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Sulla moda: due voci femminili nella letteratura spagnola

: nota biobibliografica

2.5 Una saga ambiziosa: Espejo roto (1974)

La citazione tratta da Le Rouge et le Noir di Stendhal «Un roman: c’est un miroir qu’on promène le long du chemin»342 in cui il lettore s’imbatte aprendo Mirall Trencat343 sottolinea l’ambizione di Mercè Rodoreda di creare un’opera che potesse riflettere la realtà spagnola dalla fine dell’Ottocento al dopoguerra inoltrato344, attraverso «una ficció polifònica, filtrada per diverses veus, per diverses perspectives»345. Rodoreda, che qui per la prima volta, opta per un narratore onnisciente, non si limita ad una mera esposizione del reale, affiancando alle ricche sequenze descrittive quello che Francesca Angiolillo definisce monólogo narrado346, con cui si cita la voce o il flusso dei pensieri

341 CC, p. 268.

342 Mercè Rodoreda, Espejo roto, prólogo de Rosa Montero, traducción de Pere Gimferrer, Barcelona, Seix Barral, 2010, p. 11. Questa è la traduzione al castigliano utilizzata, che da qui in poi sarà indicata in nota con ER.

343 La prima edizione in catalano fu pubblicata nel 1974 da Club Editor; la traduzione al castigliano di Pere Gimferrer fu pubblicata nel 1978 con Seix Barral. In italiano esistono due edizioni: Lo specchio

rotto, traduzione di Anna Maria Saludes i Amat, Torino, Bollati Boringhieri, 1992; Specchio infranto, traduzione di Giuseppe Tavani, Roma, La Nuova Frontiera, 2013.

344 Arnau, a proposito, sottolinea: «Un temps històric que, malgrat la seva imprecisió, tè una funció doble. D’una banda, situa el discurs en un temps concret que abraça des de principis de segle fins a la immediata postguerra. I, de l’altra, l’emmarcament històric permet de donar a la novel·la un sentit ben definit: la representació d’un món que la guerra destruirà» (Carme Arnau, “El temps i el record a Mirall trencat”,

Els Marges, 6, 1976, p. 127). Casals i Couturier e Arnau riportano alcuni dettagli cronologici del romanzo, desunti dagli appunti dell’autrice sui singoli personaggi custoditi nell’Archivo Mercè Rodoreda, di cui un estratto è presente anche nell’archivio digitale della Fundació Mercè Rodoreda, <http://www.iec.cat/amr>. Accanto al nome di Teresa è riportata la data del 1857; il primo capitolo si svolge nel 1881 quando la ragazza ha ventiquattro anni e suo figlio Jesús due; Valldaura e Teresa si sposano nel 1885, comprando la torre a Sant Gervasi; Sofia nasce nel 1886 e si sposa nel 1905, anno in cui il padre muore. I capitoli VI, VII, VIII della prima parte riportano rispettivamente le date del 1889, 1890, 1900. Cfr. Montserrat Casals i Couturier, Mercè Rodoreda. Contra la vida, la literatura, Barcelona, Edicions 62, 1991, p. 294; Carme Arnau, Una lectura de Mirall trencat de Mercè Rodoreda. Realitat i

fantasia, Barcelona, ECSA, 2000, p. 130.

345 Arnau, Una lectura de Mirall trencat de Mercè Rodoreda. Realitat i fantasia, op. cit., p. 15.

346 Cfr. Francesca Angiolillo, “Tres novelas de Mercè Rodoreda”, art. cit. L’espressione, coniata da Dorrit Cohn, indica l’espediente con cui si cita il discorso diretto del personaggio o il flusso dei suoi pensieri,

di un personaggio e, nello stesso tempo, si riproduce ciò che accade nella sua mente. In tal modo il romanzo non diventa solo specchio della realtà ma anche specchio del pensiero, riprendendo il canone estetico che, dal Modernismo in poi, mette in rilievo l’anima del personaggio a scapito della trama, unito al ruolo strategico dei sensi e del colore di matrice simbolista.

