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6. L’ OPPORTUNITÀ DI UN « RISARCIMENTO AGGRAVATO DALLA CONDOTTA »

6.3. Segue: Risarcimento aggravato dalla condotta: how much?

Dopo questa breve e schematica analisi, delineerò, in estrema sintesi, il principale elemento innovativo – a mio parere – della teoria del risarcimento aggravato dalla condotta: il criterio di calcolo180.

Gli elementi da valorizzare nei singoli casi saranno i seguenti: • la gravità della condotta del responsabile;

180 ARNONE G.M.D. CENDON P., Il quantum del danno aggravato dalla condotta,

• la plurioffensività soggettiva (presenza di più danneggiati) e oggettiva (lesione di molteplici beni giuridici);

• la natura del diritto leso;

• la natura e l’entità dell’eventuale profitto conseguito o atteso dal danneggiante;

• la condizione economica del danneggiante;

• la rilevanza economica o sociale dell’attività esercitata dal responsabile;

• le eventuali condanne, in sede civile o penale, riportate dal responsabile per condotte analoghe a quelle per cui si procede.

Per la liquidazione del danno è poi stata ideata una scala181, al fine di determinare in

modo quanto più oggettivo possibile la quantificazione del danno aggravato dalla condotta. In questa scala, l’1x è l’equivalente della somma tabellare normalmente applicata ai casi di colpa (senza alcuna ulteriore sua specificazione); questo valore rappresenta, dunque, il grado minimo del risarcimento, così come contemplato dagli artt. 1223 e 2043 c.c. All’estremo opposto della scala, vi è, come è ovvio, un limite massimo. È noto, infatti, che anche nelle giurisdizioni – come gli Stati Uniti182 – che ammettono i danni punitivi,

spingendosi dunque ancora più avanti rispetto alla teoria in esame, è evidente che un risarcimento superiore al 10x porrebbe seri problemi di incostituzionalità. E la stessa Corte Suprema si è già espressa, più volte, in tal senso. Venendo dunque alla costruzione della nostra scala, se il 10x rappresenta il limite massimo di risarcimento da attribuire nei casi di dolo maggiormente intenso, e 1x rappresenta il risarcimento che è comunemente attribuito nei normali casi di colpa lieve (quale sarebbe quella prevista come base di responsabilità dall'art. 2043 c.c.), si riesce ad individuare facilmente una scala decimale facilmente riassumibile come segue:

• 1x - casi di colpa lieve; • 2x-5x - casi di colpa grave;

• 6x-10x - casi di varie gradazioni di dolo, da quello eventuale a quello generico a quello specifico, premeditato ecc.

La scala è dunque suddivisa in due pezzi: l’estremo superiore del primo segmento (5x) corrisponderebbe, dunque, alla colpa gravissima, inescusabile; di conseguenza, il valore minimo del secondo segmento (6x) corrisponderebbe al grado di dolo meno intenso – che,

181 Siffatto argomento è avvalorato soprattutto dal fatto che spesso, per grandi sinistri a dimensione

catastrofica, si liquidano – in transazioni stragiudiziali – importi maggiori rispetto a quelli che effettivamente potrebbero essere conseguiti in corso di causa aderendo al solo criterio tabellare: è, ad esempio, ciò che è avvenuto con riferimento ai parenti delle vittime del rogo alla Thyssenkrupp.

182 Sul punto, v. ARNONE G.M.D., I danni, cit.: «A ben vedere, negli States non si regala niente a

nessuno, l’incidenza statistica delle condanne punitive è molto bassa e se un giudice ha l’ardire di riconoscere più del dovuto, subito un altro al suo posto sistema le cose, a tacer del fatto che in molti Stati vigono caps risarcitori che limitano ex ante la misura del quantum punitivo».

come abbiamo visto, è quello eventuale – per poi aumentare a seconda delle sue più intense gradazioni. Così come per il dolo, anche nel segmento della colpa è possibile associare al valore minimo (1x), il minimo grado di colpa, e a quello massimo (5x), come detto, la colpa gravissima, residuando così i gradi dal 2x al 4x per le ipotesi di colpa grave.

CONCLUSIONI

«Le sentenze dei tribunali e le profezie di quello che i tribunali faranno, questo e nient'altro è ciò che

io intendo per diritto»

OLIVER WENDELL HOLMES JR.

