• Non ci sono risultati.

Segue L’ipotesi specifica della responsabilità accessoria

2. L’art 2497, II comma, c.c.: la responsabilità di “chi abbia

2.7. Segue L’ipotesi specifica della responsabilità accessoria

Se, dunque, per le motivazioni esposte nel precedente paragrafo pare che la responsabilità accessoria degli amministratori della controllante sia, quanto meno sul profilo oggettivo, in re ipsa,

130 E infatti, lo stesso art. 2497, II comma, prima parte, c.c. viene classificato come

particolare declinazione positiva della categoria di elaborazione dottrinale del concorso del terzo all’inadempimento dove «il requisito dell’illiceità del comportamento del terzo e dell’ingiustizia del danno da costui cagionato viene ancorato ad una specifica previsione legislativa», L.BENEDETTI, La responsabilità, cit., pp. 56 ss.

75

altrettanto non si può dire degli amministratori della società controllata abusata. Invero, mentre le scelte gestorie e il conseguente operato dei primi è da ritenersi non vincolato, i secondi, in quanto preposti alla gestione di una società eterodiretta e soggetti alle direttive della capogruppo, non dispongono di piena libertà nella determinazione della politica imprenditoriale della società che servono. Il punto, dunque, che occorre chiarire al fine di poter affrontare il tema della configurabilità della responsabilità aggiuntiva in capo agli amministratori della controllata è il grado di vincolatività per i medesimi delle direttive e delle istruzioni della controllante, o specularmente, la sussistenza di margini di discrezionalità in sede di recepimento delle direttive della holding131. Infatti, se non fosse

ipotizzabile alcuno spazio di autonomia né la possibilità per costoro di opporsi in nessun caso a quanto imposto dalla controllante, sarebbe impossibile concepire una qualsiasi responsabilità in capo a costoro per i danni derivanti alla società da direttive abusive.

Parte della dottrina sostiene che l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte di una società, attraverso la previsione di specifiche direttive, e il relativo stato di soggezione di un’altra, ricavabile dalla spontanea esecuzione delle stesse, dia vita ad un negozio conclusosi per fatti concludenti132. Da tale vincolo,

131 Cfr. S.COVINO,Tutela dei soci di minoranza e dovere di “resistenza” degli amministratori di una s.pa. eterodiretta nel diritto italiano ed europeo dei gruppi di società, in corso di pubblicazione, p. 16

132 Così P. MONTALENTI, L’attività di direzione e coordinamento: dottrina, prassi,

giurisprudenza, in Giur. comm., 2016, 2, pp. 111 ss. il quale sostiene che «l'indicazione

della società che esercita la direzione unitaria, non contestata dalla controllante, è adesione negoziale al rapporto di gruppo. L'esecuzione delle direttive, anche per facta

concludentia, è costituzione re vel verbis del rapporto giuridico di gruppo. L'emanazione

di direttive, circolari, istruzioni è espressione della proposta contrattuale di formazione del rapporto di gruppo: l'accettazione o espressa o attraverso atti esecutivi è ipostatizzazione di un rapporto giuridico bilaterale. Il regolamento di gruppo è la forma negoziale codificata nel rapporto giuridico di gruppo». Similmente, U.TOMBARI,

76

deriverebbe da un lato l’obbligo per la controllante di agire nel rispetto dei principi di correttezza nell’esercizio della propria attività di eterodirezione, dall’altro l’obbligo giuridico per la controllata di eseguire le istruzioni impartite dalla controllante. Se ciò fosse vero, non sarebbe possibile prospettare alcuna responsabilità accessoria per gli amministratori della società figlia, poiché costoro sarebbero vincolati all’esecuzione delle direttive della società madre.

