La de-strutturazione del Self
3.1 Il Sé sociale di Mead in rapporto con il pensiero di Goffman
Interesse comune e centrale nelle riflessioni di Erving Goffman e George Herbert Mead è la problematica del Self: esso diviene rappresentativo di una individualità assolutamente individualizzata, nel senso che questa – derivata dalla biografia di ogni soggetto – non può essere interscambiabile con quella di nessun altro. Punto nodale diventa quindi la parte svolta dagli altri soggetti che condividono il medesimo contesto sociale, l’Altro Generalizzato, poiché la loro attribuzione sociale contribuisce in maniera determinante alla concezione e dalla formazione dell’identità degli individui. Si verifica dunque un processo di riconoscimento di identità che, tuttavia, non è mai puramente asimmetrico, in quanto anche il soggetto medesimo, in qualità di partecipante attivo al gruppo sociale preposto all’identificazione, fornisce a sua volta una definizione di se stesso: si tratta di analizzare
“lo stretto rapporto fra la formazione dell’identità personale e una storia di interazioni, di pratiche individualizzanti, ricostruite selettivamente (un’autoselezione del proprio passato denominato autoriconoscimento).”59
Al di là delle apparenti similarità60, però, i due pensatori affrontano la questione in modo differente. Se a Mead deve essere riconosciuto il merito di
59 D. Sparti, Soggetti al tempo. Identità personale tra analisi filosofica e costruzione sociale,
Feltrinelli, Milano, 1996, pag. 136.
60 Gli attori sociali, per Goffman, interagiscono cogliendo reciprocamente ogni sfumatura dei
aver riflettuto su come ogni individuo giunga alla definizione del proprio Sé, Goffman accetta in pieno l’interpretazione secondo cui il Self non è un prodotto dell’individuo ma è direttamente assegnato e trattato dalla società in cui questi si trova. Mead è uno dei pochissimi autori con cui Goffman si confronta esplicitamente e le convergenze risultano palesi, sebbene ad un livello più generalizzato. La distanza si nota in maniera principale nelle criticità relative all’Altro Generalizzato, e quindi alla questione dell’assunzione di ruolo. Origine di ogni situazione sociale è, infatti, il rivestimento attivo di un ruolo, di una parte sociale, all’interno delle cui responsabilità e imposizioni la più profonda individualità tende a sparire. Tuttavia, il Self inteso da Goffman non coincide nettamente con il ruolo. Per il sociologo canadese è proprio l’assorbimento nella pluralità di parti richieste rispetto alle situazioni a rendere possibile quella forma di distanza che fa sì che l’uomo, potenzialmente, manifesti la propria differenza dalle aspettative normative (che sono implicite nella definizione del ruolo stesso che si trova ad attualizzare) [Sparti, 1996].
Tale differenza interpretativa si costruisce in maniera complessa. La condotta umana è strettamente simbolica e intersoggettiva: gli individui si trovano inseriti nel frame della vita quotidiana in con-presenza di altri simili, che sono la prima fonte di mediazione simbolica. Il Sé è dunque sociale, si esprime nel palcoscenico nell’incontro con l’altro: il processo nel quale si forma il Self è pienamente intersoggettivo in quanto richiede l’interazione in un contesto di gruppo, implicando quindi la preesistenza di una dimensione comunitaria. Entra così in gioco il Self così come concepito da Mead, ovvero all’interno di una relazione con gli altri. Come sottolinea Blumer, Mead riflette sul fatto che gli attori interagiscono ed agiscono nei confronti di se stessi, esperiscono, si muovono, si approvano ecc…, sia in maniera simbolica (interpretando le azioni degli altri individui) che non simbolica (rispondendo all’azione altrui non interpretandola). Ma ogni gesto assume un significato sia
per chi lo esprime tanto per coli verso cui è indirizzato: se esso coincide, allora c’è comprensione. La reciproca assunzione di ruolo è così la conditio sine qua non della comunicazione e dell’efficacia dell’interazione simbolica [Blumer, 1969].
