più quota di ammortamento, si va da quote del 9 % per la cassa depositi e prestiti, al 9,75% per gli istituti di previdenza, a circa il 12 per cento per gli istituti di credito per le opere pubbli-che ed il credito sportivo, al 14% circa per l'istituto nazionale delle assicurazio-ni, a oltre il 18% per gli altri istituti di credito (quali Istituto S. Paolo, Cassa di risparmio di Torino).

Anche la durata del mutuo varia in mi-sura rilevante. Infatti si passa dai mutui di durata di 35 anni della cassa DD.PP. ai 15 o 20 anni dei mutui dello Istitu-to S. Paolo e della Cassa di risparmio, con soluzioni intermedie per gli altri enti prima indicati.

Inoltre il comportamento di tali istituti di credito diventa sempre più vincolato ad indicazioni selettive e di carattere programmatorio dettate dagli organi di governo centrale e regionale, che fan-no diminuire la discrezionalità nella erogazione, esistente un tempo nel set-tore, legata in genere alle opportunità contrattuali dell'ente locale.

Ad esempio per quanto riguarda il più importante degli enti predetti, la Cassa depositi e prestiti, vengono in genere se-guiti alcuni criteri nella accettazione di domande di mutuo. Le priorità tengo-no conto dei seguenti elementi:

a) completamenti di opere, sempreché

il mutuo principale non sia stato erogato da altri istituti di credito; analoga regola vale nel caso di mutui per perizie sup-plettive ecc.;

b) nuove opere non assistite da contri-buti regionali: tutte fino a 50 milioni

per opera e per comune;

c) mutui per l'edilizia scolastica: fino

a 100 milioni per complesso;

d) nuòve opere assistite da contributo regionale:

— opere igienico-sanitarie (acquedot-ti, fognature, cimiteri, ospedali, matta-toi ecc.) fino a 250 milioni per opera e per comune;

— opere stradali, impianti elettrici, se-di municipali, fino a 100 milioni per opera e per comune;

e) in ogni caso precedenza ai mutui per

opere igienico-sanitarie.

Da quanto detto in precedenza appare evidente come nelle presenti circostanze diventi un elemento determinante per la politica comunale di opere pubbliche la possibilità di accedere a contributi sta-tali e regionali, ma soprattutto a questi ultimi. La possibilità di poter fruire di tali contributi infatti determina due conseguenze:

a) un onere finanziario ricorrente per

tutta la durata dei mutuo nettamente in-feriore, con possibilità di liberare ri-sorse per altre spese correnti, ivi compre-se quelle derivanti da altri mutui. Co-me Co-meglio si dirà in seguito, attualCo-men- attualmen-te l'onere differenziale può essere assai sensibile, in quanto si passa, ad esem-pio, dall'onere del 3 per cento a carico del comune per i contributi 35ennali regionali al 16 per cento per mutui non assistiti da contributo assunti presso un istituto di credito, cioè 3 milioni contro 16 milioni annui per ogni 100 milioni di mutuo; b) la pratica sicurezza di po-ter ottenere mutui da istituti, quali la cassa DD.PP., che praticano tassi assai più bassi.

Questo conferma la tesi sostenuta da al-cuni per cui l'unica politica .di entrate del comune... consiste nella maggiore o minore iniziativa nello sfruttare le pos-sibilità di finanziamenti statali e regio-nali (Allegretti).