Questa impostazione tuttavia non convince: in primo luogo, pare che la soggezione della società controllata non sia da intendersi come la manifestazione della sua volontà di sottoporsi all’eterodirezione della capogruppo, bensì essa costituisce l’effetto concreto dell’esercizio attivo del potere di direzione e coordinamento della controllante: in altri termini, per aversi un’attività di direzione e coordinamento è sì necessario un comportamento collaborativo della controllata – che si adegua alla direttive emanate – ma non pare logicamente sostenibile che l’eseguire le istruzioni della capogruppo sia oggetto di un dovere di adeguamento per la controllata. Inoltre, ci si potrebbe chiedere, se la direzione e il coordinamento consiste in un’attività e non in singoli atti, in quale momento si possa dire concluso il contratto tra le due società, in quanto l’esecuzione di una sola direttiva non sarebbe sufficiente ad integrare il concetto di attività rilevante. Infine, alcuni autori evidenziano come al diritto in capo alla controllante circa l’esecuzione delle proprie direttive da parte della controllata corrisponderebbe un obbligo di esecuzione della

Il “diritto dei gruppi”: primi bilanci e prospettive per il legislatore comunitario, in Riv. dir. comm., 2015, 1, p. 84, il quale però ritiene che il vincolo giuridico non si instauri tra la

società controllante e la società controllata, bensì tra la prima e l’organo amministrativo della seconda.

77

controllata, privo però di strumenti coattivi che rimedino ad un eventuale inadempimento del soggetto obbligato133.

Sembra, allora, forse, più convincente la tesi opposta che pone l’accento sulla dimensione dinamica e imprenditoriale della realtà del gruppo: i sostenitori di tale teoria, infatti, evidenziano come le prerogative della capogruppo non siano tanto espressione di una specifica posizione giuridica soggettiva – come di un diritto soggettivo ad esempio – quanto piuttosto derivazione di un potere di fatto a cui la legge dà rilevanza giuridica nel momento in cui le società controllate si adeguano alle istruzioni della controllante134. Ragion per cui,

133 Come nota correttamente C.ANGELICI, Noterelle (quasi) metodologiche in materia di

gruppi di società, in Riv. dir. comm., 2013, 1, pp. 382 ss. «sembra difficilmente pensabile

[…] un’azione della società controllante volta ad ottenere la condanna della controllata al suo adempimento ovvero al risarcimento dei danni (quelli, in ipotesi, dalla prima subiti) per effetto del suo inadempimento; ancora più difficile (e a maggior ragione da escludere) che nell’ipotesi di tali azioni non sia decisiva la difesa con cui la società controllata e i suoi amministratori adducono di aver con tale “inadempimento” perseguito i propri e singolari interessi». Tuttavia, vi è chi evidenzia che dinnanzi una condotta disobbediente degli amministratori, residuerebbero comunque a disposizione gli strumenti ordinari di reazione alle ipotesi di mala gestio degli amministratori di una qualsiasi società, in primis la revoca o la mancata conferma dell’incarico, cfr. S.COVINO, Tutela, cit., p. 23. V’è da dire che, tuttavia, tali strumenti comunque sarebbero esperibili dalla maggioranza sociale della controllata e non direttamente dalla holding come soggetto autonomo, controparte dell’ipotetico rapporto obbligatorio intrattenuto con la controllata.

134 Cfr. C.ANGELICI, Noterelle, cit., p. 44 che specifica che poiché quello in capo alla

capogruppo è un potere di fatto, l’attività di direzione e coordinamento acquista rilevanza giuridica nel momento in cui «le corrispondono, e in fatto, i comportamenti della società a essa soggetta, quando in concreto adotta un modello decisionale con cui si adegua alle scelte strategiche di quella che l’esercita». S.COVINO, Tutela, cit., pp. 28 ss. precisa che la disciplina relativa ai gruppi è concepita come applicabile al verificarsi del fatto consistente nell’esplicazione dell’attività di reazione e coordinamento, indipendentemente dalla sua genesi (partecipativa, statutaria o contrattuale). Il fatto assume rilevanza giuridica «solo nella misura in cui, all’esito del suo concreto esercizio, esso permea e condiziona i processi decisionali e inerenti alla funzione gestoria delle società controllate, facendo transitare quella peculiare (ed astratta) posizione d i potere sul piano dell’attività imprenditoriale svolta dal gruppo». Alcuna dottrina individua alla base del meccanismo de gruppo e della conseguente soggezione delle controllate alla capogruppo il mero vincolo fiduciario fra capitale di comando e organo di

