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Trame intertestuali nell'opera di Sarah Kane

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LETTERATURE E FILOLOGIE

EUROPEE

TESI DI LAUREA

Trame intertestuali nell’opera

di Sarah Kane

CANDIDATO

RELATORE

Alberto Biscazzo

Chiar.ma Prof.ssa Sara Soncini

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Fausto Ciompi

(2)

Ringraziamenti

Vorrei rivolgere un sentito ringraziamento alla mia famiglia, in particolare a mio padre, senza il cui sostegno affettivo ed economico questo traguardo non sarebbe stato raggiunto.

Ringrazio la professoressa Soncini per l’aiuto fornitomi con grande amore per la materia e somma pazienza.

Un grazie ai miei amici tutti, che mi hanno sostenuto durante questo percorso, rendendolo più leggero. In particolare grazie al mio amico d’infanzia più caro, Andrea.

Un ultimo ringraziamento ad Anna Chiara, sostegno e conforto in un periodo importante della mia vita, e oltre.

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Indice

INTRODUZIONE p. 1

1. SULL’INTERTESTUALITÀ

1.1 Cos’è l’intertestualità p. 7

1.2 Dalle origini a Bloom p. 8

1.3 La critica femminista e gli studi post-coloniali p. 12 1.4 La dinamica intertestuale nel post-modernismo p. 13

2. L’ESTETICA DELLA VIOLENZA

2.1 Sarah Kane e Antonin Artaud p. 15

2.1.1 Introduzione p. 15

2.1.2 L’estetica della violenza nei due autori p. 16

2.1.3 Oltre la fisicità p. 17

2.1.4 Experiential theatre p. 18

2.1.5 Conclusioni p. 20

2.2 Sarah Kane e Howard Barker p. 21

2.2.1 Introduzione p. 21

2.2.2 Barker e Kane: un confronto estetico p. 21

2.2.3 La ricezione dell’opera p. 23

2.2.4 Un confronto fra i due autori: linguaggio ed estetica teatrale p. 24

2.2.5 Conclusioni p. 33

2.3 La ricezione dell’opera di Sarah Kane p. 35

2.3.1 Blasted e lo shock dell’opera prima p. 35

2.3.2 Da Phaedra’s Love a Cleansed p. 39

2.3.3 Tradizione e rottura: Crave e 4.48 Psychosis p. 41

2.3.4 Conclusioni p. 43

3. INFLUENZE CLASSICHE E MODERNE, TRA FORMA E CONTENUTO 3.1 L’opera di Shakespeare in relazione alla drammaturgia di

Sarah Kane p. 44

3.1.1 Sarah Kane e Shakespeare: un quadro d’insieme p. 44

3.1.2 Da King Lear a Blasted p. 45

3.1.3 Da Twelfth Night a Cleansed p. 46

3.1.4 Oltre Shakespeare p. 50

3.2 Sarah Kane e Samuel Beckett p. 52

3.2.1 L’anima beckettiana di Sarah Kane p. 52

3.2.2 L’inazione p. 53

3.2.3 Rapporti di forza e di sopraffazione p. 57

3.2.4 Oltre le relazioni: i luoghi delle azioni p. 60

3.2.5 Minimalismo, ripetizione, uso della scena p. 62

3.2.6 Beckett come mediatore di Shakespeare p. 65

(4)

3.3 Poesie, diagnosi, frammenti nell’ultima produzione di

Sarah Kane p. 68

3.3.1 Il pastiche p. 68

3.3.2 Crave: riscrivere Eliot p. 69

3.3.3 Oltre la forma tradizionale: il teatro totale p. 74

3.3.4 Elemento religioso, elemento spirituale p. 77

3.3.5 Conclusioni p. 80

4. I RIMANDI INTERNI

4.1 Un percorso p. 82

4.2 Le relazioni interpersonali tra amore, sopraffazione

e ossessione p. 83

4.3 La dimensione spirituale e l’unione del sé p. 87

4.4 Il rapporto luce/oscurità p. 90

4.5 Ripetizione e ossessione p. 93

4.6 4.48 Psychosis e il suo rapporto con le opere che precedono p. 94

4.7 Conclusioni p. 95

CONCLUSIONI p. 97

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1

INTRODUZIONE

I have always walked free

Last in a long line of literary kleptomaniacs (a time honored tradition)

Theft is the holy act

On a twisted path to expression1

(4.48 Psychosis)

Nel panorama drammaturgico Sarah Kane ha occupato, nel corso degli anni, un posto di rilievo. Il successo della sua opera, lungi dall’essere rimasto relegato al panorama britannico, ha fatto sì che, in merito alla sua produzione teatrale (comprendente cinque drammi, portati in scena per la prima volta tra il 1995 e il 2000) nascesse una critica interessata ad analizzare i più disparati aspetti della drammaturgia dell’autrice. Tra i tanti aspetti presi in esame nell’opera della Kane c’è stato anche il confronto con la tradizione teatrale e letteraria cui la sua opera ha mostrato di essere legata. Il carattere intertestuale dell’opera della drammaturga è emerso, in qualche caso, fin dalle prime recensioni dell’opera da parte della critica teatrale. Blasted, con la sua carica di sentimenti estremi e

imagery violenta, ha aperto la strada ad una lettura dell’opera della Kane in

relazione ad autori della tradizione drammaturgica britannica, come Shakespeare e Barker. Tuttavia, come avremo modo di constatare nei prossimi capitoli, tale ricezione, dove c’è stata, ha utilizzato talvolta questo confronto in chiave negativa: l’opera di Sarah Kane è stata paragonata per lo più ad una pallida imitazione del teatro della tradizione. L’effettivo riconoscimento del legame del teatro della Kane con la tradizione avverrà, come vedremo più avanti, con

Cleansed, ma in maniera più decisa con Crave.

Va detto che tale legame non è sempre il frutto di scelte volontarie, o comunque non costituisce la chiave unica di lettura dei testi. Ciò vale almeno fino a

Cleansed, dove le citazioni e i rimandi alla tradizione sono da inquadrare nella

costruzione di una struttura portante, piuttosto che in quell’uso ampiamente

(6)

2

esteso delle citazioni e delle relazioni drammaturgiche e letterarie che investirà le ultime due opere della Kane.

Avremo modo di osservare come critici autorevoli considerino Blasted una rilettura del King Lear di Shakespeare. Si tratta, tuttavia, di un’interpretazione problematica alla luce del fatto che l’autrice prese effettivamente coscienza delle similarità tematiche con il dramma shakespeariano solo in un secondo tempo2.

Tale interpretazione, dunque, può essere effettivamente pertinente solo nella misura in cui si consideri “riscrittura” anche un’opera che non era stata concepita in tale misura, ma che ha in sé diversi elementi dell’opera cui è messa in relazione, che permettono di tracciare un confronto tra i due drammi.

Avremo modo di approfondire successivamente il rapporto di Sarah Kane con Shakespeare. Ciò che qui ci interessa constatare è che il vero e proprio discrimine tra la prima produzione di Sarah Kane e gli ultimi due drammi è da ricercare, a mio avviso, proprio in questa modalità di azione: l’intertestualità nella prima drammaturgia è il frutto di interessi e influenze che hanno agito anche inconsciamente nell’autrice. Le prime stesure di Blasted sono state costruite “emotionally rather than intellectually”3, ci dice Sarah Kane. L’ultima

produzione della Kane è invece contraddistinta da un uso molto esteso di citazioni e rimandi, in un gioco poetico che comunque coinvolge lo spettatore, e non il lettore, come ci si potrebbe aspettare da una struttura più vicina alla letteratura che al teatro (la stessa drammaturga, lo vedremo, ha sottolineato l’atto performativo su quello letterario, non negando dunque la forza drammaturgica delle opere).

