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Knowledge management e soddisfazione lavorativa : capitalizzare le conoscenze a vantaggio delle organizzazioni e dei professionisti sanitari.

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Academic year: 2021

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Indice

Elenco abbreviazioni ... 4

Indice delle figure ... 5

Premessa ... 6

Introduzione ... 8

Capitolo 1 : Evoluzione del contesto sanitario... 11

1.1. Dalla Riforma Sanitaria ad oggi : l’evoluzione delle aziende sanitarie ... 11

1.2. Evoluzione della professione infermieristica e cambiamenti nelle funzioni di management... 17

1.3. Le organizzazioni sanitarie quali realtà knowledge - intensive ... 25

Capitolo 2 : Il knowledge management : presupposti teorici ... 28

2.1. Il concetto di competenza ... 29

2.2. Classificazione delle competenze ... 31

2.3. La conoscenza. ... 34

2.4. Classificazione delle conoscenze ... 35

2.5. Il Knowledge Management ... 39

Capitolo 3: Il modello di management delle competenze, il ruolo di coordinatori e dirigenti e correlazione con il clima organizzativo ... 43

3.1. La Knowledge Management Strategy della World Health Organization ... 43

3.2. Il management delle competenze ... 51

3.3. Le competenze manageriali per un efficace management delle competenze ... 57

3.4. Il ruolo della cultura organizzativa ... 60

3.5. Benessere organizzativo, clima organizzativo e knowledge management ... 63

Capitolo 4 : Studio sperimentale ... 67

4.1. Background ... 67

4.2. Analisi della letteratura selezionata ... 68

4.3. Materiali e metodi ... 74

4.3.1. Campione e Setting di ricerca ... 74

4.3.2. Strumenti... 75

4.3.3. Analisi dei dati ... 76

4.4. Risultati... 77

4.5. Discussione ... 91

Conclusioni ... 98

(3)

Allegati... 104 Allegato 1 : Questionario sul KM impiegato nello studio ... 104 Ringraziamenti... 111

(4)

Elenco abbreviazioni Abbreviazione Spiegazione Ad es. AFD ANA AOUP art. c. CCNL D.Lgs D.M. DPCM DPR ecc. FAD ICT IPASVI ISFOL KM KMs L. LM MeS n. NIOSH OCSE OMS PDTA QWL R.D. RAD SBART SSN SWAT U.O. USA VS WHO Ad esempio

Abilitante a Funzioni Direttive American Nurses Association

Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana Articolo

Comma

Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro Decreto Legislativo

Decreto Ministeriale

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Decreto del Presidente della Repubblica

Eccetera

Formazione a Distanza

Tecnologie della Comunicazione e dell’Informazione Collegio degli Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia

Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori

Knowledge Management

Knowledge Management Strategy Legge

Laurea Magistrale

Laboratorio Management e Sanità Numero

The National Institute for Occupational Safety and Health Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico Organizzazione Mondiale della Sanità

Percorso diagnostico - terapeutico – assistenziale Work Life Quality

Regio Decreto

Responsabile Assistenziale di Dipartimento

Sistema Bibliotecario degli Atenei della Regione Toscana Servizio Sanitario Nazionale

Strenghts, Weaknesses, Opportunities, Threats Unità Operativa

Stati Uniti d’America Versus

(5)

Indice delle figure

Figura 1 : Principali passaggi normativi circa l’evoluzione dei ruoli manageriali

infermieristici. ... 20

Figura 2 : Principali funzioni ed attività del coordinatore di unità operativa in relazione alla gestione delle conoscenze. ... 23

Figura 3 : Principali funzioni ed attività del Responsabile Assistenziale di Dipartimento in relazione alla gestione delle conoscenze. ... 24

Figura 4 : Principali funzioni ed attività del dirigente del servizio delle professioni sanitarie in relazione in relazione alla gestione delle conoscenze. ... 25

Figura 5 : Caratteristiche demografiche degli infermieri coinvolti nell’indagine ... 77

Figura 6 : Correlazione età – titoli di studio conseguiti. ... 78

Figura 7 : Conoscenza generale KM... 78

Figura 8 : Stato applicazione KM ... 79

Figura 9 : Documenti chiave necessari per lo svolgimento al meglio del proprio lavoro ... 79

Figura 10 : Tempo necessario per la consultazione di documenti conoscitivi ... 79

Figura 11 : Percezione contributo creazione conoscenze nell’organizzazione ... 80

Figura 12 : Modalità rilevazione fabbisogno formativo ... 80

Figura 13 : Modalità diffusione conoscenza ... 81

Figura 14 : cultura condivisione e applicazione conoscenza tacita ed esplicita ... 81

Figura 15 : Modalità condivisione conoscenze esperti ... 82

Figura 16 : Impegno dirigenti e coordinatori nella condivisione conoscenza tacita ... 82

Figura 17 : Percezione tipologia di cultura organizzativa ... 83

Figura 18 : Diffusione documenti che informino dell’acquisizione, del consolidamento e dell’applicazione di conoscenze nell’organizzazione ... 84

Figura 19 : Tecnologie utilizzate per la gestione delle conoscenze disponibili ... 84

Figura 20 : Stato effettuazione mappatura competenze specifiche per area e ruolo professionale e conseguente diagnosi... 84

Figura 21 : Percezione potenziali vantaggi che possono derivare da un’efficace applicazione del KM ... 85

Figura 22 : Percezione ostacoli all’implementazione del KM ... 86

Figura 23 : Percezione coerenza assegnazione u.o. – bagaglio di competenze posseduto ... 87

Figura 24 : Correlazione assegnazione u.o. coerente – motivo di soddisfazione ... 88

Figura 25 : Correlazione mancata assegnazione u.o. ... 88

Figura 26 : Percezione barriere culturali al KM ... 89

Figura 27 : Percezione fattori che influenzano la conservazione delle conoscenze ... 90

Figura 28 : Percezione meccanismi utili per la condivisione della conoscenza ... 90

Figura 29 : Livello di soddisfazione degli infermieri coinvolti nell’indagine circa le strategie di KM attuate all’interno dell’organizzazione ... 91

(6)

Premessa

L’idea di questo lavoro nasce da alcune osservazioni che ho potuto fare nell’ambito della mia realtà lavorativa ed in parte anche nell’ambito del mio percorso di studi universitari. La figura dell’infermiere, così come molte altri professionisti sanitari, ha subìto un’evoluzione notevole nel corso degli ultimi anni, guadagnando sempre più autonomia e professionalità e acquisendo nuove competenze, adattandosi così al mutevole contesto in cui si trova ad operare.

Ciononostante, laddove invece sarebbe fondamentale, non sempre è possibile osservare una coesione e la volontà di collaborare con i propri colleghi, anzi non poche volte ho potuto riscontrare, soprattutto nelle mie esperienze di studio, una sorta di “gelosia” del sapere che si detiene, con una scarsa predisposizione a condividerlo con gli altri.

Non è infrequente inoltre che molte delle conoscenze che sono state acquisite, soprattutto quelle maggiormente specialistiche, rimangano accantonate in un angolo, quando non trovano immediata applicazione, e raramente vengono rivalutate nella propria realtà lavorativa per essere efficacemente impiegate valorizzando il professionista e traendone comunque vantaggi per l’organizzazione a cui appartiene.

Bisogna poi considerare che l’acquisizione di nuove competenze o il potenziamento di quelle già possedute richiedono l’ impegno, gli sforzi, la motivazione del professionista pertanto, ponendo lo stesso, qualora sia possibile, nella condizione di poterle applicare e sfruttare, si può creare un circolo positivo, rinforzando la soddisfazione lavorativa e la motivazione del professionista, che a loro volta lo stimoleranno a fare di più e dunque a migliorare la propria performance, con risultati positivi per i pazienti, i colleghi, se stessi e l’organizzazione tutta.

