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Sarah Kane e Samuel Beckett

Grace I need to see his clothes Tinker I’m sorry

3.2 Sarah Kane e Samuel Beckett

3.2.1 L’anima beckettiana di Sarah Kane

Sarah Kane ha spesso espresso ammirazione per Samuel Beckett, e l’influenza che il drammaturgo ha esercitato sulla sua produzione è chiaramente visibile in tutte le opere dell’autrice, da Blasted a 4.48 Psychosis, sebbene con modalità e finalità differenti.

L’influenza di Beckett nella Kane è infatti di tipo estetico, ma anche tematico. Dell’autore irlandese, come vedremo nei prossimi paragrafi, Sarah Kane ha fatto sue strutture e relazioni tra i personaggi, linguaggio e ritmo, ambientazioni e luci. Esiste dunque una relazione complessa tra i due autori, che non è riducibile ad una mera ripresa di motivi. La Kane ne è consapevole. Afferma: “Beckett I always loved because he goes directly, absolutely to the heart in what he writes, and he does so in an emotional way; his language adapts incredibly to the expression of a particular emotion”30. E, in merito all’essere conscia di questa

influenza nel momento della scrittura, la drammaturga ha osservato: “I think my influences are quite obvious. Yes, Beckett, of course, but not particularly consciously, because I’m practically unconscious when I write”31.

Lo stesso percorso teatrale della Kane segue, in parte, quello del drammaturgo: da Waiting for Godot fino alla tarda drammaturgia di Beckett, elementi delle sue opere sembrano aver modellato il filo conduttore dei drammi della Kane. Nota Saunders, in un suo saggio sul rapporto tra Beckett e la Kane, che ciò che per l’autore irlandese era stato concepito come un progetto sul lungo termine, volto a portare ad una riduzione progressiva della forma drammatica, nella Kane si è compiuto in un lasso di tempo più breve, segnalato dal cambiamento nello stile degli ultimi due drammi32.

30 Saunders, About Kane: the Playwright & the Work, p. 45 31 Ivi, p. 46

32 Graham Saunders, “The Beckettian world of Sarah Kane”, in Laurens de Vos and Graham

Saunders, a cura di, Sarah Kane in context (Manchester: Manchester University Press, 2011), p. 72

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3.2.2 L’inazione

La drammaturga non si è limitata ad un mero recupero formale, ma ha rielaborato e sviluppato i temi già esposti da Beckett, inserendoli in un’ampia cornice personale.

Entrambi gli autori hanno infatti affrontato tematiche simili durante l’arco della loro produzione, cominciata con Waiting for Godot per Beckett.

Proprio di Waiting for Godot, e di altre opere di Beckett, sono quindi elementi che fanno da sfondo alle opere della Kane, già a partire da Blasted. A cominciare dal titolo dell’opera: l’attesa è infatti una cifra costante della produzione del drammaturgo irlandese. Più in generale, si può parlare di inazione. L’attesa di Estragon e Vladimir per l’arrivo di un presunto Godot, che non arriva. Ma anche la volontà di andare via, costantemente rimandata. O ancora Clov che in

Endgame ripete “I’ll leave you”, ma poi non agisce.

Le non-azioni, differenti tra loro, si ripetono ossessivamente all’interno delle opere.

Uno degli elementi che segnalano quest’assenza di azione è il tema del suicidio mancato, quello che Saunders definisce “deferral of death”33: “Beckett’s

characters are often defined by their ability to endure, seemingly consigned to never being released from death”34. La morte, unica possibilità di fuga da un mondo immobile e sofferente, votato all’immutabilità, non è concessa. La fuga finale non si realizza:

VLADIMIR: […] What do we do now? ESTRAGON: Wait.

VLADIMIR: Yes, but while waiting.

ESTRAGON: What about hanging ourselves?35

(Waiting for Godot)

33 Ivi, p. 70 34 Ibidem

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HAMM: […] Yes, there it is, it’s time it ended and yet I hesitate to – [he yawns] – to end.36.

(Endgame)

In Blasted Ian tenta il suicidio. Il gesto è qui compiuto, non rimane legato

esclusivamente ad un desiderio espresso tramite le parole. Ma il suicidio non è concesso:

He puts thee gun back in his mouth. He pulls the trigger. The gun clicks, empty. He shoots again. And again and again and again. He takes the gun out of his mouth.37

La causa del mancato suicidio di Ian è, diversamente che in Beckett, esterna: proviene infatti da Cate, la quale decide di togliere i proiettili dall’arma, impedendogli di realizzare l’atto di liberazione dalla quotidianità insensata. Negli esempi di Beckett visti finora il suicidio, a differenza di Blasted, è un’azione in potenza che viene esclusivamente suggerita. L’esempio più vicino al primo dramma della Kane lo offre Winnie in Happy Days:

[Turns to bag, rummages in it, brings out revolver, holds it up, kisses it rapidly, puts it back […]]38

A differenza degli esempi beckettiani visti finora, il suicidio qui non è chiamato in causa dai personaggi, ma è espresso tramite una didascalia, come avviene in

Blasted. E, come nell’opera della Kane, anche qui l’atto non si realizza, sebbene,

ancora una volta, le cause del fallito tentativo siano qui da ricercare nella volontà del personaggio stesso, piuttosto che in una volontà esterna.