La psicologia sociale di George Herbert Mead pone infatti la sua attenzione sul processo sociale dinamico e, più precisamente, sugli atti sociali che lo compongono e soprattutto sull’emergere dell’esperienza interiore dell’individuo: il Self. Gli atti sociali sono costruiti intersoggettivamente da soggetti che si incontrano ed organizzano, interpretandole, le loro azioni in base ai significati simbolici che assumono. E l’interpretazione diventa il fulcro della riflessione di Mead: grazie alle attività di simbolizzazione - estrinsecati in una serie di significati condivisi, cioè le norme, i valori, le istituzioni ecc… - gli attori sociali sono in grado di evocare il punto di vista altrui nel momento in cui questi evoca il proprio [Mead, 1932]. L’assunzione del punto di vista di altri soggetti è lo standpoint di cui riflette Ralph Turner, ed è sinonimo di assunzione del ruolo.
È, perciò, proprio nella capacità tipica di Ego di assumere il ruolo di Alter che risiede il funzionamento della mente: ogni gesto diviene un simbolo significante nel momento in cui sollecita nell’individuo che lo agisce la medesima risposta richiesta a colui verso cui l’atto è rivolto, e il processo si sviluppa in maniera vicendevole. L’esperienza individuale nasce dunque da una situazione condivisa, partecipata e costruita collettivamente, in una maniera che richiama in qualche modo le “rappresentazioni collettive” del pensiero di Durkheim. Il gruppo sociale, inteso come insieme di rapporti regolati socialmente in base alle aspettative reciproche, si configura così come il fulcro dell’agire sociale [Ciacci, 1983].
La soggettività non può essere una struttura precondizionata, ma un fenomeno sociale che si sviluppa attraverso una relazione nell’ambiente sociale di riferimento: rifacendosi alla filosofia pragmatista di Dewey e alla psicologia sociale di William James, Mead in Mind, Self and Society sviluppa un modello
che pone al centro la costruzione dell’individualità in una dimensione intersoggettiva che si esplica nei processi comunicativi. La particolarità della Mente, per il sociologo della Scuola di Chicago, sta nella sua esternalità rispetto alla profonda individualità dell’attore, e nella sua derivazione non dalla struttura ma dalla condotta pratica del soggetto in un contesto sociale. L’influenza di William James è palese: Mead è debitore nei confronti dello psicologo per la sua analisi relativa al Social Self, ovvero all’assunzione primaria per cui un uomo possiede tanti io sociali quanti sono gli individui che pubblicamente lo riconoscono [James, 1890].
Altro aspetto fondante del Self è la capacità di parlare a se stesso, di darsi obiettivi ed organizzare processi, di caratterizzarsi come oggetto per se stesso: ovvero la riflessività. Questa emerge come una dialettica interna che prima nasce attraverso l’assunzione del punto di vista dell’altro, poi nella dialettica con se stessi: in tal modo si delinea l’identità del soggetto, che è in grado di valutare le proprie azioni sulla base delle interpretazioni che ne dà Alter. La definizione di sé passa attraverso una selezione di modelli sociali che sono stati interiorizzati: la coscienza di sé emerge come l’insieme organizzato degli atteggiamenti altrui che il soggetto ricava dal fatto stesso di essere inserito in un gruppo, di far parte di un contesto collettivo. La relazione con se stessi ripropone la dialettica tra Io e Me formativa del Self: ognuno è soggetto per se stesso e oggetto per gli altri in maniera simultanea. L’Io è soggetto dell’agire, il Me l’oggetto della riflessione descrittiva. Il Self fa propria l’attitudine e la percezione dell’Altro Generalizzato, la interpreta, la comprende e interiorizza all’interno dei suoi universi di significato: la costruzione del Sé non è soltanto riflessiva, ma nell’interazione reciproca diventa un atto sociale che si esprime secondo il sistema simbolico della comunità.
Mead quindi parla non tanto del soggetto, ma del suo essere in relazione con gli altri: l’agire sociale è un problema di comunicazione, ed il Sé emerge come autocoscienza nei termini dei rapporti con Alter e degli altrui atteggiamenti valutativi, e quindi come insieme delle percezioni che gli altri hanno. La Mente è dunque lo strumento sociale utilizzato dall’individuo per
adattarsi al proprio ambiente: l’attore lo intrepreta, interpreta i soggetti con cui condivide la situazione e si sviluppa, incamerando il processo sociale nell’esperienza, attraverso il processo riflessivo. Gli atti comunicativi sono individuali, ma le conseguenze si leggono ad un livello che è intersoggettivo. Il Self, il Sé complessivo rappresenta l’idea che l’individuo ha di se stesso, ma è composto di immagini di sé parziali, molteplici, talvolta in qualche modo estranee tra loro.
