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La responsabilità aggiuntiva nella disciplina dell’attività di direzione e coordinamento di società.

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1

Dipartimento di giurisprudenza

Corso di Laurea magistrale in Giurisprudenza

L

A RESPONSABILITÀ AGGIUNTIVA

NELLA DISCIPLINA DELL

ATTIVITÀ DI

DIREZIONE E COORDINAMENTO DI SOCIETÀ

.

Relatore

Chiar.mo Prof. Francesco Barachini

Candidato

Ilaria Chianca

(2)

2

INDICE

Introduzione. ... 5

LA RESPONSABILITÀ DA DIREZIONE E

COORDINAMENTO. ... 9

1.

La disciplina ante riforma. ... 9

2.

L’intervento del legislatore. ... 14

3.

I presupposti della disciplina. ... 20

4.

La fattispecie ex 2497, I comma, c.c.: responsabilità per

inadempimento o per fatto illecito? ... 27

4.1.

Considerazioni di carattere preliminare. ... 27

4.2.

Qualificazione ai sensi della responsabilità contrattuale:

spunti di riflessione. ... 30

4.3.

Obiezioni a tali riflessioni e relative risposte. ... 33

4.4.

Segue: la prospettiva economica unitaria del gruppo e la

legittimazione attiva della società controllata. ... 36

4.5.

Conseguenze della qualificazione della responsabilità ex

art. 2497, I comma, c.c. come contrattuale. ... 43

LA FATTISPECIE DI RESPONSABILITÀ AGGIUNTIVA AI

SENSI DELL’ART. 2497, II COMMA C.C. ... 46

1.

Inquadramento generale della fattispecie: collegamenti e punti

di intersezione con le categorie generali di responsabilità. ... 46

2.

L’art. 2497, II comma, c.c.: la responsabilità di “chi abbia

comunque preso parte al fatto lesivo”. ... 49

2.1.

Il rapporto con l’art. 2055 c.c. ... 49

2.2.

La condotta partecipativa. ... 54

2.3.

La causalità. ... 57

2.4.

Il criterio soggettivo di imputazione ... 59

2.5.

Il regresso. ... 61

2.6.

I possibili soggetti responsabili ex art. 2497, II comma,

prima parte, c.c.: gli amministratori della controllante. ... 70

2.7.

Segue. L’ipotesi specifica della responsabilità accessoria

degli amministratori della controllata. ... 74

(3)

3

3.

L’art. 2497, II comma, seconda parte, c.c.: la responsabilità di

“chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio”. ... 80

3.1.

Cenni introduttivi. ... 80

3.2.

Gli elementi della fattispecie generale di responsabilità

indennitaria e quelli dell’art. 2497, II comma, seconda parte, c.c.

a confronto. ... 83

3.3.

Il requisito ulteriore della consapevolezza. ... 92

3.4.

La sussidiarietà del rimedio indennitario ex art. 2497, II

comma, seconda parte, c.c. ... 96

LA

CAPOGRUPPO

PERSONA

FISICA. ... 104

1.

La holding persona fisica. Introduzione. ... 104

2.

Intorno alla configurabilità della holding persona fisica. .... 106

2.1.

Obiezioni alla configurabilità della holding persona fisica.

Critica. ... 106

2.2.

Argomenti favorevoli alla configurabilità della capogruppo

persona fisica. ... 109

3.

Soluzioni alternative all’applicazione dell’art. 2497, I comma,

c.c. alla capogruppo persona fisica. ... 111

3.1. L’applicabilità dell’art. 2497, II comma, prima parte, c.c. alla

capogruppo persona fisica. ... 111

3.2.

Il residuo ambito di applicazione dell’art. 2497, II comma,

prima parte, c.c. alla capogruppo persona fisica: il caso delle

sub-holdings. ... 113

3.3.

L’applicazione dell’art. 2497, II comma, seconda parte, c.c.

alla persona fisica holding. ... 116

3.4.

L’applicazione della clausola generale della responsabilità

aquiliana alla fattispecie della eterodirezione abusiva da parte

della holding persona fisica. ... 119

3.5.

L’applicazione della responsabilità da inadempimento alla

fattispecie della eterodirezione abusiva da parte della holding

persona fisica. ... 120

4.

I problemi causati dalla non applicazione dell’art. 2497, I

comma, c.c. alla fattispecie della holding persona fisica... 122

5.

Conclusioni. ... 123

(4)

4

6.

L’analogia come soluzione conforme alla Costituzione. ... 125

Conclusioni. ... 129

Bibliografia... 132

(5)

5

Introduzione.

La presente tesi si propone di analizzare l’istituto della responsabilità aggiuntiva ex art. 2497, II comma, c.c. nel sistema dei gruppi di società. Tale norma è stata introdotta con la riforma del diritto societario del 2003, attraverso la quale il legislatore ha inteso per la prima volta disciplinare, sebbene parzialmente, i gruppi di società, fenomeno fino ad allora non compiutamente regolamentato per la sua complessità del fenomeno sia dal punto di vista strutturale che degli interessi variamente coinvolti. Ad oggi, l’intera disciplina del capo IX, titolo V, libro V gravita intorno alla fattispecie di responsabilità della controllante per eterodirezione abusiva nei confronti dei soci e dei creditori della società controllata, dalla quale emerge chiaramente come l’obiettivo principale del legislatore sia stato quello di fornire tutela a quei soggetti i cui interessi siano realmente minacciati dall’attività di direzione e coordinamento.

La fattispecie di responsabilità aggiuntiva di cui all’art. 2497, II comma c.c., del resto, si pone nella medesima prospettiva di garantire piena ed effettiva protezione ai soggetti pregiudicati da un’attività contraria ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. La disposizione colpisce, infatti, due distinte categorie di soggetti: da un lato, coloro «che abbiano comunque preso parte al fatto lesivo» e, dall’altro, coloro che «ne abbiano tratto consapevole beneficio». Si delinea, così, un regime articolato di responsabilità che consente ai soggetti danneggiati di ottenere tutela contro ogni soggetto che sia coinvolto nella causazione dell’illecito o che ne abbia tratto vantaggio e ciò sia attraverso la previsione di meccanismi semplificati sotto il profilo probatorio che tramite una più incisiva protezione sul piano sostanziale.

(6)

6

L’analisi della disposizione comporta necessariamente l’utilizzo delle categorie civilistiche della responsabilità, seppur adattate al peculiare contesto dei gruppi di società.

Più precisamente, nel primo capitolo, dopo aver analizzato la disciplina generale dei gruppi di società all’esito della riforma del diritto societario del 2003, si procederà all’esame della fattispecie di responsabilità principale, prevista dall’art. 2497, I comma, c.c., e alla sua qualificazione come responsabilità per inadempimento. Tale riflessione è infatti indispensabile per poter correttamente qualificare la fattispecie di responsabilità accessoria.

Il secondo capitolo è invece dedicato all’analisi dell’art. 2497, II comma, c.c. Sul piano metodologico è sembrato opportuno scindere l’esame della fattispecie nei due macrosegmenti della responsabilità: l’art. 2497, II comma, prima parte, c.c., infatti, richiamando il concetto di partecipazione al fatto lesivo, si inserisce nello schema generale del concorso all’inadempimento, mentre l’art. 2497, II comma, seconda parte, c.c., attraverso il concetto di beneficio pare riferirsi allo schema dell’arricchimento senza causa, di cui all’art. 2041 c.c.