(19)

scolasti-Anche in funzione notte e giorno, non basterebbe a coprire ie necessità.

ca realizzata per delega (L. 641/1967). In particolare il primo tipo di contribu-to, basato sulla legge 3-VIII-1949 n.589, cosiddetta legge Tupini, e sue mo-dificazioni, ha costituito uno strumento di intervento dello Stato che per quasi 25 anni ha svolto un ruolo da protago-nista rispetto a tutti gli altri interventi nel settore dell'investimento pubblico. Attualmente tale materia è stata regola-ta, nell'ambito d^lla competenza trasfe-rita, dalla Regione Piemonte con la L.R. 16-V-1975 n. 28 (modificata con succes-siva L.R. 30-VIII-1976 n. 49). Tale leg-ge prevede due possibilità: a) contri-buti in capitale; b) contricontri-buti 35ennali. Il contributo in capitale è concesso: a) ai consorzi di comuni, nella misura del 90 per cento per interventi relativi ad

acquedotti ed a collettori e impianti di depurazione di acque reflue; b) ai

comu-ni, nella misura dell'80 per cento per interventi relativi ad acquedotti,

fogna-ture ed impianti di depurazione; c) ai

comuni, nella misura del 70 per cento per interventi nel campo della viabilità

comunale (80 per cento se i comuni

fanno parte di comunità montane). I contributi in annualità costanti 35en-nali sono riconosciuti nella misura del

6 per cento, se il mutuo viene contrat-to con la Cassa DD. e PP., e nella misura del 9 per cento se viene contratto con

al-tro istituto di credito. Essi vengono con-cessi, oltreché per tutte le opere prima indicate per cui e ammesso il contributo in conto capitale, cioè acquedotti, fogna-ture, depuratori e strade comunali, al-tresì per altre opere, e precisamente: sedi municipali, mattatoi, ambulatori e presidi sanitari; edifici per attività cul-turali; inceneritori di rifiuti solidi ur-bani; illuminazione pubblica, strutture

commerciali e mercati.

Vengono infine previsti contributi sup-pletivi in relazione ad aumenti d'asta, revisione prezzi, perizie suppletive ecc. Questa normativa è stata oggetto in se-guito di numerose circolari regionali esplicative, la cui conoscenza è essen-ziale al fine di garantire il buon fine di una domanda di contributo. In parti-colare si ricordano le circolari del 28 maggio 1975, del 29 dicembre 1975, del 21 aprile 1976, e soprattutto quella del 6 ottobre 1976. Quest'ultima circolare indica infatti i criteri generali e settoria-li di priorità suggeriti per una migsettoria-liore utilizzazione dei fondi all'interno dei

comprensori, ai cui organi è stato

de-mandato il compito di provvedere alla ripartizione.

I criteri generali di priorità sono i se-guenti:

(20)

ri-chiesti della Cassa DD. e PP. (assicuran-do cosi nel massimo gra(assicuran-do possibile il collegamento tra concessione del contri-buto e concessione del mutuo); — opere sovracomunali;

— opere per le quali esistono già pro-getti;

— opere di completamento; — opere igienico-sanitarie;

— valutazione delle arretratezze stori-che delle zone;

— attuazione corretta delle previsioni urbanistiche, evitando espansioni, non pianificate e programmate (questa nor-ma va ulteriormente letta alla luce del-la recente legge 28-1-1977 n. 10 in ma-teria di Edificabilità dei suoli e con par-ticolare riferimento all'art. 13 sui pro-grammi pluriennali di attuazione); — soddisfacimento di bisogni attuali ed urgenti.

Sono inoltre dettati vari criteri relativi a vari settori di intervento quali: a)

via-bilità (rapporto con il sistema dei

tra-sporti; collegamenti con frazioni; ope-re di sicuope-rezza; rapporto con il ope-resto della rete viabile); b) acquedotti (prio-rità delle zone prive, con esclusione del-le lQttizzazioni private; zone con situa-zioni preoccupanti; utilizzasitua-zioni pluri-me; rapporti con l'ecologia e l'agricol-tura; preferenza per acquedotti per ca-duta); c) fognature (priorità per le zone prive; rapporti con l'ecologia; garanzie sanitarie in senso stretto); d) sedi

muni-cipali (opere effettivamente necessarie;

connessioni con altri servizi, come am-bulatori e centri sociali; preferenza per consolidamenti e recuperi, specie nei centri antichi, rispetto alle nuove co-struzioni); e) impianti elettrici (valuta-zione disponibilità ENEL; razionalizza-zione impianti esistenti, con possibile ri-duzione dei consumi; sicurezza impian-ti esistenimpian-ti).

