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Il ruolo della reputazione

2.4.1 La visione delle agenzie di rating in un’ottica reputazionale

Secondo alcuni studiosi, il ruolo della reputazione per le agenzie di rating è fondamentale,121 ed anche le stesse hanno ribadito nel tempo la loro attenzione per

questo aspetto.122

I sostenitori di questa tesi affermano che le agenzie di rating abbiano un incentivo a non porre in essere comportamenti scorretti per evitare di disperdere il capitale reputazionale accumulato negli anni. Il termine reputazione indica in economia aziendale una risorsa intangibile e tuttavia molto preziosa, e in economia dei contratti la conoscenza che hanno di un’impresa i lavoratori/clienti che potrebbero entrare in un rapporto contrattuale con essa.

120Vedi SELIGMAN, JOEL, Key implications of the Dodd-Frank Act for Independent Regulatory Agencies,

in Washington University Law Review, 2011, vol. 89.

121Tra i tanti, Lawrence J.White ha affermato che la reputazione è vitale per un’agenzia di rating, vedi

WHITE, LAWRENCE J., The credit rating industry: an industrial organization analysis, cit., p.13 del

dattiloscritto; Claire A. Hill nella sua critica all’ipotesi che il modello issuer – pays porti a rating inflazionati argomenta che i rating sono richiesti solo perché gli investitori li considerano accurati, e se invece pensassero che un buon rating potesse esser comprato non gli attribuirebbero alcun valore, e le agenzie fallirebbero, vedi HILL, CLAIRE A., Why Did Rating Agencies Do Such a Bad Job Rating Subprime Securities?, cit. Gregory Husisian ha sostenuto che “The very value of an agency’s ratings, like

an accountant’s opinions, lies in their independent, reliable evaluation of a company’s financial data”, vedi HUSISIAN GREGORY, op.cit., pagina 426.

Per Richard Sylla, lo sviluppo delle agenzie di rating ha comportato un passaggio di reputazione dalle banche di investimento a queste. Vedi SYLLA, RICHARD, op. cit., pagina 10 del dattiloscritto.

Anche Giovanni Ferri e Punziana Lacitignola affermano che “(...)gran parte del potere di mercato le agenzie di rating se lo sono guadagnate attraverso la costruzione della propria reputazione(...)”, vedi FERRI GIOVANNI, LACITIGNOLA PUNZIANA, Le agenzie di rating. Tra crisi e rilancio della finanza globale,

cit., pagina 110.

122La missione di Moody’s è “to be the wolrd’s most respected authority serving credit–sensitive

In effetti, è facilmente comprensibile anche con un’analisi superficiale che chi concede un prestito manca sia di informazioni ex ante, quali le reali condizioni economiche del soggetto beneficiato, sia ex post, come l’effettivo utilizzo delle somme concesse; oltre a ciò bisogna considerare ovviamente l’impossibilità dei contratti di poter regolare tutti i possibili stati del mondo data la limitata razionalità umana. Pertanto il creditore potrà pensare di tutelarsi aumentando il tasso di interesse richiesto, e così facendo però selezionerà solo quei soggetti che pensano di poter ottenere di più investendo quel denaro, e che quindi svolgeranno attività che metteranno a rischio la somma ricevuta.

Considerando il mercato finanziario come un mercato in cui investitori e finanziati possono scegliere tra vari “giochi” a cui partecipare, infatti, si può osservare come, nel caso in cui le scelte siano effettuate in un unico stadio, esista un incentivo per le due parti a mettere in atto comportamenti opportunistici. Se invece i giochi sono ripetuti123 la reputazione può svolgere un ruolo fondamentale, perché è un segnale che

l’altro giocatore si impegna a non scegliere alcune delle sue strategie124 che

procurerebbero un danno all’altro, e quindi sarà per lui più facile trovare un altro giocatore con cui confrontarsi.125

Anche se i giochi sono ripetuti possono comunque esserci problemi perché un giocatore può avere davanti a sé molte controparti, e queste possono cambiare nel tempo, in modo tale che sia probabile che non tutte abbiano le stesse informazioni, e che chiedano quindi all’altro meccanismi per tutelarsi, creando inefficienze.