Per quanto concerne la responsabilità di «chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo» il presente elaborato prende le mosse dal confronto con l’art. 2055 c.c., norma generale sulla responsabilità solidale. Si prosegue, poi, con l’analisi dei singoli elementi che compongono la fattispecie, l’istituto del regresso sottinteso all’instaurazione della responsabilità solidale e, infine, ad una rassegna dei soggetti che nella normalità dei rapporti societari e di gruppo possono essere chiamati a rispondere in via accessoria. La posizione che ha destato più interesse, ad ogni modo, è quella degli amministratori della società controllata; l’indagine circa la configurabilità in capo agli stessi della responsabilità accessoria,

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7

infatti, non può prescindere da una riflessione più generale sui rapporti di gruppo e segnatamente su quello intercorrente tra società controllante e controllata. In altre parole, al fine di poter valutare la posizione degli amministratori della controllata in merito ad una loro eventuale responsabilità accessoria occorre domandarsi se la controllata – e dunque i suoi amministratori – beneficino di una qualche autonomia di gestione o se, al contrario, vi sia un obbligo/dovere di esecuzione delle direttive della controllante.

L’esame della seconda parte dell’art. 2497, II comma c.c. viene condotto attraverso una comparazione con l’istituto dell’arricchimento senza causa. Gli elementi peculiari che caratterizzano la fattispecie in analisi, tuttavia, sono costituiti dalla diversa declinazione del concetto di giusta causa e dal requisito della consapevolezza. Per quanto riguarda la prima, il fulcro della riflessione nasce dalla circostanza per la quale l’impostazione dottrinaria tradizionale di siffatto concetto non si adatta al peculiare contesto dei gruppi societari: l’assenza della giusta causa non può essere infatti intesa come assenza di un valido titolo che giustifichi il travaso dei valori. Nella dimensione dei gruppi, infatti, ben può accadere che tale spostamento di ricchezza avvenga sulla base di un valido negozio giuridico tra le società del gruppo, sebbene ciò sia conseguenza di un’attività di eterodirezione abusiva. Il requisito della consapevolezza, invece, avvicinando la fattispecie alla categoria concettuale del cd. arricchimento imposto, è funzionale al contemperamento degli interessi dei vari soggetti coinvolti dall’operazione abusiva che tuttavia non vi abbiano preso parte: esso consente, infatti, di agire solamente nei confronti di quei soggetti che pur beneficiando del fatto lesivo siano stati consapevoli del carattere abusivo dell’operazione o non abbiano potuto opporvisi.

(8)

8

Il secondo capitolo si chiude con alcune riflessioni in punto di sussidiarietà tra le diverse azioni di cui al secondo comma nel caso in cui siano responsabili soggetti diversi ovvero il medesimo soggetto.

Il terzo capitolo, infine, analizza il caso specifico della holding persona fisica. In particolare, ci si occupa di stabilirne la configurabilità, appurando cioè se un’attività di direzione e coordinamento sia imputabile anche ad una persona fisica diversa da una società o da un ente. Una volta risposto positivamente a tale quesito, ci si interroga sul titolo di responsabilità imputabile alla stessa: ci si chiede, cioè, se una holding persona fisica sia responsabile ai sensi dell’art. 2497, I comma, c.c. o ai sensi del secondo comma del medesimo articolo. La soluzione a siffatto interrogativo si raggiunge attraverso un ragionamento ipotetico e per assurdo, che evidenzia come l’adozione della seconda porti inesorabilmente a conclusioni insoddisfacenti in quanto contrarie al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

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CAPITOLO PRIMO

LA RESPONSABILITÀ DA DIREZIONE E

COORDINAMENTO.

Sommario: 1. La disciplina ante riforma. 2. L’intervento del

legislatore. 3. La nozione di controllo rilevante. 4. La fattispecie di responsabilità ex art. 2497, I comma, c.c.: responsabilità per inadempimento o per fatto illecito? 4.1. Considerazioni di carattere preliminare. 4.2. Qualificazione ai sensi della responsabilità contrattuale: spunti di riflessione. 4.3. Obiezioni a tali riflessioni e relative risposte. 4.4. Segue: la prospettiva economica unitaria del gruppo e la legittimazione attiva della società controllata. 4.5. Conseguenze della qualificazione della responsabilità ex art. 2497, I comma, c.c. come contrattuale.

1. La disciplina ante riforma.

Nell’ordinamento italiano, prima della riforma del diritto societario ad opera del d. lgs. 6/2003 non era presente una disciplina organica e specifica dei gruppi di società, nonostante tale fenomeno fosse già noto al legislatore del 1930 e del 1942. In particolare, già il R. D. del 13 novembre 1931 n. 14341 prevedeva la possibilità per una società di

acquistare partecipazioni di un’altra società; il codice civile del 1942,

1 Cfr. F.GALGANO, Le partecipazioni azionarie e i gruppi di società, in Diritto Commerciale,

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10

invece, recava solo due disposizioni che potevano riferirsi alla realtà dei gruppi, ovverosia l’art. 2361, c.c., che riproduceva quanto previsto dal R. D. 1434/1931, e l’art. 2359, c.c. che si occupava delle condizioni determinanti una relazione di controllo di una società su di un’altra. Nella Relazione al codice civile del 1942 al fenomeno dei gruppi viene dedicata un’intera sottosezione – intitolata “Dei gruppi di società e delle partecipazioni” – segno della consapevolezza del legislatore dell’importanza economica che tale realtà rivestiva già nella prima metà del XX secolo. Infatti, ivi si afferma che «il raggruppamento di varie società attorno ad una che le controlla è un fenomeno che risponde tipicamente agli orientamenti della moderna economia organizzata»2; ne viene, poi, specificata la funzione economica, che

viene individuata nella necessità di forme di organizzazione più strutturate per la gestione di attività sussidiarie e collaterali rispetto a quelle costituenti il nucleo originario di attività di una società. Non si può, dunque, affermare che l’atteggiamento del codice del 1942 nei confronti di tale fenomeno sia di mancata conoscenza o di disinteresse. Piuttosto, si evidenzia come la complessità del fenomeno non consenta un inquadramento giuridico unitario dello stesso; dinnanzi a tale consapevolezza, pertanto, il codice si limita ad approntare una serie di disposizioni finalizzate ad arginare possibili distorsioni ed abusi collegati alla struttura e alla dinamica del gruppo, segnatamente in materia di acquisto e/o di scambio di partecipazioni3.

Successivamente, si è assistito ad un intervento puntiforme del legislatore speciale che si è occupato di specifici profili di disciplina,

2 Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice Civile del 1942, par. 963. 3 L’esempio classico che viene riportato dalla relazione è quello delle cd. società a

catena, fenomeno che si realizza quando due società aumentano il proprio capitale sottoscrivendo reciprocamente l’una le azioni dell’altra. Vengono, così, inseriti gli artt. 2359, 2360 e 2361, finalizzati a colpire fenomeni «che rappresentano la degenerazione patologica del sistema dei raggruppamenti di imprese».

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come ad esempio in tema di bilanci consolidati nella l. 216/1974 e in tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi nella l. 95/1979. Con il primo intervento si prevedeva la possibilità per le società quotate di redigere bilanci di gruppo, con il secondo, si consentiva di assoggettare alla medesima procedura concorsuale più società del gruppo coinvolte dalla medesima crisi.

Ulteriori disposizioni sono intervenute in punto di gruppi creditizi con gli artt. 60 ss. del d. lgs. 385/1993 e in materia di gruppi di intermediari con gli artt. 11 e 12 del d. lgs 58/1998, trattandosi tuttavia pur sempre di interventi disorganici e incentrati sull’aspetto patologico dell’attività di gruppo, piuttosto che sulla fisiologia dei rapporti infra ed extra gruppo4.