I suddetti criteri sono di per sé suffi-cientemente eloquenti per poter oppor-tunamente orientare le strategie dell'am-ministrazione comunale in ordine agli interventi in opere pubbliche. Si noti in-fine che tali elementi di selezione di priorità diventeranno ancora più strin-genti in relazione alla possibile appro-vazione da parte del Consiglio

regiona-le di una normativa regionaregiona-le in mate-ria di uso del territorio, di cui possono già intravvedersi i caratteri, invero assai rigidi, quali emergono dal D.D.L. 117/ 1976 della Giunta regionale. In altre parole, strumentazione e gestione urba-nistica — contributi regionali — e di-sponibilità di mutui tendono a diventare momenti non più isolati ma sempre più coordinati.

In conclusione l'amministrazione potrà opportunatamente orientare le proprie decisioni in materia di investimenti pubblici, tenendo conto dei seguenti ele-menti:

a) tipo di intervento, con priorità per

le opere igienico-sanitarie;

b) entità della spesa; con priorità per

i piccoli importi;

c) urgenza ed emergenza del fabbiso-gno;

d) modalità di realizzazione, con

prefe-renza per l'attuazione a lotti specie per grossi importi;

e) fruizione sovracomunale (non

neces-sariamente gestione consortile); /) fase di programmazione e di attuazio-ne (riferimento alla strumentazioattuazio-ne ur-banistica; collegamento con programmi di altri enti; stato della progettazione e della documentazione di supporto; di-sponibilità delle aree; intervento di completamento);

g) valutazione finanziaria dell'onere del-l'indebitamento.

(21)

ZOOTECNIA PIEMONTESE

DEGLI ANNI 7 0

Fausto M. Pastorini

PRODUZIONI DI ORIGINE A N I M A L E E D O M A N D A DI ALIMENTI A D

ELEVATO VALORE BIOTROFICO

L'esigenza di aumentare nel nostro pae-se la produzione delle derrate di origine animale è dovuta alle ben note istanze avanzate, almeno da una quindicina di anni a questa parte, dalla crescente do-manda di alimenti ad elevato valore biotrofico — quali sono appunto i pro-dotti di origine animale — corrispon-dentemente alla crescita del reddito na-zionale.

È dato di comune conoscenza che la produzione interna degli alimenti suc-citati non è riuscita a soddisfare le at-tese. E le aspettative sono andate deluse poiché la zootecnia esercitata sul com-plesso del territorio nazionale non è stata dovutamente assistita da un piano di sviluppo specifico, elaborato e coe-rentemente sostenuto dai pubblici po-teri.

Questa osservazione di carattere gene-rale riflette poi sfumature diverse ove la si collochi nell'ambito dei differenti sistemi agricolo-zootecnici adottati negli spazi regionali e nelle più ampie circo-scrizioni economico-agrarie in cui l'Ita-lia si suddivide.

Riguardo all'attività zootecnica svilup-patasi in Piemonte negli anni Settanta si rileva che, per configurarne attendi-bilmente le linee operative, occorre ri-spondere a due domande, importanti e fondamentali.

La prima domanda concerne le risorse e gli strumenti operativi predisposti ed utilizzati dagli allevatori piemontesi; a questo riguardo è interessante conoscere

quali sono state le risorse disponibili e

come le medesime sono state impiegate. La seconda domanda pertiene

all'orga-nizzazione degli allevamenti ed ai red-diti conseguiti dagli allevatori.