(7)

Un’adeguata gestione delle competenze dei professionisti sanitari tuttavia non è compito facile, considerando che deve incastrasi con molte altre continue ed emergenti necessità che caratterizzano il moderno contesto sanitario, e che richiede prima di tutto di intervenire sulla cultura organizzativa, dunque sui valori, sulle credenze, sulle convinzioni delle persone, affinché questi si possano poi tradurre in comportamenti condivisi.

Per questo diviene fondamentale la valorizzazione dei professionisti e l’impiego di strategie che, valorizzando il merito e l’impegno, garantiscano loro una ricompensa, li spronino a fare da esempio e a porre il proprio sapere a disposizione di tutti.

Si tratta di un arduo lavoro che richiede l’impegno delle diverse figure coinvolte ai vari livelli, dai top manager, quali i dirigenti delle professioni sanitarie, la direzione sanitaria, la direzione generale, al middle management, ossia ai responsabili infermieristici di dipartimento, ai coordinatori, fino ad arrivare ai professionisti stessi, coinvolgendoli in molteplici processi, dalla creazione alla socializzazione delle conoscenze, per la cui riuscita l’aspetto sociale risulta determinante.

Il presente lavoro trae spunto da queste considerazioni andando ad analizzare i meccanismi complessi di cui si compone e si circonda il management delle conoscenze, il quale, capitalizzando il patrimonio conoscitivo, si configura come uno strumento valido da utilizzare a vantaggio delle organizzazioni e dei professionisti sanitari.

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Introduzione

Il vigente Patto per la Salute evidenzia come dalle ricerche condotte in ambito sanitario sia emersa la necessità crescente di conferire maggior forza e spazio alle potenzialità dei professionisti sanitari, di innovare i processi ed i modelli organizzativi e di migliorare l’appropriatezza e l’efficienza dei servizi erogati, all’interno dei quali i professionisti rappresentano una risorsa fondamentale, al fine di rispettare i principi del Servizio Sanitario Nazionale1 e di garantire la sostenibilità complessiva del sistema.

Gli obiettivi e le indicazioni in esso delineati prendono atto dell’attuale contesto

demografico ed epidemiologico e concentrano l’attenzione sull’efficacia,

sull’appropriatezza, sulla sostenibilità del Sistema e sulla necessità di valorizzare e potenziare i professionisti sanitari che operano al suo interno (1).

Da tali presupposti sono nate ad esempio2 le proposte e le iniziative che si prefiggono di realizzare l’evoluzione in senso specialistico delle competenze infermieristiche, le quali pongono all’attenzione delle organizzazioni sanitarie l’importanza del capitale intellettuale di cui sono dotate, o meglio delle conoscenze, delle abilità, delle competenze, delle esperienze dei professionisti sanitari, che influenzano notevolmente la qualità delle cure erogate ed il raggiungimento degli obiettivi organizzativi.

Difatti l’attuale atto di indirizzo delle professioni sanitarie varato il 13 Luglio 2016 dal Comitato del settore sanitario rappresenta una svolta importante per gli infermieri e gli altri professionisti sanitari in quanto, prevedendo all’interno dei futuri contratti la figura del “professionista specialista” e quella del “professionista esperto”, conferisce nuovo impulso alla valorizzazione delle professioni sanitarie attraverso un giusto riconoscimento delle competenze avanzate da esse acquisite (2).

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Si tratta di un importante passo avanti che darebbe finalmente concreta attuazione a quanto già sancito dal profilo professionale, dai percorsi formativi e dal codice deontologico, nonché dalla L.3 43/2006 ("Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali"), dallo stesso Patto della Salute e dalle ultime direttive europee e che, anche grazie alla previsione di una congrua retribuzione che conferisca un giusto riconoscimento a capacità e competenze, valorizza il merito e favorisce la crescita professionale di chi vuol fare di più.

Da tale quadro emerge tuttavia, al di là del giusto riconoscimento contrattuale e retributivo dei professionisti e delle loro competenze, la necessità di gestire in maniera adeguata ed affine agli obiettivi sopramenzionati il capitale conoscitivo insito nelle organizzazioni sanitarie, aspetto che potrebbe influenzare e a sua volta essere influenzato dal clima e dal benessere organizzativi, entrambi incidenti sulla performance organizzativa.

In questo ambito il Knowledge Management4 diviene uno degli strumenti principali per governare le nuove esigenze del moderno contesto assistenziale in quanto finalizzato all’incentivazione, alla creazione, alla condivisione e all’effettiva applicazione del sapere, inteso come una delle risorse più importanti all’interno dell’organizzazione, che consente di ottenere un vantaggio competitivo in grado di far leva sul grado di soddisfazione dei pazienti, garantendo ai professionisti che fanno parte dell’organizzazione l’accesso alle competenze ed alle informazioni necessarie per supportare le attività.

A partire da tale concezione che mira ad investire sulla risorsa umana in quanto depositaria di conoscenza, quindi di valore da utilizzare a vantaggio dell’organizzazione, diviene indispensabile l’adozione di strategie di KM per creare una organizzazione che apprende

3 Legge

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(learning organization), realizzando ed orientando la propria attività come un sistema finalizzato ad incoraggiare l’apprendimento continuo, la creazione di nuove conoscenze dei processi.

La gestione delle competenze non può prescindere però dall’esistenza di un sistema sociale interno all’organizzazione in grado di creare un clima di fiducia e rispetto reciproco tra i professionisti, alimentandone la motivazione e l’entusiasmo, elementi cruciali per la creazione e la condivisione della conoscenza.

Il presente lavoro prende in analisi tali aspetti affrontandoli in quattro sezioni principali : nel primo capitolo vengono descritti l’evoluzione subìta dal contesto sanitario e conseguentemente dalle professioni che vi operano all’interno; nel secondo vengono sviscerati gli aspetti delle competenze, delle conoscenze e del knowledge management; nel terzo vengono analizzati il modello di gestione delle competenze e la sua correlazione con il benessere ed il clima organizzativi; nel quarto ed ultimo capitolo viene presentato lo studio da me condotto all’interno della Azienda Ospedaliero - Universitaria Pisana, volto ad indagare in particolar modo l’impatto che la gestione delle conoscenze ha sul clima organizzativo, rilevando la percezione degli infermieri circa l’efficacia delle strategie di KM attuate nella loro organizzazione di appartenenza ai fini della soddisfazione lavorativa.

(11)

Capitolo 1 : Evoluzione del contesto sanitario

“Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno quella più

intelligente ma la specie che risponde meglio al cambiamento”. (Charles Darwin)

Il sistema sanitario italiano ha subìto nel corso degli ultimi quattro decenni delle profonde modifiche, iniziate fondamentalmente con la Legge 23 Dicembre 1978, n.833 denominata Riforma Sanitaria con la quale viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale, mediante cui sono stati introdotti principi ed obiettivi innovativi, primo fra tutti la costituzione di un Welfare State (stato sociale) che elevasse lo stato sociale dei cittadini e li mettesse in condizione di esercitare i propri diritti civili e politici in tutti i campi, compreso quello della tutela della salute.

La riforma sanitaria è stata tuttavia emanata in un contesto di crescente carenza di risorse che ha finito per determinare una crescita incontrollata della spesa pubblica con inevitabili ripercussioni sull’intero sistema. Da qui la necessità di intervenire con nuovi interventi normativi che hanno modificato radicalmente il sistema con conseguenze anche sull’evoluzione delle figure professionali coinvolte e dei modelli organizzativi da esse adottati, secondo le modalità di seguito esposte.