Nel quadro delineato dal codice e dalla legislazione speciale successiva non trovavano, dunque, alcuno spazio disposizioni relative alla tutela dei creditori o dei soci di minoranza delle società controllate contro comportamenti abusivi della controllante. Nella prassi accadeva spesso che tali soggetti trovassero ristoro dei danni subiti a causa dell’attività contra legem della capogruppo mediante l’azione di responsabilità contro gli amministratori: nello specifico, si riteneva che i soggetti in primis responsabili di tale pregiudizio fossero gli amministratori della controllata per non essersi opposti alle iniziative dannose della capogruppo o, quantomeno, per averle passivamente avallate5. Per quanto auspicabili, perlomeno secondo un’ottica di

4 Per una ricognizione più approfondita degli interventi legislativi sul tema dei gruppi

prima della riforma si rimanda a G. SCOGNAMIGLIO, I gruppi di società, in Diritto

commerciale, di AA.VV., Milano, 2010, pp. 477 ss.

5 Cfr. P.ABBADESSA, La responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti

di riflessione, in Banca, Borsa e titoli di credito, 3, 2008, pp. 279 ss. che nota come

l’individuazione di «percorsi per una propagazione di tale responsabilità verso l'alto: nei confronti degli amministratori della società controllante e, ove possibile, nei confronti della controllante stessa, in pratica la sola deep pocket cui i soggetti lesi

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effettività, i tentativi ermeneutici di propagazione di tale responsabilità agli amministratori della controllante e alla controllante stessa diedero vita a risultati complessivamente modesti e non soddisfacenti6.

Nella legge-delega 3 marzo 2001 n. 366 trova espressione la necessità di «disciplinare i gruppi di società secondo principi di trasparenza e di contemperamento di interessi coinvolti»7 e, secondo

quanto viene specificato dall’art. 10, di prevedere meccanismi di pubblicità, obblighi di motivazione e strumenti di tutela del socio sia al momento del suo ingresso che della sua uscita dalla società del gruppo. La legge-delega, in sostanza, pone le basi per lo sviluppo di un vero e proprio “statuto speciale” per i gruppi di società che sia in grado di disciplinare sia le fasi fisiologiche che non della vita del gruppo8.

Tuttavia, se si guarda al nuovo capo IX del titolo V rubricato “Direzione e Coordinamento di società” emerge come il legislatore delegato si sia concentrato per lo più sulla delineazione di profili di tutela delle società controllate – e segnatamente dei suoi soci di minoranza – nei confronti della società esercente poteri di direzione e coordinamento; questo, ad esempio, attraverso sia la previsione di un autonomo titolo di responsabilità in capo alla controllante (art. 2497, c.c.), sia specifiche disposizioni in materia di recesso (art. 2497-quater, c.c.) e l’inserimento di un obbligo di motivazione per gli amministratori della controllata ogni qual volta si trovassero ad

potevano sperare di attingere», oltre a costituire un meccanismo complesso, spesso non conduceva ai risultati sperati.

6 Cfr. ibid.

7 Art. 2 (a) della l. 366/2001.

8 Cfr. G.ROSSI, La riforma del diritto societario nel quadro comunitario e internazionale, in

La riforma del diritto societario, Atti del convegno di Courmayeur del 27-28 settembre

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eseguire direttive imposte dalla controllante (art. 2497-ter, c.c.). In altre parole, con riferimento agli artt. 2497 ss., c.c., il nucleo centrale della disciplina viene individuato nella responsabilità della capogruppo e negli strumenti di tutela dei soggetti che subiscono passivamente la sua attività, secondo una logica bottom-up9. Ciononostante, alcune

nuove disposizioni inserite nel Capo V sulle società per azioni recano ulteriori profili di disciplina per le società facenti parte di un gruppo sia in posizione “dominante” che “dipendente”: si pensi all’art. 2381, V comma, c.c. che impone l’obbligo per gli organi delegati di riferire al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società o dalle sue controllate, oppure all’art. 2403-bis, II comma, c.c. che attribuisce il potere al collegio sindacale di richiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, anche con riferimento alle società controllate10. Allora, si comprende l’opinione di quella

parte della dottrina che ritiene che con la riforma sia stata data vita ad

9 E’ la stessa Relazione governativa al d. lgs. 6/2003, par. 3, p. 43 che evidenzia che «si

è ritenuto che il problema centrale del fenomeno del gruppo fosse quello della responsabilità, in sostanza della controllante, nei confronti dei soci e dei creditori sociali della controllata».

10 Cfr. U.TOMBARI, Poteri e doveri dell’organo amministrativo di una s.p.a. “di gruppo” tra

disciplina legale e autonomia privata (appunti in tema di corporate governance e gruppi di società), in Riv. soc., 1, 2009, pp. 122 ss. che aggiunge, tra gli altri, «l'art. 2409, primo e

ultimo comma, c.c., ove, in caso di gravi irregolarità degli amministratori della società controllante potenzialmente dannose non solo per la società, ma anche per "una o più società controllate", è prevista la denunzia al tribunale su richiesta altresì dell'organo di controllo della società. Sempre in questo quadro sono poi da menzionare, a titolo meramente esemplificativo, l'art. 2391-bis c.c. (operazioni con parti correlate), nonché gli artt. 150 T.U.F. (dovere di informazione a carico degli amministratori di una s.p.a. quotata in merito all'attività svolta ed alle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società "o dalle società controllate", nonché in ordine alle "operazioni nelle quali essi abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento") e 151, primo e secondo comma, T.U.F., 151-bis, primo e quarto comma, T.U.F., 151-ter, primo e quarto comma, T.U.F. sui poteri di informazione "infragruppo" degli organi di controllo di una società con azioni quotate in borsa».

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uno “statuto legale”11 dei gruppi di società, non essendosi limitato il

legislatore ad introdurre soluzioni positive a situazioni patologiche della realtà di gruppo ma avendo affrontato anche veri e propri profili organizzativi12.

2. L’intervento del legislatore.

La prima regolamentazione che aspira ad obiettivi di organicità del fenomeno dei gruppi di società è rinvenibile, dunque, nella riforma del diritto societario operata dal d. lgs. 6/2003. Il fulcro della riforma in punto di gruppi si identifica con l’introduzione nel codice civile degli artt. 2497 ss. che delineano una disciplina sintetica e non esaustiva del fenomeno di “direzione e coordinamento”. Sebbene il codice non fornisca un’esplicita ed univoca definizione del gruppo, con tale espressione ci si intende riferire ad «un’aggregazione di imprese societarie formalmente autonome ed indipendenti l’una dall’altra, ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria13». La realtà dei gruppi di

società si caratterizza, dunque, per la convivenza al proprio interno di una dimensione unitaria, rappresentata da obiettivi imprenditoriali

11 Cfr. A. NIUTTA, La nuova disciplina delle società controllate: aspetti normativi

dell’organizzazione del gruppo di società, in Riv. soc., 4, 2003, pp. 780 ss.

12 Cfr. G.SBISÀ, Responsabilità della capogruppo e vantaggi compensativi, in Contr. imp., 2,

2003, p. 598 secondo cui «la disciplina applicabile in presenza di un gruppo non si esaurisce quindi nelle forme di tutela dei soci di minoranza e dei creditori delle società controllate, ma accresce le competenze e le funzioni degli organi sociali delle società controllanti e consente forme di collaborazione e scambi di informazioni tra i sindaci delle società del gruppo»; U.TOMBARI, Riforma del diritto societario e gruppo di imprese,

in Giur. comm., 1, 2004, pp. 61 ss. che parla dell’apertura della riforma a un vero e proprio «diritto di organizzazione del gruppo» che deve essere ulteriormente sviluppato e armonizzato con l’ausilio dell’interpretazione sistematica.