Quest’opera corale, che si differenzia molto dagli altri romanzi rodorediani per struttura e contenuto, è ricca di personaggi –circa quarantacinque– che si susseguono nelle tre parti in cui è divisa l’opera e che, molto spesso, danno il titolo ai brevi capitoli.347 Ogni protagonista, con i suoi pensieri e il suo vissuto, è un frammento di realtà, e unito agli altri crea lo specchio rotto che la riflette. L’importanza del frammento e del dettaglio è evidente quando l’autrice presenta gli eventi attraverso piccoli particolari per poi allargare la vista come in uno zoom-out cinematografico. L’ordine diacronico viene scardinato, a sottolineare il valore capitale che Rodoreda attribuisce alla memoria e ai ricordi, cardini su cui si regge l’opera, insieme al trascorrere del tempo, che, come già riscontrato nei precedenti romanzi, inesorabile consuma non solo le cose ma anche le persone. Il tempo è in questo romanzo, più che nei precedenti, la direttrice su cui si innesta la vicenda, diventando agente onnipotente che controlla lo spirito dei protagonisti, oltre che il loro corpo: «el pas dels anys dóna autoritat però també pessimisme a les reflexions dels personatges»348. L’uso di analessi e prolessi, lo sfasamento temporale che non rispetta diacronicamente gli eventi, ma li giustappone, come una serie di elementi sconnessi che vengono trasferiti dal narratore, sono del tutto innovativi rispetto allo stile a cui Rodoreda aveva abituato il pubblico, allontanandosi dall’espressione che aveva caratterizzato i primi romanzi, regalandole la fama internazionale. Il tempo, nell’interpretazione romantica che Rodoreda gli attribuisce, contribuisce ad aumentare il divario tra la realtà e il sogno, segnando l’incessante processo di deterioramento dell’effimera esistenza umana. Tutti i personaggi del romanzo, con il trascorrere del tempo, qui presenza soggettiva, maturano e attraverso la prospettiva che li avvicina alla morte possono valutare la loro esistenza in un bilancio che rivela la crudezza e l’evanescenza dell’esistenza. Carme Arnau sottolinea l’essenza

riproducendo ciò che passa per la sua mente. L’accostamento delle varie voci crea un ventaglio di punti di vista che si vanno ad aggiungere a quello del narratore che, però, in tal modo, non risulta predominante. 347 Le tre parti sono precedute da tre citazioni tratte rispettivamente da A sentimental journey through

France and Italy di Laurence Sterne (1768); An Island in the moon, chapter XI di William Blake (1784) e

Murder in the cathedral di T.S. Eliot (1935).

costruttiva e contemporaneamente distruttiva del tempo nella visione rodorediana, in cui il ricordo è il mezzo per riportare alla memoria un passato glorioso e mitico che annulla il presente di sofferenza a cui sono sottoposti tutti gli attori della vicenda.

L’apparente semplicità della trama viene immediatamente smentita dal pathos che ogni personaggio emana: Rodoreda converte una banale saga familiare nell’universale storia dell’uomo toccando temi come l’amore, la morte, la maternità, la solitudine, l’incomunicabilità, legati nella storia ad oggetti ricorrenti caricati di simbolismo, quali, oltre ai già citati fiori, l’alloro, le tortore, gli eventi atmosferici, gli abiti e lo stesso specchio che appare già nel titolo, e si concretizza nella sua funzione di rivelatore della realtà e, come confermato dall’autrice nel prezioso Prólogo, nel suo ruolo simbolico di opera letteraria, romanzo: «Una novela es, también, un acto mágico. Refleja lo que el autor lleva dentro sin que apenas sepa que va cargado con tanto lastre»349.

L’ús del simbol en Rodoreda es relaciona, ben probablement, també amb la seva voluntat de donar cos, fins i tot, al que és abstracte, al que és immaterial. L’autora, doncs, recorrerà a la forma d’art que consideri més efectiva a l’hora de construir un personatge, de recrear una escena, d’evocar un objecte... i, d’aquesta manera, aconseguirà que s’imposi al lector.350

Il simbolismo che abbiamo conosciuto nei romanzi precedenti trova in Mirall trencat ampia risonanza, rivelando una certa maturità, non solo stilistica, dell’autrice, che concluderà l’ambizioso progetto iniziato nel 1965 a Ginevra solo una volta rientrata in patria a Romanyà de la Selva.351 Arnau, critica e studiosa rodorediana particolarmente interessata a Mirall trencat, stabilisce un parallelo tra la protagonista del romanzo, Teresa Goday, e l’ormai matura Rodoreda, che trasferisce la malinconia della sua esistenza nella scrittura:

Teresa Goday, a Mirall trencat, vella i solitària, tè una única satisfacció: menjar pastissos de crema o nata i beure copetes de vi, mentre recorda el seu llunyá passat –una figura que tè molts trets de la Rodoreda, des de l’abandonament del fill per tal de viure plenament, fins a la seva passió per les joies i les flors. Per tot el que és bell i refinat, també.352

Figlia di una pescivendola, Teresa deve la sua strepitosa ascesa sociale all’anziano primo marito Nicolau Rovira e, forse ancor più, al secondo, il ricco Salvador Valldaura. È lei la chiave di volta di tutta la vicenda, ambientata nella magnifica villa di famiglia di

349 Rodoreda, “Prólogo”, Espejo roto, op. cit., p. 17.

350 Arnau, Una lectura de Mirall trencat de Mercé Rodoreda, op. cit., p. 17.

351 Rodoreda invierà la copia definitiva del manoscritto a Joan Sales con una lettera del 15 luglio 1974. 352 Arnau, Mercè Rodoreda. Una biografia, op. cit., p. 127.

cui Rodoreda racconta amori, lutti e segreti. Tre generazioni che il lettore vede nascere, crescere e morire in un caleidoscopio di emozioni, tipico del romanzo d’appendice di fine Ottocento a cui l’autrice si ispira.353

La Goday, che Neria De Giovanni definisce “personaggio-guida” attorno a cui si sviluppano le vicende parallele degli altri protagonisti, è una figura affascinante e complessa, per cui Rodoreda trae ispirazione da una donna benestante in Rolls Royce incontrata al ristorante La Perla del Lago sul Lago Lemano. La prima cosa che cattura l’attenzione dell’autrice è un bracciale di brillanti e zaffiri al polso della donna, poiché le ginevrine raramente esibivano gioielli. Da questo aneddoto emerge nuovamente la passione per le cose belle che accomuna Rodoreda al suo personaggio: entrambe sono ammaliate dai gioielli, grandi protagonisti della vita di Teresa, simbolo di ricchezza e di amore per il bello.

Il primo capitolo del romanzo, dal titolo Una joya de valor, si apre in medias res con la visita alla gioielleria in cui Rovira omaggia la moglie di una spilla, «la mejor joya de la casa […], un ramo de flores hecho con brillantes, del tamaño de la palma de la mano»354, che pare essere la soluzione ai problemi della giovane, di cui, in un conciso

flashback, conosciamo la storia. Nella vicenda di Teresa, infatti, al pari di quella di Natalia e Cecilia, l’abbandono e i segreti costituiscono la quintessenza dell’esistenza: in giovane età Teresa ha un figlio da un uomo sposato. Il padre,

soldado […], vestido de farolero; con la blusa de color azul oscuro que le llegaba hasta las rodillas, con una pieza pespunteada en los hombros, con mucha ropa arrugada en la espalda, con gorra, con alpargatas, con unos ojos que le parecieron de lobo, con un brote de menta en la oreja,355

adotta il neonato, che vivrà lontano dalla madre naturale, scelta come sua madrina. Teresa, grazie ai suoi due matrimoni, potrà vivere nel lusso, educata ed elegante, sfuggendo al destino toccato a sua madre, in evidente contrasto con il canone femminile rodorediano.

353 Come sottolinea Neria De Giovanni, «Amori e tradimenti, colpi di scena, figli illegittimi, morti di adolescenti ed un suicidio finale, sono tutte tematiche care al feuilleton. Tutto ciò […] è comunque intenzionale, come risulta nello splendido testo di introspezione psicologica, sulla propria opera, che Mercè Rodoreda premette al romanzo stesso» (De Giovanni, “Chi non ha l’amore lo cerca a tutti i costi: Ancora su Mercè Rodoreda”, art. cit., p. 187).

354 ER, p. 45. 355 ER, p. 326.

Teresa, «si alguna vez se miraba al espejo con el broche de brillantes en el pecho, una ola de vergüenza le subía a las mejillas»356, così come quando si guardava le mani «finas, tan distintas de cuando era pobre y en invierno se le enrojecían y tenía las uñas quebradizas como su madre»357, o ricordava «aquella muchacha con un vestido de percal a rayas, con cuello alto, con mangas largas rematadas en unos puños que le llegaban hasta el codo [...] Con un falbalá al final de la falda, revoloteante, sobre unas botinas amarillas que brillaban como espejos»358, è cosciente del suo passato e della fortuna che l’ha baciata. La spilla col ramo di brillanti che ha rivenduto al gioielliere Begú per donarne il ricavato al figlio Jesús, giustificando la perdita del gioiello come una distrazione del personale, le sarà regalata nuovamente da Rovira e rappresenterà per la donna un grande segreto, il simbolo della menzogna e del suo passato, di cui farà dono alla nipote Maria, e poi, per i disegni del destino, alla figlia Sofia. Anche Eulàlia, amica di Teresa e madrina di Sofia, rimasta vedova del marito Rafael, ricorda il suo defunto compagno grazie a una spilla, un ferro di cavallo di brillanti e topazi, secondo la credenza comune amuleto portafortuna, «que Teresa detestaba porque, decía, las herraduras no les traen suerte ni a los caballos»359.

