IL FUTURO DELLA COLPA ORGANIZZATIVA
3. Riflessioni derivanti dalla comparazione
3.3. I rispettivi punti di forza
Sono stati analizzati i punti deboli del sistema statunitense e del sistema italiano che rappresentano validi spunti per intavolare una proficua riflessione sulle possibili prospettive di riforma. Altrettanto utile però è considerare i rispettivi punti di forza, che costituiscono senz’altro una solida base da cui partire e che permette di orientare la discussione coerentemente alla tradizione giuridica considerata.
Innanzitutto è da apprezzare lo scopo comune che si pongono i due ordinamenti, quello di prevenire azioni criminose all’interno dell’attività d’impresa. Oltre ad una funzione di prevenzione generale, il piano su cui si agisce è quello di una prevenzione specifica.
Entrambe le discipline puntano ad evitare ab origine che sorga l’occasione per il compimento di un’azione illecita e se ciò nonostante dovesse ugualmente verificarsi, l’obiettivo non è processare e condannare la società ma ristrutturare la sua organizzazione in modo da impedire che in futuro occorrano nuovamente situazioni patologiche.
Questo approccio è senza ombra di dubbio un punto di forza comune ad entrambi i contesti giuridici contemplati, perché mostrano la consapevolezza degli effetti disastrosi che una condanna potrebbe avere sulla corporation e, di riflesso, su tutti gli altri stake-holders e terzi innocenti che ne rimarrebbero coinvolti. Parimenti testimonia la comprensione che l’interesse sociale è soddisfatto principalmente da un’efficacia preventiva e non riparatoria della disciplina. Per raggiungere tali obiettivi gli ordinamenti giuridici hanno
adottato soluzioni diversificate che hanno però un altro punto in comune: l’attribuzione di un ruolo significativo ai compliance programs.
Da qui è utile partire per sottolineare le differenze in chiave positiva tra il sistema statunitense e quello italiano.
Negli Stati Uniti, i compliance programs sono frutto di un’attività di
self-regulation dell’impresa e mantengono un carattere non obbligatorio ma
allo stesso tempo sono dettati dei criteri molto stringenti circa la loro efficacia nelle Sentence Guidelines, cui la Corte si deve attenere.
Ciò indirettamente orienta in modo significativo la costruzione del compliance
program da parte della corporation, che potrà fare affidamento su criteri di
valutazione vincolanti per i giudici216.
Diversamente, in Italia manca un paradigma giuridico specifico da cui le imprese possono attingere e questo rende molto più incerti i canoni di apprezzamento dei Modelli Organizzativi in termini di efficacia.
Succede spesso che vengano investite ingenti somme di denaro nell’implementazione di un modello di compliance che si pensa adeguato ma che in concreto venga ritenuto dal giudice non idoneo in accordo con un suo giudizio squisitamente discrezionale.
Tuttavia è da apprezzare il ruolo che i Modelli Organizzativi svolgono nella disciplina 231: l’adozione ed efficace attuazione in via preventiva di un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi determina l’esclusione della responsabilità dell’ente se il reato è commesso da un sottoposto e può fungere da esimente al ricorrere di altre condizioni se il reato è commesso da un soggetto apicale.
Dunque il modello organizzativo ricopre un ruolo centrale nella costruzione del concetto di colpevolezza dell’ente che contribuisce ad impedire l’introduzione
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di una responsabilità di tipo oggettivo per la società ed è il fulcro della nozione di colpa organizzativa217.
Nel sistema statunitense invece il compliance program gioca un ruolo determinante solo ai fini di una riduzione della sanzione pecuniaria e della esclusione dell’applicabilità del probation ma non è sufficiente ad impedire l’imputazione della corporation che è responsabile del reato commesso da qualsiasi dipendente per il principio del respondeat superior.
Costituisce sicuramente un punto di forza del sistema italiano l’elaborazione di un concetto di colpa propria dell’ente perché inibisce numerose contraddizioni che non si sposerebbero con la tradizione giuridica italiana e che, in via generale, porterebbero al fallimento dello scopo di prevenzione prefissato.
Questi rischi sono sempre più evidenti nel modello americano218.