13 G.F.CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, 2 Diritto delle società, 9a edizione, a cura di M.

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comuni, e di una plurale, consistente nell’autonomia giuridica delle singole società componenti il gruppo14.

Occorre, tuttavia, precisare che il fenomeno dei gruppi presenta connotati e strutture multiformi, caratterizzate da articolazioni mutevoli che fanno sì che il concetto di gruppo di società sia sfuggente sul piano definitorio. È, dunque, probabilmente questa peculiare circostanza che spiega la difficoltà che gli interpreti e il legislatore incontrano nella considerazione unitaria del fenomeno15.

In un tentativo di definizione sistematica, è d’uso affermare che i rapporti di gruppo si individuano secondo due relazioni di fondo intercorrenti tra le società che ne fanno parte: da un lato rapporti, e quindi gruppi, di tipo gerarchico – in relazione alla possibilità della società capogruppo di coordinare le società controllate in virtù di legami di controllo che essa può vantare nei loro confronti – dall’altro lato rapporti, e quindi gruppi, di tipo paritetico, in cui la politica di gruppo è attuata mediante una concertazione equiordinata da parte delle società componenti16.

La disciplina che il legislatore introduce nel 2003 è tuttavia parziale sotto due aspetti17: in primo luogo, come si è già avuto modo

14 Cfr. G.SBISÀ, Responsabilità della capogruppo, cit., pp. 598 ss.

15 «Nell'attuare la delega, all'art. 2497 si è innanzi tutto ritenuto non opportuno dare o

richiamare una qualunque nozione di gruppo o di controllo, e per due ragioni: è chiaro da un lato che le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici; ed è altrettanto chiaro che qualunque nuova nozione si sarebbe dimostrata inadeguata all'incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica», Relazione governativa al d. lgs. 6/2003, par. 13, p. 43.

16 Questo del gruppo paritetico è un fenomeno meno diffuso del gruppo verticale ma

non trascurabile; in effetti, non a caso, secondo alcuna dottrina, il legislatore dedica a questa peculiare forma di aggregazione di imprese l’art. 2497-septies c.c., v. nt. 26.

17 Il carattere parziale della disciplina è confermato dalla disamina effettuata

dall’European Model Company Act (EMCA), 2017 che inserisce la disciplina italiana dei gruppi di società nella categoria ideale delle legislazioni che prevedono «a partial

or selective regulation, which deals with some major questions of groups of companies without aiming, however, to regulate it in a complete and comprehensive manner».

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di accennare, la disciplina è pensata e disegnata in una prospettiva bottom-up, ovverosia secondo un’ottica in cui assume rilevanza centrale la tutela delle società controllate; in secondo luogo, la disciplina è parziale in quanto, pur ambendo a regolare in modo ampio il fenomeno, tocca solo alcuni profili di rilevanza dello stesso.

Tradizionalmente, il problema centrale della disciplina è quello della valutazione della compatibilità dell’interesse delle singole società con l’interesse del gruppo, e segnatamente della controllante: in altre parole, ogni sistema societario si deve chiedere se e in che limiti sia ammissibile un sacrificio dell’interesse delle singole società in nome dell’interesse del gruppo18. L’emersione giuridica di questo latente e

potenziale conflitto di interessi è evidente nella fattispecie di responsabilità della capogruppo nei confronti delle singole società: si comprende, allora, come la disposizione principale del Capo IX sia rappresentata dall’art. 2497, c.c. che indica le condizioni al ricorrere delle quali determinati soggetti – i creditori delle società controllate e i loro soci – possono agire contro la società controllante19. Il possibile

conflitto di interessi, infatti, riguarda soprattutto i soggetti esterni al gruppo che appuntano il loro interesse nelle singole società controllate e non risentono, dunque, delle politiche di gruppo: questo spiega

18 Il tema del conflitto di interessi nel fenomeno dei gruppi di società è stato

ampiamente dibattuto in dottrina: per quanto inizialmente l’analisi si sia incentrata sulla contrapposizione dell’interesse della controllante e al cd. interesse generale di gruppo, da intendersi come sommatoria degli interessi delle singole componenti, v. ad esempio, la dottrina più recente sembra preferire una chiave di lettura che guardi al rapporto e al bilanciamento dell’interesse della società capogruppo con quella delle singole controllate, cfr. F.GUERRERA, I regolamenti di gruppo, in Società, banche e crisi

d'impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, 2, Torino, 2014, pp. 1566 ss.; M. BUSSOLETTI,

Sulla “irresponsabilità” da direzione unitaria abusiva e su altre questioni aperte in tema di responsabilità ex art. 2497 c.c., in Riv. dir. comm., 2013, pp. 395 ss.

19 A. BADINI CONFALONIERI, R. VENTURA, Commento all’art. 2497, in Il nuovo diritto

societario, a cura di G. COTTINO, G.BONFANTE, O. CAGNASSO, P. MONTALENTI, III, Bologna, 2004, pp. 2150 ss.

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perché il sistema tracciato con la riforma del 2003 abbia previsto come legittimati attivi per la proposizione dell’azione di responsabilità i soci e i creditori della controllata.

L’art. 2497-bis, c.c. si occupa del profilo della pubblicità, in conformità al principio di trasparenza delineato dalla legge-delega: è previsto un obbligo di disclosure della società dominata circa la sua appartenenza al gruppo, sia in ambito generale con riferimento all’iscrizione presso un’apposita sezione del registro delle imprese, sia in ambito specifico negli atti e nella corrispondenza. Inoltre, si prevedono come ulteriori obblighi pubblicitari quelli di esposizione, nella nota integrativa della società eterodiretta, di un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio della società esercente il potere di direzione e coordinamento; l’indicazione, nella relazione sulla gestione della società, dei rapporti intercorsi con la società controllante nonché degli effetti di tale attività sull'esercizio dell’impresa sociale e dei suoi risultati.

L’art. 2497-ter, c.c. guarda anch’esso al tema della trasparenza ma sotto un altro e diverso profilo: la disposizione, infatti, impone di motivare in maniera analitica e puntuale le decisioni della società controllata, qualora queste siano state in qualche modo influenzate dall’attività di direzione e coordinamento20. Viene previsto, quindi, un

20 Cfr. G.SCOGNAMIGLIO, Motivazione delle decisioni e governo del gruppo, in Riv. dir. civ.,

2009, 6, pp. 757 ss. secondo cui «l’art. 2497-ter si inscrive […] in quell’obiettivo di trasparenza che, secondo la scelta già a suo tempo compiuta dal legislatore delegante, costituisce […] principio ispiratore dell’intera disciplina dei gruppi di società. L’obiettivo della trasparenza si articola […] secondo molteplici prospettive: quella coltivata nei primi commi dell’art. 2497 bis, c.c. è ad esempio la prospettiva della

disclosure della struttura del gruppo, attraverso la segnalazione pubblicitaria delle

società e degli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento e di quelli che vi sono soggetti; la prospettiva a cui ha riguardo per converso l’art. 2497 ter, c.c., ma anche l’ultimo capoverso del precedente art. 2497 bis, c.c., è quella della trasparenza dei processi decisionali che sottostanno ai fatti di gestione, per cui s’impone di

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dovere di motivazione per le scelte compiute nell’attuazione delle politiche di gruppo. Tale obbligo acquisisce rilevanza non solo in virtù del principio di trasparenza in sé, ma soprattutto in relazione all’azione di responsabilità ex art. 2497, II comma, c.c. in quanto strumento funzionale alla valutazione della sussistenza di un apporto causale imputabile agli amministratori o ai soci rispetto alla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale da parte della capogruppo21.