78

l’esecuzione da parte degli amministratori della controllata delle direttive impartite dalla capogruppo non trova il proprio fondamento nell’adempimento di un obbligo specifico, bensì nel dovere generale di qualsiasi amministratore di considerare, nello svolgimento del proprio ufficio, il peculiare contesto imprenditoriale in cui si colloca ed opera la società che servono135. Questa proposta interpretativa sembrerebbe,

a primo avviso, più idonea per ritagliare un maggiore spazio di autonomia per l’organo gestorio e, quindi, più coerente con un’eventuale configurazione di responsabilità dello stesso per concorso nell’eterodirezione abusiva136.

Senonché, v’è da dire che pur aderendo alla prima prospettazione l’obbligo degli amministratori della società figlia circa l’esecuzione delle direttive impartite dalla società madre sussisterebbe

amministrazione, v. F.GALGANO, I gruppi nella riforma delle società di capitali, in Contr. e

impr, 2002, p. 1025 secondo cui «al rapporto formale fra assemblea ed amministratori,

che è un rapporto fra organi investiti di distinte competenze, sottostà un interno rapporto fiduciario fra il capitale di comando e gli amministratori, essendo il primo che, con il proprio voto determinante, ne provoca la nomina e può, in ogni momento, provocarne la revoca. Il rapporto fiduciario si manifesta in direttive “confidenziali” del capitale di comando, cui gli amministratori spontaneamente si adeguano»; A. VALZER, Il potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e contratto, in AA.VV., Il

nuovo diritto delle società, Liber amicorum GianFranco Campobasso, Torino, 2007, p. 866,

critica dicendo «si può ritenere che la previsione della responsabilità diretta della capogruppo […] sia connessa con il riconoscimento di una portata effettuale dell’attività di direzione e coordinamento che non può dirsi affidata alla rete ufficiosa e nascosta delle relazioni fiduciarie fra gli amministratori delle varie società ma che, al contrario, è espressione di un potere la cui armatura giuridica è capace di incidere profondamente sull’assetto organizzativo, sui fini, sulle modalità e sulle responsabilità per l’attività di gestione della società sottoposta alla altrui Leitungsmacht».

135 C.ANGELICI, Noterelle, cit., p. 44 secondo cui la partecipazione ad un gruppo non

modifica i doveri della controllata e dei suoi amministratori che rimangono quelli di cui all’art. 2380-bis c.c.; ciò che muta, semmai, è il contesto nel quale concretamente si svolge l’attività imprenditoriale della società, contesto di cui gli amministratori devono tener conto nell’effettuazione di scelte gestorie e imprenditoriali. D’accordo U. TOMBARI, Il “diritto dei gruppi”, cit., pp. 109 ss.

136 S.COVINO, Tutela, cit., p. 23, riferendosi al contegno degli amministratori rispetto

all’esecuzione delle direttive della holding parla di “una condotta latamente doverosa”, sebbene non qualificabile come oggetto di un obbligo specifico.