1.1. Dalla Riforma Sanitaria ad oggi : l’evoluzione delle aziende sanitarie

Nel pieno rispetto dei principi costituzionali, la Riforma Sanitaria ha comportato una vera e propria svolta rispetto ai modelli di gestione della tutela della salute impiegati precedentemente alla sua emanazione, cambiamenti riassumibili essenzialmente in :

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- istituzione del SSN, al fine di superare gli squilibri territoriali e garantire trattamenti sanitari uniformi;

- estensione dell’assistenza sanitaria a tutti i cittadini, secondo criteri che assicurino l’eguaglianza nei confronti dei servizi;

- prevenzione delle malattie e degli infortuni, tanto in ambito lavorativo quanto in ogni ambito di vita, promuovendo inoltre l’igiene ambientale;

- globalità del servizio, secondo la logica prevenzione - cura - riabilitazione;

- collegamento e coordinamento tra il SSN e tutte le istituzioni e servizi di natura sociale, il cui lavoro può influenzare lo stato di salute delle persone;

- affermazione della partecipazione dei cittadini, affinché siano resi partecipi delle scelte di salute che li riguardano e venga verificata la rispondenza dei servizi ai bisogni;

- importanza della formazione permanente del personale per garantirne lo sviluppo professionale;

- centralità della programmazione come metodo per organizzare i servizi, partendo dalla determinazione dei bisogni di salute e proseguendo con la pianificazione delle linee di indirizzo e delle prestazioni da erogare mediante il Piano Sanitario Nazionale;

- determinazione di tre livelli di competenza, nazionale, regionale e degli enti locali territoriali, istituendo le Unità Sanitarie Locali, strumento organizzativo volto a garantire i servizi e la loro integrazione a livello locale;

- finanziamento per mezzo del fondo sanitario nazionale, determinato annualmente e ripartito uniformemente tra le diverse regioni.

Tuttavia il contesto storico in cui la riforma è nata ha portato ad un’applicazione spesso frammentaria ed incompleta del criterio di efficienza nella gestione più che mai necessario,

(13)

considerando l’ormai insostenibile e crescente spesa pubblica che ha difatti portato il Legislatore ad intervenire sulla materia (3).

I provvedimenti normativi che hanno determinato una sostanziale modifica del sistema sanitario italiano sono stati in particolar modo i D.Lgs5 502/92 e D.Lgs 517/93 che hanno avviato il cosiddetto processo di “aziendalizzazione”, introducendo modifiche relative sia all’assetto organizzativo ed istituzionale che ai criteri e ai meccanismi di gestione, al fine di incrementare l’efficacia, l’efficienza e la produttività del sistema chiamato a garantire prestazioni di qualità superiore ma a costi unitari inferiori e a contenere la spesa del SSN attraverso l’introduzione di un meccanismo di mercato (sistema a tariffa, introduzione dei diagnosis related groups).

A seguire, con il D.Lgs 229/99 sono stati previsti ulteriori interventi finalizzati ad incrementare la razionalizzazione del SSN , quali ad esempio:

- rivisitazione delle disposizioni sulla dirigenza medica e delle professioni sanitarie, prevedendo un ampliamento delle autonomie e delle responsabilità dei professionisti;

- introduzione di nuovi principi nell’ambito della ricerca sanitaria, la quale è chiamata a rispondere al fabbisogno conoscitivo ed operativo del SSN e ai suoi obiettivi di salute, individuati con un apposito programma di ricerca previsto dal Piano Sanitario Nazionale;

- articolazione in aree funzionali omogenee ed integrazione di dipartimenti delle unità operative affini e complementari (4).

Attraverso i sopramenzionati decreti ed altri interventi normativi successivi è stato definito un nuovo assetto istituzionale ed un nuovo modello di governo del SSN, per mezzo di

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meccanismi di gestione indispensabili per garantire una più razionale allocazione delle risorse e delineare un nuovo rapporto con gli utenti basato su una maggiore consapevolezza delle esigenze degli stessi e dei limiti delle risorse.

Il processo di aziendalizzazione ha comportato dei cambiamenti profondi all’interno del sistema sanitario come ad es. l’introduzione di strumenti di regolazione economica all’interno delle aziende sanitarie e di quelle ospedaliere e di un perentorio vincolo di bilancio che le ha viste costrette a dotarsi di strumenti gestionali specifici e a rivedere le attività direzionali, amministrative e di supporto, portando inoltre allo sviluppo di competenze manageriali anche per ruoli che rimangono prevalentemente clinici (es. medici direttori di unità operativa sanitaria), all’aggiornamento di ruoli tradizionali e all’emersione di nuovi ruoli organizzativi.

Tali cambiamenti hanno dunque comportato la necessità di adeguare le competenze dei professionisti che operano all’interno delle strutture sanitarie.

Le nuove competenze gestionali richieste sono andate spesso ad affiancarsi alle competenze clinico - assistenziali (dirigenti del ruolo sanitario) o giuridico – amministrativo (dirigenti dei ruoli professionale, tecnico e amministrativo) sia per rispondere alla necessità di promuovere logiche di mercato e strumenti di management nelle aziende pubbliche richieste dal cosiddetto “management pubblico”, che per soddisfare la crescente complessità organizzativa delle strutture sanitarie attribuibile al costante progresso scientifico, alla professionalizzazione delle attività assistenziali, al progresso tecnologico delle apparecchiature sanitarie, alle crescenti esigenze di sicurezza dei pazienti, alla progressiva specializzazione dei professionisti sanitari (5).

In tale contesto, le aziende sanitarie, per essere innovative, devono essere progettate come sistemi in grado di apprendere e ricercare, anche se il processo di aziendalizzazione, con

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tutti i cambiamenti che ha comportato, ha sperimentato molto spesso delle resistenze da parte del personale sanitario che ha vissuto tale processo come un attacco alla propria autonomia professionale interpretandolo come tentativo di far prevalere le logiche economiche di costo - efficacia e di efficienza su quelle tradizionali e caratteristiche della sfera salute, cioè quelle clinico - assistenziali.

Le frequenti mancate integrazione, condivisione ed interiorizzazione degli strumenti introdotti da parte dei professionisti sanitari, non sempre hanno prodotto e producono i risultati sperati, anche in considerazione della complessità organizzativa propria delle organizzazioni sanitarie, alla quale contribuiscono numerosi elementi, quali ad es. :

- la multidisciplinarietà : cioè la coesistenza di figure professionali differenti (medici, infermieri, ostetriche, fisioterapisti, tecnici di laboratori, ecc6) che è necessario integrare e coordinare per il raggiungimento degli obiettivi prefissati; - il conflitto differenziazione vs7 integrazione : determinato dal confronto tra le due

tendenze distintive dell’ambiente sanitario, cioè alla specializzazione da una parte ed alla integrazione della multidisciplinarietà dall’altra;

- autonomia dei professionisti : determinata dall’alta professionalità ma che implica anche un’elevata discrezionalità decisionale;

- bassa standardizzabilità : anche nell’ottica della personalizzazione dell’assistenza, essa rende difficile prevedere o standardizzare il comportamento degli operatori; - interdipendenza : ogni unità operativa deve collaborare con altre per poter erogare i

suoi servizi;

6 eccetera ;

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- attività continua : la maggior parte delle attività sanitarie si svolge nell’arco dell’intera giornata ed ogni giorno dell’anno, influenzando in tal modo molte altre variabili organizzative (es. gestione risorse umane);

- possibilità che si verifichino imprevisti : urgenze, assenze impreviste del personale, ecc;

- necessità gestionali : il bilancio deve essere mantenuto in pareggio;

- domanda di salute : i cambiamenti epidemiologici impongono un adattamento continuo dei sevizi erogati (3), come l’attuale incremento delle patologie cronico - degenerative che ha determinato cambiamenti anche a livello dei modelli assistenziali impiegati (con una maggior propensione all’espansione dei servizi territoriali).