L’art. 2497-quater, c.c. attiene al diritto di recesso che, anche in questo caso, viene configurato come uno strumento di tutela in capo al socio della società controllata22. In particolare, il diritto di recesso non

assume il valore di limite al potere della maggioranza in occasione di una delle deliberazioni indicate all’art. 2437, I comma, c.c., né tantomeno rileva che il socio abbia preso parte a tale deliberazione: invero, ai sensi dell’articolo in commento, il diritto di recesso potrà essere esercitato per delibere di società estranee – come avviene per le delibere della società controllante – e persino in occasioni del tutto

sollevare il velo sui percorsi (le «ragioni», gli «interessi ») attraverso i quali gli organi della società eterodiretta sono pervenuti a determinate decisioni».

21 Cfr. infra, II, 2.7; G. SCOGNAMIGLIO, Motivazione, cit., p. 766 guarda al tema degli

obblighi di disclosure valorizzandone l’appartenenza ai principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale rilevanti per il configurarsi di una responsabilità in capo alla holding per eterodirezione abusiva. In particolare, l’autrice nota come l’esplicitazione da parte della società capogruppo dei meccanismi di trasmissione delle direttive formulate nell’esercizio di quell’attività alle società rientra negli obblighi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. La violazione degli obblighi di disclosure da parte della capogruppo, pertanto, «contrasta con i precetti dettati dall’art. 2497, c.c. e comporta perciò il sorgere di una responsabilità ai sensi della citata disposizione, a condizione, ovviamente, che si fornisca la prova del nesso di causalità fra detto comportamento e l’eventuale pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione, ovvero all’integrità del patrimonio sociale».

22 Cfr.I.FERRI, Il recesso nella nuova disciplina delle società di capitali. Brevi considerazioni,

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scollegate dalla presenza di una delibera tout court23. Infatti, la

disposizione prevede che tale diritto possa essere esercitato al ricorrere di tre distinte fattispecie:

i) in caso di inizio o cessazione dell’attività di direzione e coordinamento qualora da ciò derivi un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e non venga promossa un’offerta pubblica di acquisto che consenta al socio di alienare la propria partecipazione;

ii) nel caso in cui la capogruppo muti il proprio scopo od oggetto sociale, consentendo l'esercizio di attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta all'attività di direzione e coordinamento;

iii) infine, in caso di intervenuta condanna al risarcimento della controllante in seguito all’esercizio dell’azione di responsabilità prevista dall’art. 2497, I comma c.c.

L’art. 2497-quinquies, c.c. estende l’applicazione dell’art. 2467, c.c. alla fattispecie di finanziamento a favore della società controllata da parte della controllante o di altre società facenti parte del gruppo.

Infine, gli artt. 2497-sexies, c.c. e 2497-septies, c.c. hanno ad oggetto le condizioni di applicazione della disciplina dei gruppi di società. Nelle disposizioni sopra menzionate, quindi, vengono indicati

23 Così F.GIANNI, Il recesso del socio delle s.p.a.: disciplina e impatto sulla redazione degli statuti, Relazione al Convegno «I nuovi statuti delle s.r.l., s.p.a., società cooperative.

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i presupposti al ricorrere dei quali si presume l’esistenza di un’attività di direzione e coordinamento con la conseguente operatività delle norme previste dal Capo IX sinora brevemente esposte.

3. I presupposti della disciplina.

Mancando una norma definitoria a causa della complessità e dell’eterogeneità del fenomeno, il legislatore si è limitato a disporre l’applicabilità della disciplina del Capo IX del titolo V a quelle società esercenti o soggette ad un’attività di direzione e coordinamento. Occorre, dunque, chiarire gli elementi della fattispecie cui si collega la disciplina sinora affrontata. All’art. 2497-sexties, c.c. viene individuato un primo presupposto di applicazione, che si sostanzia in un meccanismo presuntivo attraverso la nozione di controllo di cui all’art. 235924 c.c. In sostanza, qualora sia configurabile una situazione di

controllo da parte di una società nei confronti di un’altra ai sensi dell’art. 2359, l’art. 2497-sexies, c.c. fa sì che scatti una presunzione circa la sussistenza dell’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento. L’art. 2359, c.c., al quale rinvia il 2497-sexies, c.c., si caratterizza per una duplice funzione definitoria: per l’esplicazione, da un lato, del legame di controllo, che è quello che interessa ai fini della presente analisi, e, dall’altro del legame di collegamento, caratterizzato da una minor intensità. L’art. 2359, c.c., dunque, con riferimento al legame di controllo individua sostanzialmente due ipotesi tipiche: un controllo

24 In realtà, ai sensi dell’art. 2497-sexies, c.c., si prevede come condizione di

operatività della presunzione anche il dovere di redazione di bilanci consolidati. Poiché, ad ogni modo, tale l’obbligo a sua volta dipende dall’esistenza di un controllo, pare opportuno concentrarsi sulla nozione di controllo in quanto comprendente anche il primo caso.

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interno, di tipo partecipativo, e un controllo esterno, di tipo contrattuale. Una società, quindi, può acquisire il controllo di un’altra attraverso due canali: il primo si basa sulla titolarità di diritti di voto nell’assemblea ordinaria della società controllata, il secondo, invece, non presuppone la titolarità di partecipazioni della controllante nella controllata, bensì dipende da particolari vincoli contrattuali intercorrenti tra le società e tali da determinare un potere di signoria sostanziale di una parte sull’altra.

Per quanto concerne la prima tipologia di controllo, ossia quello interno di tipo partecipativo, l’art. 2359, c.c. effettua un’ulteriore distinzione prevedendo un controllo interno di diritto, indicato al n.1 del I comma, e un controllo interno di fatto, indicato al n.2 del I comma. La prima tipologia di controllo interno si ha quando la società controllante detenga la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria della società controllata, maggioranza, dunque, che le consente di determinare il contenuto delle decisioni affidate all’assemblea ordinaria stessa. Il controllo interno di fatto, invece, ricorre allorquando una società detenga un numero di voti nell’assemblea ordinaria di un’altra società sufficienti ad attribuirle un’influenza dominante all’interno della stessa. Si tratta di realtà in cui, quindi, l’azionariato è talmente vasto e polverizzato da far sì che anche una partecipazione non maggioritaria possa essere risolutiva nelle determinazioni assembleari.

Pare scontato che, mentre nel caso del controllo interno di diritto, il controllo esista ex se per il solo fatto che la società detenga il 50%+1 delle partecipazioni di un’altra società, nel caso del controllo di fatto sarà necessaria una verifica ex post circa l’idoneità di quel determinato numero di voti ad attribuire alla società che li detiene un potere di orientamento della società di riferimento.

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22

Al I comma, n. 3 dell’art. 2359, c.c. viene presa in considerazione l’ipotesi di un controllo esterno, di tipo contrattuale. Con tale espressione ci si riferisce al caso in cui tra le due società intercorra un vincolo contrattuale tale da fornire alla controparte un potere di influenza dominante su certe decisioni capaci di condizionare la gestione dell’altra società25.