217
La centralità dei modelli organizzativi nel provvedimento 231 è stata recentemente confermata dalla corte di Cassazione nel caso Impregilo, in cui è stata posta in risalto l’importante funzione rieducativa che questi svolgono se adottati ex post, ovviamente abbandonando l’interpretazione tradizionale in chiave antropomorfa della funzione rieducativa della pena, e poi in riferimento all’individuazione della colpa dell’ente.
Cass., Sez. V, 30 gennaio 2014, in Mass. Uff., n. 4677, pubblicata in Foro it., 2014, n.
2, 47 ss., che ha affermato come nell’ambito della responsabilità da reato degli enti il modello organizzativo debba in ogni caso essere adeguato e quindi non può ridursi ad un mero documento di carattere “cartolare”.
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In proposito sono molte le critiche avanzate dagli scholars americani, che da tempo auspicano una rivoluzione di questa impostazione e asseriscono la necessità di creare uno schema che attribuisca un ruolo effettivo all’esistenza di compliance
programs come elemento di affirmative defense. Per un’abile argomentazione della
proposta si veda su tutti, P. BUCY, Corporate Criminal Liability: When Does It
Make Sense?, 46 Am. Crim. L. Rev. 1437, 2009, 1442 e ss.: “This Article proposes a
standard of corporate criminal liability that imposes criminal liability only on those entities that create a culture which encourages criminal activity by individuals within the corporation. Under this proposal, good corporate citizens, those companies that have taken all reasonable steps to discourage illegal corporate acts and encourage compliance of the law, would not be subject to prosecution even if crimes occurred
Proprio per tale ragione sembra un paradosso che, nonostante la
vicarious liability, l’American Law non abbia dubbi nel parlare di corporate criminal liability mentre il legislatore italiano, sebbene il provvedimento abbia
creato un sistema rispettoso dei principi costituzionali che orientano il diritto penale, ha preferito qualificare come amministrativa questa nuova ipotesi di responsabilità, ammettendone però una natura ibrida, inquadrabile in un
tertium genus comprensivo di alcuni elementi del diritto amministrativo ed altri
del diritto penale. Di recente, anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avallato questa definizione, asserendo ad ogni modo la necessità di rispettare i canoni costituzionali che regolano la responsabilità penale, perché le garanzie sostanziali che il decreto ha accordato agli enti sono riconducibili al paradigma della responsabilità penale.
Stando così le cose, chi scrive sostiene che la soluzione più coerente sarebbe riconoscere la natura penale della responsabilità (da reato, appunto) degli enti perché risolverebbe varie incertezze e discussioni dogmatiche che si ancorano e, soprattutto, si giustificano proprio facendo leva sul disaccordo riguardante la natura giuridica della responsabilità ex 231219.
according to the current standard of corporate criminal liability. The following standard of corporate liability would achieve this:
A fictional entity may be held criminally liable for the acts of any of its agents who commit a crime within the scope of employment with the intent to benefit the entity unless the entity demonstrates that at the time of the offense it had in place an effective corporate compliance program relevant to the crimes alleged.
As can be seen, this proposal adds an affirmative defense to the current standard of corporate criminal liability. Adding this defense repairs the two major flaws in the current standard: its breadth and its inability to distinguish between good and bad corporate citizens”.
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La prova che si tratti di una responsabilità penale potrebbe semplicemente ricavarsi anche da alcune considerazioni pratiche: aldilà degli elementi normativi contenuti nel decreto di cui già si è dato conto, nella prassi sono i penalisti ad occuparsi delle vicende ex 231; i colleghi amministrativisti si trovano visibilmente disorientati davanti a categorie dogmatiche che rientrano nell’ordine del giorno delle Corti Penali.
Altro elemento cui deve guardarsi con favore nel contesto americano è la scelta di non distinguere le ipotesi in cui la condotta criminosa sia tenuta dai soggetti che ricoprono una posizione di vertice e quelle in cui autori del reato sono i soggetti subordinati. La distinzione assume valore solo ai fini dell’ottenimento dello sconto di pena, che sarà però precluso se coinvolto high-
level personnel. Ovviamente lo scarso rilievo della questione si giustifica per il
fatto che ai fini dell’imputazione non ha alcuna importanza il grado di immedesimazione intercorrente tra la corporation e i suoi membri, il reato è automaticamente imputato alla company.