Il lavoro di ricerca che è stato qui affrontato mi ha portato, dunque, a cercare elementi che potessero suffragare l’ipotesi di una complessa rete intertestuale nei drammi di Sarah Kane, scavando negli interessi e nella partecipazione attiva della drammaturga nell’ambito teatrale: ad esempio è stato interessante

2 Graham Saunders, About Kane: the Playwright & the Work (London: Faber and Faber, 2009),

p. 40

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3

constatare come Sarah Kane abbia rielaborato il teatro di Howard Barker nella propria opera. In tal caso non abbiamo esclusivamente parole di ammirazione nei confronti del drammaturgo britannico, ma anche un’effettiva partecipazione attiva dell’autrice come attrice in alcuni drammi di Barker. La Kane ha infatti recitato in alcune di queste opere, e talune delle citazioni rielaborate nella struttura dei suoi drammi sono ricollegabili proprio alle battute pronunciate dai personaggi interpretati dall’autrice. Ciò è riscontrabile anche nel rapporto con il

Woyzeck di Georg Büchner, opera che la drammaturga ebbe modo di conoscere

poiché direttamente coinvolta nella regia in una delle produzioni dell’opera. Il dramma in questione ha influenzato alcune delle opere della Kane, in particolare in Cleansed, ma anche in 4.48 Psychosis.

Si può, in questi casi, parlare di semplice citazionismo o omaggio alle opere? O piuttosto sarebbe il caso di definire interessi che inevitabilmente sono entrati a far parte della struttura e della trama dei suoi drammi? Tendo a pensare che la seconda ipotesi si avvicini maggiormente alla realtà dei fatti, e ho cercato di dimostrarlo nelle pagine che seguono. E questo vale soprattutto dove non esistono citazioni dirette, ma piuttosto dei rimandi tematici e di imagery, come effettivamente accade nella maggioranza dei casi presi in esame.

Le citazioni dirette non costituiscono, infatti, la totalità delle reti intertestuali entro cui le opere della Kane agiscono. Anche laddove presenti, tali stralci andrebbero interpretati e contestualizzati nell’opera dell’autrice e in una generale questione di imagery, piuttosto che in una mera riproposizione di singole battute o un omaggio agli autori citati. Ciò è tanto più vero per Crave e

4.48 Psychosis, che pur essendo opere costituite da citazioni spesso dirette,

tendono comunque ad integrarle e assimilarle all’interno del discorso drammaturgico.

Questo è ciò che, a mio avviso, può considerarsi la rete intertestuale in Sarah Kane: non una mera ripresa, ma una rielaborazione, uno sviluppo, un’integrazione di vari elementi della tradizione, e non sempre tramite un processo conscio. E tale rielaborazione avviene per i più disparati motivi e attraverso diversi mezzi: talvolta con una ripresa citazionistica fedele, motivata

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4

da un interesse dell’autrice per la fonte teatrale o letteraria di partenza; ma può anche accadere che l’opera originaria venga pienamente inglobata nella struttura dell’opera, tale da non risultare immediatamente riconoscibile. Oltre il livello verbale c’è poi quello estetico: la ripresa intertestuale, nella sua opera, non avviene esclusivamente su un piano letterale, ma può riguardare diversi altri aspetti, come quelli più propriamente legati alla rappresentazione scenica (quali le luci, le ombre, l’uso degli spazi da parte dei personaggi) o alle atmosfere rievocate. Un esempio, che ingloba in sé diverse modalità, ci è offerto da Crave: il dramma, come avremo modo di osservare, è molto legato ad Eliot, non solo nell’uso di citazioni facilmente e direttamente riconducibili al poema (HURRY UP PLEASE IT’S TIME4), ma anche nelle citazioni rielaborate (In den

Bergen, da fühlst du dich frei5) e nelle atmosfere che le due opere evocano. Inoltre la tradizione teatrale entro i cui confini le opere della Kane partecipano, come avremo modo di vedere, è spesso mediata, non diretta: Artaud tramite Barker, Shakespeare tramite Beckett, i giacomiani attraverso i neo-giacomiani. Non bisogna infine dimenticare che l’ambito preso in esame può vivere su piani differenti: il teatro è sì testuale, ma esiste anche, e soprattutto, nel suo atto performativo. Anche dove Sarah Kane ha operato uno spostamento verso la poesia, si è detto, lo ha fatto immaginando i testi nella loro forza recitativa, e non come lettura. Sarebbe bene tenere quindi a mente questa peculiarità del medium teatrale: l’influenza della tradizione non agisce esclusivamente su un piano verbale, ma opera soprattutto negli altri ambiti che lo caratterizzano, ovvero la forza performativa e immaginativa del testo e l’elaborazione complessa di tematiche.

Questa particolarità delle relazioni intertestuali intessute dalle sue opere ha fatto sì che ci si ponesse la questione di categorizzare i suoi drammi all’interno delle correnti modernista o post-modernista. Ad esempio, Voigts-Virchow definisce Sarah Kane una “late modernist”: a contribuire a questa impressione sono gli

4 Ivi, p. 162 5 Ivi, p. 196

(9)

5

elementi più facilmente associabili al modernismo, come, ad esempio, l’estetica della violenza, ricollegata all’attualità del tempo, come la guerra in Jugoslavia o le lotte di classe nell’era Thatcher6. C’è chi poi, come Clare Wallace, ha visto

nell’opera della Kane una ripresa dell’avanguardia letteraria del primo Novecento: la studiosa ha affermato che la Kane “has achieved international acclaim not so much because of her conformity with a new wave of British drama but rather because of her affinity with a not so new constellation of Continental avant-gard ideas and techniques.”7

Occorre comunque, a mio avviso, tenere a mente che l’opera di Sarah Kane non è sempre circoscrivibile in categorie ben definite, e che sebbene presenti elementi che possano essere ascrivibili al modernismo, ci sono anche costituenti più marcatamente postmoderni, quali, ad esempio, il distanziamento ironico (che talvolta traspare nelle battute dei personaggi sulla scena), ma anche l’utilizzo di citazioni e riferimenti alla cultura massmediatica, come effettivamente accade in

4.48 Psychosis.

I due concetti, d’altra parte, possono talvolta sovrapporsi, e ciò contribuisce alla difficoltà nell’incasellamento dell’opera della Kane in categorie precise e definite. Ragion per cui ho ritenuto corretto, nell’elaborato qui presente, non classificare rigidamente la produzione della Kane.

Qualche parola sulla struttura generale dell’elaborato.

Nel primo capitolo tratterò il discorso dell’intertestualità. Si tratta di un’analisi generale, non strettamente collegata al lavoro di Sarah Kane. Partirò dalla storia della critica letteraria in merito al discorso intertestuale, e traccerò quindi un percorso che, partendo da Julia Kristeva e Roland Barthes, termina con la critica femminista e post-colonialista.

6 Eckart Voigts-Virchow, “Sarah Kane, a Late Modernist: Intertextuality and Montage in the

Broken Images of Crave (1998)”, in Bernhard Reitz e Heiko Stahl, a cura di, What Revels are

in Hand? Assessments of Contemporary Drama in English in Honour of Wolfgang Lippke,

(Trier: Wissenschaftlicher Verlag Trier, 2001), p. 209

7 Clare Wallace, “Sarah Kane, experiential theatre and the revenant avant-garde”, in Laurens de

Vos, Graham Saunders, a cura di, Sarah Kane in Context (Manchester: Manchester University Press, 2011), p. 129

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6

Nel secondo capitolo tratterò il tema della violenza nei drammi di Sarah Kane. Come vedremo, le influenze nel lavoro dell’autrice in merito a questa imagery sono molteplici. Proverò a tracciare un primo percorso che parte dal “teatro della crudeltà” di Artaud e passa per il “teatro della catastrofe” di Barker, giungendo infine a Sarah Kane. Si tratterà di dare, dunque, una base teorica all’estetica della Kane. Si avrà modo di constatare che la Kane conobbe effettivamente Artaud solo in un secondo momento. Tuttavia ritengo sia possibile identificare un fil

rouge che, passando tramite il teatro e la teoria di Barker, collega il drammaturgo

francese a Sarah Kane. Sarà poi affrontato il rapporto tra l’autrice e la critica letteraria, con un interesse particolare proprio all’estetica violenta della prima opera e al suo impatto sulla critica.