È, però, la morte la vera protagonista silenziosa e dominante dell’opera, concepita come «un traspàs que concorda amb el final d’una època de Barcelona, d’un mon, en realitat – el que la guerra destruí i que correspon al que l’autora visqué»360. Il fato e il dolore legati alla morte, che nel 1971, con la perdita di Obiols, aveva toccato da vicino la scrittrice stessa, cadenzano la vita dei protagonisti, alimentando la classica dicotomia tematica vita-morte, cardine della poetica rodorediana. La morte è il motivo scatenante dell’incontro tra l’oramai vedova Teresa e Salvador Valldaura, reduce dal suicidio dell’amata violinista viennese Barbara, che nel capitolo II, a lei intitolato, appare prima «vestida de gris y llevaba una capa de terciopelo y unas cuantas violetas en el pecho»361 e poi «completamente vestida de negro»362, a sottolineare di nuovo il valore mortifero del nero, del grigio e delle violette, come già rilevato ne La calle de las Camelias. La forte carica simbolica dell’incontro e di ogni gesto dei protagonisti si manterrà durante

356 ER, p. 67. 357 ER, p. 102. 358 ER, p. 324. 359 ER, p. 233.

360 Arnau, Mercè Rodoreda. Una biografia, op. cit., p. 132. 361 ER, p. 58.

tutta la narrazione, evocativa e folta di rimandi, complessa e articolata, ambigua e misteriosa, grazie alla giustapposizione dei diversi punti di vista dei personaggi uniti alla visione onnisciente del narratore.

L’amore tra Teresa e Salvador è legato al ricordo di un abito, il cui valore allusivo raggiunge nella narrazione un’intensità senza precedenti, rievocando la valenza proustiana dell’abito come espressione del sentimento e legame con la memoria:

Aquellos ojos aterciopelados y aquella risa contagiosa le habían enamorado. Recordaría siempre la entrada de Teresa en el salón, con el vestido de moaré de color avellana, una rosa en el pecho y un abrigo de marta que le llegaba a los pies, friolera, quejándose del tiempo.363

Sono molti gli elementi che accomunano questo romanzo con i precedenti, inglobando i cardini della poetica rodorediana e i simboli inconfondibili di una narrazione che procede per immagini: i primi fiori che Valldaura regala a Teresa sono, ad esempio, delle violette, i preferiti della donna, mesto presagio di una vita vissuta nel segno della morte.

Una sequenza già presente ne La plaza del Diamante, quella del ballo, riappare anche in

Espejo roto: l’occasione è una festa di Carnevale a cui Teresa, vedova Rovira da meno di un anno, non è convinta di partecipare; ben presto, convinta dall’amica, si reca «en la tienda de Terenci Farriols a comprar ropa para el vestido. […] Los rasos eran extraordinarios. Teresa dudó antes de decidirse respecto al color, pero pensando en las violetas se quedó con un raso morado»364. La sera del ballo Teresa appare splendida:

Estaba espléndida: con una cintura de avispa, el antifaz en la mano, enguantada hasta más arriba del codo y los hombros desnudos: la blonda hacía resaltar por contraste su piel morena. Se había colocado un ramo de violetas a la altura del corazón y otro en el pelo. Iba sin joyas. [...] entre pliegues violeta, Teresa, más que una mujer, parecía un sueño.365

La precisione, unita alla freschezza, con cui Rodoreda descrive la sequenza del ballo, il gioco di sguardi dei due amanti, il dettaglio del piede che emerge dall’importante coda dell’abito, i guanti lunghi e il particolare del ventaglio366 mettono in risalto, ancora una