Così si crea lo spazio per le agenzie di rating: esse infatti possono intervenire per diffondere informazioni circa l’attitudine o meno di un contraente a collaborare, e, più nello specifico, sulla sua reale capacità economica di farlo.126

Per svolgere questa funzione, però, anche le stesse agenzie hanno bisogno di crearsi nel tempo la reputazione di enti capaci di valutare adeguatamente il merito

123Ipotizzando che i giocatori non sappiano quale sia l’ultima ripetizione del gioco per evitare che si

arrivi nuovamente ad esiti non ottimali.

124“Una strategia è un piano completo di azione, cioè una regola che determina la scelta del giocatore in

ogni situazione in cui gli possa capitare, secondo le regole del gioco, di essere chiamato ad agire” COSTA

GIACOMO, MORI PIER ANGELO, Introduzione alla teoria dei giochi, Bologna, 1992, capitolo 2, paragrafo

2.6

125PARTNOY, FRANK, The Siskel and Ebert of Financial Markets?: Two Thumbs Down for the Credit

Rating Agencies, cit., p 628.

126Infatti è facilmente intuibile che oltre alla volontà del soggetto di adempiere alle sue obbligazioni

creditizio delle imprese contraenti, dotate quindi di competenze e capacità di reperire informazioni, e ancor di più dotati di indipendenza rispetto alle pressioni per avere un

rating più favorevole.

I teorici del capitale reputazionale sostengono quindi che le agenzie di rating siano riuscite a consolidare nel tempo la percezione da parte degli attori del mercato finanziario della bontà del loro operato, e quindi che ogni deviazione da un comportamento corretto sarebbe punita con una diminuzione di questo capitale costruito nel tempo; per questo motivo esse non metterebbero a repentaglio una sommatoria di grandi guadagni, ovvero i corrispettivi che esse ottengono per i rating, per un piccolo beneficio in un unico periodo, ovvero il pagamento degli emittenti per in “ritocco” alla loro valutazione. In fondo anche questo è un gioco dove un’agenzia di rating che devia dalla “collaborazione” con gli investitori riceve da questi la stessa mossa “non collaborare” nei periodi successivi, facendo ricorso ad una cosiddetta trigger strategy. Si può anche ipotizzare che gli investitori siano disposti a giocare una strategia meno punitiva di quelle di tipo trigger, ma in questo caso l’agenzia avrebbe comunque bisogno di tempo per ricostruire la sua immagine sul mercato, e avendo assunto che la perdita di reputazione porti più costi che benefici per l’impresa, anche in questo caso l’agenzia di rating è invogliata a comportarsi lealmente con gli investitori.

Questa teoria poteva sembrare plausibile in passato, ma gli eventi degli ultimi anni hanno aumentato la percezione che le spiegazioni fornite dai detrattori di questa impostazione siano più convincenti e più capaci di descrivere la realtà.

Infatti, è possibile osservare come il mercato del rating non sia né un mercato in cui vige la concorrenza perfetta, come forse è stato nei primi anni di esistenza, né un mercato in cui la domanda sia libera: infatti le varie normative hanno imposto, direttamente o indirettamente, l’acquisto.

Se viene meno la spinta reputazionale ad un comportamento corretto possono calare gravi dubbi sull’affidabilità dell’operato delle agenzie.

2.4.2 Critiche alla teoria del capitale reputazionale

i) Teoria delle “licenze regolamentari”

nascere sospetti sull’effettiva efficacia del meccanismo reputazionale per il raggiungimento di un corretto agere delle agenzie.

Esistono numerose critiche a questa impostazione concettuale; una delle più complete confuta la teoria del capitale reputazionale sostenendo che questa abbia bisogno di tre elementi per funzionare: rischio di perdere il capitale reputazionale, perdita in caso di false certificazioni maggiore del guadagno, e costi del servizio dell’agente legati alle asimmetrie informative.