A conclusione di questo studio, è evidente come la questione da me trattata nelle pagine che precedono sia quanto mai complessa ed – almeno apparentemente – senza una possibilità di agevole risoluzione.

Ho avviato questo studio prendendo le mosse dall’evoluzione, sino ai giorni nostri, del concetto di danno non patrimoniale e della sua risarcibilità.

Ho indagato quelli che ho ritenuto i più interessanti dei molteplici settori della responsabilità civile, in cui si potesse avere un riscontro di quanto nel testo prospettato, e cioè della possibilità – o necessità – di attribuire un ruolo importante nella quantificazione del danno non patrimoniale alle caratteristiche oggettive (eccezionale gravità del fatto) o soggettive (intensità dell’elemento psicologico dell’agente) del singolo caso concreto.

Mi sono soffermato, poi, sulle nuove frontiere della responsabilità civile, sul «dogma»1

del principio di integrale riparazione del danno e dell’equivalenza tra dolo e colpa e sulla possibilità di una loro superazione, lasciando infine spazio, nelle ultime pagine, ad una

nuova2 teoria del danno non patrimoniale.

Analizzando i risultati di questa mia ricerca, dunque, è facilmente riscontrabile, anche solo leggendo le molteplici tabelle che ho realizzato per schematizzare e semplificare

1 MONATERI P.G.-ARNONE G.M.D.-CALCAGNO N., “Il dolo, la colpa e i risarcimenti aggravati

dalla condotta”, Vol. II di MONATERI P.G. (a cura di), Trattato sulla responsabilità civile, Torino, Giappichelli, 2014.

2 In realtà, è molto più risalente di quello che sembra. Già nel 1976, il Professor Paolo Cendon

parlava, in una interessante monografia, di una diversa funzione del dolo nella responsabilità derivante da fatto illecito: cfr. CENDON P., Il dolo nella responsabilità extracontrattuale, Torino, Giappichelli, 1976.

quanto più possibile le sentenze esaminate – anche, e soprattutto, con il fine di renderle comprensibili, per quanto possibile, pure a chiunque volesse leggere questo mio studio, pur non avendo un bagaglio di competenze giuridiche da cui poter attingere – la complessità della questione.

Ciò che si ricava chiaramente e nettamente dal mio studio è una generale condizione di confusione. Ogni singolo Tribunale, ogni singola Sezione, ogni singolo Giudice, nel giudizio di liquidazione del danno non patrimoniale, adotta strumenti, parametri, criteri differenti.

Del resto, è proprio l’esercizio in concreto del potere discrezionale del giudice nella liquidazione del danno – in via equitativa – nonché il suo presupposto – l’impossibilità o comunque la assoluta difficoltà di precisare il danno nel suo esatto ammontare – a creare i problemi de qua.

Anche all’interno della stessa Suprema Corte, i contrasti sembrano insanabili. Quello delineato dalle Sezioni Unite del 2008 sembrava essere il punto di arrivo di un lungo percorso. Si è rivelato null’altro che una tappa di un percorso che, probabilmente, avrà lunga vita. Rimanendo all’interno della Terza Sezione Civile – che, come noto, si occupa anche di Responsabilità Civile – è impressionante la diversità di opinioni che connota i Consiglieri: a mero titolo esemplificativo, per Cass. 22585/2013 il danno morale e il danno c.d. dinamico relazionale vanno liquidati autonomamente rispetto al danno biologico, mentre per Cass. 21716, 11950, 3290/2013 ciò costituirebbe nient’altro che una inutile e illegittima duplicazione risarcitoria.

Attraverso le tabelle di Milano, quindi, – cui, si ricordi, è stato riconosciuto carattere

paranormativo – l’ordinamento – rectius, la Suprema Corte – sta tentando di garantire un

elevato grado di uguaglianza, oltre alla prevedibilità delle decisioni (in ossequio ad un generale principio di certezza del diritto, oltre che costituire un disincentivo all’instaurazioni di liti inutili), supplendo in toto all’attività – rectius, inattività – del legislatore.

