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Sulla moda: due voci femminili nella letteratura spagnola

: nota biobibliografica

2.4 Sulla strada: La calle de las Camelias (1966)

Dopo la pubblicazione de La plaça del Diamant (1962) Mercè Rodoreda tocca con mano il successo editoriale e apprezza il favore della critica. Sarà pero El carrer de les

Camèlies273 a regalarle il premio Sant Jordi de Novela nel 1966, per cui il capolavoro del 1962 era stato scartato.

Il titolo, come ricorda Pessarodona, rimanda a una via del Barrio del Guinardó, non annoverabile tra i luoghi noti e frequentati da Rodoreda, ma ugualmente rivelatore della già citata importanza che la città di Barcellona –le sue vie, i suoi parchi e il suo cielo– ha nell’opera della scrittrice, non solo come spazio di ambientazione ma soprattutto come spazio dell’emozione.274

Il romanzo ricalca lo schema narrativo e strutturale del precedente, articolando diversamente la personalità della protagonista e citando solo marginalmente la Guerra

271 PD, p. 245. 272 PD, p. 255.

273 La prima edizione, El carrer de les Camèlies, uscì nel 1966 per Club Editor. La traduzione al castigliano La calle de las Camelias, a cura di José Battló, uscí per Edhasa nel 1970. L’edizione utilizzata è La calle de las Camelias, traducción de José Battló, Barcelona, Edhasa, 2000. Da qui in poi sarà indicata nelle note con CC. La traduzione italiana dal catalano a cura di Giuseppe Tavani, Via delle

Camelie, è stata pubblicata nel 2009 da La Nuova Frontiera. Esiste anche una precedente traduzione di Clara Romanó, Via delle Camelie, Milano, La Tartargua, 1991.

274 Dal carteggio tra Rodoreda e Joan Sales riportato da Pessarrodona si deduce come sia stata la scrittrice a imporre il toponimo come titolo, proprio perché legato a quello del romanzo del 1962, andando contro la volontà dell’editore, che spingeva per intitolarlo con il nome proprio della protagonista, come aveva fatto, del resto, con La plaza del Diamante (cfr. Pessarrodona, Mercè Rodoreda y su tiempo, op. cit., p. 223).

Civile. La solitudine di Cecilia Ce, «ligeramente patética, ligeramente desolada»275, riflette la solitudine di Rodoreda in esilio, introducendo nella vicenda della ragazza la cicatrice dell’abbandono in modo più marcato rispetto a Natalia-Colometa: Cecilia è, infatti, una trovatella, abbandonata quand’era ancora in fasce.

Il trascorrere del tempo, la brevità dell’esistenza umana e la sua fragilità sono i grandi temi su cui verte la riflessione rodorediana, qui accostati ad elementi onnipresenti nella poetica dell’autrice e del suo immaginario, con un’importante carica simbolica: i fiori e lo specchio. Come sostiene Arnau, «sempre solitària, Cecília Ce s’adornarà del pas del temps gràcies al mirall»276: lo specchio è l’oggetto che rappresenta il flusso cronologico e la figura che vi si riflette, quella di Cecilia, l’elemento su cui questo tempo agisce, procurando notevoli cambiamenti e plasmando nuove identità. Inoltre, lo sguardo soggettivo della figura riflessa nello specchio è quello attraverso cui la protagonista si descrive e descrive la realtà. I fiori, che Janet Pérez277 ritiene un elemento comune della scrittura delle donne, come simbolo della sottomissione femminile, qui sono legati al giardino e al suo valore spirituale, e rimandano alla purezza e ad una bellezza ancora intatta, in netto contrasto con quella di Cecilia, legata da un rapporto esclusivamente fisico agli uomini che incontrerà.278

Il narratore in prima persona, che avvolge su di sé molti altri soggetti narrativi, lascia trasparire un punto di vista femminile; le descrizioni rivestono grande importanza, sia nella caratterizzazione degli ambienti che in quella dei personaggi; rispetto alla Plaça sono molto più ricche e dettagliate, ricordano, in alcuni passaggi, altri esempi del modernismo spagnolo, come il Valle-Inclán delle Sonatas. L’attenzione al dettaglio insignificante assume, in questo romanzo, anche una funzione emotiva: come rileva Neria De Giovanni, infatti, gli oggetti apparentemente banali rappresentano l’ancora di salvezza della protagonista che «ingigantendoli con la propria deformata attenzione, distrae la propria consapevolezza dalla sofferenza e dall’impossibilità della comunicazione sentimentale che la sua stessa vicenda rappresenta»279.