Tutte queste caratteristiche proprie del sistema sanitario e provenienti anche dall’ambiente esterno rendono estremamente complessa la gestione delle organizzazioni sanitarie, nell’ambito delle quali acquista sempre più importanza la gestione delle risorse umane, finalizzata alla generazione di valore delle persone e delle loro competenze.

Per tale gestione diviene fondamentale il ruolo dei coordinatori e dei dirigenti che possono rappresentare i promotori del rinnovamento, puntando sul capitale umano e sul management delle conoscenze (knowledge management), elementi determinanti per la sopravvivenza ed il successo delle organizzazioni sanitarie.

Adattando il sistema formativo alle nuove esigenze organizzative e di management si potranno raggiungere gli obiettivi prefissati, intervenendo in particolar modo sulla cultura ed il clima organizzativi, in quanto il cambiamento della mentalità rappresenta il punto di partenza per un sistema in grado di apprendere e di ricercare, per il quale però risulta

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necessaria una metamorfosi anche della cultura manageriale, realizzabile attraverso l’acquisizione di nuove competenze.

Con l’aziendalizzazione difatti i professionisti sanitari con ruoli gestionali sono stati chiamati ad acquisire competenze manageriali ed il management sanitario in Italia ha acquisito una propria autonomia ed una certa rilevanza anche nella formazione universitaria infermieristica, basandosi sulle nuove esigenze di flessibilità e miglioramento rese necessarie dai cambiamenti occorsi nel SSN.

Tutti questi aspetti rendono sempre più spesso le organizzazioni sanitarie delle learning

organization, cioè delle organizzazioni che apprendono, che si adattano e si trasformano

col mutare del contesto, per rispondere e soddisfare le emergenti necessità del settore sanitario, modificando e creando una nuova cultura organizzativa che coinvolga attivamente tutto il personale, dirigenziale e non, in un processo di apprendimento e sviluppo continuo delle proprie competenze e della propria motivazione, promuovendo l’informazione e la comunicazione aziendale secondo processi focalizzati sulla centralità della risorsa umana.

1.2. Evoluzione della professione infermieristica e cambiamenti nelle funzioni di management

La crescente complessità delle organizzazioni sanitarie e dei bisogni che esse intendono soddisfare, incrementata ulteriormente dagli impianti normativi sopramenzionati succedutisi negli ultimi anni e dal continuo progresso tecnico-scientifico, hanno reso necessaria l’introduzione di importanti cambiamenti anche per quanto riguarda le funzioni dirigenziali e di coordinamento delle professionalità espresse dalle risorse umane.

Difatti, parallelamente ai cambiamenti occorsi all’interno del SSN ed all’evoluzione dei saperi professionali, nel corso degli ultimi quarant’anni abbiamo assistito ad una notevole

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evoluzione della figura dell’infermiere, in termini di responsabilità, autonomia e sviluppo professionale, formazione, competenze richieste, delineata da specifici interventi normativi relativi in particolar modo alla definizione del profilo professionale, alla formazione universitaria ed alla definizione degli ambiti di sviluppo della professione, soprattutto per quanto concerne la direzione manageriale.

In Italia ed in molti altri paesi la creazione di una dirigenza professionale ha rappresentato una svolta decisiva nella riforma dell’assistenza infermieristica ma affonda le sue radici in tempi relativamente recenti nell’ambito britannico grazie al lavoro ed al contributo apportati da Florence Nightingale (1820-1910) e dalle sue collaboratrici.

Già nel 1860 difatti, sorgeva a Londra la cosiddetta “Scuola Nightingale”, considerata un importante centro di formazione infermieristico dove le allieve venivano istruite non solo sull’assistenza agli infermi, ma anche sull’organizzazione dei servizi che includeva il controllo delle risorse e la garanzia della qualità. Nei decenni a seguire in diversi paesi si diffondeva la figura del “capo infermiere” spesso accompagnata, soprattutto negli USA8, da una concezione organizzativa del lavoro di tipo scientifico (Tayloristica), anche se si diffusero poi ulteriori modelli organizzativi delle attività infermieristiche. Agli inizi del Novecento in Italia nascevano le scuole per infermiere che prendevano spunto dai principi della Nightingale ma in realtà si dovette aspettare il R.D.9 15 agosto 1925 n.1832 ed il successivo regolamento di esecuzione R.D. 21 Novembre 1929 n.2330 per poter assistere ad una vera razionalizzazione della formazione infermieristica a livello nazionale. Tali provvedimenti istituirono e regolamentarono delle scuole convitto riconosciute e controllate a livello statale che consentivano il conseguimento del diploma necessario per esercitare la professione infermieristica, rilasciato al termine di un percorso di studio di

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durata biennale, nonché il titolo “Abilitante a Funzioni Direttive”10 per le infermiere diplomate che avrebbero frequentato un terzo anno di corso, il quale però garantiva la possibilità di esercitare soltanto la funzione di direttrice dei centri di formazione. La direzione dei servizi di assistenza era invece di pertinenza delle cosiddette caposala, ruolo a cui si poteva accedere anche con il solo diploma di infermiera. Sono stati comunque necessari molti altri interventi normativi per arrivare alla definizione delle figure manageriali infermieristiche attuali, i quali possono essere così brevemente sintetizzati (3):

D.P.R.11 24 maggio 1964 n. 755 Viene istituita presso l’Università “La Sapienza” di Roma la prima scuola diretta a fini speciali per Dirigenti dell’Assistenza Infermieristica (suddivisa nelle sezioni pedagogica, amministrativa per i servizi assistenziali ed amministrativa per i servizi medico-sociali);

D.P.R. 27 marzo 1969 n.128 Art.128 : il caposala viene inserito nella dotazione del “personale sanitario ausiliario” e si stabilisce che ve ne sia uno per ogni unità operativa13; Art.41 : tra le altre, definisce anche le attribuzioni del caposala, tra le quali figurano il controllo e la direzione degli infermieri e del personale ausiliario;

Art. 44 : istituisce la figura del Capo dei Servizi Sanitari Ausiliari all’interno della categoria “Personale dirigente e di formazione didattica”;

D.P.R. 27 marzo 1969 n. 130 Viene prevista un’anzianità di servizio di almeno

tre anni e il titolo di Abilitazione a Funzioni Direttive per poter essere assunti come caposala tramite concorso;

D.M.14 2 aprile 2001 del Ministero

dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica

Vengono determinate le classi universitarie delle professioni sanitarie, fissati gli obiettivi formativi qualificanti, le attività formative indispensabili e le classi delle professioni sanitarie specialistiche;

Legge n.42 del 1999 Vengono delimitate le responsabilità delle professioni sanitarie e stabilita l’equipollenza con i diplomi universitari di quelli conseguiti in base alla precedente normativa;

Legge n.251 del 2000 sancisce l’autonomia professionale dei

professionisti sanitari e viene prevista (art.5) la disattivazione delle scuole dirette a fini speciali per docenti e dirigenti dell’assistenza infermieristica, in virtù dell’attivazione dei corsi universitari di II livello, ovvero della laurea magistrale15;

Art.7 : prevede l’istituzione dei servizi

10indicato con l’acronimo AFD;

11Decreto del Presidente della Repubblica; 12articolo;

13 da qui in avanti indicata con l’acronimo u.o. ;

14Decreto Ministeriale;

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infermieristici  “al fine di migliorare l’assistenza e per la qualificazione delle risorse le aziende sanitarie possono istituire il servizio dell’ assistenza infermieristica ed ostetrica e possono attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio”

Legge n.43 del 2006 Articola il personale laureato delle professioni sanitarie in due figure con il ruolo di specialista tecnico e due con funzioni manageriali (coordinatore e dirigente);

CCNL16 integrativo del 10.2.2004 Art.41 : norma programmatica di istituzione della qualifica di dirigente (6) ;

DPCM17 25 gennaio 2008 (rende esecutivo

l’Accordo Stato-Regioni del 15 novembre 2007 concernente la disciplina per la qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie)

Definisce i criteri per l’attivazione della funzione di dirigente (6).