Si tenterà poi di sviluppare un’analisi sull’influenza della tradizione classica e di quella moderna, prendendo in esame due autori che hanno ampiamente condizionato il teatro di Sarah Kane: Shakespeare e Beckett. Il drammaturgo di Stratford, come avremo modo di constatare, filtra anche attraverso Beckett. L’ultimo paragrafo del capitolo cercherà poi di rendere conto della molteplicità dei riferimenti che gravitano attorno alle ultime due opere della drammaturga. Un’analisi conclusiva proverà a tracciare un percorso di ripresa e sviluppo di temi all’interno dell’opera di Sarah Kane: non solo un dialogo con il teatro e la letteratura, ma anche una strada che abbraccia l’intera produzione della drammaturga.

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1. SULL’INTERTESTUALITÀ

1.1 Cos’è l’intertestualità

Prima di procedere all’analisi delle influenze teatrali e letterarie nell’opera di Sarah Kane, occorre qui fare un breve excursus nella teoria dell’intertestualità e nella sua applicazione da parte dei diversi modelli della critica letteraria.

Nella teoria intertestuale il testo è inserito in una rete di influenze, rimandi e citazioni che confluiscono nell’opera finale, sempre che di finale si possa parlare: infatti, vista sotto il quadro dell’intertestualità, l’opera presuppone dei precedenti letterari, ma allo stesso tempo ha in sé il potenziale di successive opere che facciano riferimento ad essa.

È su quest’ultimo punto che si sono focalizzati gli interventi relativi alla costruzione del canone letterario, alla tradizione o all’emancipazione di letterature fino ad allora poco considerate dalla società occidentale, come la letteratura dei paesi ex-coloniali o quella femminile. La teoria dell’intertestualità ha quindi inglobato in sé una serie molto ampia di definizioni e applicazioni, talvolta anche in netta contrapposizione tra loro.

Tuttavia sebbene l’autore possa occupare un posto di primo piano nella teoria intertestuale, può anche accadere che egli diventi vittima di un’impotenza creativa dovuta proprio alla dipendenza da autori che lo hanno preceduto, finendo così per renderlo un semplice ingranaggio in una più complessa macchina e decretandone, come ha fatto effettivamente Barthes, la sua morte, in nome dell’emancipazione completa del testo.

Come avremo modo di vedere nei capitoli successivi, il discorso dell’intertestualità è pertinente al teatro della Kane, che porta con sé le voci dell’arte teatrale e letteraria del passato.

Non sempre le influenze nella sua produzione si possono dire dirette: talvolta esse sono mediate da altre opere, teatrali e letterarie. Dunque sarebbe bene considerare l’intertestualità, nel caso di Sarah Kane (ma anche in un ambito più generale), come un processo di ripresa e sviluppo di temi, immagini ed echi

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8

verbali differenti, non necessariamente volontario o in rapporto diretto con le fonti artistiche cui le opere possono essere ricollegate.

1.2 Dalle origini a Bloom

La teoria dell’intertestualità nasce ad opera di Julia Kristeva. In “Intertextuality” Graham Allen inserisce il pensiero della Kristeva nel più ampio quadro del post-strutturalismo, facendo poi partire la storia dell’intertestualità dal tempo della scuola formalista e della linguistica saussuriana, laddove Bakhtin aveva contestato a quest’ultima un “oggettivismo astratto”, non tenendo questa teoria (così come quella formalista, afferma Allen) conto delle specificità sociali entro cui il linguaggio opera1. E proprio di Bakthin Allen si occupa inizialmente, mettendo in rilievo il concetto di “polifonia”, inteso come visione ‘carnascialesca’ dell’opera letteraria, non limitata a dare voce ad un’unica istanza ma piuttosto ad esaltare il dialogismo letterario che la costituisce2.

Altro concetto bakthiniano messo in risalto da Allen è l’’eteroglossia’, ovvero la coesistenza di differenti contraddizioni socioideologiche tra il passato e il presente, tra diversi gruppi sociali nel presente, tra tendenze, scuole ecc.3 Un concetto che non trova applicazione solo in linguaggi distinti, ma considera anche i conflitti che avvengono all’interno di stesse frasi o parole4. Per Bakhtin

il dialogismo è ovunque, è insito nel discorso. Bakhtin e Julia Kristeva condividono l’idea secondo cui tutti i testi portano con sé strutture ideologiche e lotte che si esprimono nella società per mezzo del discorso5.

Nella letteratura occidentale l’intertestualità come modalità consapevole di scrittura è emersa, secondo la Kristeva, solo alla fine del diciannovesimo secolo, con la nascita del modernismo6. Similmente anche Barthes vede la nascita della

1 Graham Allen, Intertextuality (New York: Routledge, 2000), pp. 14-16 2 Ivi, p. 24

3 Ivi, p. 29 4 Ivi, p. 29 5 Ivi, p. 36 6 Ivi, p. 50

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9

scrittura esplicitamente intertestuale nel modernismo e nei movimenti d’avanguardia del ventesimo secolo7.

Il soggetto della letteratura modernista è scisso. Julia Kristeva utilizza i termini

fenotesto e genotesto per indicare rispettivamente la parte di un testo che

presenta la voce di un soggetto unificato, e quella che invece ha origine nell’energia che proviene dall’inconscio e che è presente nella forma del ritmo, intonazione, melodia, ripetizione ed altri mezzi narrativi8: così, ad esempio, in

testi scientifici il genotesto sarà quasi del tutto assente, mentre è preminente nei testi modernisti9. Allen poi nota come il concetto di genotesto si applichi

all’analisi di Bakhtin dell’eteroglossia, laddove Kristeva inserisce la questione in una dimensione psicologica10.

Con Barthes assistiamo anzitutto ad una ridefinizione dei concetti di “testo” ed “opera”: mentre quest’ultimo indica il libro materiale che può essere interpretato, il “testo” è invece la forza del del significante nell’opera, la sua forza narrativa11. La teoria del testo implica dunque, nota Allen, una teoria dell’intertestualità, in quanto il testo, oltre a generare una pluralità di significati, scaturisce da una serie di discorsi e proviene da significati già esistenti12. Influenzato dal discorso della Kristeva su Bakhtin, Barthes sviluppa l’idea secondo la quale l’origine del testo non è da ricercare in una voce autoriale unica, ma piuttosto in una pluralità di voci, parole, frasi, testi13, quello che, nelle parole dello stesso Barthes, viene definito come un tessuto di citazioni provenienti da diversi centri di cultura14.

Barthes arriva a negare che la letteratura intrattenga un rapporto di tipo referenziale con il mondo15, attirandosi le critiche di Compagnon che afferma,

7 Ibidem 8 Ivi, pp. 50-51 9 Ivi, p. 51 10 Ivi, p. 52 11 Ivi, p. 66 12 Ivi, p. 67 13 Ivi, p. 72 14 Ivi, p. 73

15 Antoine Compagnon, Il demone della teoria – Letteratura e senso comune (Torino: Einaudi,

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diversamente, che l’uomo ha sviluppato facoltà linguistiche “proprio per parlare di cose di ordine non linguistico”16, e che quindi l’introduzione della realtà nella

letteratura riesce a superare la logica binaria secondo cui la letteratura parlerebbe o del mondo, o di letteratura17.

Barthes amplia anche i confini dei lavori intertestuali: sebbene da una parte si possa affermare che i testi avanguardistici siano stati consapevoli della propria intertestualità, tale nozione è in realtà riscontrabile anche nei testi realisti precedenti18.

Giungiamo così a Genette, esponente dello strutturalismo, ovvero di quella teoria che crede nella possibilità della critica di riuscire a localizzare, descrivere e stabilire il significato di un testo19.

In Palimpsestes Genette utilizza il termine architestualità per descrivere una serie di categorie dalle quali ogni singolo testo prende forma20, concetto che immette poi nella transtestualità, ovvero ciò che mette in relazione un testo con altri testi. Tuttavia Allen osserva che l’uso della parola intertestualità da parte di Genette è un concetto rivolto alla presenza di un testo all’interno di un altro, e alla relazione di compresenza di due o più testi. Il discorso è quindi ridotto a questioni di citazionismo, plagio e allusione21.

