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Capitolo 3: Il modello di management delle competenze, il ruolo di coordinatori e dirigenti e

3.4. Il ruolo della cultura organizzativa

“Nessuna conoscenza, se pur eccellente e salutare,mi darà gioia se la apprenderò per me solo. Se mi si concedesse la sapienza con questa limitazione, di tenerla chiusa in me,

rinunciando a diffonderla, la rifiuterei”

(LUCIO ANNEO SENECA)

Un elemento cruciale per un’efficace applicazione di strategie di knowledge management è rappresentato dalla cultura organizzativa, intesa come insieme di valori e di principi di fondo condivisi dai membri di un’organizzazione, che influenzano notevolmente i comportamenti organizzativi.

La cultura organizzativa da una parte si manifesta e viene trasmessa inconsapevolmente, come valori, consuetudini, modalità operative, assimilati dagli individui in modo automatico, dall’altra però può essere plasmata, comunicata e trasmessa ai membri dell’organizzazione attraverso simboli, strumenti comunicativi, ma soprattutto tramite il comportamento dei managers (8).

Tutti gli aspetti della cultura organizzativa, soprattutto i valori di fondo, come affermato da De Long e Fahey (2000), influenzano il comportamento delle persone, anche per quanto concerne l’approccio alla creazione, alla diffusione ed all’applicazione della conoscenza (8), tant’è che molte aziende hanno identificato proprio la cultura organizzativa come l’ostacolo principale all’implementazione di strategie di knowledge management (23), in

quanto le barriere culturali sembra che abbiano un notevole impatto su diversi aspetti dello stesso.

La cultura organizzativa influisce sulla valutazione di quali conoscenze debbano essere considerate valide ed utili all’interno dell’organizzazione, sulla creazione di nuove conoscenze, sulla capacità di essere aperti alle innovazioni e sulle modalità di sfruttamento della conoscenza (individuale o collettivo), per questo è importante che coordinatori e dirigenti valorizzino le differenze culturali all’interno dell’organizzazione facendo attenzione a non far sorgere conflitti tra le diverse subculture e a non incentivare lo sfruttamento delle conoscenze solo a livello individuale.

Tendenzialmente difatti i vari professionisti dedicano il loro tempo a sviluppare le conoscenze personali, il che spesso li porta ad assumere un atteggiamento di “gelosia” del sapere che detengono, vedendolo come fonte di potere all’interno dell’organizzazione e, ricompensando coloro che dispongono di maggiori conoscenze, i managers rinforzano e favoriscono tali comportamenti sempre più improntati alla diffidenza.

La conoscenza difatti , come ogni altra fonte di valore, viene ceduta dagli individui solo in cambio di una qualche ricompensa, la quale, nel mercato della conoscenza, è rappresentata dalla reciprocità dello scambio, dall’altruismo e dalla reputazione. Il primo aspetto consiste nell’aspettativa che si crea l’individuo che trasferisce conoscenza ad un altro di poter a sua volta acquisire altra conoscenza dallo stesso individuo ed è strettamente correlato alla reputazione che quel soggetto può costruirsi all’interno dell’organizzazione dimostrandosi possessore e divulgatore di conoscenza. Una buona reputazione incrementa difatti le possibilità di acquisire conoscenza da altri membri dell’ organizzazione e di ottenere comunque altri vantaggi come ad es. possibili sviluppi di carriera, maggior sicurezza sul lavoro e senso di appartenenza. Per quanto concerne l’altruismo invece, bisogna prendere

atto del fatto che purtroppo solo raramente la conoscenza viene trasferita per il piacere di aiutare gli altri o per conferire un vantaggio alla propria organizzazione d’appartenenza (8).

Al fine di prevenire simili “monopoli” di conoscenza, i coordinatori ed i dirigenti dovrebbero adottare uno stile di leadership che crei un clima di fiducia, incentivi lo spirito di squadra, l’impegno dei dirigenti, un ambiente culturale ed organizzativo stabile, dovrebbero impegnarsi per favorire lo sviluppo di un sistema premiante che incoraggi la condivisione delle conoscenze attraverso comportamenti cooperativi e non competitivi che supportino le pratiche di KM.

La cultura inoltre influisce l’interazione sociale tra i professionisti, poiché l’interazione e la condivisione di conoscenze tra di essi risultano notevolmente influenzate da caratteristiche culturali come la possibilità di apprendere dal lavoro di colleghi o superiori, la presenza di flussi di comunicazione bottom-up (dalla base ai vertici aziendali), la possibilità di discutere su temi critici del proprio lavoro, l’identificazione e la condivisione di linguaggi e valori e molte altre ancora (8).

Diventa necessario quindi che i managers sviluppino una “cultura della condivisione” che tenga conto e si integri con gli obiettivi e le caratteristiche dell’organizzazione, articolandosi inoltre con un sistema di valutazione e di ricompense che scoraggi la competizione individuale.

Qualsiasi strumento utilizzabile per la creazione e la condivisione di conoscenze dovrà essere implementato solo dopo aver compreso il contesto sociale ed essere intervenuti sulla cultura organizzativa, arduo e significativo compito del top management che dovrà porre i professionisti al centro delle proprie strategie, migliorandone la motivazione, la creatività

nonché il sapere, il saper fare ed il saper essere (3), non sottovalutando gli effetti secondari che le pratiche di KM possono avere sulla produttività e sul sistema di governance interno.

Nelle organizzazioni ospedaliere difatti, la performance è spesso il risultato dato dal connubio e dall’integrazione di competenze e capacità diverse : come già esposto la conoscenza di frequente risiede in forma tacita a livello di gruppo, intendendo per gruppo un insieme di professionisti che non necessariamente coincidono con una specifica unità operativa.

Per tale ragione gli strumenti di KM in un simile contesto si configurano come veri e propri meccanismi di coordinamento organizzativo che dovranno basarsi sulle definizione e condivisione di obiettivi comuni per arrivare poi alla sovrapposizione tra obiettivi individuali ed obiettivi organizzativi ed è in tale ottica che i dirigenti e i coordinatori dovranno comunicare anticipatamente i risultati attesi, interiorizzare gli obiettivi comuni e condividere le aspettative su ruoli e comportamenti, limitando così il gap tra comportamenti attesi e comportamenti osservati (5).

3.5. Benessere organizzativo, clima organizzativo e knowledge

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