È opinione comune della critica che si è occupata del rapporto tra letteratura e Massoneria che il primo esempio – o meglio l’archetipo – di “romanzo massonico” sia da individuare nel Sethos (1731) dell’abate francese Jean Terrasson141. Qui sono già presenti tutti i motivi che saranno ripresi nelle narrazioni le quali avranno quale tema la realtà latomistica, come pure la prima traccia di quella vera e propria “egittomania” che, al termine del Settecento, troverà massima espressione nella
Zauberflöte mozartiana. Nella prefazione all’opera Terrason afferma di volersi
inserire nella tradizione del romanzo filosofico e degli specula principorum, riprendendo dal Télémaque (1699) di Fénelon e da Les voyages de Cyrus (1727) di Ramsay il tema dell’educazione del futuro regnante, rileggendolo tuttavia in chiave massonica: la funzione del mèntore che accompagna il principe Sethos nel suo percorso sapienziale è ora affidata a una società segreta, rappresentata dal saggio Amedès. In particolare, l’obiettivo della classe sacerdotale egizia, ritiratasi nei sotterranei delle piramidi di Menfi in seguito all’usurpazione del trono da parte di Daluca, la matrigna di Sethos, il cui governo è caratterizzato da decadenza dei costumi, corruzione e vizio, è quello di contrastare lo status quo e la politica della donna, iniziando il giovane principe alle verità filosofiche del santuario, fino a far sì che questi, da sovrano “illuminato”, – come poi avviene effettivamente al termine del romanzo – giunga a liberare il suo popolo dalle catene dell’oppressione, istituendo una repubblica fondata sui valori del progresso, della virtù e del benessere comune. A tal fine, il principe diventa l’oggetto della pedagogia di Amedès che ha come obiettivo la trasmissione dei fondamenti valoriali e filosofici dell’elite culturale egizia quali l’esercizio delle virtù e il dominio della passioni e degli egoismi personali, e dunque «courage», «prudence», «vertu», «valeur», che, dalla sua posizione di potere, una volta diventato reggente, Sethos dovrà altresì essere in grado di diffondere all’intera nazione.
141 Cfr. in proposito Nicolai-Haas, Die Anfänge des deutschen Geheimbundromans, cit., pp. 267-269,
Ora, ciò che rende il romanzo di Terrasson importante e significativo rispetto alla nostra ricerca è il fatto che principale veicolo della trasmissione, o meglio, della
riattivazione di questi valori nella coscienza di Sethos sia proprio un rituale
massonico, che, anche in questo caso, deve essere in grado di coinvolgere, trasformare totalmente l’iniziato, dal suo corpo al suo intelletto. La formazione del giovane giunge infatti al culmine con l’entrata all’interno delle piramidi di Menfi, che si presenta come un’esperienza straniante, durante la quale il principe arriva a mettere in dubbio i suoi pregiudizi rispetto a se stesso e al mondo circostante, impegnandosi a diventare, nel corso del suo iter sapienziale, «un uomo perfetto». In tal senso, Amedès avverte Sethos della difficoltà e pericolosità dell’impresa: «Prince, la visite de l’intérieur de la Pyramide, de la manière dont il est important pour vous de la faire, est une entreprise toute différente de celle que vous avez dans l’esprit»142. Come nella tradizione massonica cui Terrasson fa evidentemente riferimento, al centro del romanzo vi è dunque un rito di passaggio che prevede una separazione dall’ambiente familiare, il passaggio per una fase “liminale” che deve servire a destrutturare il precedente Io, cui fa seguito l’accoglienza nella società degli iniziati egizi, e cioè un cambiamento di mentalità e la rinascita a uno stile di vita più virtuoso e consapevole. Anche nel Sethos, le cerimonie iniziatiche che si svolgono nei sotterranei delle piramidi hanno come principale obiettivo quello di stimolare la capacità di resistenza dell’iniziato, di porlo di fronte a difficoltà che questi deve imparare a superare in vista di una completa trasformazione del suo corpo e del suo spirito:
Les préparations qu’on exigera de vous sont pénibles & périlleuses du côté du corps; & ce pendant elles sont encore peu de chose en comparaison de celles qu’on exigera du côté de l’ame. Je vous avertis que les Prêtres, qui ne répondent à personne ni de leur choix ni de leur refus, usent d’une extrême severité, sur tout à l’égard de ceux qui étant destinez à monter sur le Trône veulent encore partitiper aux secrets du Sacerdoce. Ils vous éprouveront sur la Morale la plus sublime, par des questions que vous ne sçauriez prévoir en particulier, & ausquelles vous ne répondrez qu’en remplissant votre ame des principes féconds & lumineux, d’où doivent couler d’elles-mêmes toutes vous réponses (SE 120).