Il Self così interpretato è la sintesi emergente di due poli che coesistono e che si contrappongono in maniera complementare:
• il Me (è il riflesso soggettivo degli atteggiamenti degli altri, è l’organizzazione di essi ed il loro trasporto nel Self di un individuo, e possiede l’impronta del sociale. Sorge nell’azione per assolvere al “dovere” dato dall’insieme degli atteggiamenti altrui che richiede una certa risposta, ed è proprio il modo in cui la soggettività si forma nell’esperienza);
• l’Io (è la risposta imprevedibile dell’organismo agli atteggiamenti degli altri individui, è la parte non socializzata ed istintuale in risposta alle aspettative altrui. È il principio stesso dell’impulso ad agire, e nell’azione esso cambia la struttura sociale. Non si dà direttamente nell’esperienza, ma entra in essa soltanto dopo che l’individuo ha effettuato l’azione: solo allora questi ne acquista coscienza.).
“Il «Sé» è fondamentalmente un processo sociale che si sviluppa in rapporto a questi due momenti distinguibili fra di loro. Se non esistessero questi due momenti, non vi potrebbe essere una responsabilità consapevole e non vi sarebbe nulla di nuovo nell’esperienza.”61
Anche la società esce trasformata da questa circolarità. Essa infatti riceve attraverso il Sé Sociale, che è riflesso, tutta l’organizzazione che caratterizza la vita e l’esperienza umana: è l’individuo che regola la parte che svolge nell’atto
sociale, proprio in virtù del fatto di assumere in sé i ruoli di coloro con cui condivide l’azione.
Il tutto si svolge secondo una processualità dinamica e di continuo adattamento, espressione del dialogo fra l’organizzazione delle esperienze di Alter nei confronti di tutto quello che il soggetto ha interiorizzato e le sue risposte a ciò. Il Me fornisce all’Io l’insieme degli elementi valutativi necessari affinché il fattore istintuale sia contenuto, e, nel profondo, esprime la consapevolezza dell’esistenza di un Altro significativo - l’Altro Generalizzato, Alter - cui riferirsi nel proprio agire [Ciacci, 1983]. In pratica il processo di formazione del Self si attua nell’interazione perché l’individuo si fa portatore della selezione di riconoscimenti ottenuti in passato, che gli hanno permesso di definirsi e che si raggruppano secondo un’accumulazione costruttiva: non ci si trova di fronte ad una stratificazione continua dell’Io [Sparti, 1996]. Esso è, in ultima analisi, una sorta di universalizzazione del processo di assunzione di ruolo.
“L’altro generalizzato è rappresentato da ognuno e da tutti gli altri che si pongono o che potrebbero porsi come particolari di fronte all’atteggiamento di assunzione di ruoli nel processo cooperativo in atto. Considerato dal punto di vista dell’atto, l’altro generalizzato rappresenta l’atto dell’assunzione di ruoli nella sua universalità.”62
Il Me, infatti, non si limita a ciò che di convenzionale c’è nella sua formazione, ma dispone delle proprietà che lo rendono unico rispetto agli altri soggetti grazie alla memoria, ovvero all’insieme organizzato di riconoscimenti ricevuti in passato. A ciò si aggiunge quindi l’azione riflessiva grazie a cui si rende l’autoriconoscimento: si trasformano i riconoscimenti in identità personali, di fatto permettendo una definizione di sé sia specifica rispetto agli altri, sia durevole nel tempo.