363 ER, p. 65. 364 ER, p. 69. 365 ER, pp. 69; 72.

366 «Las varillas eran de nácar y en la tela había una manzana pintada; del mango pendía una borla de seda. [...] la manzana era verde, muy pálida, con un toque de rosa en un costado y dos grandes hojas a cada lado del pedúnculo de color de chocolate» (ER, p. 71). Secondo il mito fu Dioniso a donare la mela ad Afrodite, associando alla mela e alle sue parti un significato erotico. Nella simbologia europea la mela è legata all’Eden e alla conoscenza del bene e del male, al peccato e alla tentazione. Come sottolinea

volta, il virtuosismo rodorediano nel costruire sequenze descrittive che sembrano un quadro impressionista più che una fotografia del momento.367 Questi e gli altri dettagli di cui è disseminato il romanzo, infatti, sono la testimonianza di come Rodoreda, al pari di Virginia Woolf, e nel panorama italiano di Gianna Manzini, «annette prioritaria importanza al sentimento vissuto coscientemente, analizzato nel momento della percezione»368. Le protagoniste di questo e degli altri romanzi presi in esame «sono donne concrete, che vivono odori e colori, quotidianità ed oggetti, insieme all’ideale di una vita sentimentalmente piena che resta “ideale”»369. Gli oggetti, su cui i personaggi proiettano la loro anima, sono «detalls decisius que contribueixen eficaçment a la creació d’un univers de ficció convincent per la seva versemblança, ple de vida»370. Teresa partorisce la sua secondogenita (per tutti primogenita e unica figlia della donna), Sofia371, una volta rientrata da Parigi –città che non ama e a cui Valldaura rinuncia, per amor della moglie, lasciando gli affari– dopo una gravidanza difficile che l’aveva rattristata e indebolita. Ben presto la maternità si rivela, come per tutte le eroine rodorediane, un ostacolo, un impedimento, una difficoltà, e segna un cambiamento anche fisico nella protagonista.372 María Moliner identifica in questo romanzo come l’opera rodorediana «donde posiblemente estén mejor reflejadas las múltiples y diferentes relaciones conflictivas de la maternidad, al establecerse la comparación entre mujeres de tres generaciones diferentes»373. Teresa, Sofia e poi Maria rappresentano tre modi distinti di essere donna, tre modi diversi di rapportarsi con il mondo e di gestire la loro apparenza, come vedremo successivamente.

Hans Biedermann «l’allettante dolcezza della mela fu da principio però associata alla seduzione del peccato, anche nel senso della similitudine fra le parole latine malus, malum (gr. mêlon) e malum, ciò che è cattivo, malvagio, il peccato. Perciò […] la morte rappresentata come scheletro tiene spesso in mano una mela: il prezzo del peccato originale è la morte» (Biedermann, Enciclopedia dei simboli, op. cit., p. 301).

367 Arnau sottolinea come «Saber mirar, un art en el qual excel·leix Mercè Rodoreda. En aquest sentit, podriem parlar d’estil pictòric en definir el d’aquesta novel·la concreta» (Arnau, Una lectura de Mirall trencat de Mercé Rodoreda, op. cit., p. 17).

368 De Giovanni, “Chi non ha l’amore lo cerca a tutti i costi: Ancora su Mercè Rodoreda”, art. cit., p. 187. 369 Ibid.

370 Arnau, Mercè Rodoreda. Una biografia, op. cit., p. 112.

371 Il termine Sofia possiede in filosofia un grande valore «perché fa riferimento alla scienza, al conoscere, al controllo di determinate abilità, a una virtù che, in breve, è possibile in tutta la sua ampiezza solo agli dei e verso cui l’uomo può semplicemente tendere» (Biedermann, Enciclopedia dei simboli, op. cit., p. 495). In latino, Sapientia, è la madre delle tre virtù teologali: Fides, Caritas e Spes.

372 «[…] se pasó toda una semana tendida soportando el peso de tres sábanas dobladas y quedó lisa como antes del parto. Pero algo había cambiado. El pelo se le había oscurecido un poco, no tenía aquel color castaño claro de sus veinte años» (ER, p. 83).

373 Moliner, “Una reflexión acerca de la psiqué de la mujer contemporánea a través de la voz femenina en la literatura. Las mujeres de Mercè Rodoreda”, art. cit., p. 91.

A partire dal capitolo IV della prima parte lo spazio dominante è quello della torre di Salvador Valldaura, uno chalet a Sant Gervasi, molto caro a Teresa, in cui la famiglia vive sin dalla nascita di Sofia. La casa è circondata da un giardino immenso, segno