Diversamente apprendiamo del suicidio di Phaedra in Phaedra’s Love tramite le parole di Strophe39: l’azione è qui portata a compimento, ma fuori scena.

Tralasciando il suicidio, però, la morte non è assente dai drammi della Kane. E, anzi, spesso si presenta, nota Saunders, come una soluzione, che non è invece

36 Ivi, p. 93

37 Kane, Complete plays, p. 56

38 Beckett, The complete dramatic works, p. 141 39 Kane, Complete plays, p. 90

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concessa ai personaggi di Beckett: “Kane differs from Beckett, in that predominantly she wishes to release her characters from suffering through the escape provided by death”40.

Pur fallendo il suo tentativo di suicidio, Ian riesce finalmente a morire. La morte, però, non è definitiva: il protagonista muore, ma qualche battuta dopo lo vediamo ancora in vita. Non c’è redenzione, non c’è una vera salvezza, sebbene il finale di Blasted possa essere letto in chiave positiva, come sopravvivenza di rapporti sociali umani in un contesto di disgregazione morale.

La non-morte di Ian, in questo, non è molto distante dall’estetica di Beckett: l’azione, nel caso della Kane, viene compiuta. Ma i suoi effetti sono del tutto assenti: il mondo di dolore e sofferenza non muta la sua forma.

Scrive Sara Soncini in merito ad una tra le possibili interpretazioni del mancato suicidio di Ian: “If […] Kane’s stage direction is to be taken at its face value, Ian actually dies but only to find out that even after death he is still trapped in the same hell as before, with the aggravating nuisance of the rain”41.

Diversamente, la morte diventa un percorso a senso unico nelle opere successive della drammaturga. Con la morte di Rod terminano le sue sofferenze. E anche se solo accennato, il suicidio torna costantemente in 4.48 Psychosis come ultima soluzione. La decisione è presa:

At 4.48

when desperation visits I shall hang myself

to the sound of my lover’s breathing [...]

I have resigned myself to death this year42.

La differenza sostanziale tra i due autori, a detta di Saunders, è da ricercare nel modo di concepire i modelli di individualità: “Whereas Beckett’s characters […] seem to exist, albeit in a state of suffering, between indeterminate states, Kane

40 Saunders, “The Beckettian world of Sarah Kane”, p. 71

41 Sara Soncini, “A horror so deep only ritual can contain it”: the art of dying in the theatre of

Sarah Kane, Altre Modernità, 4 (2010), p. 121

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has commented that the only point of unity and reconciliation is the moment when the subject takes their own life”43.

La morte in Beckett è uno stato che non si realizza, una delle tante azioni che non vengono portate a compimento, ma solo paventate. Si tratta, però, della più importante delle (in)azioni: quella che potrebbe portare alla cessazione della sofferenza quotidiana. Ma ciò non è concesso ai personaggi del drammaturgo irlandese, che rimangono così incatenati in una sorta di limbo senza via d’uscita, condannati a ripetere le stesse azioni.

I due drammaturghi condividono però un atteggiamento di scetticismo e distacco ironico nei confronti dell’esistenza. Così, ad esempio, leggiamo in Waiting for

Godot:

VLADIMIR: Suppose we repented. ESTRAGON: Repented what? […] Our being born?44

E in Endgame:

HAMM: […] you’re on earth, there’s no cure for that!45

Ancora in Endgame:

HAMM: […] Did you ever have an instant of happines?

CLOV: Not to my knowledge.46

Nella Kane tali atteggiamenti sono generalmente associati a personaggi specifici. Così, ad esempio, Ian risponde ad una Cate che lo osserva con odio: “Don’t worry, I’ll be dead soon”47.

Ian vive con aria di distacco una vita che sa non essere ancora molto lunga.

43 Saunders, “The Beckettian world of Sarah Kane”, p. 71 44 Beckett, The complete dramatic works, p. 13

45 Ivi, p. 118 46 Ivi, p. 123

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La presenza stessa di Cate in quell’hotel è giustificata dall’infelicità del giornalista:

Ian Why did you come here? Cate You sounded unhappy. Ian Make me happy. Cate I can’t.48

In maniera simile per Hippolytus anche il rapporto sessuale è scevro da piacere:

Hippolytus I think about having sex with everyone.

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