La giurisprudenza ha quindi giustamente sottolineato che l’equità, – che altro non è che il “contrario dell’arbitrio” – assolve, tra le altre, anche alla funzione di garantire l’intima

coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale, provvedendo

dunque ad eliminare le disparità di trattamento: viene quindi ad assumere il significato di “adeguatezza” e di “proporzione”.

Tuttavia, però, è proprio l’attribuzione da parte della Terza Sezione del summenzionato carattere paranormativo alle Tabelle milanesi, ad aver ingenerato un distorto meccanismo. Sdoganate, infatti, le Tabelle del Tribunale di Milano, ciascun Tribunale si è a sua volta dotato di proprie Tabelle: Roma, Venezia, …; ciò, però, non fa altro che aumentare la confusione e l’incertezza negli operatori del diritto.

Occorre però, per chiudere il discorso, fare un passo indietro, e tornare al principio di integrale riparazione del danno. È su questo (e sulla sua vincolatività) infatti, che si giocano le carte del futuro danno non patrimoniale.

Ho già detto che il principio di integrale riparazione del danno non è un principio a copertura costituzionale: chiara, sul punto è stata la Consulta solo pochi anni fa3.

Nessuno dubita, infatti, che per quanto concerne il danno patrimoniale non vi siano problemi particolari che ostano alla sua applicazione; anzi, data la sua intuitività, parrebbe financo eccessivo motivare tal simile affermazione.

I problemi, però, si notano facilmente nel terreno del danno non patrimoniale. È davvero possibile risarcire integralmente un danno – per natura – non misurabile in termini monetari? È questa, credo, la domanda che dobbiamo porci in questo momento, alla fine di questo studio.

La più netta, tra le risposte che la dottrina ha dato, è di Cesare Salvi:

«a me pare che parlare di risarcimento integrale per il danno non patrimoniale sia

formulazione priva di significato giuridico»4.

Posto che, infatti, il danno non patrimoniale risulta esser tutt’altro che categoria

unitaria5 – se non solo in senso negativo, per differentiam rispetto al danno patrimoniale –,

occorre davvero chiedersi se abbia senso parlare, con riferimento al danno non patrimoniale, di integralità del risarcimento, adattando a tale figura il principio generale adottato dal Codice civile per il danno patrimoniale. Come detto, per SALVI, la determinazione dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale mediante l’applicazione del principio in esame altro non è che una «missione impossibile».

Ha ragione, l’Autore, quando sostiene che il principio del risarcimento integrale ha senso per il danno patrimoniale: in questo ambito, infatti, riparazione integrale significa semplicemente che il soggetto danneggiato ha diritto a una somma di denaro calcolata in modo da corrispondere alle perdite economiche subìte, ex art. 1223 c.c.

Tornando al danno non patrimoniale, ritengo di poter concordare – anche e soprattutto sulla base di quanto ho potuto constatare grazie alla ricerca svolta per la stesura di tale lavoro – con l’Autore, il quale ritiene che le regole giuridiche in cui si sostanzia il principio di integralità del danno patrimoniale sono inapplicabili e financo prive di senso se

3 CORTE COST.,16 OTTOBRE 2014, N.235,Responsabilità Civile e Previdenza, VI, 2014, 1834 con

nota di SCOGNAMIGLIO C., Il danno da micropermanenti: la giurisprudenza della corte costituzionale, la

funzione della responsabilità civile e una condivisibile concretizzazione del principio di irrisarcibilità del danno non eccedente il livello della tollerabilità.

4 SALVI C., Il risarcimento integrale del danno non patrimoniale, una missione impossibile. osservazione sui criteri

per la liquidazione del danno non patrimoniale, Europa e Diritto Privato, II, 2014, 517.

5 Riferendosi a tutte le ipotesi in cui l’ordinamento giuridico assicura la tutela risarcitoria pur in

assenza di una perdita economica in capo all’attore, le quali, però, possono avere varia natura, fondamento ed effetti.

applicate al danno non patrimoniale, dove manca proprio il necessario presupposto di quelle regole: la perdita economicamente valutabile.

«Porre quindi quel principio alla base della ricerca dei criteri per la liquidazione conduce al

vicolo cieco di un’argomentazione che non è in grado di tradursi in regole operative».