Ulteriore concetto impiegato da Genette, e forse, in quest’analisi, più stringente rispetto ai precedenti citati, è quello di ipertestualità, ovvero qualsiasi relazione in grado di unire un testo B (chiamato ipertesto) ad un testo precedente A (chiamato ipotesto), purché tale relazione non sia legata al ruolo di semplice commento22.

Rimanendo sullo strutturalismo, Riffaterre ricopre parimenti un ruolo importante: si deve allo studioso francese l’uso del termine socioletto, il quale indica un discorso socialmente normativo: il testo produce la sua significante

16 Ivi, p. 135 17 Ibidem 18 Allen, Intertextuality, p. 81 19 Ivi, p. 97 20 Ivi, p. 101 21 Ibidem 22 Ivi, p. 108

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attraverso la trasformazione di un socioletto tramite inversione, conversione, espansione e giustapposizione23. Riffaterre usa anche il termine “matrice”, per indicare una parola o una frase che non è necessariamente presente nel testo, ma che allo stesso tempo ne rappresenta il fulcro: è la trasformazione di questo elemento a generare l’unità strutturale del testo24. Questo ci porta ad un ulteriore

concetto impiegato da Riffaterre, quello di hypogram, ovvero il testo immaginato dal letto nel suo stato pre-trasformazionale25. Inoltre per Riffaterre

i testi non parlano del mondo, ma di sé stessi e di altri testi, e sono quindi autosufficienti26.

Un approccio antitetico all’intertestualità lo offre Harold Bloom, autore di The

Anxiety of Influence. Si può affermare che il nucleo del suo discorso graviti

attorno alla ricerca dell’originalità da parte dell’autore. Infatti, se da una parte c’è il desiderio, da parte dell’autore, di imitare il precursore, dal quale egli apprende l’espressione artistica, dall’altra questo si unisce alla necessità di difendersi dall’idea che egli sia in realtà un imitatore27. L’idea di fondo è quindi

quella secondo cui l’intero quadro artistico vada inserito in una compagine imitativa. Il testo non possiede un’unità in sé, e il suo significato non va ricercato nella realtà esterna28.

Così anche lo stesso concetto di influenza ha, in Bloom, un significato differente dall’uso tradizionale. Concetti centrali nello studioso sono misreading e

misinterpreting. Il poeta forte riscrive l’opera precedente e si difende dalla realtà

di questa stessa azione tramite un atto di misreading: mutando la narrazione precedente si genera l’illusione di non essere influenzato da quella29.

Ogni testo è un inter-testo, in quanto partecipante ad un insieme di altri testi30. A questo si aggiunge il fatto che persino la lettura critica è in realtà un

23 Ivi, p. 119 24 Ivi 25 Ivi, p. 122

26 Compagnon, Il demone della teoria, p. 119 27 Allen, Intertextuality, p. 134

28 Ibidem 29 Ivi, p. 135 30 Ivi, p. 136

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misreading, in quanto anch’essa vittima di un’angoscia d’influenza: si legge e si

scrive per generare influenza31.

1.3 La critica femminista e gli studi post-coloniali

La critica femminista ha dato un ulteriore impulso al discorso sull’intertestualità. Rivedendo la posizione di Barthes secondo cui ogni testo è stato già letto, il critico letterario Hillis Miller afferma che: “Only the subject who is both self-possessed and possesses access to the library of the already read has the luxury of flirting with the escape from identity [...] promised by an aesthetics of the decentered [...] body”32.

C’è chi, come Gilbert e Gubar in No Man’s Land, ha visto un’ostilità alla letteratura femminile anche nelle avanguardie di inizio Novecento: le tecniche dell’avanguardia, con il loro uso delle lingue straniere, delle allusioni e dei giochi di parole, hanno creato, secondo le due autrici, un linguaggio elitario, accessibile solo alla ristretta cerchia dei partecipanti della cultura alta33. La letteratura femminile, esercitata dalle donne borghesi, ha così dato impulso ad una reazione maschile34.

La critica femminista si lega strettamente agli studi post-coloniali, in quanto entrambi gli approcci si sono incentrati sull’emancipazione di una letteratura fino ad allora estromessa dai canoni occidentali: sia la letteratura femminile che quella delle colonie sono infatti state ignorate per secoli dal canone artistico dominante35. Il concetto di eteroglossia di Bakthin, che abbiamo visto più sopra, può fare, secondo Dale Bauer, da modello per scrittrici e lettrici: i personaggi in alcuni autori da lui analizzati “learn to see themselves and the process of their own social construction through the language of others”36.

31 Ivi, p. 139 32 Ivi, p. 158

33 Sandra M. Gilbert e Susan Gubar, No Man’s Land. The Place of the Woman Writer in the

Twentieth Century (New Haven and London: Yale University Press, 1988), p. 156

34 Ivi, p. 231 35 Ivi, p. 160

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13

Anche il concetto di “dialogo” è stato rivisitato. In Homi Bhabha lo scontro, insito al dialogismo, tra linguaggi ed enunciati può essere spia di una divisione non solo sociale, ma anche individuale: la donna afro-americana porta con sé diverse voci, istanze differenti37 rispetto ad una donna europea o americana.

1.4 La dinamica intertestuale nel postmodernismo

Giungiamo, in ultima analisi, al discorso che concerne il postmodernismo. All’interno di tale fenomeno, a detta di molti critici, la riproduzione supera l’effettiva produzione38. Nell’analisi di Fredric Jameson l’intertestualità nella

cultura del tardo capitalismo non è più un’istanza capace di esprimere una “double-voicedness”, ma “collapses into a kind of pointless resurrection of past styles and past voices”39.

Discorso a parte per la ricerca effettuata da Linda Hutcheon: l’accademica canadese ha lavorato molto sul discorso dell’ironia, proponendo anche una teoria esaustiva sulla parodia. Tale genere, a differenza dell’imitazione, della citazione e dell’allusione, presuppone una distanza critica ironica40.

Nella questione parodica la Hutcheon ritiene centrale il processo di “encoding” e di “sharing of codes”, motivo che porta a vedere la sua teoria, e il genere stesso della parodia, nella compagine dell’intertestualità.

La Hutcheon riconosce nella dinamica del postmodernismo una tendenza allo smantellamento delle gerarchie di valore estetiche e sociali41, sebbene la parodia possa essere utilizzata per istanze differenti (conservatrice o rivoluzionaria, a seconda dei casi)42. Molte parodie attuali, secondo Linda Hutcheon, non hanno

37 Ivi, p. 165 38 Ivi, p. 182 39 Ivi, p. 184

40 Linda Hutcheon, A Theory of Parody: the teachings of twentieth-century art forms (New

York and London: Methuen, 1985), p. 34

41 Ivi, p. 80 42 Ivi, p. 76

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un intento derisorio nei confronti delle loro fonti, ma piuttosto le utilizzano come modello da cui valutare il contemporaneo43.

Dopo questo breve excursus nella teoria intertestuale analizzeremo ora l’opera della Kane nella sua relazione con la tradizione teatrale e letteraria.

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2. L’ESTETICA DELLA VIOLENZA

2.1 Sarah Kane e Antonin Artaud

2.1.1 Introduzione

Trovare un trait d’union tra Sarah Kane e Antonin Artaud porta con sé alcune problematiche: la drammaturga britannica ebbe modo di leggere gli scritti dello scrittore francese solo in un secondo tempo1, dopo aver già portato in scena

alcune sue opere. Quindi parlare di un’influenza diretta di Artaud nei confronti dei drammi della Kane è sicuramente complicato e talvolta fuorviante.