Durante i rituali che si compiono nel sottosuolo delle piramidi, Sethos viene allora sottoposto dai sacerdoti egizi a una serie di domande su argomenti riguardanti la
142 J. Terrasson, Sethos. Histoire ou Vie tirée des monuments anecdote de l’ancienne Egypte (1731),
politica e la morale, quesiti che hanno lo scopo di mettere alla prova le sue facoltà intellettuali e di riaccendere il suo spirito critico; poi a un passaggio tra gli elementi – un motivo, che, come vedremo, sarà ricorrente nelle opere di carattere massonico, da Mozart a Saint-Martin e a Jung-Stilling – che allude a una prova di coraggio e a una morte iniziatica che annuncia una nuova vita, più attiva e consapevole rispetto alla precedente, improntata alla virtù e al distacco filosofico dalle passioni. Spiega Amedès a Sethos: «L’Initié […] est un homme renouvelé, en qui l’amour de la vertu & du devoir a pris la place de toutes les passions qui le faisoient agir auparavant. On voit infailliblement en toutes rencontres ce qu’il fera dans ce qu’il doit faire» (SE 154). Ed è proprio questo il fine ultimo dell’iniziazione: la separazione dal mondo profano permette a Sethos di riflettere criticamente su se stesso e sui suoi preconcetti in tutta calma e tranquillità, al riparo dalle passioni e dal clamore della quotidianità. Nello spazio “liminale” dei sotterranei delle piramidi, durante le difficili prove con cui impara a esercitare attivamente le sue virtù intellettuali e fisiche, il giovane si rende gradualmente consapevole della propria condizione di diseredato, fino a decidere di reagire con forza morale, divenendo più consapevole nei confronti del mondo circostante e della realtà politica e sociale del suo Paese. Spiega Amades che «l’homme de principes tel qu’est l’Initié, tient, pur ainsi dire, sa vie dans sa main» (SE 154-155). È questo il modello che da qui in poi il principe seguirà nell’amministrazione del suo governo, collaborando al benessere generale della sua nazione e rifuggendo da passioni e istinti egoistici.
Nel Sethos, alquanto significativamente rispetto alla nostra analisi della ritualità massonica, la morte alla vita profana è simboleggiata dalla «beuvrage de Lethe», mentre la riattivazione da parte del ricercatore delle consapevolezze iscritte nel profondo della sua coscienza dalla «beuvrage de Mnemosyne». Come osserva Amedès, infatti, l’iniziazione non è altro che un esercizio di memoria, un dissotterramento di preconoscenze dimenticate nel corso del tempo a causa della confusione della vita profana: «Vous rappellerez vous-même dans l’occasion un grand nombre de ces maximes que vous croyez avoir oubliées» (SE 121). In proposito, Sergio Moravia ha precisato il senso dell’educazione massonica, considerandola soprattutto come un risveglio di energie sopite all’interno del soggetto:
L’attività più idonea […] a operare per l’affermazione della luce e del Progresso è “l’educazione” […]. In primo luogo l’educazione si configura come educazione intellettuale e morale del soggetto individuale in quanto tale. È un’educazione intesa a promuovere dall’interno di quest’ultimo tutta una serie di funzioni e di verità che lì albergano, ma che spesso sono come latenti, sono “in sonno”143
.
In proposito, mi sembra importante notare come nel romanzo di Terrasson la presa di coscienza di Sethos passi soprattutto per uno smantellamento dei pregiudizi religiosi, laddove il giovane è richiamato dai sacerdoti egizi a mettere da parte la fede in una molteplicità di divinità antropomorfe e, al contempo, esortato a contemplare (o meglio, a risvegliare in sé) l’idea «d’un Dieu unique qui avoit conçû le monde par son intelligence avant que de le former par sa volonté» (SE 170) e che corrisponde – secondo la teologia “esoterica” egizia – alla natura, divinizzata nel culto di Iside. Abbiamo già osservato come sia in fondo questa la consapevolezza cui accede il massone nel corso del suo itinerario in loggia, essendo spinto dalla necessità di riscoprire in sé la presenza di un’intelligenza che pervade il tutto conferendogli misura, ordine e forma. Ed è questo spirito che, nell’ambito epoptico, si cerca pure di risvegliare gradualmente nella coscienza di Sethos attraverso quelle che Michel Foucault ha definito «pratiche del sé» o «arti dell’esistenza», ossia
quelle pratiche ragionate e volontarie attraverso le quali gli uomini non solo si fissano dei canoni di comportamento, ma cercano essi stessi di trasformarsi, di modificarsi nella loro essenza singola, di fare della loro vita un’opera che esprima certi valori estetici e risponda a determinati criteri di stile144.