Ovviamente viene ritenuto dai detrattori delle agenzie che questi tre aspetti non siano attualmente importanti per le società di rating. Il fatto stesso che la domanda di

rating sia rigida per norme regolamentari toglie plausibilità alle prime due ipotesi,

mentre l’ultima viene rigettata ipotizzando che l’attività svolta dalle agenzie non sia costosa in quanto queste si limitano a recepire i cambiamenti già avvenuti sul mercato.127

Anche la teoria delle licenze regolamentari è stata sottoposta a critiche: parte della dottrina ha infatti rilevato che oltre alle predisposizioni regolamentari potrebbero avere importanza ulteriori aspetti, avallando le proprie tesi con le considerazioni che non tutte le emissioni sono soggette alla previsione di un doppio rating da parte della normativa, ma ugualmente gli emittenti tendono a richiedere due valutazioni, e spesso, in entrambi i casi, facendo ricorso alle agenzie più conosciute, e quindi costose del mercato, e che anche prodotti sotto l’investment grade siano sottoposti alla valutazione delle agenzie dietro pagamento.128

Gli stessi autori comunque affermano che una spiegazione della prima fattispecie possa derivare dal riconoscimento di una maggior affidabilità alle agenzie più conosciute da parte degli investitori, che rende quindi i loro rating maggiormente appetibili, mentre sostengono che probabilmente la seconda non è giustificata solo da una richiesta normativa ma anche da un apporto informativo al mercato;129 si può

obiettare che, oltre ai dubbi esistenti sulla percezione di questo apporto da parte degli investitori, nonostante l’utilità effettiva dell’impiego di un giudizio sintetico per raggiungere una platea più vasta di potenziali clienti, una previsione regolamentare

127PARTNOY, FRANK, The Siskel and Ebert of Financial Markets?: Two Thumbs Down for the Credit

Rating Agencies. cit., p. 703.

128Vedi FERRI, LACITIGNOLA,Le agenzie di rating. Tra crisi e rilancio della finanza globale, cit., pagine

111 e 112.

129Vedi FERRI, LACITIGNOLA, Le agenzie di rating. Tra crisi e rilancio della finanza globale, cit., pagina

rimane per sua natura una condizione che obbliga all’acquisto del rating.

ii) Attività e scopo delle agenzie di rating

Un’altra critica alla teoria del capitale di reputazione riguarda invece il vero oggetto e l’effettivo scopo dell’attività delle agenzie.

Per poter affermare che le agenzie di rating rischino più di quanto possano guadagnare nel breve periodo se mettono in atto comportamenti disdicevoli è necessario ipotizzare che realmente la loro attività principale sia quella del fornire agli investitori pareri sull’adeguatezza di vari investimenti.

In realtà a questa affermazione si può muovere una prima critica facendo riferimento agli assetti proprietari delle agenzie di rating.

Infatti, per avere una tale reputazione un’agenzia prima di tutto dovrebbe esser indipendente da interessi di sorta – o esser capace di gestire tali conflitti.

Poiché tra i maggiori azionisti delle società di rating sono presenti numerosi fondi di investimento è agevole supporre che questi, essendo i proprietari di imprese che possono condizionare il mercato finanziario con i loro giudizi, siano interessati più all’utilizzo per scopi “privati” delle informazioni di cui le agenzie vengono in possesso durante le loro attività che alla correttezza dei rating.

Un’ipotesi ancora più estrema potrebbe contemplare la possibilità che i soci delle agenzie approfittino del potere che queste hanno per spingere, sotto la minaccia di abbassamenti del rating, imprese o persino governi a mettere in atto provvedimenti che si tradurranno in un beneficio per loro;130 risultano ambigui invece i rapporti con il

governo degli Stati Uniti.131

Entrambe le ipotesi potrebbero apparire azzardate, ma non per questo se ne deve escludere a priori la possibilità, poiché potrebbero condurre a risultati importanti per la valutazione dell’agere delle agenzie.

130Tra i tanti, il ministro delle finanze francese Pierre Moscovici ha definito il 20 novembre 2012 “forte

incoraggiamento” all’austerità il downgrade subito dal debito nazionale. Vedi DETRIXHE JOHN, ROBINSON

MATT, Moody’s Gets No Respect as Bonds Shun 56% of Country Ratings, articolo pubblicato su

www.bloomberg.net, 17dicembre 2012, che riporta anche una precedente affermazione di S&P “Deciding on policy choices is the domain of governments and their advisors, we have not taken sides in the growth vs. austerity debate”.