275 Rodoreda, “Prólogo de la autora”, Espejo Roto, op. cit., p. 17. 276 Arnau, Mercè Rodoreda. Una biografia, op. cit., p. 117.

277 Cfr. Janet Pérez, “Plant imagery, subversion, and feminine dependency: Josefina Aldecoa, Carmen Martín Gaite, and María Antónia Oliver”, in Noel Maureen Valis, Carol Maier (eds.), In the Feminine

Mode. Essays on Hispanic Women Writers, Lewisburg, Bucknell University Press, 1990, pp. 78-100. 278 In un passaggio del romanzo il padrino fa indossare a Cecilia un abito pulito per andare a comprare i fiori a casa del giardiniere, sottolineando la necessità di candore per immergersi nel mondo delle rose. 279 De Giovanni, “Chi non ha l’amore lo cerca a tutti i costi: ancora su Mercè Rodoreda”, art. cit., p. 185.

Anche il colore di matrice modernista assume una valenza simbolica, diventa trasfigurazione sensoriale dell’emozione. L’importanza del colore, costantemente presente nella descrizione, ha, più che nel romanzo precedente, un ruolo simbolico fondamentale; in particolare, come rileva Carme Arnau, la ricorrenza di alcune tonalità scure (viola, grigio e nero) è un presagio di morte:

Però si la infantesa esdevé a El carrer de les Camèlies una obsessió, a la novel·la hi ha, també, l’aclapadora presència de la mort, igualment insistent i que la incorporació dels colors de dol – negre, morat, gris... – reflecteix. 280

Il racconto di Cecilia Ce si apre col suo abbandono in un giardino primaverile della calle de las Camelias. Sin dall’inizio la presenza del giardino281, immagine positiva dell’Eden e materializzazione del Cosmo, in Rodoreda metafora dell’infanzia, della purezza e dell’ingenuità, unito ai fiori, «simbolo di principio passivo»282, anticipa la triste vicenda della protagonista, spesso violata nella sua innocenza, fisica ed emotiva. Sono Jaime e Magdalena a prendersi cura della neonata, lasciata sulle scale di casa Rius, «un caso de amor o de miseria, pecado de juventud»283, e a darle il nome indicato sul pezzo di carta lasciato accanto alla neonata: Cecilia Ce. Riguardo le ipotesi sui genitori naturali della piccola, la madre adottiva ricorda «una mujer vestida de negro, con un pasador brillándole en el pelo»284 che si aggirava attorno alla casa nei mesi precedenti al ritrovamento, ma da dove arrivi la bimba rimane un mistero.

Le figure femminili sono un elemento per cui Rodoreda non lesina dettagli descrittivi, focalizzandosi puntualmente sull’abbigliamento, che diventa il principale tratto caratterizzante. La donna con la cicatrice della pugnalata inflittale dal marito utilizza «altos cuellos de tul, sostenidos por ballenas» per coprirla: è il primo, chiaro simbolo della violenza maschilista di cui è colmo il romanzo. È pero «una señora alta vestida de violeta, y un velo con una peca de terciopelo debajo del mismo del ojo, con violetas en el pecho y zapatos de color morado» ad attirare l’attenzione della piccola Cecilia, che

280 Arnau, Mercè Rodoreda. Una biografia, op. cit., p. 116.

281 In Aloma (1968) Neria De Giovanni rileva la relazione atto sessuale-vergogna-giardino: il giardino come luogo sacro alla protagonista, molto spesso identificato con la figura paterna (la stessa Rodoreda era stata iniziata all’amore per i fiori dal nonno Pere Gurguí) diventa testimone del tradimento e della violazione di Aloma. In La calle de las Camelias la violazione non avviene nel giardino, ma il senso di vergogna della protagonista, costretta a vivere delle esclusive relazioni fisiche, senza implicazioni emotive e sentimentali, costituisce un parallelo significativo.