25 Tale ricostruzione non è univoca in dottrina: cfr. M.LAMANDINI, Commento all’art.

2359, in Le società per azioni, Codice civile e norme complementari, a cura DI M. CAMPOBASSO, V. CARIELLO, U. TOMBARI, I, Milano, 2016, pp. 744 ss. secondo cui «l’influenzadominante evocata dal n. 3 della norma in commento non fa riferimento, […] a situazioni in cui una società è economicamente dipendente da un’altra per esempio in virtù di rapporti di somministrazione, licenza, agenzia o simili in esclusiva ovvero a situazioni (spesso riscontrabili in presenza dei medesimi rapporti contrattuali ora ricordati) in cui taluni specifici comportamenti (a rilevanza in genere concorrenziale) sono condizionati dal contraente « forte », bensì a ben più circoscritte — ma non meno rilevanti — situazioni in cui si riscontri un’influenza dominante giuridicamente rilevante, la quale cioè si traduca in influenza gestionale e strategica (non già su ogni aspetto, ma necessariamente) sulla complessiva attività d’impresa della società dominata. Un potere di direzione che può essere — e normalmente è — l’oggetto del contratto […] ma che talora può anche essere l’effetto di un contratto di altra natura, purché tuttavia la dipendenza economica che in esso ha fonte (e che di per sé non è sufficiente a dare luogo ad una relazione di “controllo” in senso giuridico) in concreto determini la traslazione all’esterno della società del potere di direzione dell’attività sociale». Un esempio in questo senso può essere rappresentato dai

covenants nei contratti di finanziamento, ovverosia particolari accordi che attribuiscono

al soggetto finanziatore non solo prerogative unilaterali di monitoraggio, volti alla tutela dell’investimento effettuato ma anche veri e propri poteri di ingerenza nella gestione della società finanziata, cfr. A.MUSSO, Il controllo societario mediante “particolari

vincoli contrattuali”, in Contr. imp., 1995, 1, p. 40, F.VELLA, Il nuovo diritto societario e la

“governance” bancaria, in Banca imp. soc., 2003, 3, p. 310. La giurisprudenza pare essere

maggiormente orientata sull’impostazione tradizionale: la relazione di controllo esterno contrattuale postulerebbe l’esistenza di vincoli contrattuali, la cui costituzione e il cui perdurare rappresentino una condizione di sussistenza e di sopravvivenza imprenditoriale della società soggetta al controllo. «Quanto al novero di contratti dai quali può scaturire un controllo esterno si fa tradizionalmente riferimento ai contratti di somministrazione, di agenzia, di commissione, di licenza o brevetto, di know-how soprattutto ove accompagnati da un vincolo di esclusiva […]. La giurisprudenza tende a richiedere un rapporto derivante da suddetti vincoli contrattuali di subordinazione tra le due società, tale da ridurre l’una ad una vera e propria società satellite dell’altra (Trib. Roma, 11 luglio 2011; Trib. Palermo 3 giugno 2010)», Trib. Roma, 13 giugno 2016, n. 11925.

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23

In tema di vincoli contrattuali che legano le società appartenenti al gruppo, si può allora aprire una parentesi circa il coordinamento dell’art. 2359, I comma n. 3, c.c. con l’art. 2497-septies, c.c. che si riferisce all’attività di direzione di coordinamento esercitata sulla base di un contratto o di clausole statutarie. La dottrina maggioritaria26 – la cui posizione si condivide in questa sede – sposa

l’interpretazione in forza della quale tale disposizione consenta l’estensione della disciplina dei gruppi di società ai gruppi paritetici27.

Tale impostazione pare, infatti, preferibile per il fatto che, da un lato, altrimenti rimarrebbero esclusi dalla disciplina quelle aggregazioni di

26 V., ad esempio, R.SANTAGATA, Autonomia privata e formazione dei gruppi nelle società di

capitali, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum GianFranco Campobasso,

Torino, 2007, pp. 799 ss.; G.F.CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, 2 Diritto delle società, 9a

edizione, a cura di M.CAMPOBASSO, Milano, 2015, pp. 289 s. che neanche prende in

considerazione l’interpretazione dell’art. 2497-septies, c.c. come norma che introduce i contratti di dominazione nel sistema italiano. Tale disposizione, in sostanza, fa si che la disciplina dei gruppi di società sia applicabile anche ai casi in cui la direzione – più che unitaria – concertata non si fondi su un rapporto di subordinazione quanto piuttosto «su un accordo contrattuale (inquadrabile nello schema del consorzio) con cui più società si impegnano stabilmente a conformarsi ad una direzione unitaria che

ciascuna concorre a determinare su un piano di parità rispetto alle altre» (corsivi nel testo).

27 In dottrina sono state proposte ulteriori soluzioni interpretative al rapporto tra il

2359, I comma, n. 3 e il 2497-septies: se, da un lato, pare non condivisibile la posizione di chi ha sostenuto il valore endiadico delle due disposizioni, cfr. V.SALAFIA, La

responsabilità della holding verso i soci di minoranza delle controllate, in Le Società, 2004, 1,

p. 6; dall’altro, vi è chi, invece, ha ritenuto che con il 2497-septies, di fatto introdotto in un momento successivo alla riforma del 2003, il legislatore abbia voluto introdurre nell’ordinamento italiano il “contratto di dominazione” di matrice tedesca se non nella sua forma “forte”, quantomeno in quella “debole”, cfr. G.LEMME, Il diritto dei gruppi di

società, 2013, Bologna. Per un’opinione contraria si v. M. PRESTIPINO,La responsabilità risarcitoria della persona fisica capogruppo, in Giur. comm., 2011, 1, pp. 105 ss A.VALZER,

Il potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e contratto, in AA.VV., Il nuovo

diritto delle società, Liber amicorum GianFranco Campobasso, Torino, 2007, pp. 876 ss.

individua nell’art. 2497 – septies, c.c., la fonte di legittimazione di contratti che regolino,

ex post, il rapporto di controllo già instauratosi o lo generino, ex ante. L’autore rigetta

la soluzione qui adottata rilevando come «rispettare il rapporto di coerenza reciproca tra fattispecie e disciplina imponga di individuare nei contratti considerati dalla norma il riferimento proprio a pattuizioni costitutive e/o di regolamentazione di gruppi gerarchici».

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24

società che pur caratterizzate da una gestione comune d’impresa non trovano la propria causa nella sussistenza di un controllo28; dall’altro

perché ai fini dell’applicazione della disciplina ciò che rileva è comunque il fatto dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento a prescindere dalla genesi di siffatta posizione di dominio29.

L’art. 2359, II comma, c.c. si occupa di una particolare modalità di calcolo delle partecipazioni rilevanti ai fini della configurabilità del controllo interno: viene prevista, cioè, una sorta di proprietà transitiva del controllo in forza della quale si computano nel calcolo totale anche quei voti detenuti per mezzo di società controllate, di società fiduciarie e di interposta persona30. Non si computeranno, invece, i voti di cui

una società è titolare per conto di terzi – come avviene ad esempio in virtù della stipula di particolari patti parasociali – non potendo essa esercitare autonomamente il voto.

Tornando all’art. 2497-sexies, c.c., si è detto che esso pone una presunzione circa la sussistenza dell’attività di direzione e coordinamento nel momento in cui è configurabile un controllo ai sensi

28 Primo fra tutti, come osserva R.SANTAGATA, Autonomia, cit., pp. 817 ss., il gruppo

cooperativo paritetico di cui all’art. 2545 – septies, c.c.

29 Cfr. F.GUERRERA, La responsabilità “deliberativa” nelle società di capitali, Torino, 2004,

pp. 142 ss. Per un’analisi compiuta delle motivazioni che spingono all’interpretazione qui adottata dell’art. 2497- septies, c.c. si rimanda a R.SANTAGATA, Autonomia, cit., pp. 799 ss.

30 Ad esempio, ipotizziamo una società A che, detenendo il 60% delle partecipazioni

di una società B, eserciti nei confronti della stessa un controllo di diritto; supponiamo, inoltre, che sempre la società A possieda il 25% di una società C, di cui quindi non detiene partecipazioni sufficienti a configurare una relazione di controllo. Ora, immaginiamo che la società B acquisti il 40% delle partecipazioni nella società terza C. In virtù dell’art. 2359, II comma, c.c. poiché la società A controlla la società B, alla sua partecipazione del 25% nella società C si deve sommare il 40% delle partecipazioni che la società B detiene in C. Risulterà, dunque, per la proprietà transitiva che la società A controlli anche la società C, poiché in capo ad A si computerà il 25% delle partecipazioni in C detenute direttamente al 40% delle partecipazioni in C detenute indirettamente.