131Per esempio, in seguito all’innalzamento del limite all’indebitamento, e al superamento di tale soglia,

Fitch nel novembre 2011 espresse perplessità sulla solidità delle banche statunitensi non per questo avvenimento ma per la presenza nei loro bilanci di titoli di Stato di Paesi europei. Vedi GILA PAOLO,

Anche i sostenitori dell’ “innocenza” delle agenzie di rating sono stati comunque costretti a trovare un modo per giustificare i loro vistosi ritardi ed errori, ricorrendo anche a giustificazioni che altri potrebbero considerare come aggravanti; ad esempio parte della dottrina ha affermato che le agenzie di rating abbiano proceduto all’emissione di elevati ed ingiustificati rating per i mutui subprime perché convinte insieme a tutti gli altri protagonisti economici coinvolti nella vicenda di aver trovato davvero un modo per abbattere il rischio.132 La spiegazione è plausibile, poiché tra tutti

gli errori umani esiste anche la convinzione di aver infranto leggi inviolabili, ma si potrà almeno obiettare che qualora una figura professionale sia stata introdotta per certificare il merito creditizio in maniera più efficiente ed obiettiva rispetto agli operatori del mercato questa debba cercare di svolgere il suo compito con particolare perizia, senza esser distratta dai trend di investimento, o il suo ruolo finisce per diventare pleonastico.

Viene osservato a difesa di questa tesi che i rating delle obbligazioni più tradizionali sono generalmente più bassi di quelli dei prodotti complessi,133 ma ciò può

esser spiegato anche con il fatto che il mercato ha una maggior capacità di valutare autonomamente il merito dei prodotti più “semplici” e quindi per le agenzie sarebbe difficoltoso spiegare il perché dei loro giudizi.

Inoltre sono scarse le conoscenze all’esterno delle agenzie di rating sui loro modelli valutativi; se davvero fossero così validi qualcosa sarebbe dovuto trapelare per confermarne l’autorevolezza, o si può ipotizzare che le stesse agenzie avrebbero provveduto a farli validare per ottenere un maggior capitale reputazionale.134

Molti ex dipendenti di Moody’s o di S&P, una volta fuoriusciti dall’impresa, si sono espressi in termini poco lusinghieri nei confronti dei precedenti datori di lavoro:135

è stata criticata l’assunzione di giovani analisti, senza la dovuta esperienza, per la valutazione dei derivati e la pressione su questi perché fornissero un giudizio favorevole al cliente.

132Questa è la tesi sostenuta in HILL, CLAIRE A., Why Did Rating Agencies Do Such a Bad Job Rating

Subprime Securities?, cit.

133HILL, CLAIRE A., Why Did Rating Agencies Do Such a Bad Job Rating Subprime Securities?, cit., p.2

del dattiloscritto.

134V. GILA PAOLO, MISCALI MARIO, I Signori del Rating. Conflitti di interesse e relazioni pericolose delle

tre agenzie più temute dalla finanza globale, cit., pagine 31–33.

135Vedi, ad esempio, HARRINGTON, WILLIAM J., Comment on SEC Proposed Rules for Nationally

Recognized Statistical Rating Organizations, 8 agosto 2011, consultabile su

https://www.sec.gov/comments/s7-18-11/s71811-33.pdf e CIFUENTES, ARTURO, Turmoil in U.S. Credit Markets:The Role of the Credit Rating Agencies, testimonianza davanti al Senate Committee on Banking,

iii) Assetti proprietari delle agenzie di rating

Un’ulteriore critica all’idea che la reputazione possa essere un buon motivo per rispettare il “mandato” degli investitori alle agenzie nasce dall’analisi dei proprietari delle principali agenzie.

Il fatto che tra i principali azionisti di Moody’s e Standard & Poor’s siano presenti fondi di investimento e grandi finanzieri fa sorgere infatti alcune perplessità: questi soggetti possono esser interessati sia a conoscere in anticipo rispetto al mercato, per lucrare comprando titoli prima di un miglioramento del giudizio e rivendendoli dopo che questo è stato reso di pubblico dominio, sia per liquidare anticipatamente investimenti che subiranno un peggioramento nella valutazione, in modo tale da evitare perdite.