Pur tuttavia ci sono, nel teatro di Sarah Kane, una serie di elementi che ci permettono di ricollegare le sue tematiche e l’imagery delle sue opere al teatro teorizzato da Artaud senza necessariamente vedere in queste un’applicazione pratica delle teorie del drammaturgo francese nella drammaturgia della Kane. È però la stessa autrice ad affermare che è possibile trovare una connessione tra il proprio lavoro è quello di Artaud: “[…] I was amazed how it connects

completely with my work. Also, his writings about theatre are stunningly good.”2

L’influenza diretta vera e propria è forse da ricercare nell’ultimo dramma della Kane, 4.48 Psychosis: “I think with everything I write there are usually a couple of books that I read again and again when writing. […] And the new one [4.48 Psychosis] it’s Artaud”3.

Lo scopo di questo capitolo è cercare di comprendere come il teatro teorizzato da Artaud si connetta con i drammi di Sarah Kane, quali punti di unione e quali punti di sutura è possibile tracciare tra i due autori nelle singole opere, ma anche in una più generale questione di rappresentazione teatrale.

1 Graham Saunders, About Kane: the Playwright & the Work (London: Faber and Faber,

2009), p. 87

2 Ibidem 3 Ivi, pp. 38-39

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16

2.1.2 L’estetica della violenza nei due autori

L’estetica della violenza trova ampio spazio nella drammaturgia di Sarah Kane, in particolare nelle prime tre opere. Come avremo modo di approfondire nei capitoli successivi, i primi critici di Blasted hanno spesso messo in evidenza il carattere estremo della rappresentazione nel primo dramma della Kane, non trovando, in questa estetica teatrale, alcuna possibilità di razionalizzare o inquadrare la tematica della violenza all’interno di un contesto sociale o referenziale più ampio.

Proprio in merito a questa estetica, sviluppata nei suoi primi drammi, Sarah Kane ha avuto modo di dichiarare che gli eccessi che le venivano imputati erano da considerarsi un semplice riflesso della realtà esterna: “I believe, and without doubt believed during the period I was writing Blasted, that violence is the most urgent problem we have as a species, and the most urgent thing we need to confront”4.

L’estetica violenta va oltre la mera provocazione. L’accento del problema viene posto dalla drammaturga non in un problema sociale specifico (dunque non sulla questione serbo-bosniaca, in cui la sua opera era stata inizialmente inquadrata, e da cui la stessa autrice era rimasta particolarmente colpita), quanto piuttosto in una questione più generale sulla natura umana. La guerra, in Blasted, è un’esperienza traumatica legata alla natura stessa dell’uomo, ad un primitivismo in grado di riportare l’uomo civilizzato alla sua essenza istintiva.

La guerra è uno dei temi di cui Artaud fa menzione nella sua produzione teorica in merito al teatro, assieme al crimine, l’amore e la follia. L’idea di base, nel teatro del drammaturgo francese, è di portare l’azione oltre i propri limiti, costruendo un’estetica degli estremi: il teatro, afferma Artaud, deve ricostruirsi sull’idea di un’azione drastica portata ai suoi limiti5. Non è difficile

4 Ivi, p. 102

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dunque tracciare un parallelo con la prima drammaturgia di Sarah Kane, dove l’estetica violenta gioca un ruolo fondamentale nella narrazione scenica. La violenza è, in Artaud come nella Kane, una condizione umana, una forza interiore che il teatro mette a nudo. Artaud sostiene che, come la peste, il teatro è una rivelazione, che porta all’esteriorizzazione di una crudeltà latente che metta a nudo la perversione di cui è capace una mente6.

2.1.3 Oltre la fisicità

In un suo saggio sul legame tra Sarah Kane e Antonin Artaud Laurens de Vos afferma che l’uso della violenza non è l’unico trait d’union tra i due autori. Un altro punto comune, e strettamente connesso a questo tema, è il linguaggio, e come esso viene destrutturato dalla crudeltà: “Cruelty reaches beyond language and cannot be controlled or contained by words.”, e prosegue, citando Scarry: “Physical pain does not simply resist language but actively destroys it, bringing about an immediate reversion to a state anterior to language, to the sounds and cries a human being makes before language is learned”7.

L’idea poi torna, sempre secondo de Vos, nella Kane: la drammaturga comprende che la riunificazione del soggetto scisso passa attraverso il linguaggio, mostrato nella sua nudità8.

Per capire meglio questo punto, si prenda in considerazione l’ultima produzione di Sarah Kane, dove tale percorso di de-significazione del

linguaggio raggiunge il suo apice: con Crave, e soprattutto 4.48 Psychosis, il linguaggio è altamente ritmico, decontestualizzato. Vive per sé, e non si lega, almeno in apparenza, ad un soggetto esterno.

“Whereas previously limbs were chopped off,”, afferma de Vos, “the next tep leads to the amputation of words in the process of desubjectivity”9: il

6 Ivi, p. 20

7 Laurens de Vos, “Sarah Kane and Antonin Artaud: cruelty towards the subjectile”, in Laurens

de Vos, Graham Saunders, a cura di, Sarah Kane in Context (Manchester: Manchester University Press, 2011), p. 129

8 Ivi, p. 131 9 Ivi, p. 132

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linguaggio non è più, nelle ultime opere della Kane, il riferimento ad una realtà esterna circostanziata, ed è spogliato dalla propria “signifying function”10.

Riguardo al linguaggio Artaud aveva affermato che la spazialità e gli oggetti hanno un ruolo più incisivo delle parole, nella rappresentazione scenica11. Ciò è vero per i primi drammi di Sarah Kane, dove immagini come la stanza del lussuoso hotel di Leeds, o azioni come la bomba che cade improvvisa nella scena, giocano un ruolo fondamentale all’interno della rappresentazione. Al contrario, negli ultimi drammi della Kane il linguaggio gioca un ruolo preminente, e sostituisce l’azione scenica.

Tuttavia è bene notare che Artaud non nega l’importanza delle parole: afferma che non si deve fare a meno del dialogo, ma piuttosto dare alle parole la stesso significato che possiedono nella realtà onirica12. Ed è forse possibile constatare come questa idea si sviluppi nell’ultima produzione della Kane, dove il

linguaggio si spezza in una miriade di riferimenti, citazioni e ripetizioni.

L’idea del teatro della crudeltà si applica, secondo de Vos, perfettamente a 4.48

Psychosis. Nell’ultimo dramma della Kane la crudeltà non è più rappresentata a

livello scenico, ma entra a far parte del linguaggio13.

E mentre nelle prime opere vi era ancora la possibilità di una speranza, garantita attraverso un ritorno al mondo simbolico comprensibile, ciò è negato in 4.48, dove piuttosto il sipario si apre sul reale, laddove il soggetto scisso smette di essere tale14.

2.1.4 Experiential theatre

La violenza, nella prima produzione di Sarah Kane, gioca un ruolo importante. Tuttavia non bisogna pensare che essa avesse valore un puramente estetico: “while staging visceral and violent action,”, afferma Clare Wallace, “Kane

10 Ivi, p. 131

11 Artaud, The theatre and its double, p. 62 12 Ivi, p. 66

13 de Vos, “Sarah Kane and Antonin Artaud: cruelty towards the subjectile”, p. 130 14 Ivi, pp. 134 e 136

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denies any interest in glamorising violence.”15

La violenza è piuttosto uno strumento, e come tale rientra in una concezione più ampia di teatro come esperienza in grado di coinvolgere spettatore.

C’è qui un legame con Artaud, il quale affermava che, per poter coinvolgere maggiormente il pubblico fosse necessario creare degli spazi in cui i due mondi, quello scenico e quello degli spettatori, potessero convergere, comunicare: l’imagery e i suoni avrebbero dovuto investire la massa degli spettatori16. L’idea è dunque quella di un teatro totale, un teatro che non

conosca più la differenza tra la rappresentazione e il mondo, tra un mondo di movimento e un teatro analitico17.

Questa unione tra spettatore e scena rappresentata diveniva possibile, in Artaud, anche attraverso la scelta dell’assetto scenico: “We intend to do away with stage and auditorium, replacing them with a kind of single, undivided locale without any partitions of any kind and this will become the very scene of the action”18. Si noti come questa idea abbia trovato una parziale realizzazione

nella messa in scena di Phaedra’s Love nel 1996, diretta dalla Kane, dove gli spettatori circondavano lo spazio della performance ed alcuni attori erano seduti tra gli spettatori.