Figura 1 : Principali passaggi normativi circa l’evoluzione dei ruoli manageriali infermieristici.

Ciascuna delle norme sopraelencate ha contribuito notevolmente alla definizione dei ruoli infermieristici attuali, rendendoli sempre più preparati alle richieste di un ambiente in continua evoluzione. Tra questi risulta necessario sottolineare l’importanze della Legge 1 febbraio 2006 n.43 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche,

ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali” (7) la quale nell’art. 6 articola il personale

laureato appartenenti alle professioni sanitarie in :

a) professionisti in possesso del diploma di laurea o del titolo universitario conseguito anteriormente all’attivazione dei corsi di laurea o di diploma ad esso equipollenti ai sensi dell’art.4 della legge n.42 del 1999;

b) professionisti coordinatori in possesso del master di I livello in management o per le funzioni di coordinamento rilasciato dall’ università ai sensi dell’art.3, c.188, del Regolamento di cui al Decreto del Ministero dell’università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica n.509/99 e del regolamento di cui al decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 22 ottobre 2004 n.270;

16 Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro;

(21)

c) professionisti specialisti in possesso del master di primo livello per le funzioni specialistiche rilasciato dall’ università ai sensi dell’art.3, c.8, del Regolamento di cui al Decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica n.509/99 e del regolamento di cui al decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 22 ottobre 2004 n.270;

d) professionisti dirigenti in possesso della laurea specialistica di cui al decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica 2 aprile 2001 e che abbiano esercitato l’attività professionale con rapporto di lavoro dipendente per almeno 5 anni, oppure ai quali sono stati conferiti incarichi dirigenziali ai sensi dell’art.7 della legge 10 agosto del 2000 n.251, e successive modifiche.

Tale legge dunque ha definito e strutturato i ruoli manageriali infermieristici attribuendo loro funzioni di tipo gestionale ed organizzativo e distinguendoli da quelle dei professionisti con ruoli di tipo specialista - tecnico, sebbene in realtà allo stato attuale risulti necessario per tutti i professionisti possedere entrambi i tipi di competenze. L’evoluzione normativa verificatasi difatti, risulta incentrata sempre di più sul concetto di competenza, intesa come la chiave di volta, l’elemento cardine per lo sviluppo dei professionisti verso ruoli più avanzati, non più inscatolati in rigide mansioni, ma in continua evoluzione, al passo con i cambiamenti del SSN, il che richiede inoltre un elevato livello di integrazione tra di essi ed in questo senso il dirigente delle professioni sanitarie in particolar modo è la figura che può contribuire maggiormente ad armonizzare il sistema, creando strategiche collaborazioni ed integrazioni, soprattutto grazie alla sua partecipazione alla direzione aziendale.

Coordinatori e dirigenti delle professioni sanitarie possono ricoprire diversi ruoli ai vari livelli delle organizzazioni sanitarie riassumibili essenzialmente in : nucleo o unità operativa (coordinatore di unità operativa), area dipartimentale (responsabile o

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coordinatore assistenziale di dipartimento19), servizio delle professioni sanitarie (dirigente delle professioni sanitarie).

Le funzioni e le attività attribuibili a ciascuna delle suddette figure possono essere ricondotte a cinque ambiti principali : pianificazione, gestione ed organizzazione, direzione, sviluppo delle risorse umane e del servizio, valutazione e controllo.

Per quanto concerne la gestione delle risorse umane e del patrimonio conoscitivo di cui queste sono portatrici vengono di seguito sottolineate le funzioni e le attività (3) ritenute maggiormente rilevanti ai fini di un management delle conoscenze e della costruzione di una learning organization:

FUNZIONI coordinatore di u.o.

ATTIVITA’ coordinatore di u.o.

Gestione e organizzazione  predisposizione, implementazione e revisione, con modalità

condivise, di strumenti per l’organizzazione delle attività, ad es. piani di lavoro e procedure;

 gestione e facilitazione del passaggio delle informazioni, sia cliniche che organizzative, tra i membri del team;

Direzione  promozione della motivazione del team;

 facilitazione dello sviluppo di competenze, talenti, progetti;  gestione e prevenzione dei conflitti all’interno del team;  gestione delle riunioni di team e partecipazione a quelle di

tipo interprofessionale, dipartimentali o aziendali;

Sviluppo delle risorse umane e del servizio

 Accoglienza e inserimento di professioni di nuova acquisizione;

 collaborazione alla pianificazione, alla progettazione, all’attuazione ed alla valutazione di interventi di formazione ed aggiornamento;

 collaborazione alla pianificazione, alla progettazione, all’attuazione ed alla valutazione delle attività di tirocinio degli studenti;

 promozione e partecipazione a iniziative di ricerca e sviluppo per l’applicazione di best practice;

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 promozione e facilitazione dello sviluppo delle competenze delle risorse umane;

Valutazione e controllo  valutazione del grado di raggiungimento degli obiettivi

relativi ai processi di propria competenza;

 valutazione della performance e delle competenze del team;  partecipazione a iniziative dipartimentali o aziendali per il

monitoraggio, la valutazione, la promozione dell’efficacia, dell’efficienza, dell’appropriatezza del servizio e della soddisfazione delle persone assistite.

Figura 2 : Principali funzioni ed attività del coordinatore di unità operativa in relazione alla gestione delle conoscenze.

FUNZIONI R.A.D. ATTIVITA’ R.A.D.

Gestione e organizzazione  predisposizione, implementazione e revisione, con modalità

condivise, di strumenti uniformi per l’organizzazione delle attività all’interno del dipartimento, ad es. percorsi, protocolli e procedure;

Direzione  promozione della creazione e mantenimento di un clima

organizzativo positivo e motivante;

 gestione e prevenzione dei conflitti all’interno del dipartimento;

 gestione delle riunioni con i coordinatori delle uu.oo.afferenti al dipartimento o con i team delle singole uu.oo. e partecipazione a quelle di tipo interprofessionale, dipartimentali o aziendali;

Sviluppo delle risorse umane e del servizio

 Definizione dei criteri e dei percorsi per l’ accoglienza e l’ inserimento di professioni di nuova acquisizione;

 coordinamento a livello dipartimentale delle iniziative di formazione ed aggiornamento e delle attività di tirocinio degli studenti;

 coordinamento a livello dipartimentale delle iniziative di ricerca e sviluppo per l’applicazione di best practice;

 promozione e facilitazione dello sviluppo delle competenze delle risorse umane;

Valutazione e controllo  definizione (o partecipazione a progetti aziendali per la

definizione) dei criteri per la valutazione della performance e delle competenze dei team afferenti al dipartimento;

 partecipazione a iniziative dipartimentali o aziendali per definizione (o partecipazione a progetti aziendali per la definizione) dei criteri per il monitoraggio, la valutazione, la promozione dell’efficacia, dell’efficienza, dell’ appropriatezza

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del servizio e della soddisfazione delle persone assistite. Figura 3 : Principali funzioni ed attività del Responsabile Assistenziale di Dipartimento in relazione alla gestione delle conoscenze.