282 Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli: miti, sogni, costumi, gesti, forme, figure,

colori, numeri, Milano, BUR, 2005, vol. I, p. 449. 283 CC, p. 12.

rimane affascinata dal colore viola.285 Anche le nipoti gemelle dei padrini di Cecilia, María-Cinta e Raquel, conquistano la ragazza, che riesce a distinguerle dall’abbigliamento, particolare a cui presta sempre molta attenzione:

Costaba mucho trabajo distinguir cuál era una y cuál la otra, pero finalmente aprendí a identificarlas porque una vestía muy llamativamente y la otra no tanto. Y por las joyas: María-Cinta tan sólo llevaba brillantes. Raquel, un collar de perlas pequeñas con una perla myor que colgaba del centro.286

La prima volta che la bambina esce di casa sola è per cercare il padre. Nella sequenza che descrive la corsa di Cecilia per le strade di Barcellona appaiono molti elementi che ricompariranno successivamente nel romanzo: il giardino di ortensie, l’uccello bianco, la bimba dai boccoli biondi e la gonna plissettata, e l’uomo che la bimba prende per mano, un signore «alto y delgado, despedía un fuerte aroma a mimosa y llevaba en los puños de la camisa una piedra azul oscuro que de vez en cuando despedía un fuerte brillo»287. Ritorna il blu, già presente nel romanzo precedente, qui associato ad una pietra, che potrebbe verosimilmente essere uno zaffiro, meno probabilmente un topazio, uno zircone o un’acquamarina. Lo zaffiro, varietà blu del corindone, nella credenza popolare possiede proprietà curative e simboleggia la fedeltà. La figura paterna che Cecilia cerca disperatamente trova una trasfigurazione nell’uomo con la bambina che passeggia e che si allontana all’orizzonte, lasciando nella ragazza un senso di vuoto, che l’affetto e le attenzioni della famiglia adottiva non riescono a colmare.

Compare in questo capitolo anche lo specchio, nel momento in cui Cecilia rientra in casa dopo la fuga per la città:

285 Il viola vanta una molteplicità di significati, molto spesso contrastanti. Secondo l’Interpretazione dei

sogni di Artemidoro (II d.C.) l’apparizione della tinta in sogno è associata alla vedovanza e alla separazione; nel Cristianesimo è simbolo di peccato e penitenza. Come ricorda Giovanni D’Aloe «il viola, come la violetta, è legato al culto dei defunti» (Giovanni D’Aloe, I colori simbolici. Origini di un

linguaggio universale, Negarine di S. Pietro in Cariano, Il Segno dei Gabrielli, 2004, p. 100). Goethe, nei suoi studi sul colore, lo avvicina al rosso tramite il porpora, colore simbolo di dignità e potenza, e lo associa, come Kandinskij, all’apocalisse. Il viola è anche simbolo di seduzione ed erotismo, specie nelle culture orientali. D’Aloe, oltre a ricordare come nel linguaggio dei fiori la violetta simboleggi la perseveranza e la fedeltà trova una connessione tra il ‘viola’ e il verbo ‘violare’, associando la passione, simboleggiata dal colore, alla violenza fisica vera e propria. In tal senso può essere spiegata l’adorazione di Cecilia per il viola, colore che scandisce la sua vicenda, colma di violenza fisica, prima che emotiva. 286 CC, p. 17.

287 CC, p. 20. Nel linguaggio dei fiori l’ortensia indica distacco e la mimosa sensibilità. La prima è inserita in questo momento nel più ampio giardino, già simbolo di innocenza. La seconda è legata all’uomo che Cecilia incontra per la strada e che pare tenderle la mano, come un padre farebbe con sua figlia.

Apenas llegar, corrí a mirarme el pelo. En la sala, encima de la mesita que estaba junto a la ventana, había un espejo de corazón. El marco era de flores de cristal color de rosa con hojas de cristal verde. [...] Tenía el pelo brillante, de color castaño. Di un salto para que el pelo me ondeara, pero la cara se salió del espejo y no pude verlo. Lo sentí caer contra mi cuello, lacio y triste. Tan triste como yo.288

L’immagine di Cecilia che non riesce a vedersi mentre fa ondeggiare i capelli scopre la potenza dello specchio come mezzo di conoscenza e rivelazione, che attraverso la riflessione da un lato illude, dall’altro svela. È importante rimarcare la natura ambivalente e ambigua dello specchio per cui «la meccanica fedeltà della sua capacità di riproduzione può essere sentita ora come espressione di oggettività e di verità, ora come segno di illusione e di fallacia»289.

Un’altra immagine significativa è quella delle finestre, da cui Cecilia ammira i passanti e il mondo che scorre sotto i suoi occhi; accanto a lei Jaime, padrino e mentore della ragazza, con il rituale quotidiano di ammirare il cielo da tutte le finestre della stanza. Il valore simbolico dell’elemento della finestra, che si ritrova fortemente in Carmen Martín Gaite, è quello di ponte tra il mondo interno e quello esterno, tra l’interiorità di Cecilia e la sua apparenza, in una dicotomia complessa e carica di dolore, che trova espressione nei capitoli successivi.