I dati assunti in argomento e qui di se-guito esposti provengono dall'elabora-zione di statistiche ufficiali, le quali non sempre riflettono, come noto, l'immagi-ne veritiera del fenomeno cui si rifescono. Tuttavia, quando l'indagine ri-guarda problemi di carattere economico-produttivo le cui grandezze — dalle produzioni ai prezzi, dai ricavi ai costi

A tavola tutte assieme.

ed ai redditi — sono quantitativamente definite, i dati statistici che ne derivano permettono di ricostruire e di delineare i fenomeni esaminati secondo un quadro di riferimento sufficientemente prossimo alla realtà.

RISORSE E STRUMENTI OPERATIVI DELL'ATTIVITÀ ZOOTECNICA

PIEMONTESE NEGLI A N N I SETTANTA

Per quello che si riferisce alla la doman-da — risorse e strumenti operativi — le conclusioni tratte dalla disamina de-gli accertamenti in merito raccolti sono le seguenti:

1) quanto alle risorse alimentari desti-nate a scopi zootecnici si è constatato che i foraggi di produzione aziendale hanno rappresentato mediamente, in va-lore nutritivo, il 9 2 % delle risorse to-talmente disponibili. Ciò significa che l'alimentazione degli allevamenti ani-mali piemontesi dipende in misura as-sai rilevante dalle capacità produttive espresse nell'interno dell'azienda agri-cola ed è specificamente vinagri-colata alle

aree aziendali adibite a prato da vicen-da, ad erbaio, a prato permanente irriguo;

2) si è osservato che il rapporto tra il valore nutritivo delle disponibilità ali-mentari ed il peso vivo del patrimonio animale mantenuto si è collocato, in li-nea generale, su livelli ragionevolmente soddisfacenti e sintomatici di una forag-gicoltura che ha saputo attestarsi su po-sizioni idonee a consentire l'esercizio di un'attività zootecnica non casuale né estemporanea, ma tuttavia oppressa e compromessa da nocive e perseveranti condizioni di equilibrio instabile nella linea ricavi-costi;

3) si è riscontrato che l'attività e gli in-teressi degli allevatori piemontesi si so-no indirizzati per la massima parte verso la specie bovina. Ad es. nel quinquen-nio 1970-74 risulta che il peso vivo del patrimonio animale allevato è ascrivibi-le per il 9 0 % circa, in media, alla spe-cie bovina e che alla medesima spespe-cie appartiene mediamente il 6 7 % dei capi in allevamento. D'altro canto questa cir-costanza è venuta a riconfermare una consuetudine che ha più di mezzo seco-lo di vita;

(22)

preval-gono numericamente su quelli con atti-tudine alla produzione del latte e che tra i gruppi etnici ascrivibili al primo insieme risulta predominante la r. b. Piemontese, al cui riguardo gli allevatori hanno svolto una faticosa e lunga opera di « costruzione » per accentuarne nel tempo l'attitudine alla produzione della carne;

5) si è infine rilevato che gli allevatori, costretti da situazioni mercantili pesan-temente negative, hanno dovuto forzata-mente ridimensionare, nel 1973 e nel 1974, la consistenza degli allevamenti. L'operazione si è effettuata attraverso la diminuzione dei bovini da latte, mentre si sono mantenuti pressoché intatti gli allevamenti di soggetti da carne, in spe-cie quelli di razza Piemontese, coerente-mente all'importanza attribuita dagli al-levatori a tale razza. Intanto, però, nel 1973, il ridimensionamento degli alleva-menti ha provocato indirettamente, se-condo dati estimali attendibili, la per-dita di 40.000 vitelli, 1.400.000 ettolitri di latte, 12.000.000 di quintali di le-tame.

Le considerazioni espresse nei punti ora esposti disdicono fermamente le illa-zioni, da qualche parte avanzate, su una pretesa sottoutilizzazione del dispositivo produttivo messo in opera dagli alleva-tori piemontesi, anche se tale disposi-tivo appaia ancora perfettibile per varie vie, come per altro perfettibili sono tutti gli strumenti creati dall'uomo. Ad es. nel campo delle produzioni foraggiere emerge l'assoluta necessità di un loro

impiego senza sprechi. Non va infatti

dimenticato che produrre latte e carne, cioè produrre proteine animali, costa caro non soltanto in termini monetari, ma anche sul piano della trasformazione

biologica ove si consideri che occorrono

più di 3 kg di proteine vegetali, conte-nute nei f o r a c i e nei mangimi, per pro-durre un chilogrammo di proteine ani-mali, contenute nei prodetti ricavati da-gli allevamenti.