Tuttavia, si ritiene che anche in un sistema diverso, quello italiano, fondato sulla responsabilità personale delle società, questa distinzione non dovrebbe assumere rilievo, o meglio dovrebbe incidere secondo un altro angolo di prospettiva.
La circostanza che il reato sia stato commesso da un apicale, quindi una persona che ricopre una funzione di vertice nell’ambito dell’organizzazione, ha dato vita alla presunzione che questa condotta non possa non essere tenuta per conto dell’ente per cui si opera. Il rischio però di un’imputazione automatica di responsabilità all’ente ha spinto il Legislatore italiano a ripararsi da eventuali censure di incostituzionalità servendo all’ente una scusante, caratterizzata dall’inversione dell’onere probatorio sul piano processuale dell’efficacia del modello organizzativo adottato, tradotto nella dimostrazione di un’elusione
In questo senso, A. MANNA, “Costanti” e “variabili” della responsabilità da
reato degli enti nell’era della globalizzazione, Testo rivisto, ampliato e con l’aggiunta
delle note dell’Intervento alla Tavola Rotonda del Convegno su: “La responsabilità dell’ente da reato nella prospettiva del diritto penale “globalizzato”, Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Giurisprudenza, 4-5 aprile 2014, Archivio Penale, 2/2014, 6-7.
fraudolenta del modello da parte della persona fisica coinvolta, in violazione del rapporto di immedesimazione organica220.
Si è già avuto modo di evidenziare le problematiche che questo meccanismo solleva nel paragrafo precedente. Alla luce delle considerazioni affrontate sarebbe forse opportuna una revisione dello schema vigente creando magari una diversificazione delle due ipotesi sul piano dell’ “intensità” dell’elemento soggettivo, quindi della “gravità” della condotta riferendosi all’ente e non alla persona fisica che materialmente ha agito, confermando ancora una volta la necessità dell’abbandono della visione antropomorfica al fine di elaborare un sistema realmente capace di incidere sulla salute organizzativa degli enti221.
Infine, degna di nota è la creazione di una normativa nell’ordinamento italiano che abbia ad oggetto espressamente e direttamente la responsabilità degli enti. In questo modo è inequivocabile il parametro di riferimento, sono posti dei paletti legislativi che devono essere rispettati e dai quali non si può prescindere. Ad esempio, la responsabilità degli enti è collegata solo ed esclusivamente ai reati presupposto che esplicitamente la prevedono.
Il novero delle fattispecie penali che prevedono l’imputabilità dell’ente è un numerus clausus che può essere ampliato solo mediante uno specifico intervento legislativo. Certo questo elemento è in linea con la tradizione giuridica di civil law e la mancanza di tale previsione ad hoc non desta particolare scalpore nei Paesi di common law.
220
A. MANNA, op. cit., 3-5.
221
DE SIMONE, Persone giuridiche e responsabilità da reato. Profili storici,
dogmatici e comparatistici, Pisa, 2012; TORRE, La “privatizzazione” delle fonti di diritto penale. Un’analisi comparata dei modelli di responsabilità penale d’impresa,
Negli Stati Uniti, il riconoscimento della responsabilità vicariale delle
corporations è di matrice giurisprudenziale e questo non pone alcun problema
da un punto di vista giuridico.
Diverso è il piano sistematico: con la sentenza New York Central la Corte Suprema ha per la prima volta creato un precedente per il riconoscimento della responsabilità penale delle corporations applicando il principio del
respondeat superior, preso in prestito dalla tort law. Lo ha fatto sebbene questo
schema non corrispondesse ai criteri tradizionali indispensabili per l’imposizione della responsabilità penale, giustificando questo risultato con l’urgenza di dare una risposta alle istanze sociali sempre più incombenti di repressione della criminalità d’impresa.
La Corte però non ha minimamente considerato il largo ventaglio di opportunità a sua disposizione per creare dei parametri di imputazione conciliabili con l’elemento soggettivo delle fattispecie penali, oscillando tra due estreme soluzioni: escludere del tutto la corporate criminal liability o riconoscerla come vicarious liability.
Nel propendere per la seconda risposta, la Corte ha fallito nell’esaminare ogni valida alternativa. Da quel momento in poi l’imposizione della corporate criminal liability ha continuato in quella direzione portandosi dietro tutte le problematiche fino ad ora illustrate222.
222
P. BUCY, Corporate Ethos: A Standard for Imposing Corporate Criminal