A simboleggiare la costrizione di Cecilia, anima ribelle e incontenibile sin da piccola, Rodoreda sceglie la sciarpa, «una bufanda de fiebre, ancha y floja»290. Il suo carattere incontenibile la porta a scappare più volte dalla casa in cui vive; la fuga più importante, anche per lo svolgimento della vicenda e per la relativa conclusione, è quella che la conduce, di nascosto, al Liceu, facendola ammalare. Le sequenze in cui Cecilia ricorda il famoso teatro barcellonese costituiscono veri e propri quadri di costume in cui appaiono «señoras con tules y vestidos de seda; señores con una flor blanca en el ojal y una cinta brillante a cada lado de los pantalones […] zapatos de brillantes y pieles de pelo muy largo»291. L’esperienza al Liceu rimane impressa nella mente della bimba che, allettata, con lo sguardo fuori dalla finestra, rivive l’emozione provata nell’aver sfiorato un «vestido ceñido con flecos de lentejuelas rosas de arriba abajo, que producían un

288 CC, p. 21.

289 Stefano Ferrari, “Il perturbante dello specchio e l’autoritratto”, in Isabelle Mallez, Raffaele Milani (a cura di), Nel cuore della meraviglia. Omaggio a Jurgis Baltrušaitis, Quaderni di PsicoArt, 1, 2010, p. 2, <http://amsacta.unibo.it/2891/1/12._Ferrari.pdf>.

290 CC, p. 23. 291 CC, p. 26.

ruidillo»292. Nonostante le gravi condizioni provocate dal raffreddamento, Cecilia non dimentica la magia degli istanti vissuti nel teatro in attesa di veder entrare i musicisti, trascinata dalla folla mentre ammira le eleganti dame ai tavolini del caffè:

[...] vestidas de negro, escotadas, con una pierna sobre la otra y con aquel encaje de tul blanco y rizado que les asomaba por debajo de la falda. Algunas, allí donde se les formaba una línea entre pecho y pecho, llevaban colgada con una cadenita una cruz o una piedra preciosa.293

Rapita dall’incanto e dall’eleganza dell’ambiente non riconosce María-Cinta, la nipote della famiglia affidataria, che, invece, la scorge e la riaccompagna a casa. Stupita per non averla identificata dal gioiello che soleva portare, questa volta sostituito da una croce di brillanti, Cecilia si sente particolarmente rassicurata dall’accompagnatore della donna, che le cinge la mano sottobraccio durante il viaggio in auto. La perenne ricerca di una figura maschile che la guidi e la protegga, scandisce l’esistenza di Cecilia, che, per questo, soffrirà molto. La notte del Liceu ritorna nei sogni della ragazzina come un momento magico e senza tempo in cui nascondersi per fuggire ad una realtà dolorosa. Riaffiorano alla memoria le immagini di dame e cavalieri che chiacchierano, nei loro abiti sfavillanti, tra cui spicca una signora con un bracciale dorato a forma di serpente, simbolo ancestrale, legato alla terra, presente in tutte le culture come unione dei concetti di vita e di morte.

La malattia di Cecilia aveva preoccupato molto i suoi padrini, strappando loro la promessa di donare alla Vergine un abito come pegno per salvare la bambina dalla terribile febbre che l’aveva colpita. Il compito di realizzare l’abito per l’avvenuta guarigione viene affidato, dopo un’attenta cernita, ad un convento di monache:

[...] hicieron vestido y capa, todo ello de seda gruesa con un encaje de oro en el bajo de la falda y alrededor de la capa. En la mitad de la falda, por delante, había un entrelazado de hilos de oro y flores y hojas en relieve, y en medio, en la parte del dibujo, un cáliz, y encima del cáliz, formando corona, cinco flores, [...], con una piedra por corazón y cada piedra de un color distinto. [...] Brillaba que daba miedo, y las manos se me pusieron a temblar, y muy bajito dije: una piedra amarilla. El señor Jaime, a mi lado, dijo: un topacio. Y yo, una piedra azul, y él, una turquesa; una roja, un rubí; una blanca, un diamante.294

Rispetto agli altri ricchi abiti della statua, quello ordinato per la grazia di Cecilia risplende per la decorazione di pietre preziose, una diversa dall’altra, che riflettono la