Nel campo del razionamento, poi, oc-corre impedire che gli animali subisca-no la pressione negativa dei cosiddetti « fattori stressanti » dovuti in gran par-te a difetti o ad eccessi alimentari, poi-ché tali fattori contribuiscono a provo-care il grave fenomeno dell'infertilità.

A causa dell'infertilità gli allevamenti bovini piemontesi hanno patito un dan-no ecodan-nomico valutato mediamente at-torno a 16 miliardi 600 milioni annui nel quinquennio 1970-74.

Relativamente alla 2a domanda — or-ganizzazione degli allevamenti e redditi ottenuti dagli allevatori — appare inte-ressante esporre innanzitutto alcune bre-vi considerazioni critiche sulla

dimen-sione degli allevamenti e delle aziende

nelle quali i medesimi si realizzano.

DIMENSIONI OPERATIVE DEGLI ALLEVAMENTI BOVINI

È già stato ricordato che in Piemonte gli allevamenti bovini sono quelli di maggior rilevanza: essi vengono

prati-cati da oltre il 4 0 % delle aziende agri-cole complessivamente operanti nella regione.

Ora, con specifico riferimento alla spe-cie bovina risulta che, indipendentemen-te dall'esindipendentemen-tensione della superficie azien-dale, le aziende che esercitano l'alleva-mento bovino possono distinguersi in

3 grandi gruppi riguardo alla

consisten-za numerica dei capi allevati:

1° gruppo: aziende con nuclei

d'alleva-mento di minima entità (da uno a non più di 10 capi) che per ciò stesso non possono realizzare un'attività zootecnica modernamente evoluta;

2° gruppo: aziende con nuclei

d'alleva-mento di media entità (da 11 a 20 capi) il cui indirizzo produttivo occupa le prime fasce della validità zootecnica;

3° gruppo: aziende con nuclei

d'alleva-mento di superiore entità il cui indiriz-zo produttivo risulta inequivocabilmente zootecnico (da 21 a 50 capi) o eminen-temente zootecnico (oltre i 50 capi). Orbene, le aziende del 1° gruppo, cioè quelle con nuclei d'allevamento fino a 10 bovini, concentrano soltanto il 2 9 % dei bovini allevati, ma costituiscono il 7 2 % del totale delle aziende praticanti l'allevamento bovino (Tab. n. 1). Se poi si considerano le aziende per classi di superficie agricola utilizzata si osserva:

— che quelle di minima e di modesta estensione — da meno di un ettaro fino a 10 ettari — radunano il 9 4 % degli allevamenti che non superano i 10 capi ed il 7 1 % degli allevamenti da 11 a 20 capi;

— che le aziende da 10 a 20 ettari espri-mono interessi zootecnici che possono ritenersi raccordabili a soddisfacenti li-velli di produttività poiché concentrano il 4 7 % degli allevamenti da 21 a 50 capi ed il 16% degli allevamenti con oltre 50 capi;

— che le aziende da 20 a 50 ettari riuniscono il 4 7 % degli allevamenti con oltre 50 capi e sono quindi in grado di raggiungere posizioni produttive otti-mali (Tab. n. 2).

Questi rilievi conducono a dedurre che

nella panoramica del patrimonio bovi-no piemontese si viene ad inserire una non piccola frangia di allevamenti fra-zionati condotti in aziende ugualmente frazionate.

È evidente che questa frangia produt-tiva si presenta sul mercato con una of-ferta dispersa ed atomistica, che contri-buisce ad indebolire il potere contrat-tuale degli allevatori.