79

solamente laddove queste fossero legittime137. Posto che in capo alla

controllante grava comunque l’obbligo di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento conforme ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale – pena la responsabilità di cui all’art. 2497, I comma, c.c. –, una direttiva che violasse tali principi esulerebbe dai canoni di legittimità e giustificherebbe – e anzi, imporrebbe – un rifiuto di esecuzione da parte degli amministratori della controllata138. Da ciò

consegue che sia che si aderisca alla teoria contrattuale che a quella sostanzialistica residua un nucleo minimo di potere in capo agli amministratori della controllata: a costoro, infatti, è senza dubbio affidata una funzione di “filtro” rispetto al recepimento e all’attuazione delle direttive della controllante, che comporta in capo agli stessi la configurazione di un diritto-dovere di resistenza139, la cui violazione,

pertanto, può essere rilevante per la configurazione una responsabilità ex 2497, II comma prima parte. In sintesi, qualora la società capogruppo imponesse una direttiva pregiudizievole per la società

137 «Gli amministratori delle società dipendenti mantengono competenze gestionali

importanti (prime fra tutte, il potere/dovere di collaborare con la società madre […] e il dovere di svolgere una funzione di filtro rispetto alle direttive non conformi ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della propria società.» U. TOMBARI, Il “diritto dei gruppi, cit., p. 85.

138 In ogni caso, cioè, è impossibile che «l’eterodirezione abusiva sia investita della vis

necessaria ad obliterare gli ordinari margini di discrezionalità connessi all’esercizio della funzione gestoria», S.COVINO, Tutela, cit., p. 22 nt. 67.

139 Cfr. F.GUERRERA, “Compiti”, cit., che parla appunto di un “diritto di resistenza” in

capo agli amministratori della società controllata qualora venissero loro impartite «delle direttive pregiudizievoli inaccettabili o irragionevoli»; E.MARCHISIO, La “corretta gestione” della società eterodiretta ed il recepimento di direttive (programmaticamente o solo accidentalmente) dannose, in Giur. comm, 2011, pp. 923 ss. rigetta l’automatismo di

imputazione della responsabilità aggiuntiva agli amministratori della controllata: vengono individuate infatti tre condizioni al ricorrere delle quali costoro non possono essere chiamati a rispondere per concorso nell’eterodirezione abusiva. Tra questi, che la direttiva sia rispettosa dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. Sembra, dunque, così confermato il dovere di monitoraggio degli amministratori della controllata la cui violazione – attraverso il recepimento di direttive pregiudizievoli e abusive – può comportare una responsabilità ai sensi dell’art. 2497, II comma, c.c.

80

controllata e gli amministratori vi dessero esecuzione, si configurerebbe, sul lato oggettivo, una condotta rilevante per l’integrazione della fattispecie della responsabilità aggiuntiva. Ovviamente, per la sussistenza di tale responsabilità sarà sempre necessaria la prova dell’elemento soggettivo, ovverosia della colpa o del dolo del soggetto agente: perché, dunque, l’amministratore sia chiamato a rispondere dovrà essergli attribuita una condotta imprudente e non diligente sulla base di un giudizio ex ante rispetto al compimento dell'atto dannoso140.

3. L’art. 2497, II comma, seconda parte, c.c.: la responsabilità di “chi

ne abbia consapevolmente tratto beneficio”.

3.1. Cenni introduttivi.

Ai sensi dell’art. 2497, II comma, seconda parte, c.c. la responsabilità accessoria per eterodirezione abusiva si configura anche in capo a quel soggetto che abbia tratto consapevolmente beneficio dalla realizzazione del fatto illecito. Il primo elemento che caratterizza la fattispecie è il limite costituito dal “vantaggio conseguito”, in forza del quale il convenuto – beneficiario consapevole – è tenuto a corrispondere al danneggiato una somma proporzionale al proprio vantaggio: tale caratteristica fa sì che tale corresponsione non si qualifichi ai sensi di un risarcimento ma di un mero indennizzo141.

Mentre, infatti, il risarcimento si collega alla causazione di un danno

140 Cfr. E.MARCHISIO, La “corretta gestione”, cit., pp. 923 ss.

141 Cfr.G.BASCHETTI,M.FRATINI, Le società di capitali: percorsi giurisprudenziali, Milano,

81

ingiusto, l’indennità svolge una funzione meramente recuperatoria e si associa all’arricchimento di un soggetto a scapito di un altro142. Tale

istituto è espressione dei principi di giustizia redistributiva e intende colpire spostamenti patrimoniali ingiustificati: l’ammontare dell’indennizzo, quindi, si commisura direttamente sull’entità dell’arricchimento ingiustificato e può ben essere considerato per tali motivi un rimedio di consistenza minore rispetto al risarcimento del danno.