In altre parole, come dimostrano i continui rimandi dei simboli massonici alla matematica e alla geometria, l’obiettivo dell’iniziato che entra in loggia – come Sethos nello spazio “altro” rappresentato dalle piramidi – è quello di riscoprire nel suo intimo l’armonia e l’intelligenza superiori che informano il mondo e la propria singola esistenza, – scrive Sergio Moravia – il «senso iscritto nel mondo terreno»145. Come abbiamo osservato, il massone, attraverso la pratica rituale e il graduale e difficile lavoro su se stesso, deve essere in grado di riaccendere in sé la scintilla
143 S. Moravia, La filosofia della Massoneria. Un’immagine della sua rinascita moderna nel XVIII
secolo, in Z. Ciuffoletti - S. Moravia (a cura di), La Massoneria. La storia, gli uomini, le idee (2004), A. Mondadori, Milano 2009, pp. 3-32, qui p. 24.
144 Foucalt, L’uso dei piaceri, cit., pp. 15-16.
spirituale in grado di rimetterlo in diretta comunicazione con il logos divino. Moravia spiega che gli iniziati alla Massoneria sono infatti impegnati, «nell’intimità dei cuori e delle coscienze» nella ricerca «di un Logos, di un lumen, di un Bene operoso anche dentro – e nonostante – la nequizia della realtà visibile»146. Attraverso la separazione dal mondo profano, l’affinamento dei sensi da questa consentito, una sorta di vero e proprio straniamento fisico e intellettuale, si tratta insomma per il neofita di strappare un telos, una forma alla propria esperienza quotidiana. A proposito di tale obiettivo, Helmut Reinalter ha evidenziato la funzione pedagogica dell’«arte reale» latomistica, la quale si presenta soprattutto come una vera e propria «estetica dell’esistenza», per la sua capacità di spingere l’iniziato ad assumere nuove abitudini esistenziali e inediti stili di vita:
Kultur aus freimaurerischen Perspektive bedeutet die Entfaltung jener menschlichen Fähigkeiten, die als Veredelung und Vervollkommung der menschlichen Persönlichkeit umschrieben werden. Diese besteht vor allem darin, dass der Mensch im immer höherem Maße zur Selbsterkenntnis und Selbstbeherrschung gelangt. Die Freimaurerei kennt […] den wichtigen Begriff der “Königlichen Kunst”, eine Bezeichnung, die bereits im Konstitutionenbuch von Anderson die Bauwissenschaft und Architektur als die edelsten und vornehmsten aller Künste bezeichnet. Später wurde dann die Freimaurerei als “Königlichen Kunst” charakterisiert, weil sie die Würde der Grundsätze, die sie einprägt, als Lebenskunst versteht. In diesem Sinne hat sie den Zweck und den Weg aufzuzeigen, wie man das Leben sinnvoll gestante kann. Hier spielt vor allem die “Ästhetik der Existenz”, aus dem Leben ein Kunstwerk zu machen, eine zentrale Rolle147.
Anche Linda Simonis, a proposito «der bündisch-esoterischen Kommunikationsweise», parla di un «eigenes performatives und ästhetisches Wirkunspotential»148, di una peculiare vocazione estetica che costituisce un
symbolisches, genuin ästhetisches Moment, das das Phänomen der geheimen Gesellschaften – noch bevor die Literatur der Zeit jenes zu ihrem Thema und zum Gegenstand des Romans machen wird – in die Nähe des Ästhetischen und der Literatur rücken läßt. Den masonischen Sozietäten bzw. ihrer kulturellen Praxis eignet somit noch vor jeder Behandlung und Bearbeitung im Medium der Literatur eine immanente ästhetische Struktur149.