E se il coinvolgimento dello spettatore, nella Kane, può avvenire attraverso l’estremizzazione dei sentimenti e della rappresentazione, nell’ultima produzione l’ordine viene sovvertito: non più una questione prevalentemente scenica, quanto piuttosto un grande dialogo con la tradizione teatrale, una generale tendenza a giocare con il linguaggio, i rimandi intertestuali, letterari e non solo, e una diffusa enigmaticità dei contenuti.

15 Clare Wallace, “Sarah Kane, experiential theatre and the revenant avant-garde”, in Laurens

de Vos, Graham Saunders, a cura di, Sarah Kane in Context (Manchester: Manchester University Press, 2011), p. 95

16 Artaud, The theatre and its double, p. 61 17 Ibidem

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2.1.5 Conclusioni

Pur condividendo taluni aspetti della teoria di Artaud, l’opera di Sarah Kane non può comunque essere considerata l’applicazione pratica del teatro concepito dal drammaturgo francese.

Non bisogna dimenticare che nell’ideale artaudiano di teatro figura quello balinese, il quale scaturisce, secondo Artaud, dalla danza, dal canto, dalla musica e dalla mimica. Un teatro la cui creatività potesse procurare allucinazione e terrore19. In questo teatro sono fondamentali la mimica e la gestualità20. Si tratta

di un teatro molto fisico, rituale nella sua gestione dello spazio. Artaud sembra intenzionato a superare, attraverso questo teatro, un’idea della drammaturgia percepita come lontana dagli istinti umani. Suoni e movimenti astratti caratterizzano il linguaggio drammaturgico del teatro cui Artaud aspira21.

Artaud è alla ricerca di una forma d’arte dimenticata, di un linguaggio teatrale che la drammaturgia occidentale sembra aver perduto. Il suo teatro persegue un fine, si muove su una base teorica definita, e dà ampio spazio all’uso di fantocci e grandi maschere come oggetti di scena22.

Pur possedendo alcune di queste qualità (come, ad esempio, l’interesse per il tema degli istinti umani), il teatro di Sarah Kane ha comunque degli aspetti che lo mettono in relazione con la tradizione teatrale occidentale, come avremo modo di vedere nei prossimi capitoli.

19 Ivi, p. 38 20 Ivi, p. 39 21 Ivi, p. 46 22 Ivi, p. 69

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2.2 Sarah Kane e Howard Barker 2.2.1 Introduzione

Molte sono le analogie che legano il teatro di Howard Barker a quello di Sarah Kane. Non solo similarità tematiche, ma anche affinità di ordine verbale e strutturale.

In questo paragrafo traccerò un percorso di analisi tra queste relazioni, partendo dalla voce diretta dei due autori. Sarah Kane ha espresso ammirazione per l’autore di Camberwell, sostenendo che questi sarebbe stato, nel giro di qualche secolo, paragonato a Shakespeare23. Sappiamo che la drammaturga conosceva bene l’opera di Howard Barker: questi è citato tra gli autori inglesi da lei letti24,

e l’autrice afferma di aver recitato nella parte di Bradshaw in Victory25 e di

Skinner in The Castle26.

Le analogie tra i due autori, tuttavia, non si riducono esclusivamente a relazioni di tipo citazionistico o strutturale: infatti il teatro di Sarah Kane mostra un’affinità con le teorie sul teatro esposte da Barker in Arguments for a theatre, che saranno qui prese in esame.

2.2.2 Barker e Kane: un confronto estetico

Ci sono alcune affinità tra “Il teatro della catastrofe” teorizzato da Barker e il “Teatro della crudeltà” di Artaud. Mentre Artaud dà risalto al tema della guerra nel teatro, e punta all’azione spinta verso i propri limiti27, così Howard Barker

vede nell’arte che induce dolore la forma più appropriata per una cultura sull’orlo dell’estinzione28, e il suo “Teatro della catastrofe” si pone come

23 Saunders, About Kane: the Playwright & the Work, p. 49 24 Ivi, p. 38

25 Ivi, p. 48

26 Elaine Aston, “Reviewing the Fabric of Blasted”, in Laurens de Vos, Graham Saunders, a

cura di, Sarah Kane in Context (Manchester: Manchester University Press, 2011), p. 26

27 Artaud, The theatre and its double, p. 60

28 Howard Barker, Arguments for a theatre (Manchester and New York: Manchester University

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obiettivo quello di sopraffare tolleranza dello spettatore29. Il teatro verso cui tende Barker non è semplicistico ed edificante, ma piuttosto complesso e doloroso30. Anche Sarah Kane ha un’idea di teatro come di un luogo “emotionally and intellectually demanding”31, e rifiuta quindi l’idea di un mero

intrattenimento32, rassicurante e accomodante. I tre autori condividono, secondo

James Hansford, una tendenza a spingere le forme del teatro oltre i limiti33.

Saunders nota che Sarah Kane condivide alcuni aspetti del “teatro totale” di Artaud, soprattutto una “imagery that is often violent and extreme”, che Barker chiama “beauty and terror”34.

Il concetto di catastrofe, in Barker, implica la ricostruzione: non una tendenza distruttiva, ma piuttosto una messa a nudo della miseria della vita quotidiana35. Questo implica, per Barker, il rifiuto di adagiarsi sui dettami del realismo socialista: l’aspirazione euforica ad un futuro impossibile contribuirebbe, secondo l’autore, a riversare l’infelicità quotidiana nella vita privata36.

Il teatro di Howard Barker, dunque, non può essere un teatro ideologico, in quanto l’insistenza sull’ideologia porta con se il reazionarismo37.

In questo si può ravvisare quanto affermato da Sarah Kane, secondo la quale il teatro (e le altre forme d’arte in generale) non agisce sulla società, ma è parte integrante di quella stessa società38. Così un dramma che contiene scene di violenza è percepito, dai critici, come opera violenta, quando invece sarebbe più corretto, sempre secondo la Kane, parlare di un’opera sulla violenza: “I think the obsession with content that the critics have means that any play which contains scenes of violence will be seen as a violent play rather than a play about

29 Ivi, p. 53 30 Ivi, p. 54

31 Saunders, About Kane: the Playwright & the Work, p. 84 32 Ibidem

33 Graham Saunders, ‘Love me or kill me’, Sarah Kane and theatre of extremes (Manchester:

Manchester University Press, 2002), p. 15

34 Ivi, p. 16

35 Barker, Arguments for a theatre, p. 54 36 Ivi, p. 53

37 Ivi, p. 46

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23

violence”39.

La violenza sovverte la morale del critico e dello spettatore, nella Kane come in Barker. Ciò che contesta quest’ultimo è, difatti, lo stile accomodante di certe opere teatrali: la tragedia è il mezzo appropriato per offendere la sensibilità dello spettatore, svelando l’inconscio40.

Nota Saunders che temi e imagery della Kane sono uno stimolo verso la compassione e l’umanità41. La violenza, nei due autori, non è dunque fine a sé,

ma ha piuttosto un ruolo quasi catartico, e gode, nel caso di Barker, di un supporto teorico che ne definisce la funzione nella rappresentazione.

A questa catarsi va forse ricondotto il tema della guerra presente in Blasted, sfondo di una vicenda umana dai contorni complessi e non riducibile ad una mera rappresentazione di atrocità.

2.2.3 La ricezione dell’opera

L’estetica teatrale di Howard Barker e di Sarah Kane, dunque, sfida le convenzioni morali dello spettatore.

Sarah Kane afferma che non dev’essere l’autore ad orientare lo spettatore42, ed

anche Barker aveva espresso perplessità sul teatro che si pone come insegnamento nei confronti dello spettatore. Il teatro moraleggiante che Barker contesta è macchiato dal conformismo sociale e da una certa rigidità43. Egli afferma di essere moralista nella misura in cui espone la morale a rischio, e che la scelta di utilizzare come proprio mezzo d’espressione il teatro nasce dall’idea che questo possa essere considerato un luogo amorale44.