La clausola generale che regola l’arricchimento ingiustificato è rinvenibile nell’art. 2041, c.c.: gli elementi che compongono la fattispecie sono il trasferimento di un vantaggio di natura patrimoniale da un soggetto a danno di un altro e l’assenza di un titolo, derivante da un negozio o da altra fonte obbligatoria, che giustifichi tale spostamento. Il rimedio indennitario, dunque, è finalizzato ad assicurare all’attore quanto defluito nel patrimonio altrui laddove tale spostamento non trovi giustificazione in una fattispecie idonea a conferire stabilità a tale attribuzione patrimoniale143.

Applicando tali elementi alla fattispecie di cui all’art. 2497, II comma, c.c., non v’è dubbio che il legislatore abbia regolato quei casi in cui un soggetto, pur non partecipando alla realizzazione dell’evento dannoso, abbia da questo tratto un vantaggio patrimoniale indebito – in quanto collegato alla realizzazione di un fatto illecito – a scapito del danneggiato in maniera consapevole. Si comprende, allora, come la fattispecie in esame sia da considerarsi alternativa e residuale rispetto

142 Tradizionalmente si ritiene che il rimedio indennitario attribuisca un minus di tutela

rispetto al risarcimento del danno, poiché incontra il limite oggettivo – sotto l’aspetto quantitativo – dell’arricchimento produttosi nella sfera del beneficiario, cfr. P. RESCIGNO, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, p. 158.

82

alla responsabilità accessoria del concorrente144: essa ha lo scopo di

tutelare ancor più la posizione del soggetto danneggiato consentendo allo stesso di recuperare quanto perso perché confluito nel patrimonio di un altro soggetto che, tuttavia, non ha preso parte al fatto lesivo145.

Essa, in altri termini, non colpisce condotte – casualmente efficienti – bensì atteggiamenti passivi – ma consapevoli – rispetto all’attività di eterodirezione abusiva della società controllante146. Se, infatti, il

soggetto beneficiario del vantaggio indebito non è coimputabile rispetto alla realizzazione del fatto lesivo, esso non può essere titolare di un’obbligazione risarcitoria, che necessariamente si collega alla realizzazione di un danno147. La funzione meramente recuperatoria

della fattispecie in esame viene ulteriormente confermata dall’entità della somma oggetto di restituzione, somma che non può eccedere quanto indebitamente percepito: il vantaggio patrimoniale è causa dell’obbligazione restitutoria ma allo stesso tempo limite del suo ammontare.

144 Sull’alternatività del rimedio indennitario rispetto a quello risarcitorio nel caso di

specie concordano G.BASCHETTI,M.FRATINI, Le società, cit., p. 869, L.BENEDETTI, La

responsabilità, cit., p. 140, secondo cui nella fattispecie in esame «non sussiste […] un

fatto dannoso (co)imputabile a chi si avvantaggia consapevolmente dell’altrui fatto lesivo; quest’ultimo infatti non tiene alcuna condotta eziologicamente legata all’evento lesivo per i soci e i creditori dell’eterodiretta, ma si limita a sfruttarlo a proprio beneficio, senza giustificazione».

145 Cfr. C.ANGELICI, La riforma delle società di capitali: lezioni di diritto commerciale,

Padova, 2006, pp. 146 ss.