È ciò che ho constatato nella mia analisi. Si prenda, ad esempio, quanto detto con riferimento all’illecito trattamento dei dati personali – in particolare, le decisioni del Tribunale di Trieste e di Genova –: stessi criteri, stesso tipo di lesione, pregiudizi sostanzialmente simili, ma risarcimenti totalmente differenti (800 € l’uno, 50.000 € l’altro). Eppure, apparentemente, entrambi i Giudici sembravano aver seguito un logico iter argomentativo.

Ben più coinvolgente è il ragionamento proposto dal Tribunale di Palermo nella sentenza del 25 giugno 2001. Il Giudice, analizzando i vari criteri di determinazione del danno, si sofferma sulla L. 497/1999, contenente disposizioni per la corresponsione di

indennizzi relativi all’incidente della funivia del Cermis del 3 febbraio 1998 a Cavalese (Tn):

al fine di consentire la corresponsione di indennizzi in conseguenza di incidenti sul territorio italiano che hanno coinvolto unità della NATO, ha previsto, per ogni persona deceduta e per i superstiti nell’incidente della funivia del Cermis del 3 febbraio 1998 a Cavalese, un indennizzo pari nel massimo a 3.800.000.000 ₤ a favore dei superstiti e degli eredi legittimi delle persone decedute negli incidenti. È evidente che il provvedimento normativo in questione non può costituire parametro di raffronto, nascendo lo stesso in un contesto straordinario, anche per ciò che attiene alla quantificazione dell’indennizzo. Inoltre, fa notare il Giudice, se tale formula vorrebbe accentuarne il carattere di provvidenza (non risarcitorio, dunque), non elide tuttavia il fatto che il disegno di legge approvato tendeva «a garantire il risarcimento del danno economico a favore dei superstiti e degli eredi

legittimi delle vittime di incidenti sul territorio italiano che abbiano coinvolto unità delle forze armate della NATO».

Tuttavia, la norma è presa in considerazione dal Giudice, nell’ottica di ricostruzione astratta di un compendio di parametri di determinazione del danno non patrimoniale: il fatto che in un provvedimento legislativo si sia dato particolare risalto alla eccezionalità

dell’episodio dannoso e che si sia pensato di quantificare l’ammontare massimo del ristoro

spettante ai congiunti delle vittime, prescindendo, dunque, dall’individuazione concreta del pregiudizio sofferto dagli stessi, e che, infine, si sia quantificato il ristoro economico in un importo particolarmente rilevante, in relazione anche alla tipologia del fatto e al coefficiente psicologico che accompagnò le condotte dalle quali scaturì quell’evento infausto, potrebbe rendere legittima, agli occhi del giudicante, la possibilità di fare ricorso (anche) ai criteri utilizzati dal legislatore per la determinazione di un tetto massimo di indennizzo.

L’argomentazione può essere ritenuta pregevole, ma è legittima? Rientra nei poteri equitativi del giudice la determinazione di un danno effettuata in tal modo, sulla base di un

adattamento della normativa al caso concreto?

A cosa ancorare, dunque, il risarcimento del danno non patrimoniale (diverso da quello di tipo biologico), senza incappare negli ostacoli di cui ho parlato?

Come ho detto, nei prossimi anni, soluzioni (degne di questo nome), da parte della Suprema Corte, difficilmente arriveranno. Ci si chiede, dunque, se il legislatore – e in particolare l’attuale legislatore – sia in grado di arrivare a definire, così come fatto con gli artt. 138 e 139 cod. ass., dei parametri risarcitori diversi e specifici per ogni diversa tipologia di danno non patrimoniale. Questa, infatti, potrebbe essere l’unica via idonea a garantire, in tempi più o meno brevi, una definizione del problema. Va ricordato, infatti, che come ribadito – da ultimo – dalla Corte Costituzionale nel 2014 (n. 235), il legislatore può intervenire ponendo dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale (eventualmente, anche prevedendo una ragionevole limitazione dello stesso): anzi, sarebbe proprio il legislatore l’unico soggetto deputato a tale compito. Una predeterminazione dei singoli risarcimenti, infatti, consentirebbe anzitutto il rispetto del principio di uguaglianza, formale e sostanziale.