Il teatro opera attraverso il suo non dire nulla, in un mondo in cui tutto viene detto, e tutto soggiace alla logica di un consenso morale: “[…] the theatre tells

39 Ibidem

40 Barker, Arguments for a theatre, p. 19

41 Saunders, ‘Love me or kill me’, Sarah Kane and theatre of extremes, p. 118 42 Ivi, p. 60

43 Barker, Arguments for a theatre, p. 76 44 Ivi, p. 76

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nothing, and in a society where telling never stops, where news, political comment, advertising, the social debate, are a deafening cacophony, an orchestra of claims and counter-claims, all subject to the moral consensus of humanism, the theatre’s sole and riveting power lies in its barbarism.”45.

A riguardo Sarah Kane ha negato la possibilità di definire Blasted un’opera morale, adducendo piuttosto all’amoralità dell’opera le reazioni di un pubblico che non poteva quindi collocarsi (o distanziarsi) in una struttura etica ben definita: “I think that a lot of the pople who have defended me over Blasted have said that it’s a deeply moral play. […] I think it’s amoral and I think that is one of the reasons people got terribly upset because there isn’t a very defined moral framework within which to place yourself and assess your own morality – or distance yourself from the material.” 46.

Riguardo alla percezione della cupezza della propria opera, Sarah Kane ha affermato di ritenere il nichilismo una forma estrema di romanticismo, e di sentirsi dunque inserita all’interno della corrente romantica nella tradizione di Keats e Owen47.

2.2.4 Un confronto fra i due autori: linguaggio ed estetica teatrale

Parlare di linguaggio in Sarah Kane è molto complesso: le sue cinque opere non sono un unico blocco monolitico, ed esse differiscono tra loro anche nell’uso dell’aspetto verbale. Ciò che unisce le diverse opere non è tanto la forma dei dialoghi (la lunghezza delle battute e la costruzione dei dialoghi subisce anzi notevoli mutamenti; basti pensare all’uso del linguaggio in Crave e 4.48

Psychosis), quanto piuttosto il lessico utilizzato, un vocabolario di “distruption,

extremity, excess, truth and alternative worlds of interiority”: questo, afferma Clare Wallace, unisce la Kane a Barker e Artaud48.

45 Ivi, p. 78

46 Saunders, About Kane: the Playwright & the Work, p. 61 47 Ivi, pp. 104-105

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Non sempre il linguaggio di Barker è composto da ampi periodi, e talvolta, anzi, la mancanza di subordinazione rende i dialoghi e le battute simili a quelli che troviamo nelle prime opere della Kane. Basti qui un esempio tratto dalle prime battute di The Bite of the Night:

CREUSA. Lost in Troy. (Pause.) Listen, getting lost. (Pause.) That also is an infidelity (Pause.) I walked behind. Wife bearing the food. The Flask. The diapers. Wife under the bundle. The clock. The colander. The old man’s vest49.

Confrontando queste battute con alcune tra le prime battute di Ian, si possono notare diverse similarità:

Ian Don’t be stupid. They give them to people with a life. Kids50.

Si noti, nei due esempi qui proposti, come il linguaggio sia carente di verbi e altre parti del discorso.

Le atmosfere nei due autori sono spesso molto cupe, macchiate da un senso di fatalità e di solitudine.

Leggiamo in Victory di Barker:

DEVONSHIRE: I have no bloody friend but you. It is my day and I never felt more like hanging myself51.

In modo simile Ian, in Blasted, è un uomo solitario, apparentemente forte, ma bisognoso delle cure di Cate. Pur avendo una famiglia, il protagonista è escluso da questa:

Cate Does Stella know?

Ian What would I want to tell her for? Cate You were married.

Ian So?

Cate She’d want to know.

Ian So she can throw a party at the coven.

49 Howard Barker, The Bite of the Night: An Education (London: Calder Publications Limited,

1988), p. 5

50 Sarah Kane, Complete Plays (London: Bloomsbury, 2015), p. 11

51 Howard Barker, Collected Plays Volume 1 (London: Calder Publications Limited, 1994), p.

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26 Cate […] What about Matthew?

[…]

Ian He hates me.52

I personaggi di Barker vivono spesso la propria vita nella consapevolezza di non avere uno scopo ultimo, e non sembrano soffrirne. Afferma Gay in The Bite of

the Night:

[…] Because I know, and always knew, to be born was absurd. So absurd that to be angry was equally absurd. And just as being angry was absurd, so caring was absurd. Quite as absurd. Which left me only – ecstasy53.

In modo simile Susannah, in un dialogo con Ophuls in The Europeans, afferma:

SUSANNAH: I think we live in Hell, but something makes Hell tolerable. What is it? Anger? I am so bad at anger.

OPHULS: This is not Hell.

SUSANNAH: Not Hell? What’s Hell, then? OPHULS: Absence

SUSANNAH: I assure you, this is absence. OPHULS: Of God. (Pause)54.

Questa volta viene chiamata in causa l’assenza di Dio. Il tema religioso è spesso presente nelle opere di Barker. In una scena di Victory (opera in cui Sarah Kane aveva recitato) Feak afferma: “Time’s a cunt”, a cui segue la pronta risposta di Pyle: “So’s God”, che poco dopo ribadisce il concetto: “I said he’s a cunt, didn’t I? He is a cunt”55.

Lo stesso atto di blasfemia, con lo stesso termine, è utilizzato in Blasted da Ian:

Cate Fate, see. You’re not meant to do it. God -

Ian The cunt.56.

52 Kane, Complete plays, p. 18

53 Barker, The Bite of the Night: An Education, p. 57

54 Howard Barker, Collected Plays Volume 3 (London: Calder Publications Limited, 1996), p.

80

55 Barker, Collected Plays Volume 1, p. 157 56 Kane, Complete plays, p. 57

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27

In The Castle Skinner, personaggio che, come abbiamo visto, era stato interpretato da Sarah Kane, afferma, interrompendo Ann: “I hate God and nature, they made us violable as bitches!”57. Il tema religioso torna più volte nell’opera, per esempio nelle parole di Nailer (“If you knew how I yearned for God!”58).

In The Europeans Katrin e Susannah conversano alla presenza di una suora e di un prete. Quest’ultimo prova un certo disagio quando Susannah gli mostra il seno59. Analogamente in Phaedra’s Love Hyppolytus dialoga, nei suoi ultimi

momenti di vita, con un prete. Hyppolytus nega, in questa scena, l’esistenza di Dio (“There is no God. There is. No God.”60).

Tra i due autori sembra quindi esserci una crisi della sfera religiosa dell’individuo: si percepisce l’assenza di un Dio nella Kane, nonostante la resistenza di personaggi come il prete o Cate. In Barker la situazione si presenta anche più complessa (non tanto la negazione di Dio, quanto un rapporto difficile con un’entità divina che non si manifesta o di cui non si ha un’opinione positiva).

Queste sono forse spie di una più generale disillusione che permea le opere dei due autori.

Ed è forse per questo che la guerra, in quanto manifestazione spinta della violenza tra nazioni e, dunque, tra individui, è tema trattato da entrambi gli autori. In particolare in Victory assistiamo ad una guerra civile, analogamente a

Blasted. Nelle parole di Milton, al termine di una scena, la guerra civile diviene

un gioco senza fine: “When the war is won, wage war on the victors. Every civil war must be the parent of another”61.

La violenza si esprime anche tramite la mutilazione del corpo. In Victory Scrope viene privato delle labbra, e questo gli impedisce di parlare liberamente, rendendo manifesta l’umiliazione del soggetto:

57 Barker, Collected Plays Volume 1, p. 204 58 Ivi, p. 226

59 Barker, Collected Plays Volume 3, pp. 70-71 60 Kane, Complete plays, p. 94

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SCROPE (in tears and frustration): The sin off [sic] kings – disease of riches – BRADSHAW: Shut up.

SCROPE (seeing her): Aaaggghhheddaway! BRASHAW: Just shut up.