Di qui l'inderogabile necessità di pro-muovere ogni utile iniziativa che asse-condi l'associazionismo degli allevatori che operano su dimensioni d'allevamen-to ai margini della convenienza econo-mica. Senza discutere il diverso grado di efficienza delle varie formule asso-ciazionistiche, vale tuttavia riflettere che, secondo i casi e le differenti circo-stanze, gli allevatori associati possono limitare il loro interesse alla sola fase della produzione strettamente zootecni-ca con la realizzazione di stalle sociali, oppure possono allargare i loro intendi-menti associativi alla programmazione delle produzioni foraggiere che rappre-sentano il naturale supporto degli alle-vamenti, ed ancor oltre fino alla com-mercializzazione dei prodotti.

(23)

• — — • — Tabella 1. A z i e n d e a g r i c o l e in P i e m o n t e c o n a l l e v a m e n t i b o v i n i , p e r c l a s s i di ampiezza d e g l i a l l e v a m e n t i Classi di ampiezza A z i e n d e (n. capi) n. % Fino a 10 Da 11 a 20 Da 21 a 50 Oltre 50 84.234 17.485 11.597 3.148 72,3 15,0 10,0 2,7 372.172 257.063 372.808 275.992 29.1 20,1 29.2 21,6 Totali 116.464 100,0 1.278.035 100,0

NOTA. I dati riprodotti sono stati elaborati in base alle risultanze tratte dal 2° Censimento qenerale dell'agricoltura (25 ottobre 1970). ——— Tabella 2. A z i e n d e a g r i c o l e in P i e m o n t e c o n a l l e v a m e n t i b o v i n i : p e r c l a s s i di S A U d e l l e a z i e n d e , per c l a s s i di a m p i e z z a d e q l i a l l e v a m e n t i e per n u m e r o di b o v i n i a l l e v a t i N u m e r o d i c a p i Piassi ai sup.

agricola utilizzata (SAU) fino a 10 da 11 a 20 da 21 a 50 oltre 50 T o t a l e ha

aziende capi aziende capi aziende capi aziende capi aziende capi

Senza SAU 41 155 14 231 74 2.798 99 15.133 228 18.317 Fino a 10 0 , . . . 0 , . . . 0,6 3,1 0,2 1,4 Fino a 10 79.571 341.674 12.468 180.063 3.661 112.445 475 48.264 96.175 682.446 Da 10,01 a 20 94,5 71,3 31,6 15,1 82,6 53,4 Da 10,01 a 20 3.869 25.577 4.029 61.567 5.493 173.554 507 36.846 13.898 297.544 Da 20,01 a 50 4,6 23,1 47,4 16,1 11,9 23,3 Da 20,01 a 50 651 4.139 860 13.412 2.035 72.291 1.481 108.992 5.027 198.834 0,8 4,9 17,5 47,1 4,3 15,6 Oltre 50 102 627 114 1.790 334 11.720 586 66.757 1.136 80.894 0,1 0,7 2,9 18,6 1,0 6,3 Totali 84.234 372.172 17.485 257.063 11.597 372.808 3.148 275.992 116.464 1.278.035 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 72,3 29,1 15,0 20,1 10,0 29,2 2,7 21,6 100,0 100,0

NOTA. I dati riprodotti sono stati elaborati in base alle risultanze tratte dal 2° Censimento generale dell'agricoltura (25 ottobre 1970).

R I C A V I E C O S T I D E L L E P R O D U Z I O N I A G R I C O L E . I N D I C I D E L L A

P R O D U T T I V I T À Z O O T E C N I C A N E L S E S S E N N I O 1 9 7 0 - 7 5

Infine, in merito ai redditi ottenuti da-gli allevatori, si è svolta una rapida in-dagine, sia per le produzioni di origine animale che per quelle di origine vege-tale, attorno alle misure raggiunte da due importanti grandezze macroecono-miche lungo il sessennio 1970-75, cioè: 7— la spesa dovuta all'acquisto dei beni intermedi, espressa dal valore dei

cosid-detti « consumi intermedi »;

— il reddito complessivo al netto di tali consumi, espresso dal cosiddetto « valore aggiunto », il quale, ancor più della produzione vendibile, interessa gli operatori responsabili di un processo produttivo.