Ulteriore considerazione da svolgere al termine di questo lavoro è che probabilmente un’indicazione di dove stia andando la responsabilità civile verrà fornita dalle Sezioni Unite nei prossimi mesi, quando saranno chiamate a confrontarsi con l’annosa questione della configurabilità dei c.d. danni punitivi. È evidente che da tale pronuncia dipendono le sorti dell’intero sistema (oltre che dei sostenitori delle diverse fazioni contrapposte). Tale decisione, tuttavia, difficilmente sarà idonea a risolvere i problemi che si sono prospettati in questo studio.

Occorre, quindi, sperare in un risolutivo intervento dell’unico soggetto dotato di vero e proprio potere innovatore: il legislatore. Come prevedibile, però, la proposta di legge in materia di danno non patrimoniale attualmente all’esame della Camera dei Deputati – Bonafede e altri, C.1063 –, non si è spinta così oltre. Si prevedono tabelle per il danno biologico e per il danno da perdita del congiunto, ma nulla di così innovativo si dice dal punto di vista degli altri danni.

APPENDICE

La presente appendice ha la finalità di rendere accessibili i testi delle singole sentenze esaminate all’interno del mio lavoro anche a coloro i quali, trovandosi a leggere questo testo, non abbiano tuttavia a disposizione gli strumenti che consentono di reperirle con maggiore facilità.

Le sentenze, principalmente delle Corti di merito, saranno riportate secondo un mero ordine cronologico, dalla più risalente alla più recente.

Inoltre, per consentire una più agevole lettura delle stesse, facendo sì che il lettore possa individuare, all’interno della singola decisione, le parti maggiormente significative che ho preso in considerazione ai fini del mio lavoro, ho provveduto ad evidenziare, paragrafo per paragrafo, quelli di cui si è detto.

Le sentenze sono tratte dalle principali banche dati online e riviste giuridiche, con alcune eccezioni. In particolare, sono tratte dalla banca dati online “Leggi d’Italia” le seguenti:

TRIB.MODENA,SEZ.I CIVILE,12 DICEMBRE 2003;

TRIB.GENOVA,SEZ.VI CIVILE,6 APRILE 2006; TRIB.PALERMO,SEZ.I CIVILE,21 FEBBRAIO 2007, N.780;

TRIB.MARSALA,SEZ. STRALCIO,3 LUGLIO 2007;

TRIB.PALERMO,SEZ.III CIVILE,15 FEBBRAIO 2008;

TRIB.BARI,SEZ.III CIVILE,7 MAGGIO 2009;

TRIB.NOLA,SEZ.II CIVILE,2 FEBBRAIO 2010; TRIB.TRIESTE,SEZ. CIVILE,19 GIUGNO 2010; APP.TARANTO,SEZ.CIVILE,13 MAGGIO 2011;

TRIB.ORVIETO,29 GIUGNO 2011;

ASS.TORINO,SEZ.II,14 NOVEMBRE 2011;

TRIB.TORINO,SEZ.IV CIVILE,20 FEBBRAIO 2012;

TRIB.MONZA,10 APRILE 2012;

TRIB.FOGGIA,SEZ.I CIVILE,12 SETTEMBRE 2012; TRIB.TRENTO,11 OTTOBRE 2012;

TRIB.PALERMO,SEZ.III CIVILE,19 OTTOBRE 2012;

TRIB.NAPOLI,SEZ.III CIVILE,4 DICEMBRE 2012;

TRIB.MILANO,SEZ.I CIVILE,12 DICEMBRE 2012;

TRIB.RAGUSA,6 GIUGNO 2013;

TRIB.MILANO,SEZ.XI CIVILE,13 GIUGNO 2013;

TRIB.REGGIO EMILIA,SEZ.II CIVILE,13 GENNAIO 2014;

TRIB.ROMA,SEZ.XII CIVILE,7 FEBBRAIO 2014;

TRIB.REGGIO EMILIA,SEZ.II CIVILE,3 MARZO 2014;

TRIB.PERUGIA,SEZ.II CIVILE,6 MAGGIO 2014; TRIB.RIMINI,SEZ. CIVILE,21 MAGGIO 2014;

TRIB.CASSINO,6 NOVEMBRE 2014;

CASS.CIV.,SEZ.III,22 GENNAIO 2015, N.1126;

TRIB.MILANO,SEZ.I CIVILE,15 APRILE 2015;

TRIB.TORINO,SEZ.IV CIVILE,3 GIUGNO 2015; TRIB.ASCOLI PICENO,15 MARZO 2016;

TRIB.FROSINONE,16 MARZO 2016;

TRIB.PALERMO,SEZ.III CIVILE,6 APRILE 2016;

TRIB.PADOVA,SEZ.II CIVILE,12 MAGGIO 2016.