FUNZIONI del Dirigente del Servizio delle Professioni

Sanitarie

ATTIVITA’ del

Dirigente del Servizio delle Professioni Sanitarie

Pianificazione  collaborazione alla definizione di piani strategici di sviluppo

aziendale;

 definizione dei parametri per la determinazione della tipologia quali-quantitativa di risorse umane necessarie per realizzare gli obiettivi aziendali e del servizio delle professioni sanitarie;  definizione dei criteri per la valutazione della performance e delle

competenze dei professionisti;

Gestione e organizzazione  sostenere l’implementazione di nuovi modelli, metodi e strumenti

per lo sviluppo dell’organizzazione, delle professioni e del servizio;

 definizione e predisposizione della documentazione a supporto di incontri e riunioni dei quali è responsabile;

 sostegno a progetti di riorganizzazione e innovazione del servizio;

Direzione  creazione e mantenimento di un clima organizzativo positivo e

motivante che sostenga la retention delle risorse umane;

 promozione dei cambiamenti culturali, professionali ed organizzativi;

 gestione delle riunioni con i coordinatori dei dipartimenti o delle uu.oo. e partecipazione a quelle di tipo interprofessionale, dipartimentali o aziendali;

 adozione di una leadership situazionale che prediliga stili supportivi che consentano la prevenzione e la gestione dei conflitti;

Sviluppo delle risorse umane e del servizio

 Definizione di obiettivi strategici, criteri, percorsi, priorità per l’inserimento, lo sviluppo, la retention delle risorse umane;  definizione dei criteri per la valutazione delle risorse umane;  promozione, supervisione e valutazione di iniziative di ricerca e

di sviluppo per l’applicazione di best practice;

Valutazione e controllo  definizione dei criteri per la valutazione della performance e delle

competenze dei professionisti;

 valutazione dell’applicazione dei criteri per il monitoraggio, la valutazione, la promozione dell’efficacia, dell’efficienza,

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dell’appropriatezza del servizio e della soddisfazione delle persone assistite.

Figura 4 : Principali funzioni ed attività del dirigente del servizio delle professioni sanitarie in relazione in relazione alla gestione delle conoscenze.

Da tale panoramica circa l’evoluzione della professione infermieristica, di tutto il contesto sanitario e delle competenze necessarie per soddisfare le esigenze dello stesso emerge l’importanza crescente che rivestono le risorse umane, le quali, come illustrato, rappresentano, insieme al capitale conoscitivo ed intellettuale di cui sono dotate, elemento cruciale sul quale lavorare, attivando molteplici aspetti manageriali per riuscire a gestire le

organizzazioni knowledge-intensive quali quelle sanitarie e migliorare l’efficacia e

l’efficienza dei processi.

1.3. Le organizzazioni sanitarie quali realtà knowledge - intensive

Il contesto descritto implica continui contatti tra le organizzazioni sanitarie (ospedali, aziende ospedaliero - universitarie, ecc.) ed altre aziende ed istituzioni che le rende sempre orientate all’innovazione, al cambiamento, caratteristica ormai necessaria in considerazione della trasformazione non solo dello scenario sociale ed economico, ma anche di quello epidemiologico, in quanto la necessità di dover affrontare nuovi e più complessi problemi di salute ha portato le organizzazioni a dotarsi di nuove conoscenze e competenze interdisciplinari che si vanno evolvendo sempre più verso una crescente specializzazione. Si tratta dunque di realtà estremamente complesse in cui il management della conoscenza acquisisce un’importanza sempre maggiore, anche in considerazione dell’eterogeneità delle attività svolte in ambito sanitario che si ripercuote sull’esistenza di unità operative estremamente differenziate e di gruppi professionali diversi.

Il notevole contributo che tali professionalità apportano grazie alla conoscenza specialistica

ed alla expertise che detengono derivanti dalla formazione universitaria,

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performance e ci permette di considerare gli ospedali nel modo in cui le ha definite Blacker (1995), ovvero delle tipiche organizzazioni expert - dependent. (8).

Come già anticipato nella sezione relativa al contesto, le organizzazioni sanitarie presentano numerosi elementi di complessità organizzativa, molti dei quali tipici delle aziende deputate all’erogazione di servizi (intangibilità, impossibilità di separare il momento della produzione da quello dell’erogazione, ecc), altri invece sono da intendersi strettamente correlati alle caratteristiche proprie dei servizi erogati dalle aziende ospedaliere, quali ad esempio la necessaria integrazione tra professionalità diverse non solo per le conoscenze e le competenze di cui dispongono, ma anche per i loro cultura, valori, principi di base, che spesso ne rendono difficili il coordinamento, in quanto la definizione di norme e procedure di management ospedaliero cerca di limitare l’autonomia decisionale dei professionisti.

In considerazione dunque della necessità di gestire e coordinare i professionisti e del grande patrimonio conoscitivo individuale di cui sono dotate, risulta importante instaurare una rete relazionale che consenta di diffondere e sfruttare le conoscenze all’interno dell’organizzazione e, soprattutto, di tradurre tali conoscenze in competenze che l’organizzazione possa sfruttare per migliorare i processi assistenziali (8) capacità più che mai necessaria per gli ospedali, in particolare in quelle realtà che affiancano le attività di ricerca e didattica a quelle assistenziali.

Ne sono un esempio le aziende ospedaliero – universitarie, istituite attraverso il D.Lgs 517/99 (“Disciplina dei Rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale ed Università”) che indica con tale termine i policlinici universitari ed i presidi ospedalieri in cui insiste la prevalenza del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, dotati di autonoma personalità giuridica. Si tratta di realtà che erogano una tipologia di servizi piuttosto ampia e che

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affiancano alle funzioni di diagnosi, cura ed assistenza, le funzioni dell’insegnamento (universitario, post-universitario, tecnico-infermieristico ed assistenziale) e della ricerca scientifica, da cui derivano prestazioni fondamentali per la società e per le aziende stesse, qualora si prefiggano di divenire delle organizzazioni che apprendono. Questi ospedali spesso rappresentano dei centri di eccellenza a livello nazionale per il trattamento di casi particolarmente complessi e sono responsabili per gran parte della formazione e della pratica clinica dei medici, degli infermieri e degli altri professionisti sanitari, anche in considerazione della continua attività di ricerca ed allo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate che si svolgono al loro interno.

Negli ospedali di insegnamento come appunto le aziende ospedaliero – universitarie coesistono inoltre stakeholders portatori di interessi differenti e non sempre perfettamente allineati : i professionisti sanitari, orientati alla tutela dello stato di salute della popolazione ed al perseguimento degli obiettivi prefissati a livello di programmazione sanitaria nazionale, regionale e locale ed i professionisti che dipendono dall’Università, maggiormente interessati alla ricerca ed alla formazione e dunque al perseguimento degli interessi accademici e scientifici. Questo determina e rende impellente la necessità di elaborare proposte organizzative che garantiscano la collaborazione ed il coordinamento tra le diverse componenti delle attuali realtà sanitarie, incentivando la ricerca e la formazione, fondamentali per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e dello stato di salute dei cittadini, mantenendo comunque elevata l’attenzione rivolta alle attività assistenziali, tant’è che il D.Lgs 517/99 è stato emanato proprio nell’ottica di regolamentare il sistema in modo da equilibrare ed allineare i differenti portatori di interessi (8).

(28)

Capitolo 2 : Il knowledge management : presupposti teorici

“Considerate la vostra semenza :

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza”

(La Divina Commedia, Dante Alighieri)

La gestione della conoscenza rappresenta attualmente un aspetto estremamente rilevante all’interno della governance integrata di organizzazioni complesse come quelle sanitarie, nelle quali si intrecciano elementi strutturali, meccanismi operativi e processi sociali e dove il capitale umano ha acquisito notevole importanza per lo sviluppo dell’organizzazione stessa, riconosciuto ormai come una delle principali risorse che possono determinarne il successo competitivo.