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dell’art. 2359, c.c. di una società nei confronti di un’altra. Su questo punto occorre, ora, effettuare alcune brevi precisazioni. In primo luogo, si noti che la presunzione in questione sia una presunzione relativa e non assoluta e, dunque, in quanto tale, suscettibile di prova contraria31. Questo vale a dire, quindi, che la funzione espletata del

2497-sexies, c.c. è una funzione agevolativa circa la prova della sussistenza di un’attività di direzione e coordinamento. Inoltre, il fatto che sia stata configurata dal legislatore come una presunzione relativa fa sì che sia prospettabile, almeno in astratto, un caso in cui, pur sussistendo un controllo ex art. 2359, c.c., non sia configurabile un’attività di direzione e coordinamento. Occorre, dunque, cogliere la differenza tra l’attività di direzione e coordinamento e una mera situazione di controllo, poiché essa reagisce sul piano della disciplina applicabile, rendendo operativi o meno gli artt. 2497 ss., c.c. Orbene, pare che l’elemento distintivo tra le due fattispecie sia da individuare nell’esercizio effettivo del potere che il controllo attribuisce in astratto ad una società su di un’altra. In altri termini, il controllo si sostanzia in uno stato di signoria in potenza di una società su di un’altra, laddove l’attività di direzione e coordinamento necessita, invece, di un potere di signoria in atto. Si potrebbe, dunque, definire il controllo come una situazione statica, derivante dalla mera capacità di poter influire sulla vita di un’altra società, mentre la direzione e coordinamento, trattandosi appunto di un’attività, come una situazione dinamica che

31 A.NIUTTA, Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di cui

agli artt. 2497 sexies e 2497 septies c.c.: brevi considerazioni di sistema, in Giur. comm., 2004,

4, pp. 983 ss. nota abilmente come, rispetto al controllo interno di fatto, si possa parlare di una ”presunzione nella presunzione", poiché il richiamo dell'art. 2359, c.c. «dà luogo a sua volta ad una presunzione - per giunta, anche in tal caso suscettibile d'essere vinta da prova contraria - di esercizio di influenza dominante».

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26

implica l’esercizio di tale potere32. In concreto, dunque, la prova

contraria per sfuggire all’applicabilità della disciplina dei gruppi di società consisterà nella dimostrazione da parte della società controllante di essersi limitata a detenere un potere di controllo senza averlo in concreto dispiegato e questo, ad esempio, provando di non aver dato istruzioni o, comunque, di non aver posto in essere iniziative di indirizzo nei confronti della controllata.

La seconda notazione a cui pare opportuno accennare attiene al profilo soggettivo di applicazione della disciplina di direzione e coordinamento. In particolare, si ritiene che soggetto esercente attività di direzione e coordinamento possa essere solo una società o, comunque, un ente collettivo, con esclusione, quindi, delle persone fisiche. A tale conclusione si giunge valorizzando l’espressione che ricorre in tutto il Capo IX (“attività esercitata da enti o società”). Pare, a primo avviso, che il legislatore abbia dunque voluto schermare le persone fisiche, e segnatamente il socio di controllo, dalla applicazione della disciplina, precludendo così la configurabilità di una holding-persona fisica33. Sebbene si tratti di una soluzione prima facie

condivisibile, per lo meno in virtù dei principi generali che governano le società di capitali e la responsabilità limitata, la dottrina e la giurisprudenza si sono dimostrate aperte a configurare una responsabilità del socio di controllo per esercizio di attività di

32 Cfr. A.NIUTTA, Sulla presunzione, cit., pp. 983 ss. che evidenzia la complessità della

prova contraria, ma ammette, almeno in astratto che questa possa sostanziarsi nell’assenza di direttive che esprimono politiche di gruppo e quindi manifestano in concreto un’eterodirezione.

33 Quindi, sempre in un’ottica esemplificativa, qualora Tizio fosse socio al 99% di una

società A, la quale a sua volta esercita attività di direzione e coordinamento nei confronti delle società B, C e D, la disciplina del Capo IX sarebbe applicabile solamente nei confronti della società A, non potendo Tizio rispondere personalmente. Allo stesso modo, se Tizio fosse socio di controllo, senza l’intermediazione di una società A, delle società B, C e D non sarebbe soggetto alla disciplina dei gruppi di società.

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direzione e coordinamento al ricorrere di determinati presupposti: l’impostazione preferibile, come si avrà modo di precisare successivamente, pare quella che ammette la configurabilità della holding persona fisica, quantomeno sotto il profilo della responsabilità per direzione abusiva, attraverso un’applicazione analogica dell’art. 2497, I comma, c.c., non essendo praticabile la soluzione che imputa alla holding persona fisica la responsabilità aggiuntiva così come prevista al secondo comma dell’art. 2497, c.c34.

4. La fattispecie ex 2497, I comma, c.c.: responsabilità per

inadempimento o per fatto illecito?

4.1. Considerazioni di carattere preliminare.

Al fine di poter trattare in maniera chiara e completa la responsabilità aggiuntiva prevista dal secondo comma dell’art. 2497, c.c., pare opportuno operare una prodromica riflessione sul primo comma del medesimo articolo. L’art. 2497, I comma, c.c., infatti, delinea la fattispecie di responsabilità principale sulla quale si innesta la responsabilità di natura accessoria indicata al secondo comma. Il secondo comma prevede l’imputazione di un’obbligazione solidale risarcitoria in capo a colui che “abbia preso parte al fatto lesivo” o che “ne abbia consapevolmente tratto beneficio”: diventa, allora, imprescindibile stabilire in cosa consista il fatto lesivo per poter comprendere la portata della responsabilità aggiuntiva35. In altre

34 Cfr. infra, Cap. III.

35 Cfr. L.BENEDETTI, La responsabilità “aggiuntiva” ex art. 2497, 2 co., c.c, Milano, 2012,

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parole, non si può analizzare compiutamente il tema della responsabilità addizionale o aggiuntiva senza prima aver chiarito e compreso la portata della fattispecie principale di responsabilità, contenuta al primo comma dell’art. 2497, c.c.

L’ordinamento prevede che tale responsabilità insorga direttamente in capo alla società controllante che, esercitando attività di direzione e coordinamento, agisca in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale nei confronti delle società controllate36. I legittimati attivi dell’azione di responsabilità sono, da

un lato, i soci della controllata per il danno arrecato alla redditività e al valore delle partecipazioni sociali, dall’altro, i creditori della controllata per la lesione causata all’integrità del patrimonio della società37.