146 Cfr. ibidem.

147 Tale ricostruzione è riportata da L.BENEDETTI, La responsabilità, cit., p. 142 ed è

condivisa da C.ANGELICI, La riforma, cit., p. 146, A.NIUTTA, La novella del codice in materia societaria: luci e ombre della nuova disciplina sui gruppi di società, in Riv. dir. comm., 2003,

5-8, pp. 373 ss. i quali, dunque, concordano sull’utilizzo dell’art. 2041, c.c. quale ausilio interpretativo nell’analisi della fattispecie restitutoria nella responsabilità dei gruppi. Contrari alla qualificazione dell’art. 2497, II comma, seconda parte, c.c. ai sensi di un mero indennizzo sono C.CASTRONOVO, La nuova responsabilità, cit., p. 161 che preferisce

qualificarla come responsabilità da concorso attraverso l’argomentazione per cui trarre consapevole beneficio dalle conseguenze di un fatto illecito equivale ad aver partecipato alla sua realizzazione; S.GIOVANNINI, La responsabilità, cit., p. 126.

83

3.2. Gli elementi della fattispecie generale di responsabilità

indennitaria e quelli dell’art. 2497, II comma, seconda

parte, c.c. a confronto.

Il ragionamento che si svolgerà per l’analisi della fattispecie in commento passerà in primo luogo attraverso l’esplicazione dei requisiti della fattispecie generale di ingiustificato arricchimento e la loro predicabilità alla fattispecie di cui all’art. 2397, II comma, c.c. In secondo luogo, occorrerà interrogarsi intorno all’opportunità di una specifica previsione di tale tenore nella responsabilità infragruppo: segnatamente, sarà opportuno valutare se il risultato indennitario possa essere conseguito già attraverso il ricorso alla regola generale dell’arricchimento ingiustificato di cui all’art. 2041 c.c. e, in caso contrario, quale siano gli elementi che differenziano quest’ultima dalla fattispecie dell’art 2497, II comma, seconda parte, c.c.

Affrontando il primo problema, l’art. 2041, I comma, c.c. prevede che “chi, senza giusta causa, si è arricchito ai danni di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”. Gli elementi che integrano la fattispecie sono, pertanto, i) l’arricchimento di un soggetto, ii) il depauperamento di un altro soggetto, iii) una correlazione tra l’arricchimento e l’impoverimento, iv) l’assenza di una giusta causa. A questi requisiti inequivocabilmente desumibili dal dato letterale della disposizione è da aggiungersi un quinto elemento rinvenibile nell’art. 2042, c.c., ovverosia la mancanza di qualsiasi altro rimedio o azione attraverso il quale il danneggiato possa ottenere l’indennizzo del detrimento subìto148.

148 Cfr. P.GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti (rimedi restitutori), in Trattato

84

L’arricchimento, ai sensi della fattispecie generale di cui all’art. 2041, c.c., può consistere in qualsiasi vantaggio patrimoniale, e quindi, in qualsiasi attribuzione suscettibile di valutazione economica: integrano, pertanto, tale requisito non solo meri incrementi patrimoniali – e quindi vantaggi diretti – ma anche mancate perdite economiche derivanti da risparmi di spesa o da mancate perdite di beni – ossia vantaggi indiretti. Il corrispondente concettuale dell’arricchimento nella fattispecie specifica della responsabilità infragruppo è rappresentato del beneficio. A scopo esemplificativo, come beneficio indiretto nei rapporti infragruppo si pensi al caso di una concessione di crediti ad una società controllata che, per la propria condizione economico-finanziaria, non sarebbe in grado di conseguire il relativo finanziamento sul mercato: oltre a rappresentare un detrimento per i creditori della controllata stessa che vedrebbero differita un’eventuale crisi e aggravata la posizione debitoria della controllata149, tale finanziamento potrebbe essere conseguenza di

un’iniqua ripartizione di spesa comune all’interno del gruppo. L’arricchimento costituisce l’elemento caratterizzante la fattispecie, differenziandola da quella di responsabilità, dove, invece, la prospettiva assunta è quella del danno: fulcro della fattispecie in questione è infatti l’incremento patrimoniale del soggetto

sussidiarietà dell’azione indennitaria deriva dall’idea di fondo per cui il principio che