I professionisti sanitari rivestono ruoli sempre più complessi basando il proprio agire professionale sulla combinazione di procedure predefinite a scelte e decisioni assunte in piena autonomia, pertanto diviene indispensabile per le moderne organizzazioni sanitarie provvedere ad una corretta gestione del patrimonio conoscitivo dei professionisti che ne fanno parte al fine di operare in maniera efficace ed efficiente in un contesto mutevole come quello delineato (3).

A partire da simili esigenze è stato sviluppato quel complesso di pratiche manageriali a supporto della strategia aziendale che viene indicato come “knowledge management”, pienamente applicabile anche al contesto sanitario.

Qui di seguito ne verranno delineate le caratteristiche principali, partendo dagli aspetti di cui esso si compone.

(29)

2.1. Il concetto di competenza

Tenendo conto delle considerazioni sopracitate, molti studiosi ritengono necessario modificare la gestione della risorsa umana all’interno dei contesti sanitari, passando da una logica basata sulle mansioni, ad una basata sulle competenze.

Nel corso del tempo sono state attribuite numerose definizioni di “competenza”, tra le quali risulta senz’altro tra le più citate quella di Spencer e Spencer (1993) che hanno definito la competenza come:

“una caratteristica intrinseca individuale che è causalmente collegata ad una performance efficace o superiore in una mansione o in una situazione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito” (3).

Gli autori hanno poi specificato e descritto il significato che hanno attribuito ai termini utilizzati in tale definizione :

“Caratteristica intrinseca significa che la competenza è parte integrante e duratura della personalità d’un individuo , del quale può predire il comportamento in un’ampia gamma di situazioni e di compiti di lavoro. Causalmente collegata significa che la competenza causa o predice comportamento e risultati ottenuti. Misurata su un criterio prestabilito significa che la competenza predice chi esegue un lavoro bene o male, secondo criteri o standard specifici”.

Spencer e Spencer classificano le componenti delle competenze in : motivazioni, tratti, immagine di sé, conoscenza di discipline o argomenti specifici, skill.

- le motivazioni : gli schemi mentali, i bisogni e le spinte interiori che normalmente inducono una persona ad agire (es. motivazione al risultato);

(30)

- i tratti : le caratteristiche fisiche e la generale disposizione a comportarsi o reagire in un determinato modo ad una situazione o informazione (es. spirito di iniziativa); - l’immagine di sé : corrisponde ad atteggiamenti, valori o concetto di sé (es. la

fiducia in sé stessi);

- la conoscenza di discipline o argomenti specifici : indicata come una competenza complessa, non riducibile alla mera “conoscenza scolastica” che non sarebbe in grado di predire l’attitudine al lavoro. Non consiste soltanto nella memoria di fatti ed argomenti, ma è la capacità di reperire informazioni, o di condurre una discussione sul tema;

- le skill : rappresentano la capacità di eseguire un determinato compito intellettivo o fisico.

Conoscenze e skill sono definite dagli Autori la parte visibile dell’iceberg competenza (modello iceberg) , in quanto caratteristiche osservabili e relativamente superficiali sulle quali è più semplice intervenire, ad esempio attraverso un’efficace formazione professionale. Immagine di sé, motivazioni e tratti rappresentano invece la parte nascosta dell’iceberg, più difficile da sviluppare.

Il collegamento causale di cui parlano Spencer e Spencer indica che le motivazioni, i tratti e l’immagine di sé, seguendo il flusso

motivazione/tratti-comportamento-risultato, consentono di prevedere i risultati di performance mentre la prestazione di

livello superiore di cui parla la definizione,ossia quella che si contraddistingue rispetto alla media, riguarda una mansione specifica (3).

Tali aspetti si pongono all’attenzione dei coordinatori e dei dirigenti infermieristici, tra le cui funzioni figura anche la gestione e lo sviluppo delle competenze proprie e dei collaboratori che gestiscono, attraverso il riconoscimento delle competenze e dei limiti

(31)

delle stesse, ponendo in essere iniziative finalizzate al loro accrescimento, anche al fine di adeguarle alle esigenze dei professionisti, dei pazienti e dell’organizzazione.

2.2. Classificazione delle competenze

Molte delle definizioni impiegate per indicare il concetto di competenza sono concordi nel riconoscere la stessa come costituita da molteplici componenti quali la centralità della persona, le conoscenze che possiede, anche grazie all’aggiornamento continuo, strettamente correlate al tipo di attività che il professionista svolge, le capacità, spesso acquisite con l’esperienza ed osservabili nei comportamenti, l’attitudine al cambiamento, correlato alle caratteristiche della persona.

Da ciò risulta facilmente comprensibile come le competenze si raggiungano in modalità differenti che spaziano dalla formazione universitaria alle esperienze vissute nel contesto lavorativo, tenendo conto che la motivazione rappresenta un importantissimo catalizzatore che mette in moto i processi.

Risulta dunque fondamentale che i manager infermieristici creino e curino un contesto motivante e stimolante per una migliore gestione delle competenze, tramite interventi mirati sulla cultura organizzativa, che saranno ulteriormente approfonditi nel relativo paragrafo.

A partire dagli inizi degli anni Settanta quando lo psicologo David Mc Clelland presentò il modello delle competenze, queste sono state classificate in vari modi, tra i quali :

- competenze individuali e competenze organizzative : definibili sulla base dei diversi scopi che i singoli professionisti e l’organizzazione a cui appartengono si prefiggono di raggiungere. Il professionista mira alla mappatura delle proprie competenze per poter chiarire i propri obiettivi e definire il suo percorso

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professionale. L’organizzazione si propone invece di migliorare la conoscenza del proprio capitale umano, di ottimizzarne l’impiego in modo da far convergere obiettivi e piani dei professionisti con quelli dell’organizzazione e di poter vantare competenze distintive complessive tali da incrementare l’importanza dell’organizzazione ed attrarre un numero maggiore di utenti.

Si tratta di approcci apparentemente distanti ma in realtà complementari in cui il management gioca un ruolo di primaria importanza al fine di garantire un proficuo scambio tra le competenze dell’organizzazione e quelle dei professionisti che vi operano;

- competenze di soglia e competenze distintive : riferendoci ad un ruolo professionale le competenze di soglia sono quelle richieste per garantire uno standard, un livello che possa essere considerato accettabile. Le competenze distintive, proprie dei “best performer”, rappresentano invece le competenze di quei professionisti che ottengono risultati superiori alla media o eccellenti in modo continuativo. E’ su tali risorse che l’organizzazione dovrebbe investire, con lo scopo di individuare, formare e favorire l’eccellenza delle prestazioni ed utilizzando i comportamenti di successo per la formazione, in particolar modo delle funzioni manageriali (3).

Tra i diversi modelli di classificazione delle competenze realizzati ed impiegati nel corso del tempo, figura inoltre il modello ISFOL (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori), utilizzato nel 2012 per costruire i primi allegati della bozza di accordo tra il Governo, le Regioni e le province autonome circa il ridefinire, l’implementare e l’approfondire le competenze e le responsabilità dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico.

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Il modello ISFOL20 prevede tre livelli di competenze:

- competenze di base: rappresentate dal sapere minimo, indipendente dai processi operativi;

- competenze tecnico-professionali : costituite invece dalle conoscenze e dalle tecniche operative specifiche di una certa attività professionale;

- competenze trasversali : non correlate ad uno specifico ambito operativo o ruolo professionale, ma applicabili a contesti e situazioni diversi e proprie della singola persona, apprese per via formale o informale e rinforzabili tramite la formazione. Le competenze trasversali sono essenzialmente tre : diagnosticare, relazionarsi ed affrontare.