(24)

Tabella 3. I n d i c i di p r o d u t t i v i t à dei f a t t o r i i n t e r m e d i i m p i e g a t i n e l l e p r o d u z i o n i a n i m a l i

e v e g e t a l i in P i e m o n t e nel s e s s e n n i o 1970-75 ( m i l i o n i di l i r e c o r r e n t i )

Settore delle produzioni animali Settore delle produzioni vegetali Anni

V . A . Costo fattori intermedi produt. Indici V . A . Costo fattori intermedi produt. Indici

1970 134.299 80.932 1,66 177.904 55.511 3,20 1971 139.591 89.687 1,56 156.560 60.836 2,57 1972 163.163 95.553 1,71 141.828 77.385 1,83 1973 167.356 129.256 1,29 269.556 70.526 3,82 1974 179.683 167.914 1,07 294.075 92.595 3,18 1975 251.811 204.071 1,23 344.059 107.819 3,19 Sessennio 1970-75 (vai. medi) 172.650 127.902 1,35 230.664 77.445 2,98 NOTA. I valori riprodotti sono stati elaborati in base alle indicazioni contenute negli Annuari di statistica agraria e negli Annuari di statistiche zootecniche dell'lSTAT.

Dal raffronto tra gli indici costruiti per il settore delle produzioni animali e per quello delle produzioni vegetali si de-duce, come osservazione di fondo, che gli indici annui della produttività zoo-tecnica sono sempre stati inferiori a quelli che hanno contrassegnato il set-tore delle produzioni vegetali. Media-mente, poi, ad un indice della produt-tività zootecnica pari a 1,35 corrisponde un indice della produttività vegetale pari a 2,98, che è più del doppio del precedente (Tab. n. 3).

Ciò significa che i costi sostenuti dagli allevatori piemontesi per ampliare la « sezione allevamenti » delle proprie aziende e per aumentare i prodotti di origine animale non sono mai riusciti ad ottenere adeguata contropartita sul piano del reddito, poiché la produzione del latte, della carne, delle uova, della lana ha sempre avuto rendimenti infe-riori di quella del frumento, del risone, degli ortaggi, della barbabietola da zuc-chero, dell'uva, della frutta.

nire che per realizzare una qualunque programmazione zootecnica che voglia essere ben definita in un modello ope-rativo di lungo periodo non sono suffi-cienti delle misure di carattere congiun-turale anche se utili come provvisorio tamponamento, come quelle oggi pro-mosse e promesse dalla Autorità pub-blica.

Occorre progettare finalmente, e poi ap-plicare con urgenza e mantenere nel tempo, una politica zootecnica che af-fermi senza equivoci un ben definito carattere strutturale e di cui l'allevatore abbia certezza, una politica zootecnica che, pur diversificata nelle grandi circo-scrizioni economico-agrarie del nostro Paese, sia coerente con lo sviluppo eco-nomico generale, una politica che valga ad aumentare il potere contrattuale de-gli allevatori e che quindi riesca a ri-portare i redditi zootecnici nell'area della convenienza economica, perché cosi facendo si riuscirà a far diminuire il grosso deficit della nostra bilancia ali-mentare, nell'interesse ed a vantaggio di tutta la comunità nazionale.

N O T A C O N C L U S I V A

Quali le conclusioni?