SCROPE (recoiling from her): Aaaggghhhheddaway!62

Quel senso di frustrazione che Scrope prova nella rinuncia forzata a potersi esprimere è speculare a quello provato da Carl, il quale subisce le mutilazioni di Tinker: la prima riguarda proprio la lingua63.

In Barker ritroviamo il tema della mutilazione in The Castle, portata all’estremo: non più rappresentazione di una privazione parziale, quanto piuttosto il termine della vita. Ne è testimone Krak, che descrive così la violenza perpetrata ai danni della sua famiglia:

KRAK: They cut off my mother’s head. [...] They dismembered my wife […] And my daughter, with a glancing blow, spilled all her brains […]64.

Il passato di sofferenza, dove la violenza viene aggravata dall’umiliazione derivante dalla mutilazione, è anche quello vissuto dal soldato e raccontato a Ian in Blasted:

Soldier Col, they buggered her. Cut her throat. Hacked her ears and nose off, nailed them to the

front door.65

Una serie di mutilazioni più simili a quelle descritte dalla Kane in Cleansed sono invece presenti in The Bite of the Night: An Education, dove Helen viene prima privata delle braccia (“Armless I still reach out, why?”66), poi delle gambe (“I

went to brush my hair, and where were my arms? I went to get out of bed, and where were my legs?”67): “[…] they made a torso out of you”68 dirà Creusa.

62 Ivi, p. 191

63 Kane, Complete plays, p. 118

64 Barker, Collected Plays Volume 1, p. 232 65 Kane, Complete plays, p. 47

66 Barker, The Bite of the Night, p. 46 67 Ivi, p. 54

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29

Collegata ad un generale sentimento di disillusione nei confronti della vita è forse anche la trattazione del tema amoroso, piuttosto simile nei due autori. Se in Blasted l’esperienza sentimentale, pur ambigua, si può inquadrare in una dinamica di abuso e sottomissione (ma allo stesso tempo di bisogno e necessità da parte di colui che abusa), ugualmente le parole di Bradshaw in Victory (che giova ancora una volta ricordare essere stata interpretata dalla Kane) sembrano ricalcare tale processo:

BRADSHAW: [...] The more hurtful I am the more you Love me. It is all part of being bovine, religious and clean.

CROPPER: I am not bovine!

BRASHAW: You are bovine. You are breasts and milk and belly, moist and passionate as stables and wet fields. No latin, but red, oh red inside!69

Non sempre però le dinamiche sentimentali sono pregiudicate da questa relazione di bisogno e assoggettamento. Talvolta l’amore tra due personaggi è genuino, ma è comunque macchiato da un senso di fatale instabilità e da rapporti non equilibrati.

Leggiamo in The Castle:

ANN: I don’t declare my feelings - SKINNER: No, you don’t -

ANN: Can’t be forever declaring feelings, you declare yours, over and over, but - SKINNER: Yes -

ANN: It is your way - […]

SKINNER: […] Tell me why you Love me! ANN: I don’t see that I need, do I, need to -–70

E ancora Skinner:

SKINNER: […] I will not accept that ever lasting love, even as you swear it, is a lie, a permissible lie, because you do not know the unforeseen condition […]”71.

69 Barker, Collected Plays Volume 1, p. 142 70 Ivi, p. 218

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30

Nella Kane lo stesso tipo di rapporto è riprodotto in Cleansed:

Rod What are you thinking? Carl That I’ll always love you. Rod (Laughs.)

Carl That I’ll never betray you. Rod (Laughs more.)

Carl That I’ll never lie to you. Rod You just have.

[…]

Rod Grow up.

Carl I’ll never turn away from you.

Rod Carl. Anyone you can think of, someone somewhere got bored with fucking them.

[…]

Rod Don’t trust me.

(Pause.)

Carl I do.72

Come negli esempi precedenti, anche qui il rapporto è sbilanciato, sebbene tale disequilibrio agisca in maniera differente: non un rapporto abuser/abused, ma una relazione più complessa, fatta di illusione e disillusione da parte di chi vi partecipa. Un rapporto che non può definirsi stabile, ma muta con il passare del tempo: l’idea, insomma, che non esista una realtà invariabile, fissa, definitiva. La stessa idea viene traslata nell’esistenza di Dio: mancando un’entità che assicura la stabilità, e dunque l’ordine dell’universo, i personaggi di Barker e della Kane sono in balia di sentimenti, emozioni, desideri e azioni di cui non hanno pieno controllo, che sembrano talvolta non dipendere dalla loro volontà. Tale percezione della realtà non è, naturalmente, appannaggio dei due autori, quanto piuttosto un sentire comune della modernità. Le modalità di rappresentazione di questo sentire comune sono però molto simili nei due autori presi in esame.

Così la bomba che esplode, improvvisa, in Blasted, sovverte la narrazione scenica, e i personaggi che ne sono vittime sono incapaci di razionalizzare, in un

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primo momento, l’accaduto, riducendo i propri bisogni e le proprie necessità a puro istinto:

The hotel has been blasted by a mortar bomb. […]

Ian Mum?

[…]

Soldier The drink.73

Di una bomba parla anche Galactia, protagonista di Scenes from an Execution, riferendosi al proprio dipinto.

GALACTIA: [...] They are putting it on a barge, and the barge will sail up the canal, like some great bomb snuggled under tarpaulins, and they will unload it and carry it into the palaces of power, and it will tear their minds apart and explode the wind in their deep cavities, and I shall be punished for screaming truth where truth is not allowed.74

Anche in questo caso la bomba, qui metaforica, ha la funzione di spezzare la tranquillità di un’esistenza apparentemente stabile, ma sull’orlo di un grande shock emotivo (in questo caso provocato dalla rivelazione di una verità scomoda).

Il pericolo può essere esterno, paventato o effettivamente esistente. Ma può anche essere legato ad un evento del passato. È quello che accade in The Bite of

the Night, dove Helen afferma di aver visto “torturers play chess with their

victims, and the mothers of drowned infants fuck the perpetrators”75.

Analogamente il soldato di Blasted, nel descrivere il proprio passato a Ian, fa riferimento a sofferenza e dolore:

Soldier You never fucked a man before you killed him? Ian No.

Soldier Or after? Ian Course not. Soldier Why not?

73 Ivi, p. 39

74 Barker, Collected Plays Volume 1, p. 288 75 Barker, The Bite of the Night, p. 82

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Ian What for, I’m not queer.

Soldier Col, they buggered her. Cut her throat. Hacked her ears and nose off, nailed them to the

front door.

Ian Enough.

Soldier Ever seen anything like that? Ian Stop.

Soldier Not in photos? Ian Never76.

Eventi tragici del passato che hanno contribuito alla formazione caratteriale dei personaggi. E se Helen non rappresenta un pericolo in sé, diversamente il soldato, oltre ad aver vissuto il dolore, lo perpetra.

Quale figura più ossessivamente alla ricerca della razionalità, se non quella di un uomo di scienza? In Cleansed Tinker, dottore, gestisce i suoi pazienti con estremo distacco accademico, e gestisce una struttura simile ad un campo di concentramento ricavata, non a caso, da un’università, luogo accademico per eccellenza. L’omosessualità diventa, in Cleansed, un’imperfezione da curare con la violenza e la minaccia.

In The Bite of the Night il personaggio di Schliemann, parlando di Yorakim, afferma:

SCHLIEMANN. […] Your imperfection horrifies me...creeps along my wrists… (Pause.) Soon, so soon, the birth of monsters will be an impossibility, such will be the sprint of science…and all pain abolished…You were born too soon.77

Anche in questo caso l’idea che soggiace al ragionamento di Schliemann, personaggio che fa da sfondo alla vicenda principale (analogamente a Tinker egli passa buona parte del suo tempo ad osservare), è di un perfezionamento, un’ossessiva ricerca di miglioramento.

In questa situazione di incertezza anche la morte, la più definitiva delle condizioni umane, viene minata alle sue fondamenta. In The Europeans Orphuls

76 Kane, Complete plays, p. 47 77 Barker, The Bite of the Night, p. 66

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