Sono state tratte dalla banca dati online “DeJure” le seguenti:

TRIB.VENEZIA,SEZ.I CIVILE,10 GENNAIO 2006, N.73; TRIB.MARSALA,SEZ. CIVILE,20 FEBBRAIO 2008; TRIB.MILANO,SEZ.X CIVILE,3 SETTEMBRE 2012, N.9749;

ASS.BERGAMO,27 SETTEMBRE 2016.

Sono tratte dal sito internet “www.articolo29.it” le seguenti: TRIB.CATANIA,2 LUGLIO 2008, N.2997;

APP.CATANIA,SEZ.I CIVILE,14 LUGLIO 2010, N.1131. È tratta dal sito internet “www.personaedanno.it” la seguente:

TRIB.PALERMO,SEZ.I CIVILE,4 LUGLIO 2007.

Sono tratte dalla rivista specialistica “Diritto dell’informazione e dell’informatica” le seguenti:

TRIB.MILANO,8 APRILE 1991;

TRIB.NAPOLI,8 APRILE 1995.

TRIB.LATINA,SEZ. DIST.TERRACINA,19 GIUGNO 2006, N.252 È tratta dalla rivista specialistica “Giurisprudenza italiana” la seguente:

TRIB.BARI,18 GIUGNO 2001.

È tratta dalla rivista specialistica “Il Foro Italiano” la seguente: TRIB.PALERMO,25 GIUGNO 2001.

È tratta dal sito del Tribunale di Varese – www.tribunale.varese.it – la seguente: TRIB.VARESE,10 DICEMBRE 2010.

Sono, invece, inedite le seguenti:

TRIB.PADOVA,7 GENNAIO 2009;

Trib. Milano, 8 aprile 1991

– OMISSIS –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. — Con atto di citazione notificato l'8 ottobre 1986 la signora D. M. conveniva in giudizio avanti a questo Tribunale la S.p.A.R. E. e il Signor C. G. — rispettivamente, editrice e direttore responsabile del settimanale «Eva Express» lamentando che sul n. 29 del 17 luglio 1986 del periodico e precisamente sulla copertina e nelle pagine da 18 a 27 erano state pubblicate varie foto di essa attrice «svestita», lamentando altresì che la pubblicazione dei fotogrammi — avvenuta senza alcun consenso — era stata accompagnata da «titoli e didascalie offensive», deducendo che le foto erano state «scattate con un teleobiettivo, contro la volontà dell'istante e a sua insaputa, mentre era nell'ambito dell'intimità della propria casa in Corsica», osservando che la condotta dei convenuti si poneva in contrasto con la previsione di varie norme dell'ordinamento (artt. 10 c.c., 96 e 97 della l.d.a., 615-bis cod. pen.), sottolineando che il gravissimo e pregiudizievole abuso non poteva trovare giustificazione neppure nella «notorietà» di essa attrice quale «consorte del Principe Vittorio Emanuele di Savoia Capo della Casa Savoia» e chiedendo al Tribunale conclusivamente, la condanna solidale dei due convenuti sia al «risarcimento ...di tutti gli ingenti danni subiti, patrimoniali e non», sia alla pubblicazione della sentenza su «Eva Express» e su vari quotidiani. I convenuti, costituitisi entrambi, chiedevano il rigetta delle domande così proposte nei loro confronti, osservando fra l'altro che la notorietà del personaggio — non derivata soltanto dal rapporto di coniugio con il Savoia — legittimava la pubblicazione delle foto senza consenso, mentre la pretesa dei Savoia e della stessa Doria di rappresentare «un punto di riferimento morale persino... in una Repubblica moderna tesa verso il 2000» giustificava la «comunicazione al pubblico» di «atteggiamenti... attitudini... abitudini» del personaggio e il «superamento» dei comuni ambiti di riservatezza. Instaurandosi in tal modo il contraddittorio tra le parti e prodotti da