Nella misura in cui le azioni degli individui sono comprensibili e accettate dalla comunità di soggetti che condividono una medesima situazione, quello che viene agito possiede un’universalità sociale. Questo fatto è fondamentale per esperire nella vita quotidiana, in quanto il presupposto di partenza di ogni azione è, secondo il pensiero di Mead, la considerazione per cui ogni individuo si percepisce, in maniera più o meno consapevole, nello stesso modo in cui è visto dagli altri. Per questo ci si rivolge a se stessi tendenzialmente nella stessa maniera in cui gli altri ci si rivolgono, ed al pari noi evochiamo negli altri qualcosa che nel contempo è evocato anche in noi stessi, in modo tale da poter così assumere inconsciamente gli atteggiamenti tipici del nostro ruolo sociale [Mead, 1934]. L’Altro Generalizzato può dunque, in definitiva, essere considerato uno strumento di controllo sociale che la collettività utilizza nei confronti del Self, perché rappresenta l’astratta formulazione dell’ethos di una società: esercitandosi intimamente e intensivamente sulla condotta sociale del soggetto, lo integra nel processo sociale organizzato di esperienza e comportamento di cui fa parte, e quindi anche con le strutture istituzionali - la cui necessità è di definire i modelli sociali, o socialmente responsabili, della condotta.
“È sotto la forma dell’«altro generalizzato» che il processo sociale influenza il comportamento degli individui in esso implicati e che a loro volta lo sviluppano; in altre parole, è sotto questa forma che la comunità esercita il suo controllo sulla condotta dei singoli membri; perciò è in questo modo che il processo sociale o la comunità si inseriscono come fattore determinante nel modo di pensare dell’individuo.”63
Il Self si costituisce perciò non solo dei singoli atteggiamenti individuali organizzati, ma più in generale dell’organizzazione di tutti gli atteggiamenti dell’Altro Generalizzato, ovvero del gruppo sociale nella sua totalità. Ciò significa che il Sé, assumendoli, riflette a livello individuale il complessivo modello sistematico del comportamento sociale, influendo a livello
dell’esperienza del soggetto: l’attore infatti, attraverso il meccanismo del suo sistema nervoso centrale, fa propri i modi di agire altrui [Mead, 1934]. Le fasi dell’Io e del Me rappresentano così una sorta di compromesso che dimora nell’attitudine al pensiero, e che è essenziale alla piena espressione del Self all’interno della sua comunità di appartenenza.
“L’individuo deve assumere l’atteggiamento degli altri membri di un gruppo per appartenere ad una comunità, egli deve utilizzare, per poter continuare a pensare, quel mondo sociale esteriore che ha appunto dentro di sé. È attraverso il suo rapporto con gli altri in quella comunità, a causa dei processi sociali razionali che prevalgono in quella comunità, che egli si realizza come cittadino. D’altro lato, l’individuo reagisce costantemente agli atteggiamenti sociali, e modifica in questo processo cooperativo, la stessa comunità alla quale egli appartiene.”64
È dunque un’entità attiva ed attitudinale ad influenzare in maniera diretta il Sé degli individui, e dialetticamente le interazioni tra un soggetto e gli altri. Alter è parte di un processo sociale, al pari dell’individualità del Sé che è condizionata in maniera determinante dal medesimo processo [Perinbanayagam, 1975]. Il richiamo espresso da Mead è nuovamente la concettualizzazione della pluralità di Sé Sociali teorizzata da William James: come precedentemente accennato, esistono tanti Sé quanti sono gli individui che ne riconoscono l’esistenza e che si formano, di conseguenza, un’immagine nella propria mente.
Lo stesso ruolo che l’individuo assolve si forma nell’incontro attraverso un procedimento di role taking65: il soggetto adotta comportamenti secondo quelle che sono le aspettative del contesto in cui è inserito, in base al fatto che è capace di vedere e interpretare gli atteggiamenti di Alter come le sue disposizioni ad agire, adottandone il punto di vista e di conseguenza il ruolo. Gli individui, quindi, formano il proprio Self osservando se stessi attraverso
64 G.H. Mead, Mente, sé e società, op. cit., pag. 210. 65
l’ottica altrui, percependo le spinte ad aggiustare le proprie azioni quali risposta agli atteggiamenti degli altri [Mead, 1934]. Il ruolo, dunque, determina un insieme di modelli di comportamento che nel loro insieme costituiscono un’unità significante: possono essere giudicati consoni ad un particolare status, collegarsi alla posizione sociale assunta in un certo contesto, identificarsi con un valore sociale. Ma le immagini di Alter rischiano di incasellare gli attori in categorie particolari, classificandoli in base ad un singolo gesto o caratteristica: i giudizi con cui si tendono a giudicare i simili sono così sempre parziali, influenzati da stereotipi, tali da impoverire o falsare la reale individualità, riducendone la complessità alla sintesi di alcuni tratti, e creando “maschere mostruose” [Perrotta, 1988].