In via preliminare, occorre evidenziare come la responsabilità nei gruppi di società si configuri principalmente come responsabilità della holding e solo secondariamente come responsabilità degli

36 Non ci si occuperà nella presente trattazione del meccanismo dei vantaggi

compensativi, indicato dal legislatore come sistema in grado di inibire il configurarsi di una responsabilità per eterodirezione abusiva in capo alla holding. Per un approfondimento sul tema si rimanda a, ex multis, M.VENTORUZZO, Responsabilità da

direzione e coordinamento e vantaggi compensativi futuri, in Riv. soc., 2016, 2-3, pp. 363 ss.;

G.SBISÀ, Responsabilità della capogruppo e vantaggi compensativi, in Contr. imp., 2004, 1, pp. 591 ss.; S.STANCA, Profili del conflitto di interessi nei gruppi: categorie di finanziatori e

teoria dei vantaggi compensativi, in Riv. dir. banc., 2014, pp. 21 ss.; per un’analisi della

teoria dei vantaggi compensativi pre-riforma v. P.MONTALENTI, Conflitto di interesse nei

gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, pp. 555 ss. 37F.G

UERRERA, “Compiti” e responsabilità del socio di controllo, in Riv. soc., 2009, 1, p. 510

precisa come «in caso di partecipazione totalitaria, nella società eterodiretta, da parte della società di vertice […] gli interessi contrapposti a quello della eterogestione, da bilanciare con questo ultimo, si polarizzano intorno all'interesse dei creditori, che viene dalla legge identificato (prescindendo in questa sede, per semplicità, dai problemi potenzialmente coinvolti nel caso in cui la remunerazione del finanziamento è ancorata a risultati di gestione) nella conservazione della integrità del patrimonio sociale”.

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amministratori della controllata38. Non sembra, inoltrem configurabile

in capo alla holding una responsabilità da induzione all’inadempimento della controllata perché questa rileva ex se: essa è indipendente dalla condotta eventualmente inadempiente della debitrice-controllata nei confronti dei creditori di quest’ultima39. Si

tratta, quindi, di una fattispecie di responsabilità autonoma il cui elemento fondativo è da rinvenire nell’abuso del potere di direzione e coordinamento direttamente imputabile alla capogruppo e non in un concorso causale all’inadempimento della controllata. Questa riflessione è corroborata dalla possibilità della configurazione della responsabilità della capogruppo senza che sia configurabile una mala gestio degli amministratori della controllata e, dunque, una responsabilità in capo a questi ultimi40.

38 Secondo F.D’ALESSANDRO, Società per azioni: le linee generali della riforma, in La riforma

del diritto societario, 2003, Milano, p. 43 e G.GUIZZI, Eterodirezione dell’attività sociale e

responsabilità per mala gestio nel nuovo diritto dei gruppi, in Riv. dir. comm., 2003, I, p. 449

questo rappresenta un elemento spurio rispetto alla riforma che sembra voler valorizzare il ruolo gestorio in capo esclusivamente all’organo d’amministrazione: tale potere attribuito in via esclusiva agli amministratori porta con sé la configurabilità di una responsabilità legata all’attività gestoria esplicata. Questo può essere vero con riferimento agli amministratori della controllante ma non pienamente rispetto a quelli della controllata: vi è, infatti, da notare come la responsabilità nel sistema gruppo necessariamente debba atteggiarsi in modo diverso dalla responsabilità della società monade. In quest’ultimo caso, invero, le scelte gestorie della dominata non sono pienamente libere ma subiscono un condizionamento necessario e inevitabile proprio dalla capogruppo. La disposizione che sottrae la diretta responsabilità agli amministratori della società controllata per collocarla in capo alla holding è pienamente coerente con il principio che collega il potere gestorio alla responsabilità perché la controllata, di fatto, non dispone di piena libertà nella gestione. Questo, tuttavia, non esclude la persistenza di un margine di autonomia in capo agli amministratori della controllante e la configurabilità della responsabilità accessoria per aver preso parte al fatto lesivo. Sul punto si rimanda al cap. II, 2.7.

39 Cfr.L.BENEDETTI, La responsabilità, cit., p. 3.

40 Così F.GALGANO G.SBISÀ, Direzione e coordinamento di società: artt. 2497 - 2497-septies,

in Commentario al codice civile Scialoja-Branca, a cura di F.GALGANO, Bologna – Roma, 2005, p. 119.

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4.2. Qualificazione ai sensi della responsabilità contrattuale:

spunti di riflessione.

La natura della responsabilità configurabile in capo alla holding (nell’alternativa tra contrattuale o extracontrattuale) è ancora controversa per il semplice fatto che la disposizione in esame non fornisce indicazioni decisive in un senso o nell’altro. I sostenitori delle due tesi concordano – e così non potrebbe essere diversamente – sul fatto che tale responsabilità origini dalla violazione di uno standard costituito dai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. La differenza tra i due orientamenti è da ricondurre alla qualificazione di tale standard, in termini di dovere generico o di obbligo41. La

differenza tra le due situazioni è a sua volta da rilevare nell’individualizzazione, ovverosia nella predicabilità dello standard rispetto alla generalità dei soggetti ovvero a soggetti determinati o determinabili42. La categoria concettuale dell’“obbligo”, infatti,

costituisce, per così dire, un sottinsieme di quella di “dovere”, che si configura come classe di portata più ampia. Pertanto, se il rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale si qualificasse come un dovere generico, sarebbe prospettabile in capo alla holding una responsabilità di tipo extracontrattuale; se, invece, si propendesse per una classificazione nel senso di obbligo, sarebbe preferibile inquadrare tale responsabilità all’interno della categoria contrattuale.

41 Cfr. L. BENEDETTI, La responsabilità, cit., p. 9. Sostengono che tale diversa

qualificazione sia alla base della differenza tra responsabilità per fatto illecito e per inadempimento v. L.MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv.

dir. comm., 1956, 2, pp. 360 ss.; V.CARIELLO, Sulla c.d. responsabilità da affidamento nella

capogruppo, in Riv dir. civ., 2, 2002, pp. 342 ss.

42 Cfr. C.CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, p. 212; P.RESCIGNO,

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La soluzione preferibile sembra essere quella che considera il 2497, I comma quale fonte di un obbligo specifico, piuttosto che di un dovere, per diverse ragioni. In primo luogo, perché i soggetti tenuti al rispetto di tale standard sono immediatamente determinati o determinabili prima che la violazione abbia luogo: i creditori dell’eterodiretta o i suoi soci, infatti, sono entrambi individuabili mediante una relazione giuridica specifica – di natura sociale o contrattuale – che intrattengono con la società eterodiretta43.

In aggiunta a ciò, a confermare la tesi della natura contrattuale della responsabilità di cui al 2497, I comma è il riferimento alla “correttezza” come parametro di conformazione dell’attività di eterodirezione44. La clausola generale di correttezza infatti, unitamente

a quella della buona fede in senso oggettivo, è pacificamente considerata un elemento inerente ai rapporti giuridici obbligatori tra soggetti45; essa assurge, per così dire, a regola di condotta generale cui

i soggetti devono adeguare il reciproco comportamento in ogni fase del rapporto obbligatorio (sia nella fase precontrattuale che in quella di esecuzione del contratto, quando questo è già concluso).

È stato, inoltre, stato evidenziato come nella maggior parte dei casi il rapporto di eterodirezione si stabilisca mediante la detenzione, da parte della controllante, di una quota di partecipazione nella società

43 Cfr. L.BENEDETTI, La responsabilità “aggiuntiva”, cit., p. 9. 44 Cfr. L.BENEDETTI, La responsabilità “aggiuntiva”, cit., pp. 10 ss.

45 Così S.MAZZAMUTO, Questioni sparse al confine tra diritto comune e diritto societario, in

Contr. imp., 2006, 6, pp. 1078 ss.; ma anche ID., La responsabilità contrattuale in senso

debole, in Europa e dir. priv., 2011, 1, pp. 121 ss. il quale collega la responsabilità ex art.

2497, I comma, c.c. alla «violazione dell'interesse alla correttezza procedimentale dell'azione della capogruppo che nei confronti dei soci delle società controllate potrebbe determinare la perdita di redditività e di valore della loro partecipazione sociale; mentre nei confronti dei creditori delle controllate potrebbe pregiudicare l'interesse, anch'esso strumentale, del creditore al mantenimento dell'integrità del patrimonio sociale in quanto presupposto per favorire il buon esito del proprio credito».

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