Ora, rispetto a quanto detto, l’opera di Terrasson mi sembra interessante proprio per l’importanza accordata all’“arte”; non soltanto per il fatto che al suo centro vi sia
146 Ivi, p. 23. 147
Reinalter, Einleitung, in Id. (hrsg. v.), Freimaurerische Kunst, cit., pp. 9-10.
148 Simonis, Die Kunst des Geheimen, cit., p. 127. 149 Ivi, p. 128.
un’iniziazione di un principe alle verità sapienziali della Massoneria attraverso il richiamo alla pratica costante della virtù e della morale, ma poiché il romanzo stesso si propone esplicitamente di “iniziare”, e cioè di educare il lettore alla forma mediante il telos individuato dalla trama e dalla narrazione. È del resto lo stesso Terrasson a ribadire il carattere “iniziatico” del Sethos, che rispetto agli altri libri, definiti «profani», contiene una verità più sublime e profonda: «Cet Ouvrage contient une morale plus recherchée & plus approfondie qu’on ne l’a vûe encore en aucun Livre […] de ceux qu’on peut appeler profanes» (SE XIX). Nell’introduzione, l’autore ribadisce infatti con orgoglio che la sua è una «Ouvrage de fiction» (SE VII): se la storia è soltanto una giustapposizione di fatti privi di senso, nella quale le azioni degli uomini si riducono a progetti falliti e crimini impuniti, Terrasson decide di assumere un punto di vista “altro”, distaccato, riflessivo, caratterizzato cioè da un’attitudine «moral» (SE X), intendendo offrire il ritratto di «toutes les vertus propres à l’état ou à la condition de son Héros» (SE X) e considerando il suo romanzo quale lo spazio “eteropico” adatto a esercitarle.
Nell’introduzione all’opera Terrason afferma dunque che «l’Histoire» è «bien inférieure à la Fiction» (SE IX), riprendendo programmaticamente le riflessioni di Aristotele come articolate nella Poetica, secondo cui la letteratura sarebbe superiore alla storia per il piacere naturale che si ricava dalla riproduzione estetica, e quindi dalla conoscenza morale e dalla riflessività che essa consente al fine della trasmissione dei tratti culturali di una società. Afferma Aristotele:
Nel suo insieme la poetica sembra aver tratto origine da due cause, entrambe naturali: l’imitare è congenito fin dall’infanzia dell’uomo, che si differenzia dagli altri animali proprio perché è il più portato a imitare, e attraverso l’imitazione si procura le prime conoscenze; dalle imitazioni tutti ricavano piacere. Ne è indizio ciò che avviene nell’esperienza. Anche di ciò che ci dà pena vedere nella realtà godiamo a contemplare la perfetta riproduzione, come le immagini delle belve più odiose e dei cadaveri. La causa, anche di ciò, è che imparare è un grandissimo piacere non solo per i filosofi ma anche per tutti gli altri […]. Si gode dunque a vedere le immagini perché contemplandole si impara e si ragiona su ogni punto […]150
.
È per questo motivo che l’arte poetica viene considerata da Aristotele «più filosofica e più seria della storia», in quanto – come scrive Guido Paduano – «selezione e
150 Aristotele, Poetica, qui traduzione e introduzione di G. Paduano, Laterza, Roma-Bari 2007 (prima
pertinentizzazione sistematica e significativa […] di una parte dei tratti del reale»151
. Lo Stagirita osserva:
Da quanto si è detto risulta chiaro che compito del poeta non è dire ciò che è avvenuto ma ciò che potrebbe avvenire, vale a dire ciò che è possibile secondo verosimiglianza o necessità. Lo storico e il poeta non differiscono tra loro per il fatto di esprimersi in versi o in prosa – si potrebbe mettere in versi le storie di Erodoto, e in versi come in prosa resterebbero comunque storia –, ma differiscono in quanto uno dice le cose accadute e l’altro quelle che potrebbero accadere. Per questo motivo la poesia è più filosofica e più seria della storia, perché la poesia si occupa piuttosto dell’universale, mentre la storia racconta i particolari152
.