(25)

conve-RIFLESSIONI

SULL'INDUSTRIA

DELL'ABBIGLIAMENTO

La CEE aveva finora resistito alle pres-sioni esercitate da alcuni suoi membri di limitare l'accesso nel suo territorio di prodotti tessili provenienti da alcuni Paesi del terzo mondo. Recenti decisioni acquistano maggiore risalto e fanno pen-sare che ci si trovi invece ad una svolta che conduce al « protezionismo ». Esiste dunque una speranza di ripresa, c'è un avvenire di sviluppo e di nuovo prestigio per l'industria dell'abbiglia-mento ed in particolare, data la sua ap-partenenza al comparto della confezione in serie dei Paesi membri della CEE, per il manufatto « made in Italy »? Ad un simile, « corposo », interrogati-vo, tremendamente attuale ed al quale si è dato e si dà rilievo in molte sedi ed in sempre più frequenti circostanze, si è risposto — e non saremo ancora gli ultimi ad imporci di farlo — in mo-do diretto ed indiretto. Ci si è affidati al responso di tavole rotonde ed ai di-battiti di incontri/studio; si cono ovvia-mente impostate, a latere, delle indagini di mercato, più o meno estese e com-plete, delle quali, però, occorre dire che i consuntivi sembrano sovente esse-re stati insufficientemente considerati. La domanda iniziale è dunque rimasta la stessa, formulata più volte, talvolta riproposta per iscritto o ad un uditorio, composto di protagonisti e relatori, che mostra una crescente preoccupazione, che non nasconde l'affanno di vivere in un mercato resosi periglioso. Il periglio è nella crescita della concorrenza dei « prezzi bassi » (praticati dai Paesi emergenti), nell'ormai irreversibile dimi-nuzione dei consumi, nell'insostenibili-tà dei costi. E ciò che diventa più grave è che molti operatori danno ora l'im-pressione di sentirsi impegnati in una battaglia che considerano « persa in partenza » e la loro diventa una rispo-sta pessimistica.

Di ben altro parere — e ci piace qui precisarlo, accostandolo alla valutazio-ne di non pochi autorevoli esperti dei quali si può tener conto — il modo di stimare prospettive e fasi congiunturali da parte dell'Associazione italiana in-dustriali dell'abbigliamento: « sviluppo

ed avvenire esistono tanto più quanto più il prodotto di moda italiano avrà un contenuto di civiltà, cioè ' di moda e saprà rinunciare a competere nella

fab-bricazione di articoli di larghissimo con-sumo ».

« Il miglior risultato apparirà quello di riuscire ad aiutare le imprese, sia gran-di che megran-die e piccole, ad esportare, chiaro com'è che esportare è

obbliga-torio se si vuole sviluppare l'economia e

se si vuole riuscire a difendere la pro-pria bilancia commerciale ».

È questa una tesi con la quale ci sen-tiamo tendenzialmente portati a concor-dare, vorremmo prima, però, imposta-re l'esame di quella che dobbiamo pur sempre considerare come una straordi-naria evoluzione di un settore; meglio sarebbe poter scrivere un « cambiamen-to di situazioni » con una serie di tra-sformazioni successive, compiute da un settore inebriatosi della propria gran-dezza e dimentico (per lunghi anni) dell'esigenza e dell'opportunità di inter-rogarsi e di dimensionarsi nel quadro (queste si) di importanti e grandi evo-luzioni socio-economiche mondiali.

L'ABBIGLIAMENTO C O M E FATTO PRODUTTIVO

I prodotti dell'abbigliamento, come di-sponibilità e come componente della evoluzione globale e sociale dei consu-mi, che si è particolarmente accelerata dopo gli anni cinquanta, richiedono, a nostro avviso, oggi certo più di ieri, di venire « riconsiderati » come fatto pro-duttivo per bene accertarne quali ne sia-no le prospettive ed il « collocamento » sia nel nostro Paese sia altrove, in Euro-pa. Non esiteremmo, qui, a cercare di stabilire alcuni concetti basilari: la

fun-zione principale di questa produfun-zione consiste nel fornire al consumo « arti-coli pronti all'uso » ottenuti attraverso un processo industriale ed adeguati alle diverse esigenze del pubblico. Ed è

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