Il ruolo, essendo comprensivo di tutti questi fattori, ha come riferimento la totalità del comportamento del singolo, e possiede un attributo che in certo qual modo è normativo di per sé: è riferito a quello che è ritenuto socialmente appropriato, in maniera complementare alla determinazione di una data situazione. La relazione tra Self e Alter si mostra quindi un aspetto – il più importante – di un atto che è intrinsecamente, per sua stessa natura, complessivo.
Il role taking può avere una valenza duplice. Da un lato l’osservazione del comportamento di Alter, da cui desumere il ruolo complessivo di cui si suppone questo faccia parte: in tal senso la singola identità altrui è irrilevante rispetto al contenuto del ruolo [Mead, 1934]. Dall’altro, la derivazione del ruolo dalla conoscenza di un particolare status, situazione, valore sociale ecc…, in base ad esperienze precedenti o dalla valutazione di situazioni analoghe. Il concetto di ruolo è strettamente connesso all’idea di standpoint66 elaborata da Ralph Tuner: l’assunzione del punto di vista di Alter rappresenta il
66 Secondo Ralph Turner, un soggetto può assumere il ruolo di alter a partire da tre standpoints
differenti:
1) adottare il punto di vista dell’altro come fosse il proprio, identificandosi direttamente col suo ruolo;
2) il ruolo di Alter può essere desumibile da una norma impersonale o dal punto di vista di una terza parte, e il ruolo di Alter è elemento necessario per esperire le direttive della terza parte; 3) il ruolo altrui può essere considerato secondo gli effetti che ha nell’interazione con un potenziale comportamento del Sé.
nucleo dell’interpretazione. Nel caso sia incluso nell’assunzione di ruolo, il processo determina il comportamento dell’attore in maniera automatica. Di fatti, assumere una parte non sempre è sinonimo di adozione del punto di vista, e parimenti si differenzia dal role playing, l’esplicazione stessa del ruolo.
Tali considerazioni hanno a che vedere con il fatto che, per Mead, il Sé si forma nella condotta esperenziale dell’individuo nel momento in cui questi costituisce, nei confronti di se stesso, un oggetto sociale nell’esperienza. Le stesse aspettative di comportamento costituiscono il contenuto del role taking, e si legano strettamente al sistema dei valori del singolo individuo. L’assunzione del ruolo è uno degli assunti di fondo nella comprensione dell’interazione umana, dal punto di vista dell’adattamento dei comportamenti individuali alla presenza dei vari Alter: a seconda del grado di precisione con cui viene operato il processo di ruolo, sarà maggiore la prevedibilità delle reazioni ad un comportamento simbolico, nel frame di una determinata situazione [Romania, 2008]. Il modo in cui avviene l’acquisizione di ruolo è ben esemplificata dalla distinzione che Mead opera tra Play (l’attività del giocare) e Game (il gioco organizzato), nell’utilizzo della metafora ludica per riflettere sulle regole di interazione in un contesto sociale strutturato. I due momenti costituiscono due fasi distinte del gioco infantile, e corrispondono a momenti altrettanto differenti della socializzazione tra soggetti.
Il Play rappresenta il gioco libero, non istituzionalizzato, in cui il bambino si sdoppia assumendo liberamente e in maniera indeterminata un ruolo, percependo se stesso come un oggetto sociale (il bambino assume di volta in volta il ruolo del pilota, del medico, della mamma ecc…).
Il Game, invece, richiama la fase successiva, il gioco formalizzato e organizzato in regole in base a cui ognuno assume un ruolo specifico e più complesso, che tiene direttamente considerazione dell’insieme dei ruoli agiti dagli altri individui - la razionalizzazione e strutturazione degli atteggiamenti comuni - nell’economia della situazione collettiva e del fine comune da raggiungere (es. la partita di calcio). Il Game è il tipico caso esemplificativo di