Come è possibile notare, si tratta di un modello basato su un approccio generalista e non del tutto applicabile nel settore sanitario, tantoché il gruppo di lavoro di infermieri esperti nella formazione infermieristica e gestione ed organizzazione dei processi assistenziali nelle organizzazioni sanitarie della Federazione Nazionale Collegi IPASVI21 coinvolto nella stesura del documento “Evoluzione delle competenze Infermieristiche” , alla luce della continua e sempre più imperante spinta alla piena valorizzazione ed applicazione delle competenze infermieristiche, l’ha ritenuto ormai superato adducendo le seguenti motivazioni :

- competenze di base: poiché basilari per l’ingresso nel mondo del lavoro, non tengono conto della specificità delle competenze infermieristiche;

- competenze trasversali : in quanto metodologiche, si collocano ad un livello troppo generico che difficilmente tiene conto delle diverse declinazioni nelle varie aree (area critica, geriatria, ecc);

20 Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori; 21 Infermieri Professionali Assistenti sanitari Vigilatrici di Infanzia;

(34)

- competenze tecnico-professionali : facendo riferimento all’aspetto puramente tecnico della dimensione professionale, sembrano rimandare ad una concezione basata sul concetto di mansione ormai superata da tempo (1).

2.3. La conoscenza

La conoscenza rappresenta una dimensione fondamentale della competenza e può essere definita come la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni ottenuti attraverso l’ apprendimento o l’esperienza (a posteriori) oppure attraverso l’introspezione (a priori) .

La conoscenza, pur non essendo identificabile con il dato o l’informazione, risulta strettamente correlata ad entrambi : il dato rappresenta solo una parte della realtà e non implica alcun giudizio o interpretazione della stessa mentre l’informazione ha un significato, lo fornisce a colui che la riceve ed è organizzata in modo tale da raggiungere un preciso scopo.

La conoscenza rappresenta però un concetto più esteso, arricchito di elementi quali la soggettività, l’ipotesi sui dati, l’esperienza pregressa, la componente intellettiva, i valori e le credenze dell’individuo che la possiede, che ne fanno, come riportato nella definizione di Davenport e Prusak (1998), “miscela fluida di esperienza raccolta, di giudizi di valore,

di informazione contestuale e di visioni di esperti, che costituisce un modello per valutare ed incorporare nuove esperienze ed informazioni. Essa trae origine e risiede nella mente degli individui, soggetti del conoscere. A livello di organizzazione, spesso la conoscenza è racchiusa non solo nei documenti e negli archivi, ma anche nelle “routines”, nei processi, nelle pratiche e nelle norme” (9) o ancora, secondo la definizione di Ahmed, Lim e Loh

(35)

intuito, idee, giudizi, contesto, motivazioni e interpretazione. Essa coinvolge elementi del pensare e del sentire” (8).

Gli individui possono essere consapevoli della propria conoscenza oppure utilizzarla in maniera automatica ed allo stesso modo anche le organizzazioni sviluppano e utilizzano la conoscenza in modo esplicito o in modo tacito (10).

2.4. Classificazione delle conoscenze

La conoscenza può essere riferibile ai professionisti, all’organizzazione e a molti altri elementi ma può essere fondamentalmente classificata facendo riferimento a tre dimensioni chiave:

- natura (esplicita/tacita);

- localizzazione (interna/esterna all’azienda);

- dipendenza dalla sorgente (dipendente e/o indipendente) (9).

In relazione alla sua natura la conoscenza può essere esplicita (o codificata), quando è possibile trasmetterla formalmente secondo un linguaggio sistematico e facilmente comunicabile ad es. attraverso il contenuto di libri, documenti, tassonomie, procedure, linee guida, oppure tacita, quando deriva dall’esperienza personale vissuta dai soggetti nel corso degli anni, collegata all’intuito, all’esperienza, al buon senso. Quest’ultimo è quel tipo di conoscenza che entra in gioco nella risoluzione dei problemi e nel delineare prospettive per la quale la condivisione è importante, in particolar modo nell’ottica di una learning organization, in quanto trattasi di conoscenza personale raramente documentata. A livello individuale dunque, la conoscenza tacita risulta strettamente correlata al concetto di skill, fortemente basato sull’esperienza.

(36)

Esiste però anche un’altra articolazione della conoscenza tacita che si rende manifesta a livello di gruppo, in quanto alcuni compiti richiedono il coordinamento e la collaborazione di un gruppo di individui in un arco di tempo limitato. Ne è un esempio il lavoro in equipe svolto dagli infermieri, il cui coordinamento (adattamento reciproco) può essere paragonabile a quello riportato da Berman e al.(2002) richiesto ai membri di un team che si appresta a cambiare una vela nella fase critica di una regata in condizioni di mare agitato (8): la conoscenza necessaria al fine di svolgere tale compito è diffusa tra i membri del team, ciascuno dei quali ha dei compiti precisi e definiti. Gran parte del successo dell’operazione, comparabile ad es. al PDTA22 di un paziente ricoverato, dipende dalla capacità dei singoli di sapersi adattare rapidamente al modo in cui gli altri hanno interpretato il proprio ruolo, il che può avvenire soltanto attraverso la pratica, trattandosi appunto di conoscenza tacita, dispersa nel gruppo ma incorporata nelle relazioni sociali.

Ciò significa che la conoscenza tacita risiede anche a livello collettivo, spesso fortemente legata al contesto sociale ed organizzativo in cui è venuta a crearsi, come ampiamente descritto da Berman e al.(2002) “group knowledge is stored in a collective mind, which

can be defined as the combination of individual cognitive schemata, patterns, or gestalts acquired through mutual experience and expressed through unconscious synchronicity of action when the groupis confronted with complex tasks…” (8).

E’ possibile individuare fondamentalmente tre modalità per sfruttare la conoscenza tacita all’interno di un’ organizzazione :

- problem solving : probabilmente rappresenta la forma più comune di applicazione della conoscenza tacita a livello organizzativo. Un infermiere esperto o qualsiasi altro professionista riesce a risolvere un problema senz’altro più efficacemente

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rispetto ad un principiante poiché ha un’esperienza tale da riuscire ad individuare le attività più opportune per affrontare una determinata situazione;

- problem findings : la conoscenza tacita permette di individuare, attraverso l’intuizione, la soluzione ma anche la natura stessa di una problematica;

- predizione e anticipazione : il riuscire ad interpretare e a valutare un problema analizzandolo in tutti i suoi aspetti, consente di anticipare e prevenire gli avvenimenti, sviluppando inoltre un contesto molto creativo (8).

La conoscenza esplicita può essere ulteriormente scomposta in “know-what” (letteralmente cosa conoscere) e “ know-why ” (conoscere il perchè). Il “ know-what ” si riferisce alla conoscenza riguardo i “fatti”, più comunemente indicata con il termine “informazioni”, il “know-why” si riferisce invece alla conoscenza scientifica, che influenza lo sviluppo tecnologico e le sue applicazioni e la cui produzione e riproduzione avviene in processi organizzati come la formazione universitaria, la ricerca scientifica, ecc.

La conoscenza tacita si struttura invece in “know-how” (in che modo conoscere) e “know-who” (chi conoscere). Il “know-how” o conoscenza procedurale, rappresenta il bagaglio di conoscenze relative alle procedure di utilizzo ed alle regole d’uso del “ know-what”. Il “know-who” si riferisce invece ad una pluralità di capacità sociali che permettono l’accesso e l’uso di conoscenza posseduta da altri individui.

Bisogna tener presente che la conoscenza tacita può essere comunque esternalizzata e racchiusa nei processi organizzativi attraverso l’articolazione della conoscenza, riferibile al processo cognitivo di creazione di conoscenza, realizzabile per esempio nel contesto pratico di apprendimento basato sull’esperienza, attraverso le discussioni, il dialogo e la codifica della conoscenza, (9) cioè l’impiego di rappresentazioni linguistiche e simboliche

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