In particolare, Standard & Poor’s, quotata sulla Borsa di New York, presenta un flottante pari alla metà delle sue azioni, ed è partecipata direttamente al 4,7% da McGraw-Hill, e per il 12,45% da Capital World Investors, per il 5,44% da Black Rock, per il 4,3% da State Street, per il 4,25% Vanguard Group, per circa il 4% da Fidelity e per il 3,3% da T. Rowe Price Associates, fondi di investimento che a loro volta hanno una quota del 30% di McGraw-Hill.136

Moody’s, quotata anch’essa a Wall Street, ha un flottante pari a circa il 40% delle sue azioni, e vede tra i suoi azionisti il Fondo Berkshire Hathaway (holding di Warren Buffet) con il 12,47%, Capital World Investors con il 12,3%, Black Rock con il 6,6%, T. Rowe Price Associates con il 5,6%, Vanguard Group con il 3,4%, Fidelity con circa il 4% e State Street con il 3,3%.137

Da due assetti proprietari così simili può nascere il dubbio, ancora una volta, che non ci possa esser vera concorrenza tra le due società.

Fitch invece ha la particolarità di non essere una società quotata, perché posseduta al 60% da Fimalac e per la parte restante da Hearst Corporation; il proprietario di Fimalac è noto per avere molte relazioni importanti sul piano finanziario, politico e culturale.138

È quindi chiaro che le persone e i fondi che possono incidere sulla gestione delle

136Vedi GILA PAOLO, MISCALI MARIO, op. cit., p. 55. 137Vedi GILA PAOLO, MISCALI MARIO, op. cit., p. 60. 138Vedi GILA PAOLO, MISCALI MARIO, op. cit., pp. 64 ss.

tre società hanno, almeno, sia interesse al fatto che le società che controllano, in senso atecnico, abbiano buoni risultati, fornendo un rating di buona qualità o cedendo servizi accessori ancora più remunerativi, sia al modificare le informazioni presenti sul mercato a loro vantaggio.

iv) Evidenza empirica sull’affidabilità dei giudizi

Nel corso degli anni numerosi studi si sono occupati del problema della qualità del

rating,139 controllando ex post l’attendibilità dei giudizi o confrontando l’andamento di

questi rispetto a quello dei prezzi formatisi sul mercato; ovviamente questi risultati possono esser un ottimo metro di paragone per valutare se l’operato delle agenzie sia stato teso agli ideali di correttezza e lealtà che avrebbero permesso di conservare, se non aumentare, il capitale reputazionale o se invece esse abbiano perseguito altri scopi.

Non si può valutare ex post la correttezza di una singola previsione su di uno strumento o un emittente verificando semplicemente se l’evento “default” si sia verificato o meno,140 poiché si tratta della stima di una probabilità e non di una

certezza; si può invece procedere ad una stima del valore ottenibile con una metodologia corretta partendo dai dati all’epoca a disposizione dell’agenzia di rating o misurare l’accuratezza di una pluralità di giudizi.141

Una prima ricerca, già richiamata,142 non ha fornito risultati che sancissero in

maniera chiara la prevalenza di una delle due ipotesi, arrivando ad affermare che nel periodo considerato abbiano avuto buoni risultati per la valutazione del merito creditizio sia l’uso dei rating sia l’andamento degli spread sui crediti.

Uno studio su duecentosette cambiamenti nel rating tra 1950 e 1972 ha evidenziato che questi in realtà si limitavano a recepire informazioni già presenti sul mercato da diciotto mesi, e quindi non ne procuravano di nuove.143

139“Il rating è di buona qualità quando riesce a prevedere in maniera accurata (scarso margine di errore)

la probabilità di default di un emittente e/o di un’emissione, ovvero la capacità di ripagare alla scadenza il capitale e gli interessi”. FERRI GIOVANNI, LACITIGNOLA PUNZIANA, Concorrenza e agenzie di rating: il dibattito economico, in Analisi giuridica dell’economia, 2012, p. 301.

140Vedi PROSPERETTI, LUIGI, La possibile responsabilità civile delle società di rating: alcune riflessioni in

chiave economica, in Analisi giuridica dell’economia, 2012, pp. 455–474, p.456.

141Anche chi esclude che si possa valutare la qualità di un singolo rating ritiene che sia possibile

giudicare la prestazione di un insieme di questi: “la correttezza di un singolo rating non è ragionevolmente valutabile ex post,è possibile valutare ex post se un complesso di rating esibisca un errore sistematico”. PROSPERETTI, LUIGI, ibidem.

142Vedi HICKMAN, W. BRADDOCK, Corporate Bond Quality and Investor Experience, Princeton University

Press, 1958.

Una ricerca più recente ha invece mostrato come nel 2012 i guadagni sulle obbligazioni sovrane abbiano avuto un andamento contrario rispetto a quello dei rating

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