292 CC, p. 27. 293 Ibid. 294 CC, p. 36.

luce e lo rendono particolarmente delicato, non però agli occhi di Magdalena, che avrebbe preferito le pietre tutte dello stesso colore. Ancora una volta Rodoreda associa alla vista dell’abito, di grande impatto, anche il tatto, in una sequenza sinestesica che ricorda quella della fuga al Liceu. L’emozione legata al fruscio delle piccole dita di Cecilia sul bordo dei fiori ricamati e sulle pietre scatena nella piccola una grande emozione, che non può trattenere. La preziosità dell’abito, orlato d’oro e decorato riccamente, è funzionale tanto al ruolo dell’abito stesso quanto all’intento con cui è stato realizzato: rendere grazie per la salvezza di una giovane vita. Oltre allo zaffiro, apparso già in precedenza, sull’abito sono collocati un rubino, pietra degli eroi, un diamante, pietra preziosa per eccellenza, difficile da scalfire e, come riferisce la sua etimologia greca, indomabile, una pietra gialla non meglio identificata, che potrebbe essere un quarzo citrino, un topazio o uno zircone, e un turchese, pietra che allontana le energie negative. La scelta delle gemme non è, dunque, casuale, così come l’intero apparato dell’abito.

L’abbondanza di dettagli cromatici è manifesta e funzionale, in particolare, nella sua connessione con l’abbigliamento. Considerevole è la rivelazione che Cecilia fa del suo terrore verso il rosso295, tinta aggressiva e vitale, ricca di energia, emblema del fuoco, dell’amore, del sangue e della vita che esorcizza la morte. Per superare questa paura le viene realizzato un abito tutto rosso, che sembra farla impazzire una volta indossato:

295 Artemidoro nell’Interpretazione dei sogni associa il rosso in sogno e negli abiti come presagio di fortuna; nella simbologia ecclesiastica è il colore legato alla passione di Cristo e alle sue vesti, al martirio e al fuoco della fede, è molto più presente nell’Antico Testamento rispetto al Nuovo, in cui lascia spazio al celeste. Già le più antiche ricerche sui colori documentano il senso eccitante e stimolante del rosso, che «induce eccitazione motoria e che, conseguentemente, può interferire nel controllo motorio», con un conseguente aumento dei battiti cardiaci, della pressione e del ritmo respiratorio. Il rosso è, secondo Widmann, «strettamente associato all’immagine della scintilla vitale che s’accende e che anima la materia inerte» (Claudio Widmann, Il simbolismo dei colori, Roma, Ed. Scientifiche Ma.Gi., 1999, p. 80), è il colore onnipresente nei miti della creazione, in cui simboleggia il contatto con lo spirito che promuove la crescita, senza dimenticare come rispecchi la struttura bipolare di ogni archetipo, riferendosi all’espressione positiva (come fuoco, energia, vita) e a quelle negative (il diavolo e gli inferi). Tra gli altri significati del colore rosso Widmann registra l’appetito di ogni tipo, l’allarme, la forza benefica e protettiva, il sangue come energia vitale, la rigenerazione fisica e spirituale, il rinnovamento e la rinascita, l’immortalità, il coraggio e la competizione. Inevitabile è anche l’associazione del rosso con l’eros e l’amore, tanto spirituale quanto sessuale. La suscettibilità di Cecilia al rosso sembra confermare come la ragazza non possa essere un tipo sanguigno (secondo la tipologia di Ippocrate e Galeno), «aggressivo e temerario, irritabile e suscettibile, dotato di molta vitalità e forte nel dolore» (Widmann, op. cit., p. 112). Il blu, colore associato alla protagonista in tutto il romanzo, è il polo opposto al rosso, con la sua funzione sedativa e distensiva, che si spinge fino a vissuti depressivi; è associato alle divinità e alla spiritualità, come già sottolineato nell’analisi del La plaza del Diamante, in cui è altrettanto presente. Il blu è il colore della fedeltà e della sapienza, il suo legame con la sfera della meditazione e del pensiero ne fanno una trasfigurazione del silenzio e della nostalgia. È importante valutare l’associazione del blu al mare e, per estensione, alla figura della madre. La mancata realizzazione di Cecilia come madre e l’impossibilità di conoscere la madre naturale si concretizzano nella costante citazione di tale colore nel racconto.

[…] como sabían que el color rojo era un color que me aterrorizaba, me habían hecho un vestido rojo, que yo había sobrehilado las costuras, y que el día que lo había estrenado había corrido escalera arriba, me había encerrado en el mirador e iba de un lado para otro medio loca, de pared a