Come per Aristotele, anche secondo Terrason, in virtù dell’artificio estetico e trasfigurativo, l’opera di finzione consente di assegnare a quello che in quanto storia, ad uno sguardo superficiale, appare una semplice giustapposizione di eventi casuali un obiettivo nascosto e una più profonda dimensione di significato, consentendo al lettore di formulare un giudizio morale circa la contingenza. La narrativa permette di scavare in profondità negli eventi del mondo, di rendere visibile, anticipandone il fine, l’opera teleologica della Provvidenza: «L’Histoire n’est par elle-même qu’un amas de faits que la Providence conduit à des fins ordinairement cachées», in cui «tout soit merveilleusement ordonné dans les vûës mysterieuses de la sagesse & de la justice Divine» (SE IX). La letteratura sembra qui in grado di assumere il punto di vista superiore e distaccato di Dio, di comunicare al lettore una saggezza “altra” rispetto a quella ricavabile dalla quotidianità irriflessa, imponendole un’inedita forma, un telos. In altre parole, l’arte assume già in Terrasson, il quale si rifà – come visto – ad Aristotele, il significato di performance, termine che – spiega Victor Turner – deriva dal francese antico “parfournir” e che sta per “completare” o “portare completamente a termine”153: in altre parole, nelle sfere “separate” dell’arte
e del rituale sembra trovare compimento ciò che nella vita di tutti i giorni rimane inconcluso, sospeso. Del resto, è questo un argomento già presente nella Poetica di Aristotele nella definizione di trama, che il filosofo considera «non imitazione […] di uomini, ma di azione e di vita»:
151 G. Paduano, Il valore della letteratura, in Aristotele, Poetica, cit., pp. IX-XXIX, qui p. XVI. 152
Aristotele, Poetica, cit., pp. 20-21.
153 V. Turner, From Ritual to Theatre. The Human Seriousness of Play (1982), trad. it. di P. Capriolo,
Non si agisce dunque per imitare i caratteri, ma si assumono i caratteri in dipendenza delle azioni, di modo che gli eventi e la trama sono il fine della tragedia, e il fine è la cosa determinante. […] Dopo aver definito questi punti, diciamo quale deve essere la sistemazione degli eventi, dal momento che è questo il primo e il più importante fattore della tragedia. Si è stabilito che la tragedia è imitazione di un’azione compiuta e intera, dotata di una certa grandezza (esistono infatti anche unità intere prive di grandezza). Intero è ciò che ha un inizio, una fase mediana e una conclusione. […] Le trame ben composte non devono cominciare né finire come capita, ma usare le strutture che ho detto. Inoltre il bello, sia animato o sia tutto ci che è composto di parti, deve non solo avere queste parti ordinate, ma possedere una grandezza non casuale. Il bello è infatti tale per grandezza e disposizione: un bell’animale non può essere minuscolo (perché la vista si confonde in tempi che sono quasi impercettibili), né gigantesco, perché in questo caso non si dà una vista complessiva, e chi guarda perde l’unità e l’interezza, come accadrebbe per esempio di un animale grande diecimila stadi. Come dunque deve esserci una grandezza per i corpi e gli animali, abbracciabile con lo sguardo, così anche le trame devono avere una loro lunghezza, abbracciabile con la memoria […]154
.
In particolare, secondo Victor Turner, in virtù di questa “completezza” dell’arte già individuata da Aristotele nella Poetica, quelle che lui stesso – in base alle riflessioni dell’antropologo Milton Singer – definisce “performances culturali” consentono ai partecipanti un’accelerazione dell’esperienza individuale, un supplemento di consapevolezza, e permettono al singolo di esperire autonomamente la realtà, «fino in fondo»155, di riscoprire cioè nel proprio intimo le leggi che informano l’esistenza al di là dei “nudi” fatti della vita. Per questo motivo, l’antropologo inglese accorda una grande valenza sociale e culturale alle performances e al concetto di “liminalità”: ogni struttura sociale ha bisogno di momenti di anti-struttura, di rottura delle regole ordinarie, situazioni liminali, in cui i valori della cultura siano sospesi e messi in dubbio, sovvertiti e, allo stesso tempo, ribaditi in profondità. Turner individua allora
154 Aristotele, Poetica, cit., pp. 16-17.
155 Turner riprende qui la nozione di Wilhelm Dilthey di Erlebnis quale «esperienza vissuta […],
letteralmente ciò che si è vissuto fino in fondo» (Turner, Dal rito al teatro, cit., p. 35). L’antropologo precisa: «Secondo me l’antropologia della performance è una parte essenziale dell’antropologia dell’esperienza. In un certo senso, ogni tipo di performance culturale, compresi il rito, la cerimonia, il